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SORRISONI - ep.3 "Le fragole"


di bandolero16
17.12.2024    |    2.015    |    7 9.7
"Mi guarda quasi preoccupato, assorto come sono nei miei pensieri..."
Un rumore metallico mi strappa dal sonno. È il suono inconfondibile di un mestolo che sbatte contro una ciotola. Mi giro sbuffando e, con gli occhi ancora appiccicati, vedo il letto vuoto accanto a me. Mi affaccio nell’androne barcollando; al piano cottura c’è Manuel di spalle, con addosso solo i jeans che portava ieri.
“MA BUONGIORNO PRINCIPINO…come ha dormito il mio ometto?”
Mi viene incontro raggiante di gioia, continuando a mescolare il contenuto della ciotola, e si china leggermente per arrivare alla mia altezza prima di stamparmi un bacio sulla fronte. Seguo con gli occhi la sua schiena muscolosa mentre fa il giro della tavola.
“Stanotte tra le tue braccia ho dormito come un bambino, quindi stamattina mi sono svegliato di ottimo umore e mi sono permesso di rovistare in frigo e prepararti una colazione da campioni”.
Mi indica la tavola apparecchiata: cappuccini ancora fumanti, toast, uova alla benedict e un coloratissimo cestino di fragole.
“Sono sceso presto e ho fatto un po’ di spesa, ora ti sto cucinando dei pancake…”.
Ha quel sorriso impacciato che sembra inciampare sulle labbra, e mi sorprendo a pensare che sia perfetto così, esattamente com'è. È come se quel piccolo difetto lo rendesse ancora più vero, più vicino, e ogni volta che lo vedo mi sento scivolare un po' più in là, in un posto che non controllo, ma da dove starei ore a guardarlo.
Mi guarda quasi preoccupato, assorto come sono nei miei pensieri.
“Ehi…che c’è piccolo? Ho fatto qualcosa di sbagliato? Oh no…non ti piacciono i pancake?”.
Gli occhi, dapprima vispi e guizzanti per l’euforia, raddoppiano di volume, diventando tondi e smielati, come quelli di un cerbiatto. Non conosce il motivo del mio silenzio, ma si sente come colpevole di un crimine, il più dolce di tutti: prendersi cura di qualcun altro.
Mi avvicino lentamente, appoggio la testa sul suo petto e lascio che la mia mano si posi su di esso. Manuel si libera della ciotola e mi abbraccia deciso, circondandomi con le sue forti braccia e regalandomi piccoli bacetti tra i capelli ancora arruffati. Alzo gli occhi per guardarlo. Stavolta sono io a sorridergli, per dirgli che va tutto bene, che è bello stare così.
Si china dolcemente per appoggiare la sua fronte sulla mia, entrambi chiudiamo gli occhi e ci perdiamo nei reciproci sospiri. La mia mano scivola dal petto alla sua nuca e lentamente le mie labbra si poggiano sulle sue. Sono baci di velluto, fragili, come ci stessimo assaggiando.
Le sue braccia scendono a cingermi la vita. Sento il suo cuore battere all’unisono con il mio. Le sue mani si fanno più decise, mentre il suo corpo si avvicina sempre di più, vinto da una forza magnetica e invisibile. Un silenzio pieno di attesa ci avvolge e, in quell'attimo, io non sono più consapevole di nient'altro se non di lui.
Mentre i nostri baci si fanno più intensi ci spostiamo, come danzando, e mi ritrovo appoggiato al piano cottura. Mi solleva senza sforzo e mi adagia lentamente sulla superficie. Lo afferro cingendogli intorno le gambe, sento il calore del suo corpo, sfioro le imperfezioni della sua pelle, mi stringo forte a lui come qualcuno dal nulla venisse a portarmelo via.
Con le braccia si appoggia alla parete alle mie spalle e mi incornicia tra i suoi bicipiti tatuati. Tra me e il mondo ora c’è lui, di schiena, come a volersi prendere qualsiasi pugnalata voglia colpirmi.
“Ehi…ciao piccolo”.
I suoi occhi da cerbiatto ora mi scavano nell’anima, chiedono timidi un permesso di cui non hanno bisogno.
Mi stacco della parete e scatto verso di lui, puntando ai suoi jeans per sbottonarli. Le sue mani si staccano dal muro e corrono lungo tutta la mia schiena fino ad arrivare ai miei pantaloni, che mi vengono sfilati con un solo rapido movimento.
La voglia ci assale entrambi, ci porta a baciarci avidamente, a spingerci l’uno nella bocca dell’altro. Ad un tratto sull’addome sento un qualcosa di caldo e umido. Il suo cazzo è già svettante e prende ancora più vigore strusciando sul mio corpo. Le dimensioni sono incredibili, appoggiato sulla mia pancia arriva ben oltre il mio ombelico.
Due dita si intrufolano nella mia bocca, giocando con la mia lingua per inumidirsi, e vanno ad accarezzare dolcemente il mio sfintere. Manuel indietreggia con il bacino e si sistema puntando il palo sulla mia rosellina. Mi attraversa con estrema delicatezza fino in fondo e lentamente prende a scoparmi.
“Sei bollente… che cazzo mi fai baby…”
“Sì…sììì…sto bruciando…”.
Mi accarezza le guance e intanto affonda nel mio collo, mordendomi e baciandomi dall’orecchio alla spalla. I miei gemiti riempiono la stanza, mentre gli stringo i glutei per spingerlo sempre più dentro. Per l’eccitazione inizio a sgravare, mi lubrifico da solo per obbedire alle voglie di quella verga. Manuel si sistema e mi afferra il volto per portarlo davanti ai suoi occhi.
“Rilassati…fidati di me”.
Una prima botta mi fa strabuzzare gli occhi, per un attimo trattengo il respiro. Inizia a sbattermi con la foga di uno stallone, sento il cazzo gonfiarsi e lacerarmi lo sfintere. Uno spasmo che mi attraversa da cima a fondo mi fa tremare come una foglia. Mi sta sfondando con una penetrazione magistrale, sbattendomi tutto il cazzo dentro per poi svuotarmi di colpo. La vista mi si appanna e le mani, nel tentativo di aggrapparsi a qualcosa, fanno cadere piatti e bicchieri nel lavandino di fianco.
Di tutta risposta mi afferra violentemente i polsi, senza rallentare la monta, e mi inchioda le mani alla parete. In questa posizione i miei capezzoli gli vengono offerti su un piatto d’argento. Prima li morde con voracità, poi ci sputa sopra e infine li solletica con la lingua. La stimolazione mi fa perdere ogni controllo.
“NOO…ti prego no…FERMATI…così mi rovini…cazzo…CAZZOOOO…”.
Sono un fascio di nervi, gli organi interni tremano come un terremoto e la sensazione di pienezza si diffonde dal buchino allo stomaco, poi al petto e al cervello. Sento come una febbre che mi toglie il respiro, i rantolii da cagna sono sempre più soffocati.
Ormai il cazzo mi scivola dentro come burro. Il bruciore mi porta ad aprire le gambe di scatto. La sua enorme cappella guadagna centimetri dentro di me e arriva a colpirmi esattamente nel mio punto G. Il mio bacino inizia a percuotere la superficie della cucina. Sto venendo. Una scarica di umori inizia a schizzare dalla mia fighetta andando a inzozzargli l’addome scolpito. Fiotti di sperma bollente si riversano dal mio cazzo moscio senza bisogno di toccarmi. Tra i singhiozzi di piacere e l’aria mancata sbiascico
“oh mio dio…oddio…godo…”.
Un ultimo sprint intensifica i miei spasmi. Dopo essere venuto sono in fregole e il suo cazzo è lava che mi brucia da dentro. Mi afferra in malo modo schiacciandomi contro il suo corpo, mentre con colpi lenti e profondi mi spara dentro schizzi di sborra bollente…
. . . . . . . . . .
Continuiamo a chiacchierare, tra un pancake e un sorso di cappuccino, con la musica della radio in sottofondo. Ci raccontiamo i piani della giornata, promettendo di rivederci poi la sera stessa. Sul divano di fronte al tavolo giace abbandonato il mio zaino.
“Ehi colosso, ti va di immortalare anche questo momento?”
Estraggo la polaroid e giro l’obiettivo verso di noi.
“SORRISONI”.
Manu fa il giro del tavolo e un attimo prima che prema il bottone mi struscia una fragola a metà sulle labbra, macchiandomi tutto il muso. La foto che viene fuori è comica e dolcissima, io con una smorfia schifata, lui col suo solito sorriso da ebete.
Decido di aggiungere questa foto al mio raccoglitore, un album foderato di velluto verde che custodisco gelosamente sul fondo del mio armadio. Apro l’ultima pagina per inserire l’istantanea nell’apposita bustina, quando un dettaglio cattura la mia attenzione. Manca la foto con Manuel. L’ultima foto che avevo aggiunto all’album, quella scattata nel retro della mia auto.
Sono stranito, eppure sono convinto di averla messa a posto. Inizio a sfogliare le pagine dell’album per capire se sia caduta. Il sangue mi si gela nelle vene. Due pagine di raccoglitore sono totalmente vuote, le pagine più intime e private della mia raccolta, quelle che non ho mai mostrato a nessuno: le foto che ho fatto con la mia collezione di intimo.
So che è stupido e rischioso fotografarsi nudi, ma queste foto non doveva vederle nessuno, erano solo e soltanto per me, neanche Manuel sapeva della loro esistenza. Non riesco a spiegarmi chi abbia potuto rubarle, quando, e soprattutto, perché?
Manuel mi raggiunge in camera e io cerco alla bell’e meglio di nascondere il raccoglitore.
“Tutto ok baby? Perché ‘sta faccia?”
“Nono tranquillo tutto ok, vado un po’ di fretta che ho lezione e non trovo…ehm…la felpa nera”.
“…Ma ce l’hai davanti, è quella sopra al jeans”.
“Oh…sì…eccola…ahaha che scemo”.
“Sicuro che vada tutto bene?”.
“Si stai tranquillo, ora devo scappare”.
Corro in cucina a prendere lo zaino e scendo di casa senza neanche dargli un bacio, lasciandogli una copia delle chiavi e promettendo di sentirci nel pomeriggio.
. . . . . . . . . .
Con la cannuccia giro lentamente i cubetti di ghiaccio nel gin tonic. Guardo l’alcol scorrere dai bordi del bicchiere e tornare giù nel drink. Mi arriva una gomitata nel fianco da Elèna.
“Ehi Ricky ma che problemi hai? Sei già ubriaco o cosa?”
“Ma non lo vedi che è da quando è entrato che sta così, sicuramente qualcosa è andato storto con il progetto”.
Alejandro le fa eco dall’altro sgabello. Di fronte a noi, dall’altro lato del bancone, Manuel si china per avvicinarsi a me e mi sussurra
“Lo vedi che non sono l’unico a preoccuparsi? Se c’è qualcosa che non va puoi dirmelo, o almeno dillo ai tuoi fratelli, ma non mi va di vederti così”.
Annuisco e ricambio con un sorriso. Dovrei essere al settimo cielo. Per la prima volta i miei fratelli hanno conosciuto Manuel e sembrano tutti entusiasti della serata, tutti tranne me. Il mio cervello si sta consumando nel pensare che fine abbiano fatto quelle foto.
Elèna si alza di scatto dallo sgabello.
“Oh questa canzone è stupenda, dai seguitemi, andiamo a ballare”.
Ale la raggiunge dopo essersi scolato in un sorso quel che restava nel suo bicchiere. Io mi giro sul mio sgabello verso la pista e mi limito a guardarli ballare. Da dietro Manu si appoggia nell’incavo della mia spalla e mi carezza con la sua barba.
“Vado sul retro a prendere le birre. Quando torno voglio vederti in mezzo alla pista con loro, ok?”
Mi dà un bacio fugace sulla guancia e si allontana.
Mentre guardo ipnotizzato la gente scatenarsi in pista, una vibrazione mi riporta alla realtà. Guardo il display. C’è un messaggio, da un numero sconosciuto. Dall’anteprima non riesco a riconoscere il contenuto, quindi decido di aprirlo.
Sbianco. La testa inizia a girare. Ho la sensazione di dover vomitare. È una foto. Sullo sfondo ci sono le mie istantanee, quelle scattate con i perizomi, tutte, dalla prima all’ultima. Tutte le foto sono ricoperte di sborra, di alcune quasi non si vede l’immagine, mentre in primo piano si staglia un cazzo venoso e nerboruto, stretto da una mano callosa che porta una fede al dito.
Lo shock mi impedisce di muovermi, di reagire. Una nuova immagine compare nella chat. La stessa mano tiene una foto. È la nostra, è quella con Manuel.
Sta scrivendo…
“Ma che bei sorrisoni…”
Con la coda dell’occhio vedo Manuel ritornare dal magazzino. Afferro il cellulare e scappo via dal Prince, facendomi largo tra la gente in pista. Ho bisogno di aria.
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