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Anita e Marzia (la follia di capodanno)
di Easytolove
07.01.2022 |
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"Il povero Relu è rimasto a casa da solo, deve lavorare, il fratello imprenditore lo sfrutta e lo schiavizza, senza nessuna pietà..."
Vago inconcludente, tra le pozzanghere e l’erba fradicia del mio giardino.I cani mi seguono sospettosi, sentono la mancanza di Mia, soprattutto i cuccioloni, Buck è più preoccupato per la sensazione di solitudine che cova nel mio inconscio, nascosta in qualche meandro della mente, ma che il suo istinto animalesco percepisce alla perfezione.
Già, Mia e Alberta, le due donne che ho intrappolato nella mia vita, la prima come punto fermo, la seconda come diversivo sempre più effimero, si sono rivoltate, sfuggite al mio controllo, sembrano essersi impadronite del proprio tempo, mi hanno relegata a ripiego privilegiato.
Mia è andata con Dorotea quindici giorni in Romania, hanno portato anche i figli frutto delle scopate adolescenziali con Relu, della sua giovane nuova relazione, dai nonni per le vacanze natalizie.
Il povero Relu è rimasto a casa da solo, deve lavorare, il fratello imprenditore lo sfrutta e lo schiavizza, senza nessuna pietà.
La immagino in qualche casupola immersa nella neve e nel freddo dei Carpazi, mentre se la spassa con la fica di Dorotea stretta tra gli incisivi, in quelle situazioni precarie, che la fanno impazzire.
Alberta l’ho vista al vivaio quando sono andata a prendere delle piante da mettere a dimora.
Era più di un mese che non ci incontravamo, mi ha trascinata in un ripostiglio degli attrezzi, dove ci siamo slinguazzate, toccate la fica, c’è mancato poco che non godessi come una ragazzina, tra i vasi e i sacchi di concime.
Mi ha detto che le vacanze di fine anno le avrebbe trascorse con quella tipa che ha conosciuto in crociera,
nella casa al mare, i mariti li hanno spediti in un villaggio turistico in nord africa, li manovrano come fossero burattini, ancora non hanno capito che se la leccano come non ci fosse un domani. E’ il suo modo di farmela pagare per averla abbandonata durante le ferie estive.
D’altronde sono vittima di un mostro che ho creato, con le mie abitudini libertarie, ognuna è padrona di se stessa, nessun vincolo, fino al punto in cui mi sono ritrovata qui da sola.
Ma forse è un po’ come se il fine ultimo della creazione che mi sono sempre prefissata,fossero le persone su cui puoi contare ma, che sono libere di andare e tornare, senza vincoli e costrizioni.
Questa nuova normalità, anche se sono cosciente durerà solo un paio di settimane, mi ha spinta a esplorare mondi finora sconosciuti.
Ieri sera mi sono toccata, da sola nel lettone,con Buck in via del tutto eccezionale sdraiato sul tappeto cinese in fondo al letto, era una vita che non lo facevo, ho immaginato di averle entrambe nel letto, che si slinguazzavano e poi a turno me la leccavano, fino a quando non sono venuta, tra le brontolate di Buck, preoccupato per il mio troppo ansimare.
Vado a fare un giro ogni mattina con l’auto di Mia, quella che ha voluto assolutamente comprare,”è il mio regalo di natale”, una vecchia Simca con il motore posteriore, un reperto archeologico che ha scovato in un sito di auto d’epoca, pagata pochissimo, e sorprendentemente efficientissima.
Buck si sistema sul sedile del passeggero e controlla la situazione, ormai sa che la meta è un bar dove la barista gli offre una pasta alla crema.
Quello che non sa è che la sua padrona, ha compreso che quella stessa dispensatrice di leccornie, potrebbe essere terreno di caccia, ho fiutato l’odore della passera vogliosa di attenzioni particolari, sensibile agli sguardi indagatori, al soffermarsi sulle pieghe del seno che si intravede tra gli squarci della camicia bianca,
al colore delle unghie laccate di fresco, al movimento delle labbra, alla punta della lingua che fuoriesce, all’inconfondibile tatuaggio sul polso.
Si chiama Anita, formula domandine circospette, i suoi occhi diventano acquosi quando vede varcare la soglia del bar dalla sottoscritta, con quell’enorme maremmano dall’aria truce,e che arriva con quella strana auto , che mai aveva visto circolare prima.
Parlottiamo con il tono della voce ammorbidito dalla voglia di creare un contatto intimo, le chiedo dove vive, mi dice in un piccolo agglomerato di casette a schiera, non lontano da casa mia.
“Siamo vicine” le dico con fare distratto.
“Lo so, sei una delle due abitanti del casolare con i maremmani”.Ci ha viste quando ogni tanto viene a correre nella stradina che passa vicino a casa.
Forse vorrebbe sapere che fine abbia fatto l’altra abitante.
Tra le righe le faccio sapere che sarò sola fino alla fine delle vacanze.
Andiamo avanti per qualche giorno, le sbirciate diventano sempre più maliziose, mi atteggio sempre più da Diana cacciatrice in cerca della preda, lei assume un aria tra il lascivo e la voglia di essere mangiata.
E’ molto giovane per i miei gusti, forse troppo, sarebbe terreno di conquista per Mia, ma in fondo penso che resterà uno stupido passatempo mattutino, soprattutto per Buck, che ogni mattina è sempre più scodinzolante, ormai sfoggia lo sguardo del paraculo innamorato, sarebbe pronto a qualunque ruffianata, in cambio di quella pasta alla crema.
Improvvisamente una mattina mi chiede cosa farò per capodanno.
“Penso che andrò a dormire presto cara” è stata la risposta, forse proprio quella che si aspettava.
E’ rimasta qualche istante in silenzio, poi con quella voce, sempre più risoluta verso il raggiungimento dell’obbiettivo prefissato mi dice, “ho un amica più o meno della tua età, che mi verrà a trovare, anche noi non sappiamo bene cosa fare, ti andrebbe di trascorrerlo insieme a noi”?
“Ci penso e domattina te lo farò sapere”.
Mi aggiro nel garage indecisa sulla scelta dell’auto.
Dopo che le ho detto che non mi sarebbe dispiaciuto trascorrere un capodanno con, praticamente due sconosciute, mi sono lasciata sfuggire la mia passione per le auto d’epoca,
“La Simca è della mia convivente, ma ne possiedo altre”.
Ho dovuto spiegare il motivo per cui fossi sola,e così per fugare gli ultimi dubbi tra i denti ho sibilato,
”la nostra è una relazione aperta”.
La Porsche in tre è troppo scomoda, il Bulli è una corriera, la Simca una carretta.
Decido per la Volvo Amazon, l’auto di mio padre, gelosamente custodita da mia madre in un garage, rimessa in pista la scorsa estate, un auto che le mie compagne di avventura, sicuramente vedranno per la prima volta nella loro vita.
L’appuntamento è per le 21 davanti al bar di Anita.
Indecisa sul come vestirmi, prendo roba a caso, e poi quando mi guardo allo specchio sembro una matta.
Mi ha detto che andremo in un posto mezzo sperduto, tra sconosciuti, radunati da una coppia di loro amici,
“molto alternativi”.
Vedo una donna ormai proiettata verso la cinquantina, ai piedi un vecchio paio di anfibi militari con dei calzettoni al ginocchio, un vestito di spesso cotone colorato, uno di quelli di Mia, con sopra un maglione di lana marrone, sotto ad un vecchio Barbour mezzo sgualcito.
Se volevano un alternativa, eccovi servite è il mio primo ed unico pensiero.
Le vedo appoggiate alla vetrina del bar di Anita.
Fermo la Volvo senza spegnere il motore e abbasso il finestrino.
“che fate volete salire o me ne devo tornare a casa?”
Mi riconosce.
“Cavolo Adele ma quante ne hai di queste auto antiche”?
Si incamminano, lei è vestita come una dark lady degli anni ottanta.
Scarponcini lucidi di vernice con un tacco quadrato alto mezzo metro, calze a rete, minivestito di velluto e cappottone aperto lungo fino ai piedi. Tutto rigorosamente nero.
Capelli sparati pieni di gel e un trucco pesante, labbra e occhi pitturati di marrone scuro.
Marzia è una donnina minuta, più sui quaranta che sui trenta, per certi versi è ancora più inquietante.
E’ vestita come una collegiale americana degli anni settanta, scarpine basse, calzettoni bianchi al ginocchio, gonna scozzese ,pullover blu sopra ad una camicia bianca, cappottino di lana nero.
Le apro lo sportello del passeggero, e le faccio trovare il sedile già abbassato.
Marzia sale dietro, e Anita si accomoda di fianco a me.
“Lei è Marzia, e questa è Adele quella cliente del bar di cui ti ho parlato”.
“ok , ciao Marzia, da che parte dobbiamo andare”?
“ciao Adele,vai verso l’autostrada, poi ti dirò dove girare, la tua auto è una vera figata, è vero che ne hai anche altre simili a questa”?
La Volvo scivola liscia e silenziosa, racconto qualche aneddoto della sua storia, un auto per famiglie che vinceva i rally negli anni sessanta.
Entrambe sono curiose, d’altronde è qualcosa fuori da ogni schema automobilistico per loro finora conosciuto.
Racconto la storia del contagiri, applicato posticcio a lato del cruscotto contachilometri, nel progetto iniziale non era previsto, poi lo misero nelle versioni preparate per i rally, ed è diventato un segno distintivo, applicato a tutte le versioni e unità prodotte.
“Anita è la più curiosa, tocca e sfiora, apre lo sportello del cruscotto, tocca il contagiri, la leva del cambio, mi sfiora una coscia con il dorso della mano, è nuda al di sopra dei calzettoni, la guardo in tralice, mi sorride, ho già notato che sotto alle calze a rete, con quel minivestito ormai sollevato sopra l’inguine, non ha indossato le mutande.
Marzia si è sdraiata sul sedile di pelle amaranto, dallo specchietto ho intravisto le magre cosce scoperte, traffica con qualcosa, fino a quando l’odore dell’erba non mi arriva alle narici.
“mica ti spiace se ci facciamo una canna”?
“figurati certo che no, solo che ora voglio essere lucida, guido questa auto molto di rado, se poi come mi hai detto faremo una strada di montagna mi voglio divertire”.
Ho aperto mezzo dito il finestrino, l’aria si è saturata dell’odore dell’erba, misto a quello delle fiche di queste due.
Alberta si è tolta gli scarponcini e ha messo i piedi sul sedile, con le gambe piegate, la sua topa ora è li’ tra le maglie larghe delle calze a rete, ha testa appoggiata allo schienale, osserva le fronde spoglie degli alberi dal parabrezza, illuminate dai grossi fari imbullonati al paraurti, provenienti da una versione da rally della Volvo.
Marzia si è sollevata con la schiena contro il finestrino laterale, osserva la strada che scorre dall’altro lato della vettura, ha le cosce spalancate, da sotto alla larga gonna di lana, ho come l’impressione che con una mano si stia frugando nelle parti intime, mi arriva l’odore della topa eccitata e in calore.
Mi concentro sulla strada, il motore dell’Amazon frulla come un estrattore a centrifuga per le verdure, le gomme sono calde, i freni si sono ripuliti, inizio a prenderci la mano, è precisa, agile nonostante la discreta mole.
Comprendo che con un pilota professionista potrebbe andare davvero molto forte, la sua fama è davvero meritata.
Arriviamo in cima al passo, quando inizia la discesa, Marzia ha un sobbalzo,
“Adele scusa dovevi svoltare prima di arrivare alla fine della salita, dobbiamo tornare indietro.”
Se invece di toccarsi la topa fosse stata più attenta, forse non sarebbe successo.
Lo penso ma non lo dico, faccio buon viso a cattivo gioco, trovo uno slargo in cui girare e faccio inversione.
Dopo altri dieci minuti ci troviamo di fronte ad una specie di maniero, tutto di pietra,
Marzia sbotta, “siamo arrivate entra in quel voltone dentro c’è il cortile del castello, qui abitano i miei amici”.Parcheggiamo l’auto in un largo spiazzo incastonato nelle alte mura di pietra di questa sorprendente magione.
Entriamo attraverso un massiccio portone di legno scuro, in un lungo corridoio che sembra scavato nella pietra, che sfocia in un enorme salone.
L’atmosfera è decisamente medioevale, con il grigio dei muri, i mobili di legno massiccio, i pesanti tendaggi e l’enorme camino in fondo, dove arde un gigantesco fuoco.
In mezzo quattro grossi divani con in mezzo uno spesso tappeto dai mille colori.
Una coppia di mezza età si alza e ci viene incontro, lui è brizzolato, vestito come un nobile inglese, alto e magro, mentre lei sembra scappata fuori da una miniatura della bella epoque, vestito svolazzante, caschetto nero, e un lunghissimo bocchino in cima al quale c’è infilata invece che una sigaretta quella che individuo immediatamente come una canna d’erba.
“Finalmente sei arrivata Marzia, amore, fatti baciare!!”
“queste sarebbero le tue amiche di cui mi hai parlato”??
“si cara, questa è Anita, mentre lei è Adele, quella che ci ha scarrozzato fino a qui, vedessi che figata di auto che ha!!”
Ci presentiamo,i due hanno dei nomi che non comprendo bene, ma faccio finta di essere a mio agio, stringo le mani e subisco anche gli abbracci e i baci della donna, entusiasta fin troppo per i miei gusti.
Ci inoltriamo tra i divani, dove un'altra umanità formata da quattro persone, due donne e due uomini sono stravaccati, e secondo me, già notevolmente addomesticati da qualche sostanza, le cui tracce biancastre intravedo in un vassoio d’argento posizionato sul tavolino di legno che campeggia in mezzo al grosso tappeto. Ci sediamo sul divano rimasto libero, sono in mezzo alle mie due accompagnatrici, e mi concedo finalmente qualche tiro, dalle canne che Marzia continua a confezionare e accendere.
Resto silenziosa, ascolto il susseguirsi della conversazione, che sembra ormai già non seguire più un senso logico, ad un certo punto qualcuno mi chiede dell’auto, e ripeto la stessa storiella che avevo già raccontato prima.
“è una passione che ho ereditato da uno zio,insieme ad un paio di pezzi della sua piccola collezione.
Mentre parlo, sento una mano che mi si infila sotto al maglione, nella schiena, e da dietro si insinua fino ad arrivare verso le zone pericolose.
E’ Anita, faccio finta di niente, poi la stessa cosa inizia a fare anche Marzia, nessuno sembra badarci, alla terza canna, metto entrambe le mie mani sulle loro cosce, attendo gli istanti propizi in cui nessuno ci guarda, per toccare tutto quello che mi riesce.
Qualche istante prima la faccenda iniziasse a prendere una brutta piega,la padrona di casa alzandosi batte le mani e grida,
“il cenone è pronto, tutti a tavola, che mezzanotte farà presto ad arrivare”!!
Ci trasferiamo lungo il corridoio percorso prima, e poi per un'altra svolta arriviamo in un altro salone, dove c’è un enorme tavolo apparecchiato.
Durante il tragitto, Anita mi blocca e mi spinge contro il muro, sento la sua lingua che mi entra in bocca, il sapore dolciastro del pesante rossetto marrone, le metto una mano tra le cosce, attraverso la rete delle calze sento l’umido della sua fica, è carnosa, depilata, mi infila le mani sotto al vestito una sotto alle mutande, l’altra arriva alle tette, restiamo un istante ferme in quella posizione, poi avvicina una mano alla mia bocca, e mi introduce una pasticca rotonda,azzurro metallizzato.
“prendila, è MDMA, la droga dell’amore, per mezzanotte avrà fatto effetto, festeggeremo io te e Marzia in qualche lettone di questa specie di castello”.
Decido di non bere, mangiare il meno possibile, e di continuare a fumare, voglio diventare preda di queste due, vedere quello che mi sapranno fare.
Un maggiordomo impettito ci fa accomodare, mentre due cameriere vestite come intrattenitrici di bordello di provincia iniziano a servire le portate.
Le due strane coppie continuano a trafficare con le loro polveri da naso, noi tre a fumare le canne di Marzia, mentre i due padroni di casa, sembrano compiaciuti della congrega che hanno radunato.
Un paio di volte tra una portata e l’altra intravedo le mani di lei e di lui che si intrufolano sotto alle minigonne delle cameriere, che ricambiano con palpate furtive, ormai si è capito come finirà la nottata.
Allo scoccare della mezzanotte, facciamo un brindisi strascicato, tra sconosciuti che si sono ritrovati per caso in un delirio improvvisato.
Il maggiordomo traffica con un vecchio impianto stereo in un angolo del salone, e fa partire una compilation di disco music degli anni settanta, Bee Gees, Temptations, Kool and the Gang.
Cerchiamo di ballare con quei quattro che intanto hanno iniziato a strusciarsi, poi Marzia mi si avvicina, e mi sussurra in un orecchio, “prima che qualcuno di questi due ci salti addosso, è meglio se ci eclissiamo”.
Mi prendono per mano e rifatto il lungo corridoio, con la musica che alle nostre spalle mano a mano che ci allontaniamo si affievolisce, invece di tornare nel salone con il camino tiriamo dritto e arriviamo ad uno scalone di pietra,salito il quale troviamo un largo corridoio che percorriamo fino a quando, Marzia apre una porta che ci introduce in una camera con un enorme letto a baldacchino.
“chiudo a chiave, prima che arrivi qualcuno”.
Ci buttiamo sul letto, l’MDMA ha fatto effetto, amplificato dall’erba di Marzia, mi sembra di essere in una stanza con le pareti imbottite di ovatta rosa.
Dopo l’ultimo tiro di erba ho iniziato a ridacchiare, osservo queste due, mi stanno sfilando i vestiti, non ho più gli anfibi, sono rimasta con le mutande e i calzettoni.
Ora hanno iniziato a baciarsi, vedo i loro indumenti che volano via, restano nude, le loro mani iniziano e percorrere la mia pelle, sono sotto alle mutande, che magicamente si dissolvono, spalanco le cosce e le braccia, sento le loro bocche che vagano, a turno si incollano alla mia fica, ho come la sensazione di essermi sollevata dal letto, salgo verso il soffitto, ad un certo punto mi fermo contro la spessa stoffa marrone del baldacchino, poi mi esplode la vagina e ricado con un tonfo sordo sul morbido materasso.
Il torpore di colpo esplode in eccitazione, prendo in mano la situazione, mi assale una strana frenesia, ora le rivolto come un calzino.
Mi avvento su di Anita,ripercorro i minuti trascorsi di fronte al bancone del bar, a sbirciarla sotto alla camiciola bianca, a soppesarle il culo strizzato nei pantaloni neri di stoffa lucida, ad indovinare la forma delle tette il punto esatto dove sormontano i capezzoli.
Mentre risucchio tutta la sua fica carnosa nella bocca, e le strizzo con forza i seni, mi accorgo che Marzia da dietro mi sta leccando il buchetto del sedere.
E’ magra, con poco seno, minuta, le cosce sottili, ha una fichettina piccola, sembra strettissima, non ho ancora sentito il suo sapore, quando avrò finito qui, inizierà il suo turno.
Mi sembra di manovrare un bambolotto, un gioco per bambine viziate, la rigiro e la manovro come fosse senza peso, lei è diventata inerme, si lascia fare tutto quello che mi passa per la mente, a tratti vedo Anita che ci osserva curiosa, è inginocchiata di fianco a noi, si tocca la fica, ha lo sguardo acquoso, forse sta trattenendo il piacere nell’attesa di assistere a quello di Marzia.
Poi improvvisamente mi arriva il down dell’MDMA, sento freddo, ho bisogno di stare un po’ in posizione fetale, mi ritiro sotto alla morbida coperta su cui finora ci siamo rotolate.
Mi accorgo che anche loro due si rintanano al caldo e al sicuro, sento i loro corpi che mi circondano, la testa mi ruota vorticosa, mi girano sulla schiena, con le mani mi procurano l’orgasmo liberatore, e finalmente mi addormento di schianto.
Durante la notte ha nevicato, un leggero strato di bianca farina ricopre il mondo che si affaccia di fronte a noi nella luce smorzata dalla nebbiolina che il cambio improvviso di temperatura ha generato nell’aria.
Ho messo in moto la Volvo, il riscaldamento ha già sciolto la poca neve accumulata sui finestrini, un soffio di fumo bianco sfugge dallo scappamento, ogni tanto i tergicristalli brontolano strusciando i gommini sul parabrezza.
Il castello è silenzioso, l’unico sveglio è il maggiordomo, che ci ha proposto una colazione, che nessuna di noi ha intenzione di consumare.
“solo un caffè, per svegliarci”.
Ormai è mezzogiorno passato, l’idea è di fermarci in qualche ristorante durante la via del ritorno, e mangiarci una bella fiorentina al sangue.
Le guardo, e poi dico, “se siete pronte, ora vi farò vedere come vanno le Volvo con la neve”.
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