bdsm
Proprietà di Stefano.
di Ade-69
02.11.2018 |
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"Laura si era nel frattempo ricomposta alla meglio, e stava per togliere la catena dall'anello del collare..."
Il cellulare squillò improvvisamente: un sms in arrivo.- Fra mezz'ora, al solito posto, si faccia trovare pronta. -
Laura sapeva cosa doveva fare, ormai conosceva i desideri del suo padrone.
S'infilò in doccia, si lavò accuratamente e si asciugò.
Prese il suo profumo preferito, un paio di gocce sui capezzoli, qualche altra sul pube.
Prese l'unguento e si unse accuratamente l'ingresso della sua parte posteriore, con un dito si penetrò, rendendo scorrevole l'orifizio.
Si vestì, o meglio, indossò quanto le era stato ordinato: il reggicalze, un reggiseno che lasciava scoperti i capezzoli, gli slip aperti davanti e dietro, un paio di calze nere. Una gonna abbastanza corta, ampia, una camicetta trasparente ed un maglioncino con la zip davanti. Stivali appena sopra al ginocchio.
Mentre si vestiva la sua eccitazione cresceva. Doversi vestire in tal modo, obbedendo ad un ordine, non poter essere libera di scegliere, da un lato le provocava irritazione, dall'altro la stimolava.
Era pronta, si infilò un lungo cappotto nero, mise in tasca le chiavi della macchina ed il cellulare, si guardò allo specchio per controllare che tutto fosse a posto, e fece per uscire.
Improvvisamente si accorse di aver dimenticato qualcosa, o forse aveva volutamente rimosso l'ordine: il collare.
Questo, per lei, era l'oggetto più difficile da indossare. Aprì il cassetto dell'armadio, quello dove teneva la sua biancheria intima, dove lo nascondeva perché il suo uomo non lo potesse trovare, e come lo avrebbe giustificato... da sotto una pila di slip lo afferrò.
Era una sottile striscia di cuoio nero, con una fibbia di acciaio. Al centro era fissato un anello, con una piccola targhetta sulla quale erano incise le parole: - Proprietà di Stefano, bocca e culo riservati al padrone - .
Le era stato imposto al loro primo incontro, lo doveva sempre indossare quando si vedevano.
Lo girò intorno al collo, strinse la fibbia, e si riguardò allo specchio.
In effetti il collare le donava, la rendeva terribilmente provocante, ma la imbarazzava terribilmente.
Dover uscire, in pubblico, talvolta essere fissata da sconosciuti, osservata, scrutata, oggetto di chissà quali pensieri, giudizi....
Deglutì, e corse alla macchina.
Infilò le chiavi, accese il motore, partì molto velocemente.
Aveva paura di essere in ritardo. D'un tratto si fermò di lato: si era scordata di sedersi come le era stato imposto.
Le era stato ordinato, infatti, di sedersi sempre sollevando la gonna, in modo che la pelle del sedere fosse a contatto del sedile. Sempre e dovunque.
Lo fece, ed il freddo della stoffa della macchina le percorse il corpo.
Mentre guidava nel traffico iniziò ad accarezzarsi la fica. Il padrone desiderava infatti trovarla già abbondantemente bagnata al momento del loro incontro.
Arrivò all'appuntamento, scese dall'automobile e salì su quella del padrone. Sollevò la gonna, ubbidiente, lui le accarezzò la fica, infilandole poi due dita dentro, forse per affetto, o forse solo per controllare se era bagnata. Si ritrasse.
Laura sapeva cosa doveva fare: aprì il cappotto, fece scorrere la zip del maglioncino fino in fondo, in modo che i seni risultassero ben esposti, sollevò fino all'inguine la gonna. Lui la osservò attentamente, per controllare che tutto corrispondesse ai suoi desideri e le fece un sorriso di approvazione.
Senza parlare le indicò il cassetto portaoggetti. Laura lo aprì e vide un grosso dildo nero. Lo prese, ed obbedendo a ordini ricevuti in precedenza, lo infilò immediatamente nella fica, che non fece alcuna resistenza, ormai abbondantemente bagnata.
Poi lo sfilò, e muovendosi come poteva nell'angusto spazio della macchina lo accostò al suo orifizio posteriore. Si lascio andare, impalandosi dolorosamente su quell'oggetto, che le entrò nelle viscere, facendole uscire un gemito di dolore.
Il padrone le sorrise nuovamente, e mise in moto....
Percorsero una decina di chilometri, verso la periferia, ed il Padrone fermò l'auto nel piazzale di un bar.
Scesero dall'auto, il Padrone prese sottobraccio Laura ed entrarono.
Stefano scelse un tavolo un po' appartato e si sedettero.
Laura fu subito in difficoltà: doveva sedersi a pelle, sollevando la gonna, il freddo della sedia metallica la colpì come una frustata. Il dildo si incuneò ancora di più dentro di lei. La gonna poi era risalita a metà coscia, e lasciava intravedere l'attaccatura delle calze ed il reggicalze.
Tentò di coprirsi alla meglio, utilizzando il cappotto, mentre stava arrivando il cameriere, ma il padrone con una occhiata glielo impedì.
Rossa in volto, sotto lo sguardo del giovane che attendeva le ordinazioni, e che non distoglieva lo sguardo dalle sue gambe, bofonchiò imbarazzatissima:
- una Guinness ed un bicchiere d'acqua - .
Sapeva cosa doveva fare, ma non sapeva come fare: avrebbe dovuto immediatamente infilare le mani nei pantaloni del Padrone e massaggiargli il cazzo (questi erano gli ordini che aveva ricevuto telefonicamente).
Tentò di avvicinare una mano, ma l'imbarazzo ed il pudore rimastole le impedirono di obbedire.
Stefano iniziò a sorseggiare la birra che era stata portata dal cameriere, sempre più attratto dallo spettacolo offerto da Laura
- Sarà punita severamente per la sua disobbedienza - disse.
Finì di bere, pagò e sollevò rudemente Laura dalla sedia, riaccompagnandola alla macchina.
- Lei deve sempre obbedire agli ordini che le vengono impartiti - disse una volta accomodatosi sui sedili. Estrasse dal cappotto un dildo molto grosso che infilò di colpo nella figa di Laura Pur essendo molto bagnata la grandezza dell'oggetto provocò una certa resistenza alla penetrazione.
- Allarghi di più le gambe - le fu ordinato e si lasci penetrare. L'oggettò entrò completamente.
Il Padrone prese poi dal cassetto della macchina una catena metallica, che fissò tramite un moschettone all'anello del collare di Laura E ripartì verso l'hotel.
Durante il viaggio Stefano non profferì parola. Laura non aveva il permesso di parlare, e così regnò un silenzio pesante.
Laura guardava fuori dal finestrino, aveva dovuto nuovamente sollevarsi la gonna all'altezza dell'inguine. Temeva che qualche autista, superandoli, potesse vedere come era acconciata.
Ripensò alla sua situazione: a gambe aperte, esposte, come i seni, che il padrone aveva intanto scoperto aprendole la camicetta, con due dildi in corpo, che la violavano, tenuta alla catena. Ed era solo l'inizio di un pomeriggio lungo, molto lungo. Stava per piangere, stava per abbandonare tutto, sapeva che poteva farlo. Il Padrone era stato molto chiaro: - quando vorrà smettere, potrà farlo in ogni momento, sarà lei ha decidere - le aveva detto al loro primo incontro, quando aveva accettato di iniziare a percorrere la strada per divenire una vera schiava.
Inizialmente aveva riso pronunciando quella parola - schiava - , sarà solo un gioco si era detta, una nuova esperienza, perché non provare anche questa, si era tranquillizzata, ma man mano che il gioco andava avanti qualcosa dentro di lei stava cambiando. Nuove sensazioni, a volte anche dolorose, nuove esperienze le aprivano la mente, e non solo quella; era un mondo sconosciuto, che la appagava, che la attirava...
Intanto una grossa auto si era affiancata alla loro, in sorpasso.
Il conducente, gettando un'occhiata, si era accorto di Laura, del suo abbigliamento, e non si decideva a superare. Anzi aveva iniziato a sorriderle, ammiccando, attento che la donna che sedeva al suo fianco, forse la moglie, o i due bambini seduti dietro, che giocavano, non si accorgessero del suo comportamento. Questo fece imbestialire Laura: un ometto tutto casa e famiglia, che probabilmente nei suoi sogni avrebbe voluto essere al posto del padrone, si permetteva di osservarla, di provocarla. Un lampo le percorse la mente: al diavolo le regole borghesi, al diavolo l'ipocrisia di una società sessuofobica, al diavolo il perbenismo di facciata. Con una mano aprì la lampo dei pantaloni del padrone, estrasse un cazzo lungo e duro, e se lo tuffò tutto in bocca, succhiandolo, leccandolo, accarezzandolo con le labbra.
Il padrone, colto di sorpresa, rallentò la corsa, l'ometto finalmente li superò. Laura prosegui nel suo lavoro di bocca, felice di sentirsi penetrata in ogni orifizio del suo corpo, libera di godere della propria sessualità in modo completo. Con le mani iniziò a muovere i due dildi, si ficcò in gola il cazzo del padrone che venne, violentemente, lungamente, ricevendo un caldo fiotto di sborra, che inghiottì completamente.
Si abbandonò al silenzio, rilassandosi dolcemente, fra le gambe del padrone, tenendo il cazzo in bocca, sentendolo piano piano rimpicciolire.
- Molto brava Laura - disse Stefano accarezzandole i capelli. - E' così che la voglio - .
Arrivarono al parcheggio dell'hotel. Laura si era nel frattempo ricomposta alla meglio, e stava per togliere la catena dall'anello del collare. - Non si azzardi - le fu ordinato. Stefano scese infatti dall'auto, e aperta la portiera fece scendere la donna, tirandola per la catena.
Laura capì e si irrigidì: sarebbe entrata in albergo a guinzaglio del Padrone.
Arrossì, stava per ribellarsi, per interrompere il gioco. Un nuovo strattone, violento ed improvviso, che quasi stava per farla cadere, la distolse, e obbediente si mosse. La signorina della reception guardò distrattamente i documenti che Stefano le aveva porto, intenta com'era a scrutare Laura, il suo collare, la catena. Le sorrise beffardamente, consegnando a lei le chiavi della stanza ed augurando invece al Padrone - un buon pomeriggio - .
Stefano ringraziò, trascinò Laura all'ascensore, e finalmente alla stanza loro riservata. Si tolse il cappotto e si sdraiò sul letto. - Si spogli - le disse.
Sapeva cosa doveva fare: lentamente tolse il cappotto, il maglioncino, la gonna, rimase solo con il reggiseno da cui usciva buona parte dei seni, con gli slip aperti davanti e dietro, e da cui spuntavano in bell'evidenza i dildi che da molto tempo la stavano trafiggendo, calze e reggicalze completavano il suo abbigliamento. Portò le mani in alto dietro la testa: era la posizione dell' - ispezione - . Le era stata insegnata dal padrone: le aveva inviato una mail con la fotografia di una donna che documentava come doveva proporsi.
In effetti le mani alte dietro la testa mettevano ben in evidenza i seni. Le gambe, che dovevano essere ben aperte, divaricate, permettevano un facile accesso alle sue parti intime. Il padrone estrasse una macchina fotografica e la fotografò ripetutamente. Poi le si avvicinò e le accostò alla bocca due dita. Laura immediatamente le accolse, e le leccò accuratamente.
Il padrone rudemente le tolse il dildo posteriore, ed inserì al suo posto le dita bagnate. Fu così a lungo ispezionata.
Ad un tratto il padrone si ritrasse, ma solo per raggiungere un cuneo anale di notevoli dimensioni, che le fece velocemente entrare nel retto.
Un grido di dolore fu soffocato da un tenero bacio da parte di Stefano.
A Laura parve incredibile: da una parte due grossi dildi la laceravano, dall'altra un lingua dolcemente si insinuava nella sua bocca, le mani del padrone le accarezzavano teneramente i capelli. Contemporaneamente piacere e dolore, dolcezza e brutalità, una sensazione sconvolgente, non riuscì a trattenersi, e venne, venne a lungo, mentre qualche lacrima le solcava il viso. Ma era felice, immensamente felice.
Doveva ringraziare il padrone per quella felicità. S'inginocchiò, aprì la patta dei pantaloni, estrasse un cazzo ormai decisamente duro e teso e se lo tuffò in gola, succhiandolo avidamente, mentre le mani accarezzavano delicatamente le palle. Lo sentì arrivare, lo sentì esplodere in gola, lo bevve tutto, ripulendolo accuratamente.
Si accasciò a terra, appagata, sudata, subito raggiunta da Stefano, che la accarezzò dolcemente - bravissima Laura - le disse. - Lei è stupenda - .
Il padrone, tirandola per la catena, fece avvicinare Laura al letto, - a carponi - le fu ordinato.
Si mise nella posizione che ben conosceva, ormai: inginocchiata, la faccia appoggiata al materasso, il sedere in alto, il più in alto possibile. Era una posizione che la imbarazzava moltissimo: esposta completamente, nelle sue parti più intime, allo sguardo del padrone, per di più con due dildi che fuoriuscivano un poco dai suoi orifizi.
Il padrone la fotografò più volte, da davanti, da dietro, molto ravvicinata. Laura si chiedeva che uso sarebbe stato fatto di quelle foto: il padrone le avrebbe mostrate agli amici, magari vantandosene? O le avrebbe ritrovate su qualche sito web BDSM? Quanti uomini le avrebbero viste, quali apprezzamenti avrebbero fatto su una donna in quelle condizioni? Perché accettava coscientemente un tale livello di umiliazione, perché non smettere, scappare, fuggire lontano...
Un dolore acuto interruppe tali pensieri. Una fitta ad un capezzolo e, immediatamente dopo, all'altro. Il padrone le stava applicando le mollette. Due piccole mollette di ferro, collegate fra loro ad una catenella, che proseguiva fino a raggiungere altre due mollette, che le furono subito applicate alle grandi labbra. Una terza molletta le fu fissata sul clitoride. Questa la fece urlare dal dolore, tanto stringeva.
- Sarà punita per questo - le fu detto.
Inizialmente era assai doloroso, ma poi, man mano il tempo passava, il dolore diminuiva, lasciando spazio ad una strana sensazione, per certi versi anche piacevole. Nel frattempo Stefano le aveva fatto alzare la testa, presentando davanti alla sua bocca un cazzo in piena erezione. - Lo lavori come sa fare - le fu ordinato.
Laura era abituata a soddisfare Stefano in tale modo. - Lo lavori - era la frase che le indicava come procedere. Doveva usare la bocca e la lingua sul cazzo, ma le era vietato assolutamente ingoiarlo. Doveva leccare l'asta, le palle, ingoiarle lungamente, strofinare le labbra sulla cappella. A lungo, a lungo.
Il padrone adorava essere servito in tale modo (glielo aveva detto sin dall'inizio: - La sua bocca, Laura, come per altro il suo corpo e la sua mente hanno un unico scopo: servire il mio cazzo. Sempre ed in ogni momento - ).
Si era appoggiato sul materasso, costringendo Laura in ginocchio, ai piedi del letto, e per maggiore comodità aveva messo le sue gambe sulle scapole della donna. A Laura piaceva la fellatio, ma adorava sentirsi penetrata in gola dal cazzo. Sapeva che sarebbe avvenuto, ma solo quando il padrone avrebbe giudicato soddisfacente il suo lavoro di bocca. Si mise quindi di impegno, leccò, accarezzò, baciò quello strumento di piacere che tanto adorava, per cui era disposta a soffrire e gemere. Lavorò a lungo, cercò di essere sempre più brava, più servizievole... più troia.
Ogni tanto il padrone afferrava la catenella che univa le mollette, strattonandola, e provocandole fitte di dolore intense: era il modo che Stefano utilizzava per addestrarla a lavorare bene il cazzo: quando era brava la catenella non veniva tesa, ma se solo si fermava un attimo, per riposare la bocca o la lingua, una forte tensione le ricordava il suo dovere: servire il cazzo, continuamente.
Il pensiero che entro breve quella dura asta, che stava servendo da ormai un quarto d'ora, le sarebbe entrata in gola la riempiva di gioia, di piacere.
Infatti di lì a poco il padrone la fermò, prendendola per i capelli, la guardò negli occhi, con le dita le aprì la bocca e le si tuffò in gola. Finalmente pensò Laura. Fu tanta la sua riconoscenza che iniziò a succhiarlo a fondo, su e giù, sempre più eccitata, sempre più vicino all'orgasmo.
- Ora sarà punita con il frustino - , le fu detto, ed una fitta dolorosa scosse le sue reni.
Al padrone piaceva moltissimo frustarla mentre Laura gli succhiava il cazzo.
Le aveva spiegato che le contrazioni istintive, involontarie che le frustate provocavano alla bocca di Laura erano, per il cazzo che stava servendo, dolcissime sensazioni. Senti l'asta indurirsi a dismisura, invaderle la gola, penetrarla a fondo. Sentì qualche altra frustata, stava per urlare, ma un fiotto di sperma glielo impedì.
Fu felice, immensamente felice: il padrone si degnava di godere in lei, di riempirla di sperma in maniera totale, profonda. Fu anche fiera, fiera di potere far godere Stefano: la sua disponibilità totale, la sua cieca obbedienza portavano il padrone a desiderarla, a possederla, forse ad amarla... Bevve tutto, mai nulla era stato così dolce.
Il padrone si distese sul letto, appagato. Laura, sempre con il cazzo in bocca, si adagiò fra le sue gambe. E si assopirono...
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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