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Rincontrarsi


di Membro VIP di Annunci69.it Ade-69
31.07.2020    |    6.939    |    4 10.0
"Il mio membro grosso, turgido, rigido, scappellato..."
La stanza era illuminata da quei caldi e mobili chiaroscuri che solo la fiamma danzante delle candele sa creare. Luci e ombre, indispensabili le une alle altre.
Lei era di fronte a me, ad alcuni passi di distanza.
Indossava un vestito lungo, celeste pastello. Ad ogni respiro la luce ne mutava la sfumatura. Elegantemente scollato sul seno, era stretto in vita da una cintura d'argento di fili intrecciati, gli stessi che, seppur in minor numero, creavano il girocollo e gli orecchini pendenti, donando riflessi luminosi alla linea del volto ed ai capelli lunghi, lasciati ricadere sulle spalle scoperte.
I piedi scalzi erano l'unico richiamo al suo passato. Indelebile.
Da quanto tempo non la vedevo?
La stessa semplice eleganza. Lo stesso profumo.
Molte stagioni si erano susseguite dal giorno in cui ci eravamo lasciati, ma ora il ricordo della nostra storia era tutto lì, con noi. Inaspettato. Vivo.
Il corpo di lei sembrava immutato. La stessa nobile magrezza, la stessa vita stretta, lo stesso seno, piccolo, ma riscattato nell'eccitazione da capezzoli grossi e turgidi. Ed eccoli, premere prepotentemente sotto il tessuto del vestito, che le avvolgeva aderente il petto.
Il volto, un poco accaldato da un bicchiere di vino appena bevuto, non era cambiato, forse solo mosso da un accenno di lievi e piccole rughe, sparse qui e là. Gli occhi ricolmi da quel suo dolce desiderio provocante.

Mi avvicino e con una mano le sfioro una guancia, poi il collo. Sentì il fremito che le attraversava il corpo. Presi con la mano una ciocca di capelli, morbidi, profumati e li stropicciai tra le dita. Lei fece un respiro più profondo, gli soffiò nell'orecchio. Lei si sbilanciò leggermente, ed una spallina del vestito scivolò giù, scoprendo un seno.
I suoi occhi si abbassarono d'istinto, come per coprirlo e nascondere un imbarazzo nuovo, ma fu un attimo e si risollevarono lentamente verso di me, fissandomi con un taglio di luce. Un invito, un segnale, un desiderio, un mare di ricordi.

La nostra storia di amanti, nata quasi per caso, era cresciuta nel tempo tessendosi di tanti pezzi diversi, di tanti ruoli diversi.
Immersi in una sorta di alchimia che ci aveva attratti a vicenda, di corpo e di testa, ognuno aveva assaporato dell'altro l'eccitazione più profonda, nell'erotica consapevolezza che tra noi tutto potesse suscitare piacere, anche a volte il provare o procurare dolore, spesso superando nuovi confini, ma sempre con l'attenzione premurosa di non arrivare mai ad un punto di non ritorno, di non piacere, di puro dolore. Alla base di tutto, quel potere che lei mi aveva concesso, quel potere che io avevo esercitato su di lei, per mesi e mesi, in un continuo crescendo.

Inebriato dai ricordi, presi tra le dita quel capezzolo scoperto e cominciai a stringerlo dolcemente, mentre lei mi fissava dritto negli occhi; poi strizzai forte, come un tempo, e lei buttò la testa indietro, ansimando e piegandosi un poco sulle ginocchia. Pochi movimenti di eccitante bellezza.
Quanto tempo era passato, dall'ultima volta?
Le slacciai la cintura d'argento, che cadde a terra tintinnando, poi le spostai la spallina ancora al suo posto ed il vestito scivolò giù.
La donna che fu la mia confidente, la mia amante, la mia amica, la mia schiava, di cui conosceva ogni più intimo segreto, era lì, nuda, uguale ad un tempo, con il suo fascino e le sue imperfezioni, che mescolati la rendevano bella.
La presi per mano e l'avvicinai al tavolo. Lei si appoggiò con le natiche.
Con un dito della mano si toccò la bocca, poi scese lentamente lungo il collo, tra i seni, oltrepassò l'ombelico ed il ventre ed i radi peli del pube e giunse all'imbocco della sua vagina, in mezzo a quelle labbra, che lei sapeva trasformare in uno strumento di mutevole piacere avvolgente. Ritrasse il dito bagnato e lo leccò, lentamente, riassaporandone il gusto.

Il profumo delle candele fu come un richiamo.
Ne presi una. Lei lo guardò e, con un desiderio carico d'odio, inarcò la schiena appoggiandola al tavolo.
Non la bendai né legai, come avevo fatto tante altre volte, trasformandole l'attesa stessa in una tortura.
Volevo fosse libera di vedere e di muoversi, io lo sapevo, diventavo per lei una sfida. Una sfida all'istinto primordiale di autodifesa. Una sfida tra la paura del dolore e il desiderio del piacere. Quel desiderio di percepire l'attimo in cui il primo si fonde nel secondo, in cui dall'uno nasce l'altro. Il cuore stesso di un ossimoro. Ogni volta nuovo e diverso.
La mia mano si alzò perpendicolare al tavolo e la luce della candela gli illuminò il viso.

Lei rivide i miei occhi, duri e protettivi, dolci e crudeli. Sentì il mio respiro ed il mio odore, era di maschio eccitato, eccitante.
Ebbe un fremito che la infiammò di voglia e le strizzò ogni punto della sua intimità, per poi risalire fino alle labbra della bocca, che d'istinto si morse.
Era libera di andarsene e, come sempre in passato, bastava pronunciare una parola, per interrompere il tutto. Non l'aveva mai usata. Chiuse gli occhi per pochi istanti, giusto il tempo per far riemergere la sua vera anima che a lungo aveva cercato di sopire. Quando li riaprì, vide sopra di sé il mio braccio, con crudele premura, ancora indeciso sulla distanza da tenere tra la candela ed il suo corpo. Tutto era concentrato su quel breve spazio fisico temporale. E tremava immobile, avida dell'attesa, ma timorosa per l'istante successivo, sempre alla fine improvviso e ignoto.
Una bruciante liquida goccia di cera scese e la colpì su un capezzolo. Raffreddandosi.
Un istante di fuoco, su uno dei suoi punti più erogeni, che si sublimò in desiderio. La tensione dell'attesa, la paura del dolore fugace, l'istante meraviglioso in cui il dolore si trasforma in eccitazione. Follia? Schiavitù?
Altre gocce si susseguirono senza che lei desse un accenno vero di ribellione, ma solo lievi sussulti profondi, assetata di quelle ondate di dolore e piacere che le lacrime di cera le stavano procurando, come una terra riarsa, che si offre alla pioggia, quando inizia a scendere dopo tanto tempo.
Io, variando solo con l'altezza del braccio l'intensità degli ossimori di cui ero padrone ed artefice, bevevo a grandi sorsi tutte le emozioni che il volto e il corpo e l'anima di quella donna mi stavano donando. Eccitandomi. Come un tempo.
Poi posai la candela e le passai dolcemente una mano tra le cosce riscaldate dall'umidità del suo piacere. Arrivai alla sua vagina, calda, scivolosa. Fu un attimo e quel tocco scatenò in lei un orgasmo profondo, lungo, meraviglioso. Un orgasmo che coinvolse ogni più piccola parte del suo corpo, conscia e inconscia. Ansimante, si piegò un attimo in avanti facendo forza sui reni, per dare un bacio a quell'uomo, che tanto le era mancato, ma ricadde subito all'indietro, quando mi vide abbassarmi e sentì la mia lingua morbida iniziare a leccare la sua intimità infuocata e bagnata, come un balsamo dolce e appassionato.
Si abbandonò completamente a quelle sensazioni, che le offuscavano la mente e le toglievano il respiro. Sentì la mia bocca avvolgerla, quasi risucchiarla, sentì la saliva mescolarsi al suo piacere, finché l'eccitazione di nuovo si diffuse in tutto il suo corpo, fino a esplodere ancora senza argini, quando le morsi le labbra e poi il clitoride, perché lì il dolore è pungente, perché in quel punto sembra siano concentrati tutti i ricettori sensoriali ed è un qualcosa di fantastico!
Era senza fiato.

Mi chinai a baciarla. Poi l'aiutai a mettersi in piedi, l'abbracciai forte, l'accarezzai. Era sudata. I capelli le ricadevano disordinati addosso. Selvaggiamente femmina. Dolcemente femmina.

Lei posò la testa sul mio petto, immersa nel mio profumo, nel mio odore.
Cos'era tutto ciò, cos'era? Realtà, sogno?
Ma se era sogno, perché sembrava così reale? Se era realtà, perché temeva fosse un sogno? Quanto tutto le era mancato! Quanto le ero mancato!
Una timida lacrima le scese lungo il viso.
Dicono che la felicità sia solo luce che brilla sull'altra faccia di una lacrima, dicono.
Io la vidi e con un bacio la raccolsi.

Ero ancora vestito. Lei mi sbottonò la camicia e armeggiò tremante con la cintura dei pantaloni, che sfilò e tenne in mano, accarezzandola. La stessa vecchia cintura di cuoio, ancora morbido, lavorata con disegni geometrici, che l'aveva fatta bruciare, più volte, di dolore e di desiderio.
Mi tolsi la camicia e i pantaloni e le presi dalla mano la cintura. Non indossavo altro. Il mio membro grosso, turgido, rigido, scappellato. Fortemente eccitato.

D'istinto lei si abbassò in ginocchio e con la lingua lo accarezzò per tutta la sua lunghezza, trattenendosi un poco, picchiettando dolcemente, sulla punta morbida, per poi prenderlo in bocca e affondarlo fino in gola. Un attimo. Perché tirandola per i capelli la feci alzare in piedi. Sapevo quanto era brava in quell'arte, di bocca e di mani, e non voleva quello ora, non ancora.
I nostro corpi a contatto sprigionavano l'odore forte e caldo del desiderio. Lei gli si strofinò contro vogliosa, ma io mi sfilai, quasi bruscamente, e la girai, facendole appoggiare il petto sulla superficie del tavolo. Da quella posizione il mio membro era all'altezza giusta dei suoi glutei. Glielo sfregai contro e poi in mezzo. La sentì gemere. Per un momento mi lasciai andare al desiderio prorompente di penetrarla. Lei lo accolse e ne assaporò tutta la dura pienezza e le forti e voluttuose spinte, che assecondò eccitata. E un altro orgasmo stava per risalirle, quando io uscì, coscientemente crudele.
Lei d'istinto strinse le gambe, per ricacciare indietro i preludi di un piacere negato. E voltando la testa mi lanciò uno sguardo d'odio.
La guardai, con sulle labbra un duro sorriso, le accarezzai le natiche, prima con la mano sinistra, poi con la cintura, che feci scorrere lentamente, avanti e indietro.
Il suo respiro si fece selvaggio. Lei rimase in ascolto, quasi trattenendo il fiato.
E nella stanza echeggiò la prima parola della serata... chiedimelo!
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