Prime Esperienze
IO, TERESA - Quando Misi La Testa A Posto - Cap. 5
di whynot007
29.05.2022 |
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"Mi ricordai del comportamento di Elvira in occasione delle prove nel camerino del negozio e non feci altro che replicare tutti i suoi movimenti..."
5Il lunedì successivo, la settimana cominciò in maniera inconsueta.
Finalmente avevo il mio nuovo camice, così Carlo poteva essere tranquillo per un eventuale ispezione da parte dell'ispettorato del lavoro, ed io avevo da sfoggiare il mio nuovo indumento. In realtà quella mattina ero rimasta un pochino titubante se indossarlo oppure no: mi sembrava troppo corto e troppo appariscente con il suo colore rosa fucsia e rimproverai me stessa per essermi lasciata convincere da Elvira all'acquisto. Stavo quasi per rinunciare quando sentii il trillo del telefono nell'ufficio di Carlo, che era proprio confinante con il locale adibito a spogliatoio per le impiegate dove mi trovavo, e, quasi involontariamente, sentii Carlo rispondere ad alta voce e in maniera concitata: "… si, va bene, ci vediamo per pranzo, però stai calma non fare la nervosa, vedrai sarà un ottimo pomeriggio, ci vediamo fra poco, ciao".
Sicuramente era Giovanna che chiedeva la sua parte di soddisfazione sessuale. Furiosa per queste poche parole mi decisi di indossare il camice e, ripensando al successo avuto da Elvira il sabato precedente, di proposito lasciai aperto l'ultimo bottone.
Finita la conversazione telefonica Carlo si avvicino ad Enrico e gli disse alcune parole che io non riuscii a decifrare a causa della distanza. Il giovane tecnico rispose con aria raggiante e, facendo segno di si con il capo, si girò guardando verso la mia parte rimanendo a bocca aperta e con gli occhi sgranati di meraviglia: il mio nuovo camice fucsia aveva fatto il suo effetto!
Carlo mi chiamò e, quando li raggiunsi, disse:
- «Teresa devo assentarmi per l'intera giornata e questa sera non potrò riaccompagnarti a casa. Enrico si è gentilmente offerto di provvedere lui, spero tu non abbia nulla in contrario».
Concluse così la frase e si avviò verso il suo ufficio senza darmi la minima possibilità di replica e senza un qualsiasi commento verso il mio camice.
Ringraziai Enrico della sua disponibilità e mi diressi mesta mesta verso il mio banco di lavoro. Avevo il cuore gonfio di dispiacere: non solo mi avrebbe tradito per tutto il pomeriggio con Giovanna ma mi stava anche abbandonando.
Ero furiosa, giurai a me stessa che mi sarei vendicata alla prima occasione.
E l'occasione non tardò ad arrivare.
Infatti, in tarda mattinata un corriere espresso consegnò due voluminose scatole contenenti i componenti necessari per l'assemblaggio delle schede di circuito stampato attualmente in produzione. Giancarlo, il tecnico più anziano, che in assenza di Carlo faceva le veci di caposervizio, mi chiese di occuparmi della messa in ordine di tutto quel materiale. Il lavoro consisteva nel prelevare i componenti dalle grandi scatole e, dopo averli registrati sul quaderno di carico, disporli con cura negli appositi contenitori disposti sul grande scaffale metallico che fungeva anche da parete di separazione fra l'area di montaggio e l'area di test.
Ero contenta che Giancarlo mi avesse affidato questo lavoro perchè avevo timore che, in preda al mio nervosismo per il comportamento di Carlo, potessi fare errori nell'usuale lavoro di assemblaggio con conseguente perdita di materiale e tempo di diagnostica da parte dei tecnici.
Fu così che, proseguendo in questo servizio, mi resi conto che avevo a portata di mano la sospirata occasione di vendetta nei confronti di Carlo.
Avevo notato infatti che ogni volta che mi chinavo per prelevare il materiale dalle grandi scatole, Enrico, che era dall'altra parte della parete divisoria, con fare disinvolto sbirciava fra gli scaffali cercando di osservare i miei movimenti. Compresi al volo i suoi intenti e feci in modo di assecondare le sue voglie. Mi ricordai del comportamento di Elvira in occasione delle prove nel camerino del negozio e non feci altro che replicare tutti i suoi movimenti. La corta lunghezza del camice, la mancata chiusura dell'ultimo bottone e soprattutto la mia voglia di vendetta, certamente stavano sortendo il desiderato effetto di mostrare nella loro interezza le mie lunghe, affusolate e abbronzate gambe al povero Enrico.
Dopo circa una mezz'ora di questo lavoro, con fare innocente cercai gli occhi di Enrico al di là della parete divisoria e, incrociato il suo sguardo, gli mandai un delicato sorriso di compiacimento ad indicare che avevo notato il suo sbirciare.
Galvanizzato dal mio sorriso lui non ebbe più remore e praticamente mi seguì per tutto il tempo con lo sguardo osservando tutti i miei movimenti. Di quando in quando, in maniera maliziosa, gli offrivo anche qualche visione extra delle mie mutandine nere.
Ero contenta e abbastanza appagata di tutto ciò.
Durante l'intervallo di pranzo Enrico, che si era seduto accanto a me, mi chiese dove abitavo e quanto tempo era prevedibile fosse necessario per raggiungere la mia abitazione.
Parlammo anche di cose di lavoro. Alla fine del pranzo, in maniera estemporanea, mi disse sottovoce:
- «Il nero è il mio colore preferito!»
quindi si allontanò rapidamente senza aspettare una mia risposta.
Si intuiva chiaramente che era un bravo ragazzo, ben educato e molto timido. Che differenza con la bruta decisione e autorevolezza di Carlo! Pensai.
Questa considerazione mi fece riflettere: sì mi stavo vendicando del comportamento di Carlo ma a spese del povero Enrico che aveva come ricompensa solo qualche futile visione della mia biancheria intima. Decisi quindi che per il resto della giornata mi sarei comportata in maniera più onesta e seria nei suoi confronti, evitando di mostrarmi in maniera così palese.
Il pomeriggio passò abbastanza velocemente, il lavoro di sistemazione dei componenti arrivati in mattinata aveva preso tutta la mia attenzione ed anche il pensiero del tradimento di Carlo era passato in secondo piano.
Così, come mi ero riproposta a pranzo, mi comportai in maniera molto meno disponibile nei confronti di Enrico, anche se, alla fine, ogni mia buona intenzione di castità doveva confrontarsi con la lunghezza del mio nuovo camice.
Enrico sicuramente si era accorto di questo mio cambiamento di umore e non aveva nascosto il suo disappunto. Infatti, per svolgere il suo lavoro, si era girato verso la finestra rivolgendomi le spalle. Solo sporadicamente lanciava qualche occhiata per sincerasi di non perdersi nessuna ulteriore visione della mia biancheria intima.
Mancava circa una mezz'ora al termine della giornata lavorativa, quando squillò il telefono posto sulla scrivania di Giancarlo che era proprio vicino allo scaffale divisorio dove io stavo lavorando.
- «No ingegnere, nessun problema»
sicuramente era Carlo all'altro capo del telefono, infatti Giancarlo si rivolgeva a lui chiamandolo ingegnere.
- «Si, ha chiamato il dottor Calvemini della Voxon, voleva sapere se la consegna del materiale era stata effettuata e se c'erano stati problemi di spedizione. Ho risposto che tutto era in ordine»
poco dopo aggiunse:
- «Un attimo controllo…»
depose la cornetta del telefono sulla scrivania e si diresse verso l'ufficio di Carlo. Probabilmente Carlo aveva chiesto qualche informazione particolare di lavoro e Giancarlo se la stava procurando.
Dal telefono lasciato lì sulla scrivania, cominciarono a provenire degli strani rumori e voci. Avvicinandomi un poco riuscii a distinguere la voce sommessa di Carlo inframmezzata di silenzi e sospiri:
- «No, non adesso, lasciami finire questa telefonata...»
- «Ma non ti basta mai, sei insaziabile...»
- «ahhh, piano, piano, non succhiare così forte…»
- «mascalzona, lo sai che mi piace vederti mentre lo fai…»
era evidente cosa stesse succedendo all'altro capo del telefono. Mi tornarono in mente le immagini del venerdì precedente con Giovanna che succhiava in maniera famelica il membro di Carlo e che sembrava volesse estirpargli anche l'anima. Una vampata di calore mi riempì il volto, cominciai a tremare e ad aver problemi di respirazione.
Vidi che Giancarlo stava tornando con in mano una cartella e con dei fogli. Feci forza su me stessa per distaccarmi da quelle voci sommesse, corsi in bagno dove fui sopraffatta da un pianto dirotto accompagnato da violenti singhiozzi. Obbligai me stessa a controllarmi, non volevo che le altre ragazze o i tecnici si accorgessero del mio stato pietoso. Lentamente la ragione prese il sopravvento, i singhiozzi diminuirono di frequenza ed intensità, piano piano riacquistai la calma. Cercai di convincere me stessa che dovevo accettare il comportamento di Carlo, lui era fatto così e, forse, Elvira aveva ragione: io ero solamente il mezzo per raggiungere il suo scopo biologico. Si, tutte queste considerazioni erano giuste però ero furiosa: ancora una volta giurai a me stessa che mi sarei vendicata alla prima occasione.
L'auto di Enrico era una piccola utilitaria anche malconcia, nulla in confronto alla lussuosa BMW di Carlo.
Durante il tragitto di ritorno Enrico provò varie volte ad instaurare un qualsiasi discorso, io, assorta nei miei pensieri, mi limitai ad indicare la strada per raggiungere la mia casa. Non avevo voglia di parlare di nulla, mi ritornavano continuamente alla mente quelle poche ma rivelatrici frasi rubate dal telefono, e il povero Enrico ne stava facendo le spese.
Eravamo quasi giunti a destinazione quando lui se ne usci con:
- «Molto bello quel tuo nuovo camice di lavoro. Ti sta molto bene e ti rende molto sexy».
Rimasi sorpresa da questa sua osservazione a carattere sessuale. "Almeno qualcuno ha osservato e apprezzato il mio nuovo abbigliamento" pensai fra me. E poi, scrollandomi di dosso tutta la tristezza, chiesi:
- «Ti piace? Me lo ha suggerito la mia amica Elvira. Forse il colore è un pò troppo appariscente!»
dissi, quasi cercando di trovare una non necessaria giustificazione.
- «Si, è molto bello. La sua lunghezza mette in risalto le tue deliziose gambe e il suo color fucsia si abbina benissimo con il nero…»
lasciò la frase in sospeso riferendosi chiaramente al nero delle mie mutandine. "Non è poi così timido come credevo" pensai fra me e me.
Eravamo arrivati di fronte al portone della mia casa e l'auto era praticamente ferma.
Lusingata dalle osservazioni e dai complimenti di Enrico ebbi un attimo di orgoglio e dissi:
- «No, continua, vai avanti segui le mie indicazioni».
Ricordai che Elvira mi aveva parlato di un posto, a soli due isolati di distanza, frequentato da coppiette di innamorati che, nel chiuso della propria auto, si scambiavano le loro effusioni amorose, anche lei c'era stata parecchie volte per appartarsi con lo spasimante di turno.
Guidai così Enrico fin sul posto e, dopo una rapida occhiata di sopra luogo, gli indicai un posto libero e ben in ombra e isolato dal resto degli altri frequentatori del sito. In realtà non sapevo per quale motivo avevo preso questa decisione di andare in quel posto per innamorati e, sinceramente, non sapevo cosa effettivamente aspettarmi da Enrico.
- «Si, fermati qui. Spegni pure il motore. Non ho molto tempo, i miei genitori mi aspettano per cena».
Intuivo che Enrico si stava domandando se la scelta del posto significasse qualcosa e, in effetti, senza dire nulla si avvicinò a me cercando di baciarmi. Non mi lasciai prendere di sprovvista e respingendolo dissi:
- «No, scusami ho passato una giornata terribile»
Imbronciato come un bambino a cui è stato vietato di toccare il suo agognato giocattolo, rispose:
- «Oggi, mentre mettevi in ordine il materiale sullo scaffale non sembrava avessi una cattiva giornata! Anzi mi era apparso che tu fossi molto efficiente e…» trattenne per un attimo le parole che stava per dire «sicuramente molto eccitante con il tuo corto camice. Sai, ho dovuto fare parecchio sforzo per toglierti gli occhi da dosso».
Povero Enrico effettivamente mi ero comportata in maniera poco onesta e seria nei suoi confronti. Mi venne voglia di rimediare. Lo guardai con affetto e, ricordando le parole udite al telefono, gli dissi in maniera imperiosa:
- «Tira giù lo schienale del sedile».
Ubbidì immediatamente. Sicuramente aveva interpretato male le mie intenzioni e, forse, anche io non mi stavo rendendo conto di quale fosse la portata del gesto che mi ero proposta di fare. Raccolsi i miei capelli a coda di cavallo utilizzando un elastico preso dalla borsetta, quindi suggerii:
- «Chiudi gli occhi e non parlare».
Era lì, ad occhi chiusi, completamente disteso sul suo sedile, io reclinai solo parzialmente il mio schienale.
Gli posi il palmo della mia mano sul petto quasi senza peli che la sua camicia estiva aperta metteva in evidenza. Sbottonai i pochi bottoni ancora agganciati e mi avvicinai a baciare quel torace quasi acerbo. La mia mano destra intanto andava insinuandosi al di sotto della cintola dei pantaloni, sentii la reazione istantanea del suo membro che chiedeva di essere liberato. Armeggiai non poco con la cintura e con la zip dei pantaloni… finalmente la bestia era quasi libera. Passai la mia mano sotto l'elastico degli slip e lo sentii: forte, prepotente, rigoglioso. Con abile mossa feci scivolare i pantaloni e gli slip fino all'altezza delle ginocchia.
Era lì dritto, pulsante, davanti i miei occhi e a pochi centimetri dalla mia bocca. Emanava il caratteristico odore di sesso maschile, tipico estivo, rimasi inebriata da quello che mi apparve come un soave profumo.
Lo avvolsi con la mano e provai il ritmico su e giù però limitandomi a poche escursioni. Mi avvicinai ancor di più, bagnai il suo glande con la lingua e pian piano lo avvolsi con le mie labbra. Lo feci entrare fin dove mi fu possibile. Mi vennero in mente le parole di Elvira, provai a verificare se anche io avevo il dono di natura, la capacità cioè di mandarlo giù fino in gola. Non mi fu possibile, ma rimasi della convinzione che con un pò di pratica e pazienza forse ci sarei riuscita.
Il mio lavorio durò ben poco, sentii una improvvisa esplosione e la mia bocca che si andava riempiendo di liquido ed un brivido di piacere percorrere tutta la mia schiena partendo dalla nuca per arrivare alle mie viscere. Nel primo istante di calma utile ingoiai tutto quel ben di dio e subito mi riaccostai per avere il resto della mia razione. Lo succhiai come avevo visto e sentito fare da Giovanna. Enrico emise un lieve sospiro e per la seconda volta ingoiai tutto il prodotto del suo piacere. Rimasi così ancora per un pò, sentivo che pian piano la bestia si andava calmando e si rendeva innocua all'interno della mia bocca. Comincia a stuzzicarlo con la punta della lingua e lentamente mi distaccai da lui.
Improvvisamente mi resi conto di cosa avevo fatto e, con senso di vergogna, sussurrai:
- «Ti prego, scusami ma tutto ciò non ha nessun significato, ti avevo detto che ho avuto una giornata terribile!»
Lui non rispose.
Io aggiunsi:
- «Ti prego accompagnami a casa ora».
Ci lasciammo senza scambiare ulteriori parole.
Quella sera, nel silenzio e nel buio della mia cameretta, ripensai a tutti gli avvenimenti della giornata e mi tornarono alla mente le parole di Elvira. Sicuramente ero stata io a dirigere l'orchestra e sicuramente mi ero presa il meglio del timido Enrico e, ancora una volta, dovetti convenire che il liquido maschile effettivamente somigliava alla chiara di un uovo appena fatto. Probabilmente quella porca della mia amica Elvira aveva ragione anche sulle sue considerazioni relative al dono di natura, mi ripromisi che nella successiva occasione avrei tentato in maniera più convinta di emulare le gesta dell'attrice di "Gola Profonda".
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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