lesbo
La baby-sitter
di marcosala
24.02.2017 |
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"Per un attimo mi immaginai e sperai che la cintura si aprisse e l’accappatoio potesse cadere a terra così da apparirmi tutta nuda..."
Chissà cosa avranno immaginato i vicini quando mi hanno vista per la prima volta salire su quella splendida fuoriserie. Mia madre, che tiene alla rispettabilità della famiglia, ha detto che faccio la baby-sitter, e che questo ricco signore è un nuovo cliente. Lei tiene alla reputazione della sua figlia modello, non siamo ricchi ma onesti. Se solo sapesse! No, non aspettatevi qualche sordida storia di prostituzione clandestina, io faccio veramente la babysitter a casa di questo distinto signore, un dottore commercialista che ha un importante ufficio in centro città. Lui abita in una villa in periferia, non una zona sinistra, ma una splendida zona residenziale. Ha, naturalmente, una moglie giovane e bella e due gemelli di sei anni. Siccome escono quasi tutte le settimane, o il venerdì o il sabato, a volte entrambi i giorni, lui viene a prendermi a casa alla sera, passo la notte con i gemelli, e mi riaccompagna a casa alla mattina. Durante i momenti passati in macchina insieme, mi ha raccontato che è divorziato e che ha da poco sposato la sua nuova compagna. Dal primo matrimonio ha avuto una figlia più o meno della mia età e che vive con la madre. Me la immaginavo, come tipo, somigliante a me, magari bionda, elegante, sofisticata, invece mi ha detto che gli da un sacco di problemi. Frequenta brutte compagnie, si trascura anche fisicamente insomma sta buttando via la sua vita. Mi spiace per lei. Io cerco di fare il meglio che posso della mia vita. Si, forse sono un poco insignificante, piccola, bruna, senza forme, sempre vestita allo stesso modo, abiti sempre sul grigio e collant neri, ma spesso dico che “la mia eleganza è interiore”, questa massima l’ho letta da qualche parte e subito l’ho fatta mia. All’ università ho degli ottimi voti. Cerco di essere gentile e disponibile con tutti, sono benvoluta sia dai professori che dalle mie compagne di corso ma, ahimè, non sono una di quelle che viene invitata alle feste o alle gite nei week-end. Dal punto di vista sentimentale la mia vita è una serie di piccoli disastri, pochi fidanzati maschi e molte fantasie con donne, proprio per questo sono diventata esperta nel “piacere solitario”. Qualche giorno fa, il mio nuovo cliente è venuto a prendermi al sabato mattina molto presto, dovevano stare via tutta la giornata e tornare molto tardi. Gemelli avevano scuola, li avrei accompagnati io, sarei andata a riprendere all’orario di uscita e mi sarei occupata di loro nel pomeriggio e in serata. Avrei dormito a casa loro e mi avrebbero riaccompagnata l’indomani mattina. Un bell’impegno ma la paga è buona. All’arrivo i gemelli corsero ad abbracciarmi ma notai che c’è tempesta nel’aria. Lei è ancora in bagno e da lì mi arrivano delle voci, una discussione tra le più volgari alle quali mi sia mai capitata di ascoltare da quando sono in questa casa. Lui uscì furioso dal bagno. “Che puttana!”, lo sentii esclamare. Ma come può un uomo trattare così la propria donna davanti ai figli e davanti a me? È vero che a volte passo inosservata ma a tutto c’è un limite! Dopo un poco, ripresosi e calmatosi mi disse: “Mia moglie non è pronta.” Grazie, forse l’avevo capito. Cambio di programma, accompagnerà lui i figli a scuola, partiranno dopo. Nell’attesa potevo fare colazione, il caffè era pronto in cucina. Ero seduta di fronte alla porta con la tazza del caffè caldo in mano, quando lei mia apparve nella sua bellezza più semplice, seminuda tanto da mozzare il fiato. Lei, con i suoi capelli biondi sparsi sull’accappatoio bianco si stagliava sullo sfondo scuro del corridoio. Restai paralizzata a guardarla, Elena mi sorrise. Si scusò del nervosismo del marito, aveva un cliente importante da vedere, un affare delicato. Sarà vero, ma non mi sembrava molto convinta di quello che stava dicendo. Sul suo volto dai lineamenti delicati, calò un velo di malinconia che andava ad aggiungersi al malessere ed alla tensione già evidente. Cercò di stringersi nell’accappatoio, così facendo aprì la scollatura facendo intravedere abbondantemente il solco del suo splendido seno. Per un attimo mi immaginai e sperai che la cintura si aprisse e l’accappatoio potesse cadere a terra così da apparirmi tutta nuda. Ma presto si ruppe l’incantesimo, lei andò in camera sua a finire di prepararsi per il ritorno del marito. So che mi sarei tenuta questa fantasia per la testa e che l’avrei utilizzata in futuro. Nella mia testa ho come una serie di questi piccoli film mentali che, a volte, si mettono a girare senza che io lo voglia, e continuano a stuzzicarmi ed eccitarmi fino al punto che per liberarmene devo isolarmi e masturbarmi violentemente. Conosco ormai tutti i gabinetti dell’università, in particolare quelli della nuova ala, isolati gli uni dagli altri tanto che non si corre il rischio di far sentire ad altri quello che si sta facendo. Dopo che furono partiti, riassettai la cucina e, per non sprecare la mattinata, mi ero portata dei libri per studiare. Purtroppo i versi di Leopardi si sovrapponevano all’immagine di Elena nel suo accappatoio semiaperto. Sentivo un formicolio particolare che mi faceva muovere le gambe, le stringevo come per costringere la mia “micetta” a lasciarmi tranquilla ma, ahimè, sapevo che non sarebbe successo. Quando sento questo formicolio tra le gambe lo devo “spegnere”, tra l’altro, ho un mio cerimoniale ormai consolidato per tutte le emergenze. Anche allora lo adottai: aprii bene le gambe, alzai la gonna sopra le cosce e cominciai ad accarezzarmi da sopra i collant, quando fui già bella bagnata mi infilai la mano sotto i collant e le mutandine e cominciai a sfregarmela sempre più forte. Volevo che la mia mano si bagnasse bene dei mie umori, mi piace sentirne l’odore. Quando fui ben lubrificata mi infilai le dita, il momento in cui mi penetro è sempre una cosa piacevole. Il mio pollice salii per cercare il mio bottoncino che non chiedeva altro che essere maltrattato. Chiusi gli occhi, vidi l’accappatoio di Elena che si apriva mostrando i suoi splendidi seni e la sua golosa patatina. Riuscii ad arrivare velocemente all’orgasmo, lo faccio quando so che ho poco tempo a disposizione, poi mi accarezzai il viso con la mano bagnata dei miei umori e mi succhiai le dita per gustane il sapore. Dopo essermi ripresa mi alzai e mi diressi verso il lavello della cucina per lavarmi le mani, ma dopo qualche passo cambiai idea, decisi di lavarmele in bagno. Era grande, lussuoso, molto chiaro e brillante. Mi sciacquai il viso e mi lavai accuratamente la mani. Cercai qualche cosa per asciugarmi e vidi, appeso ad un attaccapanni vicino a quello del marito, l’accappatoio di Elena. Era ancora bagnato, lo presi e cercai la parte che era stata a contatto con la sua fichettina e la portai al mio viso. Pensai subito ironicamente, che se cominciavo così la tesina sul Leopardi non sarei andato molto lontano, la mia buona coscienza si faceva sentire. Mi venne voglia di indossare l’accappatoio, e senza pensarci due volte lo feci. Mi spogliai completamente. Nello specchio di questo bagno fastoso, il mio corpo magro mi sembrava del tutto fuori posto. Indossai l’accappatoio, un po’ troppo grande per me. Era ancora umido e freddo tanto che ebbi un brivido di freddo. Mi appoggiai ad un grande calorifero verticale, e mi sentii bene tanto che mi prese la voglia di fare un bagno. Ora o mai più, era l’occasione di usare quella grande vasca con getti d’acqua dappertutto. Mi sembrava di giocare a fare la principessa, mi tolsi l’accappatoio con gesti lenti, verificai la temperatura dell’acqua con la punta del piede come si vede nei film, ed entrai nell’acqua. Mi distesi nella vasca, c’erano getti ovunque, volevo provare questa sensazione dell’idromassaggio. Mi lasciai accarezzare per un po’, avvicinando a turno ai getti, prima i seni, poi il culetto alla fine al mia patatina. Le sensazioni erano molto piacevoli. Le mie mani accarezzavano il mio corpo, mi immaginavo di essere lei, o addirittura che fossero le sua mani ad accarezzarmi. Passai degli splendidi momenti di relax, finché la temperatura dell’acqua che si stava raffreddando mi riportò alla realtà. Uscii da bagno e mi rimisi l’accappatoio. In piedi davanti allo specchio mi mettevo in posa. Allentai la cintura e con le mani nelle tasche feci in modo di aprirlo, l’accappatoio si aprì e mostrò i mio corpo come avevo immaginato quello di Elena. Aprii il mobiletto del bagno e guardai i prodotti che ci si trovavano, tutti molto cari anche se non ne conoscevo le marche. Non volevo toccarli per paura che lei se ne accorgesse, ma non resistetti davanti ad un flacone di profumo, lo aprii e lo annusai. Un profumo molto delicato e raffinato, io non metto mai profumi ma fui sul punto di cedere ma mi resi conto che i gemelli avrebbero potuto riconoscere il profumo della mamma. Richiusi il flacone e lo rimisi a posto, quindi chiusi l’armadietto del bagno. In un angolo del bagno vidi il cesto della biancheria sporca. Non ebbi neanche il tempo di dirmi che ciò che stavo facendo non era corretto che subito lo aprii. In primo piano un paio di mutandine blu in pizzo di Elena, finemente ricamate ed eleganti, griffate “La Perla”, di quelle che si vedono nei negozi di lingerie del centro con prezzi che fanno rabbrividire, niente a che fare con le mie mutandine di cotone comprate a pacchi da tre al supermercato, neanche da paragonare! Le presi delicatamente, le girai, le guardai, le accartoccia e le avvicinai al mio naso. Avevano un odore forte ma buono che mi fece effetto. Il giorno prima, mentre le indossava, forse ha avuto una forte eccitazione sessuale, si sentiva l’odore forte degli umori vaginali. Forse la mano del marito si era insinuata sotto il suo vestito? No, stop, lui non lo voglio nel mio film, un individuo che la chiama “puttana”non lo voglio. Preferisco immaginare lei seduta sul divano del salotto annoiata che apre le gambe, si alza la gonna e scopre queste splendide mutandine e comincia ad accarezzarsi da sopra ad esse, bagnandosi ed inzuppandole dei suoi umori. Si sono sicura che lo fa, la vedo che si accarezza, e intanto la mia mano ricominciava a scendere di nuovo sulla mia patatina già umida. No, non volevo farlo ancora, avrei voluto calmarmi ma più facile a dirsi che a farsi. Riposi con riluttanza le mutandine nel cesto evitando vi guardare gli slip del marito che in quel momento mi metteva a disagio solo al pensiero. Lasciai il bagno e andai nella loro stanza, sempre più curiosa e sempre più eccitata. La camera era arredata con un grande letto con un piumone a fiori, due comodini ed un grande armadio con le ante scorrevoli a specchio. A destra del letto, dalla parte di Elena, sparse sul pavimento, c’erano una serie di riviste che non lasciavano certo pensare, da parte sua, a delle serate intellettuali. Alzai la coperta alla ricerca del suo profumo, quindi avvicinai il mio viso al cuscino, si era il suo, sentivo la fragranza del profumo trovato prima in bagno. Feci scivolare le ante dell’armadio e scoprii il suo guardaroba. Pantaloni, gonne, abiti, tutti appesi in buon ordine. Li passavo a uno a uno tra le mani. Ce n’erano per una piccola fortuna, tutti abiti firmati, fu la prima cosa che mi passò per la mente, ma poi mi eccitai pensando il corpo che avrebbero coperto abitualmente: quello di Elena. Da una parte c’era una serie di cassetti. Aprii il primo ed alla mia vista si offrì un ampio assortimento di mutandine, slip e perizomi. Tutta roba della stessa qualità e ricercatezza di quelle che avevo trovato nel cesto in bagno. Guardando i suoi indumenti intimi, sentivo Elena attorno a me, la sensazione mi eccitava. Avevo voglia di lei ma non avevo che me, solo me stessa. Continuavo a rovistare tra i cassetti spinta dalla folle idea di trovare qualche oggetto che potesse aver usato per darsi piacere. Avevo l’impressione che lei fosse entrata in me. Alzai il piumone e mi sdraia in mezzo al letto con i cuscini sotto la schiena in modo che potessi vedere la mia fica aperta nello specchio dell’armadio. Era lucida dagli umori, inizia a toccarla, accarezzarla e penetrarla, volevo godere di quel momento. Avrei voluto che lei fosse stata lì con me, che mi vedesse, che mi capisse, che mi accarezzasse e si facesse accarezzare. Avrei voluto lasciare un segno del mio passaggio e della mia eccitazione. Mi venne un’idea folle. Mi alzai, aprii il cassetto dell’intimo e presi un paio di mutandine, le più belle, nere di pizzo, le sole di quel colore, con dei ricami a forma di fiori intrecciati. Ritornai sul letto e mi sdraia di nuovo nella sessa posizione di prima. Mi guardavo nello specchio mentre mi masturbavo la fichettina con le sue mutandine, me le infilavo dentro, le volevo inzuppare dei miei umori, volevo lasciare una traccia di me, della mia sensualità, del mio vizio, il mio odore. Accidenti, stavo godendo troppo presto, ero troppo eccitata, dovevo stare attenta e riprendermi. Mi fermai un attimo, il mio respiro ritornò normale senza però che il fuoco che tra me mie cosce finisse di bruciare. Riguardai le mutandine di Elena, pensai che come avessero coperto la sua fichettina, mi eccitai di nuovo, ripresi a masturbarmi violentemente, mi infilai nuovamente le sue mutandine nella vagina, con le dita le spinsi più in fondo che potevo, mi agitavo, stavo godendo, inarcai la schiena e, con un gemito, ebbi un violento orgasmo con un abbondante getto di umori vaginali. Finalmente mi rilassai, tolsi le mutandine dalla mia fica, erano madide, le misi sul viso e le annusai, mi piaceva il mio odore, non l’avevo mai sentito così buono. Rimasi qualche minuto stordita dall’intenso piacere quindi raccolsi le mie idee e decisi di dar seguito al mio piano. Tornai in bagno, appesi l’accappatoio al suo posto, aprii il cesto della biancheria sporca e riposi le mutandine nere umide dei miei umori. Sopra a tutta la roba sporca sarebbero state troppo i vista, Elena avrebbe potuto accorgersene stasera stessa, allo stesso tempo , pensavo, se le avessi seppellite troppo avrebbe potuto non notarle, so per avermelo detto i gemelli che “è la mamma che si occupa del bucato”. Vista la quantità di roba sporca, suppongo avrebbe fatto il bucato il lunedì, quando, una volta trovate le mutandine, sarebbe stata sola, allora avrebbe avuto il tempo di farsi delle domande e di trovare delle giuste risposte. Ahimè non sapevo come l’avrebbe presa, al massimo avrei perso una fonte di reddito importante. Decisi comunque di prendermi questo rischio. Passai quindi alla seconda fase del piano, all’indomani mattina prima di partire, avrei nascosto la mia agenda sotto il letto che uso solitamente quando mi fermo da loro, come se fosse caduta da sola, quindi avrei atteso martedì per chiamare Elena chiedendole se per caso non l’avesse trovata. La domenica trascorse tranquillamente, a parte il fatto che passai la giornata pensando a Elena ed a masturbarmi la mia patatina. Il lunedì lezioni all’università. Il martedì decisi di restare a casa. Aspettavo un’ora decente per chiamare Elena, appena sveglia ero ansiosa per quello che avrei fatto nella giornata, pensavo fosse troppo presto, allora aspettai. Alle nove mi sembrava un’ora giusta allora mi buttai. Ero sola in casa, il mio cuore batteva fortissimo nel petto quando inizia a comporre il numero. “Buongiorno, sono Virginia, non trovo più la mia agenda e mi chiedevo se per caso non l’avessi lasciata da voi. Per caso non l’avete trovata? Ha una copertina rossa e sopra c’è il mio nome.” “Ciao Virginia, no non ho visto niente, ora vado a cercarla nella tua camera e poi ti richiamo.” Era Elena, non mi aveva detto niente, non mi aveva rimproverata o altro. Il suo tono non era diverso da solito. Del resto cosa mi sarei dovuta aspettare? Che lei al telefono mi dicesse: “Dai, vieni subito, ho voglia, il mio corpo brucia di piacere per te, sono eccitata come una cagna in calore!”? Ovviamente no. Aspettai comunque che mi richiamasse per prendere accordi su come rientrare in possesso della mia agenda. I mie pensieri furono interrotti dallo squillo del telefono. “Virginia? Sono Elena, l’ho trovata, era sotto il letto della camera. Suppongo tu voglia rientrarne in possesso al più presto possibile. Senti, oggi pomeriggio devo venire in città per fare delle commissioni, se vuoi ci troviamo da qualche parte.” Elena sembrava molto amichevole, in ogni caso il caffè dove mi aveva dato appuntamento non si prestava a scenate o scandali. Del resto se avesse voluto rimproverarmi o altre cose del genere, mi avrebbe detto di passare a casa sua. Ma forse c’era anche la possibilità che non avesse visto o decifrato il messaggio che le avevo lasciato. Mannaggia, perché il tempo passava così lento? L’appuntamento era per le 15:00, non volevo arrivare troppo in anticipo per non far vedere che ero in ansia, ma allo stesso tempo non volevo farla aspettare. Cinque minuti di ritardo andavano bene. Entrai ne caffè e la cercai in mezzo ai clienti seduti. La vidi in fondo a destra, vicino alla vetrata con la mia agenda sul tavolo. “Buongiorno..” Disse accogliendomi con un grande sorriso. Mi chiese se avessi avuto premura, le risposi di no, non avevo altri impegni. Anche lei era libera da altri impegni, il martedì ha la donna delle pulizie a casa e si occupa lei di andare a prendere i gemelli a scuola. Ci si avvicinò il ragazzo del bar che, posando una teiera ed una tazza da the con una fetta di limone, mi chiese cosa volessi. Volevo iniziare facendo colpo su Elena. Un the come lei? Mi sembrava una mancanza di personalità. Un caffè? Troppo banale. Una cioccolata? Troppo da bambina. Una Coca Cola? Troppo comune. Gli chiesi i gusti dei succhi di frutta. Mi snocciolò un rosario di gusti. “Melograno, non l’ho mai assaggiato.” Subito ringraziai Elena per l’agenda, sul suo viso non vedevo nessuna traccia di ansia o di disagio, niente, era calma e distesa. Era una bella donna di poco più di trent’anni con una vita comoda, nonostante tutto un velo di tristezza copriva i suo charme. Era la donna che io avrei voluto essere. Parlammo di tutto e di niente, in realtà era soprattutto lei che parlava. Mi esternò tutto il bene che pensava di me.. Che i suoi figli mi adorano.. Che le sarebbe piaciuto che noi ci conoscessimo un po’ meglio se io lo volessi.. Chissà cosa avrà voluto dire con questa ultima frase? In un’ora di conversazione iniziammo a conoscerci meglio, senza entrare nei dettagli intimi naturalmente, gli studi, la vita quotidiana, i nostri gusti in fatto di musica, libri e film. Elena non mi sembrò così superficiale come pensavo in un primo tempo, inizialmente la vedevo come una ricca capace solo di curare il proprio aspetto e di spendere i soldi del marito, invece era molto gentile e colta ma soprattutto sola. In dieci anni che abitava in quel posto non aveva fatto nessuna amicizia degna di quel nome. Visto che doveva fare anche dello shopping mi chiese se volevo accompagnarla. Entrammo in una boutique dove mai avrei osato mettere piede. La commessa mi guardò un occhio di sufficienza, ovvero la campagnola sciatta che entra nel tempio dell’eleganza. Elena scelse due gonne, mi chiese cosa ne pensassi, probabilmente solo per coinvolgermi, nel frattempo si diresse verso i camerini prova. Io meccanicamente la seguii, forse per non rimare sola, in quel luogo mi sentivo un pesce fuor d’acqua. La commessa ci chiese scusa e ci lasciò da sole per accogliere un nuovo cliente appena entrato. Elena entro nel camerino e chiuse la tenda. Sentii il fruscio della gonna mentre si stava spogliando, quindi quello della gonna in prova che stava indossando. Aprì la tenda e mi chiese di nuovo cosa ne pensassi, le stava bene. La richiuse e si provò l’altra. Di nuovo quel fruscio eccitante. Dovevo mantenere la calma, dar fondo al mio autocontrollo, magari pensare ad altro. Aprì la tenda e si mostrò di nuovo. “L’altra era meglio, sei anche tu del mio stesso avviso?” E senza aggiungere altro, si tolse la gonna davanti a me mostrando le sue mutandine nere di pizzo con i ricami di fiori intrecciati. La mia respirazione si bloccò ed il mio viso passò attraverso tutti i colori dell’arcobaleno. Lei mi sorrise e avvicinandosi mi sussurro all’orecchio: “Si, sono le stesse mutandine.” Richiuse la tenda per rivestirsi, ed io tentai di rimettermi in sesto. Uscita dalla cabina prova Elena chiamò la commessa, le consegnò le gonne affinché le potesse confezionare. Io non vedevo l’ora di uscire dalla boutique, mi sentivo a disagio. Durante tutto questo tempo Elena mi guardava e mi sorrideva. Cosa dovevo intendere? Pagò, prese il pacchetto e uscimmo. Era già buio, forse dovevo dire qualcosa ma non sapevo che dire, poi ruppi il ghiaccio: “Mi è piaciuto fare shopping con te” Un breve silenzio. “Anche a me.” Rispose Elena. Questa sua risposta mi fece venire un colpo al cuore, sentii subito dei brividi, prima freddi, poi caldi, quindi una leggera eccitazione mi prese, cominciavo sentire umido nelle mutandine. Mi era venuta voglia. Elena mi propose di riaccompagnarmi, la sua vettura era poco più avanti. Mentre camminavamo, per strada, io non parlavo, lei nemmeno. Una volta arrivati alla vettura, l’auto ci offrì una migliore intimità ed Elena mi chiese: “Tu ti masturbi?” “Si.” “Spesso?” “Si.” Risposi. Quindi, per non lasciare solo a lei l’iniziativa sembrando una bambina sottomessala incalzai: “E tu?” “ O si, anch’io, e spesso.” “Ma tu sei sposata..!” Dissi stupita, poi la vidi sorridere. “Non importa..” Mi rispose. Dopo un momento, come se mi leggesse nei pensieri, mi chiese: “Hai voglia?” “Si.” “Di farlo con me?” “Si.” Le risposi ormai con la bocca asciutta dall’emozione. A qualche chilometro c’era una strada che portava in cima ad una collina dove c’erano le rovine di un castello diroccato meta di turisti durante la stagione estiva e di spettacoli all’aperto, ora, dorante la stagione invernale, era deserto. Dopo una decina di minuti arrivammo al parcheggio antistante al castello. Dall’alto potevamo vedere le luci della città. Elena slacciò la cintura di sicurezza, si girò verso di me e mi accarezzo delicatamente il viso. Slaccio anche la mia cintura, aprì il mio montgomery e pose una mano sulla mia coscia. Alzò la gonna e salì lentamente fino alla mia patatina che cominciò ad accarezzare vigorosamente. Ero in uno stato di estrema eccitazione, mi sentivo tutta bagnata. Scivolai avanti sul sedile per facilitare le sue carezze. La sua mano cercava di infilarsi nel mio collant. Io alzai il bacino e con un gesto rapido abbassai collant e slip fino alle caviglie aprendomi ed offrendomi a lei. Le sue dita non tardarono a trovare i miei punti più sensibili, tanto da farmi saltare sul sedile dell’auto gemendo di piacere. Ma non volevo lasciare tutta l’iniziativa a lei. La mia mano sinistra si fece strada tra il suo giaccone aperto, alzò la gonna e scivolò fino alle sue mutandine. Ahimè ero imbranata, soprattutto con la mano sinistra, Elena allora mi lasciò per un attimo, si tolse gli slip e guidò la mia mano fino alla sua peluria già bagnatissima. Prese poi dei fazzolettini di carta che teneva vicino alla leva del cambio, me li diede e mi dissi: “Mettili sotto di te, sul sedile.” Poi lei fece lo stesso. Forse non voleva lasciare segni del nostro piacere. Venne di nuovo verso di me ci abbracciammo ed iniziammo ad accarezzarci l’un l’altra, ci esplorammo, ci penetrammo e ci procurammo delle piccole grida di piacere. “Non godere troppo in fretta, aspettami.” Mi disse. In realtà lei godette per prima, ma io la seguii subito dopo qualche secondo. Poi restammo per qualche istante in silenzio aspettando che la nostra respirazione ridiventasse normale. Lei si riaggiustò per prima, quindi prese dal cruscotto dell’auto un box con delle salviette umidificate e mi pulì delicatamente la mano, poi fece lo stesso con la sua. Raccolse tutti i fazzolettini che avevamo usato, scese dall’auto e li ripose in un cestino per i rifiuti lì vicino. Io rimasi a gambe aperte contemplando l’interno delle mie mutandine ancora calate alle caviglie che luccicavano sporche dei miei umori, alla luce della plafoniera dell’auto. Lei rientrò in macchina, chiuse la portiera e la luce si spense. Lei si girò verso di me e mi accarezzo teneramente una guancia. Allora decisa ruppi il silenzio. “Ti masturberai pensando a me?” Le chiesi. “Certamente, ma l’ho già fatto!” “Cosa?” “Ieri mattina mentre mettevo i panni in lavatrice, ho trovato queste mie mutandine nere. Rimasi sorpresa, non ricordavo di averle messe recentemente. Automaticamente le ho portate al naso per sentire se erano pulite ed erano state messe li per errore. Così ti ho sentita. In un primo momento non sapevo se potevi essere tu, ma presto arrivai alla conclusione che non potevano essere altre persone. Inizialmente la cosa mi divertì, me mentre cercavo di ricostruire la scena, la mia eccitazione cresceva. Tornai nel mio letto continuando ad annusare il tuo profumo ed iniziai ad accarezzarmi. Fu una cosa veloce ma molto eccitante e gradevole. Poi comincia a chiedermi come avrei dovuto interpretare il tuo gesto. Tu avevi delle fantasie sessuali nei mie confronti, questo era sicuro, ma più ci pensavo e più pensavo che tu avessi voluto farmelo sapere, altrimenti non avresti scelto una delle mie mutandine pulite, ti sarebbe stato più facile usare una delle mie mutandine sporche per masturbarti e nessuno se ne sarebbe accorto. Ero sempre più convinta che tu avessi voluto lasciarmi un messaggio, e se così fosse ti saresti fatta viva al più presto, e tu non hai perso tempo. La tua agenda dimenticata, troppo banale, tu volevi che ci si rivedesse al più presto. Volevo dirti di passare a casa mia, ma il martedì viene la donna delle pulizie. Poi non sapevo come affrontare la situazione. L’idea della boutique mi è venuta al caffè mentre parlavamo, poi fortunatamente, quando la commessa ci ha lasciate sole ho improvvisato. Dovevi vedere la tua faccia quando ho tolto la gonna!” Mi chinai verso di lei e la baciai sulla guancia, vicino alla bocca, non osai di più. “Su dai, rivestiti che è tardi, devo tornare a casa, prima ti riaccompagno.” L’auto si fermò davanti a casa mia. Ero ansiosa. Allora le chiesi: “Ti va se ci si rivede?” “O certo, ma facciamo qualcosa meglio di oggi. Tu quando sei libera?” “Giovedì se puoi non ho nessun corso.” “Puoi venire a casa mia la mattina? I gemelli sono a scuola e mio marito è fuori per lavoro fino a venerdì sera.” Ci demmo un bacio sulle labbra, audace ma non troppo. Scesi, Elena ripartì ed io rimasi sul marciapiede a vederla sparire in fondo alla strada. Forse me ne ero innamorata. Innamorata? Passai tutta la serata del martedì ed il giorno seguente a rimettere in ordine le mie idee. Il film di me ed Elena sedute nella macchina mi passò più volte davanti agli occhi. Ero innamorata o solamente alla ricerca di un piacere che solo Elena poteva darmi dopo le mi frustranti storie con i ragazzi? Elena e i ragazzi. Questa associazione mi faceva sorridere. Allora ero molto giovane, rivedevo le mie piccole storie d’amore senza capire se fossi veramente innamorata. Mi piaceva sentirmi uguale a tutte le altre, passeggiare mano nella mano al mio ragazzo, ma mi piaceva molto meno quando dovevo prendere in bocca il suo cazzo, offrire la mia fica alle sue voglie, e difendere il mio culetto dalla sua brutalità. Era amore? Io amo accarezzarmi e toccarmi dolcemente ed ho trovato nei gesti di Elena la stessa delicatezza. Ma se io sono innamorata di Elena vuol dire che sono una lesbica? Questa parola mi fa un po’ paura ma la cosa mi eccita allo stesso tempo. Ero sul bus da ormai un decina di minuti, ancora un quarto d’ora e sarei arrivata in centro dove avrei preso la coincidenza, poi ancora una ventina di minuti e sarei arrivata da lei. Quella mattina mi ero alzata di buon ora e mi ero preparata accuratamente per l’appuntamento. Feci una lunga doccia, mi lavai i capelli, mi depilai le gambe e indossai l’intimo migliore che avessi. Niente da paragonare al suo, diciamo che era quello che indossavo quando dovevo andare dal medico, ed indossai anche il reggiseno anche se non avevo gradi cose da reggere. Indossai un collant di denatura bassa, una gonna che mi piaceva un sacco, grigia, un po’ svasata, ed un pull aderente lilla con dei motivi grigi che si intonavano alla gonna ed il mio etero montgomery. Discesi dal bus, dovevo percorrere un centinaio di metri prima di arrivare a casa sua in una via dove, una serie di ville signorili, cercavano di nascondere la loro opulenza dietro delle siepi alte e ben curate. A quell’ora il quartiere sembrava deserto, anzi è sempre deserto, il traffico è limitato ai soli abitanti. Arrivai al cancello, suonai, lei mi aprì. Percorsi velocemente il vialetto, lei mi aspettava sulla porta avvolta in un kimono nero e oro, bellissima con un sorriso angelico. La porta si chiuse, restammo per qualche istante a guardarci quasi imbarazzate. Lei mi aiutò a levarmi il mio montgomery, quindi ci salutammo con un casto bacio sulle labbra, lei mi accarezzò i capelli e mi abbracciò appoggiandosi e facendomi sentire il calore del suo corpo. Mi accompagnò in cucina per un caffè, mentre lo preparava la guardavo, sembrava agitata. Lo presi dolce e caldo, lei amaro con un goccio di latte. Mentre bevevamo il caffè lei era seduta di fronte a me, mi sorrise e finalmente più rilassatami chiese: “Hai voglia?” “SI.” Risposi. Mi accompagnò nella stanza degli ospiti, la mia quando mi fermavo a dormire. “Mi piacerebbe che ti spogliassi io, ti va?” “Si certo.” Fu la mia risposta. Lei allora passò dietro di me, aprì la zip che chiudeva la mia gonna e ma la sfilò dall’alto. Io mi tolsi le scarpe. Sempre dietro di me, dopo aver fatto volare la gonna su una sedia, scese con le mani accarezzandomi prima il volto, poi i seni, il ventre infine i fianchi, lì, prese il bordo inferiore del pull ed iniziò a togliermelo lentamente, me lo sfilò dalla testa ed alla fine lo lanciò sulla sedia assieme alla gonna. Mi aprì il reggiseno e me lo tolse mentre io ero rimasta ancora con le braccia alte sopra le testa. Mi accarezzò le braccia e le spalle quindi iniziò a massaggiarmi i seni, piccoli ma sensibili, già duri con i capezzoli che puntavano verso l’alto. Chiusi gli occhi e mi concessi tutta a lei per approfittare della dolcezza delle sue carezze che sembravano prolungarsi all’infinito. Le sue mani si erano impossessate dei miei seni, li massaggiava, li stringeva, li sfiorava provocandomi quasi delle scariche elettriche. Dopo qualche minuto di questo trattamento, la mia patatina era già tutta bagnata. Avrei voluto che il tempo si fermasse ma il mio piacere si stava scatenando. Scese con le mani e mi sfilò lentamente il collant, passò davanti, si sedette sul bordo del letto e dopo aver tolto il piumone mi tirò verso di lei. Ero in piedi, immobile, davanti a lei, solo con le mutandine. Le sue mani si appoggiarono sui mie fianchi, inserì i pollici sotto l’elastico delle mutandine e, spogliandomi con una lentezza che mi esasperava ed eccitava allo stesso tempo, a poco a poco le mie mutandine scesero fino alle caviglie mostrando la mia peluria curata e ormai già tutta umida. Lei pose la sua guancia sulla mia pancia dandomi un bacio sul basso ventre appena sopra il pube. Al che, anche io mi diedi da fare, non volevo lasciare solo a lei l’iniziativa. La sdraiai sul letto e le aprii la cintura del kimono, mi apparve in tutta la sua bellezza, offertami in quel pacco dono di seta orientale nero e oro di cui era fatto il kimono stesso. Era senza slip e senza reggiseno, la vestiva solo la sua abbronzatura integrale che, vista la stagione, era probabilmente frutto di lunghe sedute di lettini U.V. La ammirai per qualche istante, poi le aprii le gambe e accarezzandole le cosce salii fino al suo pube tutto depilato ed alla sua fichettina già umida. Mentre con una mano le esploravo la sua intimità, con l’altra accarezzavo i suoi seni sodi, con delle areole e dei capezzoli più grandi dei miei. Lei chiuse gli occhi e gemette dolcemente di piacere. Dopo qualche istante di piacere, si rialzò, si levò il kimono, si distese completamente nuda sul letto tirandomi verso di lei, ora eravamo una sull’altra come un corpo solo. I nostri seni si toccavano, le nostre gambe erano intrecciate, le nostre mani vagavano frenetiche sui nostri corpi. Poi lei mi fece sdraiare sul ventre, quindi percorse la tutta mia schiena con baci e carezze delicate. Sentivo delle sensazioni di piacere crescere a ondate dentro di me, montavano poi ridiscendevano, poi rimontavano ancora. “Si.. Continua.. continua..” Le dicevo. La sua mano iniziò ad accarezzarmi la fessura del mio culetto ed il mio buchino, quindi si insinuò nella mia vagina ormai madida dei miei umori, poi salì ancora di più fino ad arrivare al mio piccolo bottoncino ormai infuocato. Piegai le ginocchia e alzai il bacino per offrirmi totalmente alle sue carezze. Ero in estasi da piacere. Sentivo due dita penetrarmi mentre con il pollice accarezzava e giocava con il mio buchino proibito. Il gioco mi piaceva, lei era molto dolce, mi sentivo impudica, viziosa, qualsiasi cosa mi avesse chiesto avrei acconsentito. Dopo qualche minuto di questo gioco, lei mi girò sulla schiena, pose le sue labbra sui miei seni e mi leccò dolcemente i capezzoli facendomeli erigere e diventare duri come due noccioline. Le accarezzai il viso, ero sconvolta, stavo perdendo il controllo della situazione. Dovevo fare qualcosa anch’io, non potevo essere solo passiva. Ora era il mio turno, amore. La feci sdraiare a pancia in giù e mi misi in ginocchio tra le sue gambe divaricate. Mi chinai su di lei e partendo dal collo, cominciai a baciarla, accarezzarla scendendo sempre più in basso. Con i miei seni le massaggiai la schiena e i fianchi scendendo fino alle natiche, dilungandomi di proposito in questo gioco. Volevo vedere il suo bellissimo culetto, tonico e duro come il marmo, e scrutarlo in ogni suo dettaglio. Iniziai a massaggiargli il buchino con un dito, lei mi lasciò fare, era paralizzata dal piacere. Passai le dita accarezzandola tra le sue natiche, lei favorì le mie carezze con movimento del bacino, quindi portò le ginocchia al ventre e si alzò offendo alla mia vista la sua fichettina rosa, sudata e brillante per gli umori vaginali che ormai le colavano sulle cosce. La pelle abbronzata metteva ancora più in evidenza il rosa della sua vagina. La penetrai ed iniziai a masturbarla con due dita. Sentivo una certa frenesia crescere in me, ma volevo andare piano, farla godere lentamente, dolcemente, delicatamente. Lei accompagnava i mie movimenti con il movimento del bacino. Ero così delicata che sentivo pulsare i muscoli della sua vagina attorno alle mie dita al ritmo della mia penetrazione. Era troppo emozionante! Con l’altra mano mi stavo penetrando anch’io, mi masturbavo con lei, volevo un orgasmo comune che non tardò ad arrivare. Lei godette prima di me con dei lunghi gemiti di piacere accompagnati da contrazioni che la fecero saltare sul letto, io vedendola godere in quel modo, immediatamente esplosi anche io con un potente orgasmo accompagnato animalesco urlo di piacere. Dopo crollai su di lei. Eravamo là, rannicchiate l’una contro l’altra intrecciate con braccia e gambe. Lei tirò il piumone su di noi per coprirci e restare al caldo. Mentre mi accarezzava il viso mi diceva che ero bellissima, avrei avuto voglia di crederle. Mi chiese se lo facevo spesso con le donne, le risposi di no, era la prima volta, poi quasi vergognandomi della mia inesperienza, aggiunsi di aver avuto qualche esperienza adolescenziale con delle mie cugine. Lei mi confessò che aveva avuto delle storie lesbiche in passato, ma ormai erano anni che non le capitava più. “Dopo che ti sei sposata?” Le chiesi. “Si, ho avuto queste avventure dopo il matrimonio.” “E tuo marito lo ha saputo?” “No, non avrebbe apprezzato, se è questo che ti spaventa non voglio parlare con lui di noi.” Le sue confidenze aumentavano la mia curiosità. “Tu hai avuto molti uomini?” “Si qualcuno, ma niente più da quando sono sposata, e tu?” “ Tre fidanzatini, tre disastri.” “Dai, racconta, sono curiosa.” “No non mi va adesso, forse un’altra volta.” Accettò la mia risposta senza insistere, quindi avvicinò la sua bocca alla mia, sentivo una certa ansia crescere in me pensando di doverla baciare, no che non ne avessi voglia, non avevo mai baciato una ragazza. Il cuore mi batteva, chiusi gli occhi e aprii le labbra. Le labbra di Elena si posarono dolcemente sulle mie, poi la sua lingua entro nella mia bocca e toccò la mia. Fu elettrizzante, mi sciolsi di nuovo, le nostre lingue si attorcigliarono, le nostre gambe si intrecciarono ed i nostri corpi si agitarono. Fu un lungo, dolce e terribilmente eccitante momento. Quando lei si staccò da me, fui io che rivolli baciarla, andai verso di lei e le resi il piacevole bacio. I nostri sensi si riscaldarono di nuovo ed i nostri corpi ci chiesero un extra di carezze e piacere. Elena mi fermò. “Ti va di fare un bagno insieme?” Mi chiese. Era tardi, le feci presente che era arrivata l’ora di andare a prendere i gemelli a scuola, ma Elena aveva organizzato tutto. Si sarebbero fermati a mangiare da un loro compagno di scuola, Elena era in buoni rapporti con la madre e a volte ricambiava il favore. Avrebbe dovuto andare a prenderli alla sera verso le sette. Ero nel corridoio che portava al bagno dietro di lei ed ero affascinata dalla siluette di Elena. Capelli biondi con dei boccoli che ondeggiavano al ritmo dei suoi passi e dei suoi glutei. Lei era quello che io avrei voluto essere, non amavo le mie forme, minuta con un corpo d’adolescente mal finito. Ero dietro di lei anche quando si chinò per aprire i rubinetti e regolare la temperatura dell’acqua, mostrandosi completamente. “Vieni, mettiti di là!” Lei si distese nell’acqua e mi indicò la parte opposta. Stando attenta a non scivolare come la volta che ero sola, presi un sacco di precauzioni ridicole. “Non preoccuparti, non c’è pericolo che tu affoghi.” Ero finalmente nell’acqua davanti a lei, i getti dell’acqua accarezzavano i mio corpo. Con una risatina maliziosa che non conoscevo, infilò il piede tra le mie gambe e con l’alluce cominciò ad accarezzare la mia patatina. Io risi e lei fece lo stesso. Associato alle sensazioni dei getti d’acqua, il gioco era divertente e voluttuoso. “Vieni” Mi disse. Mi fece sedere davanti a lei, tra le sue gambe aperte, la mia schiena appoggiata al suo petto. Da un flacone sul bordo della vasca fece colare nella sua mano un liquido color argento-bluastro con il quale cominciò a massaggiare i miei seni. Il profumo era buono, il massaggio dolce, mi sentivo bene. Altra dose tra le gambe e cominciò a massaggiarmi la patatina ed il buchino del culetto, nel quale ogni tanto faceva scivolare il suo dito medio. Gemetti da piacere e lasciai fare. Non ero mai stata penetrata così. Non avrei saputo dire se mi piacesse o no, ma non mi tirai indietro. Per eccitarmi di più chiusi gli occhi ed iniziai a ripetermi la frase: “Ho un dito nel culo.. Ho un dito nel culo..” Ma questo mantra non sortì nessun effetto, contrariamente al dito che mi aveva infilato nella patatina che spingeva per incontrare l’altro all’interno della parete che divideva i due orifizi. Io gemevo dal piacere, si avvicinò al mio orecchio e mi chiese se mi piaceva il giochino, io risposi di si, e lei mi mormorò affettuosamente che ero una bella porcellina, le risposi che si, era vero, ma anche lei non scherzava.. Dopo qualche istante godetti nelle sue mani. Qualche minuto per riprendermi poi lei cambiò posizione e venne il suo turno per sedersi tra le mie gambe. Capivo che avrebbe voluto che le rendessi il favore, ma per non fare come lei improvvisai qualcosa di diverso. La feci rialzare e la feci posizionare a quattro zampe. Il suo culetto era vicinissimo al mio viso. Feci colare un po’ di quel sapone profumato sul buchino che si contrasse per via del liquido freddo. Cominciai a massaggiarlo formando un po’ di schiuma. Appoggiai il mio dito indice sul suo buchino che, con una lieve spinta entrò, come “un coltello caldo nel burro”. Questo modo di dire mi ricordare la scena di “Ultimo tango a Parigi” che mia cugina mi aveva mostrato di nascosto a casa sua quando avevamo tredici anni. Le infilai anche due dita nella vagina quindi inizia a fare “avanti ed indietro” in entrambi gli orifizi. Lei emise un piccolo grido. Mi diceva che le piaceva voleva che io continuassi, più veloce, così rapidamente giunse anche lei all’orgasmo inarcando la schiena e gemendo di piacere. Dopo una decina di minuti di coccole e tenerezze uscimmo dalla vasca, e indossando, lei il famoso accappatoi bianco, io uno più piccolo, quello della figlia di lui, ci sedemmo al tavolo della cucina. Le chiesi se le avevo fatto venire delle fantasie particolari, lei sorrise ma non mi rispose. Raggiunse il frigorifero e prese qualcosa da sgranocchiare mentre parlavamo. Dello yogurt, del formaggio del prosciutto ed un po’ di frutta. Ora i nostri sensi si erano calmati, ma ancora per quanto? Ci sdraiammo nuovamente in camera, l’una abbracciata all’altra al caldo sotto il piumone. Il gelosie socchiuse che lasciavano entrare solo poca luce, creavano una penombra propizia alle confidenze ed alle tenerezze. Parlavamo mentre le nostre mani accarezzavano i nostri corpi. Qualche aneddoto sulle nostre esperienze, io ero curiosa, volevo farla parlare ma lei era piuttosto evasiva. Mi giurò che prima di me non aveva mai fatto sesso in macchina, non sapevo se crederle. Lei riuscì a strapparmi qualche confidenza relativamente al mio rapporto giovanile con le mie cugine. Capivo che quando le raccontavo le mie avventure si eccitava, allora aggiunsi qualche particolare inventato per rendere la storia più piccante. Mentre parlavo le sue mani accarezzavano i miei capelli, il suo ginocchio, infilato tra le mi cosce, massaggiava la mi fichetta facendomi bagnare di nuovo. Allora lei si mise seduta, piegò la gamba e mi tirò su lei in modo che le nostre gambe si incrociasse e che le nostre fichettine fossero a contatto l’una con l’altra nella posizione della “forbice”. Cominciammo a sfregarci l’una all’altra vigorosamente. Abbracciate in questa posizione le nostre bocche si incontrarono e si unirono incrociando le nostre lingue. L’odore dei nostri umori mi eccitava ancora di più. Stavo per godere, lo sentivo, glielo dissi. Lei mi rispose di aspettare, voleva godere insieme a me. Dopo qualche secondo entrambe lanciammo un grido liberatorio che accompagnò il nostro ennesimo orgasmo della giornata poi crollammo stanche e spossate. Avemmo bisogno di un buon momento prima che il nostro respiro tornasse regolare. Ci guardammo e ridemmo dei nostri visi arrossati e stralunati. Ci sdraiammo vicine fianco a fianco, tenendoci per mano e tirandoci su il piumone fino al naso. Un dolce torpore ci prese. Io mi sentivo appagata, ma non durò a lungo, c’era ancora una cosa che avrei voluto fare altrimenti non mi sarei sentita a posto, ma non sapevo se lei fosse stata d’accordo. Mi infilai sotto il piumone, posi le labbra sul suo seno. Mentre la mia lingua solleticava i suoi capezzoli, la mia mano accarezzava il suo ventre. “Sei proprio insaziabile.” Mi disse. Si ero proprio insaziabile, no so quando un’opportunità come questa mi si sarebbe ripresentata, ed ora ne volevo approfittare, soddisfare tutti i miei desideri, realizzare tutte le mie fantasie. Nell’oscurità di sotto le coperte, la mia lingua aveva percorso il suo ventre ed era scesa all’ombelico. Le mie mani le avevano aperto le cosce. “Vuoi?” Le chiesi. “Si..” Mi rispose con un sussurro, ma si leggeva tutto il suo desiderio. Mi spinsi in fondo al letto e misi il mio viso sul suo pube completamente depilato. Respirai profondamente il suo profumo prima di infilare la mia lingua tra le sue labbra. Al primo contatto si irrigidì emettendo un gridolino, poi si inarco venendomi incontro e, mettendomi le mani sulla nuca, mi tirò a lei. Con la lingua accarezzai il bordo delle sue labbra assaporando il sapore della sua vagina, tutto sommato non molto differente dal mio. Risalii leccandola più in profondità che potessi alla ricerca del suo bottoncino magico, mentre lei si contorceva e gemeva dal piacere. Le sue cosce chiudevano il mio viso in modo spasmodico. Si aprivano e si chiudevano, poi si aprivano ancora e si chiudevano tenendo la mia testa chiusa come in una morsa finché con un lungo gemito di piacere si rilassò segno che era arrivata di nuovo all’orgasmo. Io uscii da sotto il piumone, avevo il viso tutto bagnato e spalmato dei suoi umori. Lei lo prese tra le sue mani e mi baciò con passione, gustando a sua volta il suo sapore. Credo di averle procurato un estremo piacere. Ero contenta di me stessa. Lei uscì dal letto, alzò le coperte, mi tirò per le gambe fino a che il mio culetto fosse sul bordo del letto, quindi si inginocchiò con le mie gambe sopra le spalle ed affondò il suo viso nella mia patatina pelosa, voleva rendermi il favore. Ebbi un piccolo grido di piacere, quindi, anche io comincia a contorcermi, in tutti i sensi. La sua lingua mi scopava con metodo, molto meglio di come io avevo fatto a lei, tanto da procurarmi delle sensazioni mai provate. Io mi accarezzavo i seni, le tiravo la testa contro il mio pube, tutto il mio corpo era un fuoco, alla fine l’orgasmo arrivò come una liberazione da quella piacevole tortura. Poi fu il mio turno di gustare il mio sapore dalle sue labbra. Era già buio quando salimmo in macchina, dopo esserci fatte una doccia e dopo aver aerato la stanza che aveva il profumo del nostro amore, Elena mi riaccompagnò a casa prima di andare a recuperare i gemelli. Ero calma, esausta ma soddisfatta. Guardavo Elena mentre guidava in silenzio, ogni tanto lei girava la testa verso di me e ci scambiavamo dei sorrisi. Prima di arrivare a casa si fermò in uno spiazzo buio senza spegnere il motore. Nessuna luce in vista. Mi mise una mano attorno al collo e mi diede un baciò sulla bocca. “Davanti a casa tua era impossibile farlo..” “Vuoi che ci si riveda un’altra volta?” Le dissi. “Non so quando sarà possibile.” “Il mio numero ce l’hai, nel frattempo restiamo in contatto su WhatsApp..” Alla sera aspettai un suo messaggio, volevo pensare ad altro ma non ci riuscii, verso le undici la suoneria di WhatsApp squillò, era Elena, c’era la foto delle sue mutandine con scritto: “Virginia, ti amo!”
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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