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La figliastra


di ClaudioGusson
19.04.2013    |    46.652    |    1 7.6
"Voleva ribattere a quello invito insolente..."
Sonia, una ragazza libertina e spregiudicata, racconta la sua storia: è agli arresti domiciliari, dopo un po l'assale una gran voglia di fare sesso, non può uscire o incontrare persone, cerca di arrangiarsi come può, alla fine il desiderio è incontrollabile e vede nel patrigno l'unica soluzione per.....


Mia madre si separò da papà che avevo appena cinque anni. Il distacco fu definitivo perché lasciò per sempre l’Italia ed emigrò negli Stati Uniti. Non lo vidi più.

Per me fu uno shock, mai superato. L’immagine di mio padre era rimasta scolpita nei ricordi, come una cicatrice indelebile. Avevo sofferto la sua mancanza in ogni aspetto della mia vita. E’ stato un senso di malinconia, che mi ha accompagnato come un’ombra fino all’età adulta.
In mia madre vedevo la causa di quelle sofferenze. Crescendo, la disprezzai, perché la ritenevo responsabile della partenza di papà.

Il nuovo compagno della mamma, nonostante fosse una persona gentile e premurosa, che mi ha sempre trattato come una figlia, con affetto e protezione, non è mai riuscito a sostituire la figura di papà. L’ho sempre rispettato, ma non l’ho mai considerato un padre.

Lo ritenevo un semplice padre putativo, nonostante si fosse occupato di me, sostenendomi nei momenti di crisi, anche quando, da adolescente, a causa del mio carattere ribelle, ne combinavo di tutti i colori.

C’è una storia dietro ogni persona. C’è una ragione per cui loro sono quel che sono.

A quattordici anni scappai di casa, con un ragazzo adulto.
Appena mi resi conto della cazzata che avevo fatto, non fui capace di rimediare. Lo stronzo mi aveva segregato in casa sua, contro la mia volontà, per due mesi.


Durante la prigionia subì le peggiori umiliazioni. Tutti gli uomini adulti della sua famiglia, padre e tre fratelli, abusarono di me. A volte anche tutti insieme. In una violenta gangbang, caratterizzata da torture e soprusi sessuali che solo una mente perversa poteva immaginare.

La polizia, riuscita a rintracciare il nascondiglio, fece irruzione nell'appartamento ed arrestarono tutti i membri della famiglia. Furono condannati a pene pesanti, per violenza sessuale, sequestro di persona e corruzione di minorenne e riduzione in schiavitù.
Il danno purtroppo era stato fatto.

Mi ero illusa che quella esperienza drammatica, non avesse lasciato alcuna traccia traumatica, nonostante che avessi ripreso una vita tranquilla. Col tempo scoprì che c’era un aspetto della mia personalità, inquietante. Non riuscivo più a legarmi sentimentalmente, e trattavo gli uomini come pupazzi, meri oggetto di piacere. Usa e getta, con il desiderio di dominarli.


In pochi anni cominciai a prendere coscienza di avere un gran potere di persuasione e ascendente sugli uomini. In pratica li potevo manovrare a mio piacimento. A venti anni lasciai la casa materna e mi trasferì nella opulenta città. Laddove i polli da spennare erano tanti e tutti disposti a farsi in quattro per entrare nel mio letto.

Gli uomini che mi venivano dietro dovevano sottostare alla mia volontà. In pochi anni mi ero fatto la nomea di gran mignottone. Non me ne fregava un granché dei giudizi della gente, perché non ero io la vittima ma i maschietti.

La chirurgia estetica ha aiutato il mio fisico ad acquisire l’aspetto di una super bomba sexy, tette generose e glutei da sballo, per non parlare delle labbra carnose.

Per darvi un’idea di quello che ero diventata, pensate alle milf, quelle attrici tutto tette e culo che intasano i siti porno e fanno la felicità di tanti uomini solitari con i loro piacevoli solitari. Scusate il gioco di parole.

La vita da mignotta mi dava la possibilità di vivere nel lusso, permettendomi di soddisfare qualsiasi capriccio. Vacanze da principessa. Vestiti eleganti; gioielli e centri di bellezza estetica di prima qualità. Serate di puro divertimento nei locali più esclusivi. Potevo contare su molto denaro, che i miei spasimanti elargivano generosamente.

Ero diventata una cortigiana (escort per i comuni mortali), prezzolata. Gli uomini apprezzavano le mie grazie e cascavano ai piedi come baccalà.
Diventavano succubi della mia bellezza sensuale. Ero l’amante perfetta, la puttana che sapeva soddisfare le fantasie erotiche più bizzarre, quelle che una brava moglie concedeva solo all’amante anziché al marito.

Le cose belle, com’è risaputo, non durano in eterno.

Nel cuore della notte, si fa per dire alle sei del mattino, fui svegliata da un chiasso infernale. Era la polizia che voleva entrare nell’appartamento in cui vivevo.

Aprì la porta ed entrarono come mosche, e poiché avevo preso l’abitudine di dormire nuda, li accolsi come Afrodite, senza veli.
Dopo essermi resa conto della situazione, senza farmi prendere dal panico, con disinvoltura e gesti controllati, indossai una vestaglia trasparente, molto provocante.

La vista della mia nudità aveva turbato i poliziotti. Il più alto in grado, con molto imbarazzo, m’invitò ad indossare un vestito più consono alle circostanze.

Appena infilata una tuta ginnica, molto attillata, che non aveva cambiato nulla rispetto a prima, perché continuavo a suscitare le occhiate libidinose degli agenti, rivolgendomi al solito graduato ho domandato il motivo di quella invasione e perché i poliziotti stavano mettendo l’appartamento a soqquadro?


“Tranquilla! Poi glielo spiegherà il PM!
“Il giudice? E che cavolo ho fatto?
“Signorina! Non posso rispondere! Lei è una persona indagata! Potrà parlare davanti al magistrato ed alla presenza del suo avvocato!

Nello stesso istante:

“Commissario lo abbiamo trovato!

Un Poliziotto uscì dalla cucina tenendo in mano un grosso involucro.

“Era nascosto in una pentola, sotto il lavandino!

Guardai quello oggetto, perplessa.

“Che cosa è quello?
“Signorina lei è in arresto per spaccio e detenzione illecita di sostanze stupefacenti! Quella è cocaina! La droga che lei offriva ai suoi clienti!
“Cocaina? Vi giuro che non so niente! Clienti? Per chi mi ha preso? Non sono mica una puttana!
“Ci segua in questura! Lì potrà parlare con il magistrato. Le consiglio di far intervenire anche il suo avvocato!

Mi fecero salire su un’auto di servizio.
Tutti i condomini si affacciarono dalla finestra e godevano nel vedermi portare via dalla Polizia. Non mi avevano mai accettato, ed erano sempre pronti a parlare male di me. Solo il portiere mi trattava bene. Ma lui lo faceva per interesse, perché quando venivano a trovarmi alcuni personaggi importanti della politica e dell’economia locali, lui li faceva entrare attraverso un ingresso secondario e si prendeva cura dell’auto. Tutto dietro un ricco compenso.

In Questura mi contestarono il reato di spaccio e dentizione illecita di stupefacenti. Rischiavo una condanna fino a sei anni di carcere.

Il guaio era che di quella droga non ne sapevo assolutamente nulla. Qualcuno, a mia insaputa, l’aveva nascosta in casa mia, uno di quegli stronzi che frequentavano il mio appartamento.

Il magistrato non ha creduto una sola parola a quello che ho raccontato. Non avendo precedenti penali mi ha ammesso al beneficio degli arresti domiciliari.

Chiamarono i miei genitori. Perché, affinché il beneficio potesse essere concesso, dovevano esserci persone disposte ad accoglierti.

La mamma ed il suo compagno, appena entrati in Questura, mi guardarono come se fossi un’aliena. Gli avevo dato l’ennesima delusione. Erano anni che non li vedevo e loro sapevano perfettamente la vita che conducevo. Quella volta ero innocente. Sarebbe stato inutile dirglielo, perché non mi avrebbero creduto.

Nonostante tutto, firmarono le carte e mi accolsero in casa.

La mia stanza era ancora arredata come l’avevo lasciata il giorno in cui ero andata via. Praticamente fuggita. Tutte le mie cose erano lì. Passai a setaccio gli armadi. C’erano ancora i vestiti.

“Mamma, potevi gettarli tutti! Questi abiti non mi servono a nulla! Anche perché mi sa, che gli arresti dureranno per parecchi mesi, inoltre mi toccherà lasciare l’appartamento, quindi qui ci dovrò portare i miei!

La mamma mi guardava con commiserazione:

“Sonia! Approfitta di questa occasione per cambiare vita! Forse il destino ti sta dando una mano!
“Il destino? Non farmi ridere! Parli proprio tu! Che non sei stata capace di tenerti un uomo! Dico uno! No cento!
“Ogni pretesto è buono per riaprire vecchie ferite! tu? Sei spietata!

Uscì dalla stanza sbattendo la porta.

Pensai: “che si fotte!

Mi gettai sul letto. Fissando il soffitto rimuginavo su quello che era successo. Chi cazzo poteva essere stato lo stronzo che mi aveva fregata? Mi sentivo il sangue ribollire dalla rabbia. Stringevo la coperta del letto come se fosse la pelle di quel bastardo che mi aveva venduto alla polizia.
Mi lasciai andare ad un pianto liberatorio. La tensione accumulata alla fine aveva avuto la meglio. Fu un fiume di lacrime, dettate soprattutto dall’ira. La mia vita era un collage di tragedie. Una lotta continua per dire al mondo che la vita era la mia. Ora qualcuno mi aveva fottuto e rimandato al mittente.
Mi trovavo al punto di partenza. Pensai, tanti sacrifici fatti, inutilmente. Quella stanza l’avevo odiata.

I pensieri furono interrotti. Qualcuno stava bussando alla porta.

“Si!

Era Aldo, il compagno di mia madre.

“Sonia, vorrei dirti una cosa!
“Ti ascolto!
“Dieci anni fa, quando sei andata via, sapevamo la vita che avresti fatto. Tua madre ha sofferto molto per questo motivo. Lei ti vuole bene e non ritengo giusto che tu la tratti in quel modo! Dovresti riflettere prima di parlare! Perché imputi solo a lei la responsabilità della separazione? ed escludi quella di tuo padre? Non sai come sono andate le cose? Eri troppo piccola, per ricordarti!
“Aldo lo sai che cosa ho sempre apprezzato di te?
“Cosa?
“Che fino a pochi istanti fa ti sei sempre fatto i cazzi tuoi! Consiglio: continua a farteli!

La risposta lo aveva preso alla sprovvista. Non se l’aspettava. Voleva ribattere a quello invito insolente. Il mio carattere forte però ha avuto la meglio anche su di lui. Esitò un attimo e poi si astenne. Fece un gesto strano, come dire: “Ma si vai a fanculo! E uscì dalla stanza.

Era una questione tra me e mia madre. Odiavo quella donna; avrei fatto di tutto per farla soffrire.

La convivenza forzata, dopo qualche mese, cominciava a dare i primi segni di disagio. Mi mancavano i contatti con le amiche e le serate mondane. Le vacanze, i regali. Ma più di tutto mi mancavano gli amanti, perché un conto era dominare il maschio e comandarlo come un soldatino, per profitto, un altro era scopare.


L’astinenza da sesso iniziò a manifestarsi soprattutto nelle fasi oniriche, nella notte. Sognavo cefali a volontà. La figa mi pulsava. Nonostante ci infilassi dentro tutte le dita della mano, non riuscivo a lenire i pungoli del desiderio carnale, erano turbolenti e non mi lasciavano dormire.
Il cazzo era uno strumento insostituibile, per i miei diletti, perché non ero io a muoverlo, era il soldatino ubbidiente che me lo sbatteva dentro, e al mio ordine lo utilizzava come volevo io.
Sognavo cazzi enormi che s’infilavano nella figa, nel culo, da succhiare, da leccare. Stavo impazzendo. Mi rivoltavo nel letto senza trovare pace. Il bisogno di fare sesso stava diventando una vera ossessione.

Avevo una filosofia di vita: la parte migliore di un uomo, era il suo cazzo. La sua personalità non m’interessava affatto, perché da buon fantoccio, doveva fare tutto quello che gli veniva ordinato.
Una volta ho costretto uno a leccarmi la figa tutta la notte. Altri a scopare nei luoghi più impensati e anche con il rischio che ci rimettessero la carriera ed il matrimonio.

Ero una donna sessualmente invasata oltre l’immaginabile ed avevo trenta anni. Non ero più la ragazzina che soddisfaceva i propri impulsi sessuali con ditalini e massaggio inconcludenti, in attesa del principe azzurro e del suo spadone.
Il mio corpo era quello di una adulta ed anelava alle carezze di un uomo, i baci di un uomo, ma soprattutto il cazzo vivo e pulsante di un uomo.

Alla fine cedetti anche io e mi abbandonai alla pratica del sesso fai da te, utilizzando qualsiasi oggetto che avesse una forma fallica. Guardai nei cassetti di mia madre, casomai tenesse nascosto qualche vibratore. Niente. Una santa.
Non mi restava altro che ricorrere all'uso tradizionale delle candele, cetrioli, carote e al manico di una spazzola, voluminoso e adatto alla situazione. Ahimè, che fine meschina che avevo fatto.

Erano passati già tre mesi abbondanti, e ancora il processo non si celebrava. Si sa com'è la giustizia in Italia. L’avvocato mi diceva che forse c’era qualche scappatoia, che gli investigatori stavano percorrendo una pista nuova.


Intanto io stavo impazzendo agli arresti domiciliari e a soffrire le pene dell’inferno.
In quei momenti capivo i tormenti delle suore di clausura. A volte mi sentivo in trance, in uno stato mistico, perché vedevo cazzi grossi come obelischi. Stavo impazzendo.

Sapete, qual è stata la cosa più buffa che mi è capitata in quella situazione assurda? Avere l’avvocato omosessuale! Cazzo, la fortuna era cieca, ma la sfiga ci vedeva benissimo.

Ho potuto constatare la veridicità del proverbio, che recita: gli amici si vedevano nel momento del bisogno. Nessuno di quegli stronzi si era fatto vivo, neanche per telefono e non rispondevano nemmeno, quando a chiamarli ero io. Avevano paura di compromettersi.

Che tortura! Gli oggetti a forma fallica, come previsto, non mi soddisfacevano più. Erano freddi e sempre rigidi. Inoltre, il loro uso dipendeva da me. Ed io ero pigra per natura, perché ho sempre costretto i maschietti a darsi da fare per stimolarmi la figa e tutto quello che mi passava per la testa.

Eravamo all'inizio dell’estate e faceva un caldo infernale. Approfittavo di quelle bellissime giornate di sole per stendermi sul balcone in un succinto costume da bagno, in perizoma.
Dalle finestre poste davanti alla casa in cui abitavo, a volte, mi capitava di scorgere le figure di qualche maniaco, che di nascosto spiava con occhi libidinosi, forse si sparavano anche le seghe.
Cazzo! se almeno una di quegli stronzi avesse avuto il coraggio di farsi vivo con proposte oscene, gliela avrei data lì, sul balcone con tutti gli interessi. Cribbio sognavo di farmi sbattere come una cagna in calore. Di prenderlo nel culo e di succhiare un cazzo fino a farmi venire una paralisi alla bocca.

In quel silenzio, sotto la canicola estiva, sento una voce:

“Tieni!

Era Aldo. Brandiva un bicchiere di thè.

Lo guardai con attenzione. Mi venne un flash. Mi venne in mente la pubblicità televisiva in cui c’era una donna, in costume da bagno, su un’isola deserta, che rivolgendosi al suo compagno, con tono di voce maliziosa, gli implorava: “Antò fa caldo! E dopo aver bevuto il thè: “Antò fa freddo! Facendogli immaginare ampi scenari erotici.

Lo guardai di nuovo. In modo sfacciato gli dissi!

“Antò tengo caldo!
“Tieni! questo ti farà venire il freddo!

Bella risposta. Il padre putativo conosceva la pubblicità. Era anche spiritoso. Inoltre, il caro patrigno, notai che, non disdegnava affatto il panorama. Una sbirciatina al triangolo delle bermuda la stava dando e anche con insistenza.

Cominciai a riflettere su quella circostanza ghiotta di prospettive interessanti. Aldo aveva da poco superato i sessanta. Inoltre, alla sua età, escluso il grosso pancione, ostentava un fisico ancora in salute. Aveva lavorato tutta la vita in una fabbrica di materassi. Più ci pensavo e più mi intrigava. Era l’unico maschio nel raggio d’azione. Era il marito di mia madre, e allora? Quella stronza se lo sarebbe meritato un bel cornetto.

Prima che si allontanasse:

“Aldo?
“Si!
“Ti posso chiedere un parere?
“Certo dimmi!
“Tu sai che tipo di lavoro ho fatto, fino a tre mesi fa?
“Si lo so, e come dici tu, sono cazzi che non mi riguardano!
“Secondo te, ho fatto male a ingrossare il seno con la chirurgia plastica? Ti ricordi, quando ero ragazzina? non avevo petto!

Quella domanda, lo lasciò esterrefatto. Non si aspettava una richiesta del genere. Lo costrinsi a guardarmi le tette.

“Non so io…..
“Aspetta! mi tolgo il reggipetto e così potrai vederlo meglio!
“Sonia! Non devi…

Mi tolsi il pezzo superiore del costume e gli mostrai due superbe zinne, realizzate da uno dei migliori chirurghi che operavano nel settore. Solo a vederle avrebbero resuscitato un morto. Lo so che stavo giocando al gatto con il topolino. Era più forte di me, conoscevo una massima cinese che pressappoco diceva: che non c’era uomo al mondo che non si lasciasse sedurre da una donna bellissima.

“Cosa ne pensi? Secondo te ho fatto male? O erano meglio quelle che avevo da ragazzina? Le ricordi? Mi pare che tu le abbia viste qualche volta! No?

“io… io… non so… non mi ricordo!

Gli occhi erano completamente sgranati. Sembrava che volessero schizzare fuori delle orbite.

“Allora ti piacciono? Puoi anche toccarle se vuoi! Io non mi scandalizzo per così poco!

Quell'invito lo lasciò completamente basito. Fu il colpo di grazia. Pareva che gli avessero prosciugato il sangue nelle vene. Era diventato bianco. Come se stesse per svenire da un momento all'altro.

Cazzo, forse avevo esagerato! questo muore d’infarto? E chi glielo spiega alla mamma?

“Ti senti male? Siediti! Vado a prenderti un bicchiere d’acqua!

Ritornai con il bicchiere. Ero in mono chini, con il seno completamente scoperto. Gli stavo in piedi, mentre lui ingurgitava l’acqua. Lo vidi perfettamente, intento ad osservare con insistenza le tette. Forse attraverso il vetro le vedeva ancora più ingrandite.

“Dove è la mamma?
“è andata dal medico! Non so quando ritorna!

Riflettei: era venerdì, il giorno precedente il prefestivo. Sicuramente ne avrebbe avuto ancora per due ore abbondanti.

Afferrai una sedia e mi sedetti vicino. Di fronte a lui.

“Stai bene ora?
“Si sto bene!
“Allora cosa ne pensi di queste?

Mi afferrai le tette e le innalzai, mettendogliele sotto il naso. Quel gioco cominciò a piacermi. Mi eccitava l’idea di provocarlo. Pensai anche al suo cazzo. Sicuramente era già in tiro. Quanto mi sarebbe piaciuto verificare.

“Sonia ti prego non insistere! Ti rendi conto? In pratica, sono tuo padre, ti ho cresciuto e adesso mi sento in imbarazzo ad esprimere quelle valutazioni!

Lo fissai negli occhi e cambiai il tono della voce. Decisi di giocare duro.

“Aldo! Io ho bisogno di qualcosa! In questi mesi di reclusione forzata mi sono accorto che non posso farne a meno. Guardami! Sono una donna. Non sono più una mocciosa! E ho le mie esigenze di donna adulta!
“Io che centro in tutto questo! No so come potrei aiutarti!
“invece, hai proprio quello che mi serve!
“Che cosa?

Fu la prima volta che pensai al suo cazzo. Fantasticavo e sembrava di vederlo. Duro e palpitante. Quel pensiero mi dette i brividi alla schiena, che arrivarono fino ai capezzoli, inturgidendoli. In pratica stavo provocando mio padre. Incredibilmente lo desideravo. Sarà stata l’astinenza a farmelo apprezzare, perché come si dice in tempi di carestia ogni palo è un cazzo. Ero eccitata dall’idea di quello che stavo per fare. Mi feci forza e allungando una mano gli afferrai lo spessore che si evidenziava sotto la stoffa del suo grembo. Bingo! Era duro e pulsante. Come lo avevo immaginato.
Con un sorriso sganciante, gli risposi:

“Questo!

Rimase senza fiato. Lo avevo in pugno, cioè nella mano. Senza interrompere il contatto iniziai a segarlo attraverso la stoffa. Lui continuava a guardarmi sconvolto. Eppure il suo cazzo esprimeva palesemente intenzioni morbose nei miei confronti. Non c’era allineamento tra l’espressione del viso pallido e la turgidezza del suo pene. Chissà, forse il sangue era tutto defluito al cazzo, lasciando all'asciutto il resto del corpo.

Sembrava paralizzato. Certamente non si aspettava quel tipo di aggressione, cosi oscena e sfacciata. Francamente delle sue riserve morali non me ne fregava nulla. In quel momento ero interessata solo al suo cazzo e a soddisfare le mie voglie.

“Vieni in camera mia! Ho bisogno di fare qualcosa che qui ritengo non sia prudente azzardare!

Aldo mi seguì in camera da letto, come un automa. Era completamente plagiato dalla mia audacia. Non osava parlare ne contraddirmi. Anche perché, davanti a quella situazione c’era poco da dire.

Gli sbottonai i pantaloni e glieli calai, insieme agli slip, fino in fondo alle caviglie. Rimasi impressionata davanti allo spettacolo che si presentò sotto il mio naso. Il suo cazzo era meraviglioso. Lungo e grosso. La cappella era rotonda e grande quasi quanto il mio pugno.

continua... una donna abituata a dominare ... con una fame arretrata... se volete sapere che fine fa il patrigno andate qui:

http://raccontieroticidiguzzon59.blogspot.it/2013/04/la-figliastra.html?zx=1278324206bc6ba4

Guzzon59
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