Lui & Lei
La Doppia Esse
di Arturo72
22.09.2021 |
444 |
3
"In effetti ho sempre rifiutato di avere numeri dedicati ai giochi extra..."
Apro il sito, il solito, come mi capita di fare ogni tanto, in base ai miei spostamenti di lavoro. Clicco “singole”, clicco “Emilia Romagna”, e clicco “online”. Cerca. Ci sono 13 singole online, presumibilmente donne più o meno comuni, e tutte qui dentro – spero – in cerca di qualcuno con cui condividere qualcosa che abbia a che fare col piacere del sesso.
Leggo rapidamente, scarrellando verso il basso con la rotellina del mouse, in cerca di un nick che mi ispiri qualcosa di buono.
Ne apro qualcuno, leggo con attenzione la presentazione, leggo le recensioni. E’ stupido, lo so, ma io chiedo, e ho sempre chiesto, di non avere feedback. Sostanzialmente, nonostante non abbia nessuno a cui dover render conto, non ho piacere che si sappia che il tal giorno ero a scopare nel tal posto e con la tal persona. E’ stupido, lo so, soprattutto perché io i feedback vado proprio a cercarli per trarne spunto, leggendoli.
Niente, nessuna delle 13 mi ispira qualcosa di positivo. Quattro o cinque cercano solo donne. Qualcuna cerca solo super fisicati. Qualcuna troppo fuori zona rispetto al mio percorso.
Chiudo la pagina. Apro il mio sito porno preferito e mi vedo un paio di bei pompini.
Rilancio la ricerca in Emilia Romagna.
Adesso sono 11, online. Mi soffermo subito su una ragazza che scrive di abitare esattamente nella città dove il giorno successivo ho un appuntamento di lavoro. Leggo il profilo. Non scrive niente di particolarmente intelligente o particolarmente qualcosa, ma mi intriga. Bel culo, dalle foto, e bellissimo seno. Mia coetanea, feedback contrastanti, di cui qualcuno scritto in un italiano sgrammaticato.
Le mando un messaggio, scrivo quello che mi passa per la testa. Non ricordo i dettagli, ma certo le faccio presente che il giorno successivo avrei avuto qualche ora da dedicare ad un incontro. Le dico che se interessata, mi avrebbe fatto piacere leggere una sua risposta, per poi scambiarci i numeri e sentirci.
Lo so, il tempo di preavviso è poco, ma che posso farci? Ho voglia di un paio d’ore di relax, di una persona completamente sconosciuta con cui approcciarmi. Tentare di entrare in sintonia.
Il messaggio è partito. Mi metto a lavorare, e di tanto in tanto controllo nella posta in arrivo. Niente. Perdipiù la Tizia in questione non è più online. Lo leggerà, tra le decine e decine che riceverà quotidianamente? Vedremo.
A metà pomeriggio mi ricollego, e trovo la notifica di lettura. Nessuna risposta al momento. Mi ha “potato”, mi dico. Fanculo, mi piaceva la Tizia. Mi riprometto che in serata, da casa e in tranquillità, vedrò di proseguire la ricerca. La voglia di godermi una bella scopata aumenta all’avvicinarsi del momento. Aveva due bellissime tette, la Tizia. Fanculo di nuovo. Fanculo non a lei, ovvio. Fanculo ai superfighi, più che altro. Sarà la primavera, sarà il sole dopo giorni di pioggia. Sarà che semplicemente ho il cervello frizzante, in questi giorni più che in altri.
Rientrando verso casa, mi collego col telefono. Ha risposto, cazzo. Ha risposto! E lo ha fatto nella maniera che meno immaginavo. Lipperlì rimango basito. Ha scritto il proprio numero di telefono, aggiungendo “fino alle 20.00”. Manca mezz’ora. Rapidamente valuto se chiamarla. Riapro il suo profilo, lo rileggo. Nessun segno di profilo fake e nessuna sensazione contraria al chiamarla.
Memorizzo il numero, apro whatsapp, cerco l suo profilo e trovo la solita foto del profilo del sito, ritagliata ed editata in maniera da rendere quel bellissimo culo quasi irriconoscibile. Quasi. In aggiunta, sul profilo whatsapp, l’ormai fin troppo citato “Audentes Fortuna Iuvat”. Ecco, sarò audace.
La voce è delicata: mi presento, ricordandole prima di tutto - e molto banalmente - il mio nick sul sito. Si presenta pure lei, ripetendo col sorriso il suo nick, ma presentandosi anche con il suo nome. Mi risponde con tono scherzosamente seccato che non è cosa abituale per lei dare il proprio numero a tutti quelli che vogliono scoparla. “Facile”, le dico, “usi un numero di servizio, direi”. Mi smentisce a gran voce, sostenendo che nonostante la foto quello è il suo numero, l’unico. “Altrettanto per me”, le dico.
In effetti ho sempre rifiutato di avere numeri dedicati ai giochi extra. Mette le mani avanti, subito. Il solito avvertimento in cui le ragazze, credo solo loro, vogliano mettere in chiaro che non esisterà nessun obbligo e, Tizia in particolare, auspica nessuna forma di risentimento per un eventuale “No”.
Siamo entrambi di fretta: io quasi a casa, lei col marito in arrivo. Si stupisce che il mio accento non sia così marcatamente toscano. Ogni volta la solita solfa: mi spiace non aver l’accento di Pieraccioni, ma così è.
Ci confermiamo la voglia di vederci il giorno successivo, e ci lasciamo convenendo che le 18.00 potrebbe essere un orario giusto. Ci riaggiorneremo per i dettagli del dove.
Mi faccio subito un film mentale. Mi immagino su un letto, una bella camera, penombra. Immagino il suo sapore, i suoi seni con quei capezzoli così spudoratamente prominenti e duri. Mi viene in mente che nella foto del seno si intravedono le dita, senza colore. Naturali, corte.
Tengo il volante fermo con le ginocchia: una mano che sorregge il telefono aperto sulla foto del suo culo e l’altra sui pantaloni, a tastare il cazzo già duro.
Parto con calma, il giorno dopo. Mi ci vogliono 3 ore circa per arrivare a destinazione e l’appuntamento di lavoro è alle 15.00. Mi sono svegliato carico. Forse ho sognato qualcosa di piacevole, forse per il fatto di incontrare Tizia. Ma comunque, mi focalizzo sull’incontro, quello di lavoro. Monto in machina, parto e per prima cosa controllo whatsapp. Nessun messaggio dalla Tizia. Apro la pagina del sito, nessun messaggio. Mando un odioso buongiorno, con un occhiolino a recuperare la banalità, e subito mi arriva un buongiorno, seguito da uno dei tanti sorrisi di whatsapp. Mi dice che al momento non può scrivere e chi mi avrebbe chiamato entro poco, durante la pausa pranzo. “Ok”, dico. “Sono qui, quando vuoi”.
Mi arriva un messaggio, dopo poco in effetti. Si scusa di non aver chiamato, e prosegue dicendo che la non chiamata è voluta, proprio perché fa parte del gioco, se mi va. “Parla”, le rispondo. Vedo scrivere, scrivere, scrivere… “ho voglia di giocare, oggi. E il gioco è il seguente: ho un camper parcheggiato nel parcheggio condominiale. Lo riconosci perché dietro ha gli adesivi stilizzati di un uomo, una donna, una bambina ed un gatto. Arrivi alle 18.00, l’indirizzo te lo mando dopo. Troverai la porta del camper aperta. Entra. Troverai il letto grande già preparato, una bottiglia di vino, e TRE bicchieri. Tu entri, apri il vino, e versi DUE bicchieri. Cosa fare con quei due bicchieri lo capirai subito. Il terzo potrebbe servirci, ma non è obbligatorio, lo vedremo dopo. Abbiamo fino alle 20.00, poco meno.“. Mentre leggo arriva un altro messaggio: “ti immagino col cazzo duro, leggendomi. E immagino che quel cazzo duro sia il solito che troverò entrando dentro al camper. Ps. Non aprire le tendine, voglio il buio.”
Lo rileggo, tutto. Di solito mi piace essere l’artefice della realizzazione della mia fantasia, o della fantasia altrui. Il giochino del buio oramai è stato fatto e rifatto. E nonostante questo ogni volta è un thrill pazzesco. Ma qui si aggiunge quel terzo bicchiere. Chiederei spiegazione, al riguardo. Ma capisco perfettamente che se avesse voluto spiegare di più, l’avrebbe fatto. Rispondo: “mandami l’indirizzo, ok.”
Arrivo a destinazione.
L’incontro di lavoro mi assorbirà energie. Si tratta della prima (spero anche ultima) negoziazione per l’acquisizione di un lavoro piuttosto importante. Devo spezzare l’incantesimo dell’arrapo mentale, e di quello fisico altrettanto.
Entro, la receptionist mi saluta sorridendo. Mi presento, e le chiedo di volermi annunciare. Compone il numero della persona che devo incontrare, parlotta al telefono e mi chiede di attendere. Seno sapientemente e maliziosamente nascosto dentro una camicia troppo stretta. “Brava”, commento tra me e me. Il mio interlocutore arriverà tra pochi minuti. Mi offre un caffè, che accetto. Si alza e mi invita a seguirla al distributore. Jeans chiari che fasciano un culo da olimpiadi. Facciamo due chiacchiere, il più e il meno. Ho fissato in mente il modo che ha di pronunciare il nome dell’azienda, rispondendo al telefono. Quella “doppia esse” romagnola che non smetterei mai di ascoltare. Glielo dico, e sorridiamo. I lineamenti sono marcati, gli zigomi in evidenza. La figura, nell’insieme, non fa scopa con la dolcezza della voce. Facciamo quei pochi passi e rientriamo nell’androne vetrato. Il mio interlocutore sta arrivando, mi tende la mano e mi invita a seguirlo. Per un attimo mi dimentico di lei, ma camminando mi volto e la ringrazio per il caffè. Sorride. “Gnocca”, penso, mentre ci incamminiamo verso la sala riunioni.
Il tempo passa, l’orologio corre. Si fanno le 17.00 in un attimo, e poi si fanno le 17.30. L’incontro è terminato già da un pezzo, effettivamente. Adesso sono solo chiacchiere in relax. Durante l’incontro è riapparso un paio di volte il magnifico culo fasciato nei jeans. Un bisbiglio all’orecchio del capo e poco dopo altri caffè. Si è ricordata che lo prendo macchiato. Brava, e gnocca.
Non è stato concluso niente, al solito. Dovrò tornare. Trovo la maniera di interrompere quel loop di chiacchiere a vuoto, che mi fa soltanto far tardi. Comincio a recuperare il portatile, i vari fogli, le cartelline. Stretta di mano con tutti. Sorrisoni miei, forse più per quello che mi aspetta che per l’incontro appena concluso. Cammino verso l’uscita, riattivo la suoneria al telefono e apro whatsapp: Tizia ha mandato due messaggi. “mancano 30 minuti”. “mancano 15 minuti. Camper aperto, vino in fresco. Spero tu abbia il cazzo come mi aspetto”. “Arrivo”; rispondo. So che ci vogliono 10 minuti per arrivare a quell’indirizzo. Lo inserisco nel gps e parto.
Arrivo con pochi minuti di anticipo, come sempre mi succede nei miei spostamenti. Ho il cazzo moscio. Parcheggio piuttosto vicino a quello che per me è l’ingresso principale del condominio. Qualcosa mi invita a nascondere in auto le carte di credito, e lo faccio. Non so perché, non è paura. Ma forse meglio prevenire spiacevoli sorprese che quella situazione a cui mi presto potrebbe creare. Mi metto in tasca la confezione dei profilattici. Individuo il parcheggio, ed in effetti ci sono quattro camper, di cui solo uno ha quell’adesivo di cui mi aveva parlato. Cazzo moscio. Cazzo! Non c’è modo in quella situazione di farlo tirare. Le fantasie corrono, ma non basta. L’eccitazione è a millemila. Il cuore batte ovunque, e continuo ad avvicinarmi.
Ho certezza che Tizia mi stia osservando da uno dei condomini li intorno. La zona è piuttosto anonima, viale di platani e condomini mediamente ben fatti. Mi soffermo al lato del camper, portando fintamente il telefono all’orecchio, fingendo di parlottare. Voglio cogliere, se mai ci fossero, dei rumori all’interno. Niente, tutto tace. Il camper è nuovissimo, e piuttosto grande. Metto la mano alla maniglia, tiro, ed il meccanismo fa aprire la porta. Contemporaneamente si apre un predellino sul quale poter salire. Entro. Mi giro a destra e sinistra, vedo la bottiglia nel secchiello. Ed i tre bicchieri. Due sdraiati, intrecciati per lo stelo. Uno in piedi, scostato. Mille domande in testa, nessuna risposta. Sulla destra, a metà distanza, c’è una tenda di velluto tirata. Immagino che il letto sia li dietro. Cazzo moscio, ancora. Richiudo la porta dietro di me dopo aver memorizzato l’interno del camper. Comunque è a destra che devo andare. Penombra, penombra buia direi. Le finestrelle non fanno passare che alcuni fasci laser di sole. Sospiro a pieni polmoni e mi avvicino ai bicchieri ed al vino. C’è profumo di vaniglia nell’aria. Avevo qualcosa di simile in casa tempo fa, arancia e vaniglia.
Nel silenzio completo sento lo schiarirsi di voce, da dietro le tende. Mi blocco. E’ una donna, ne sono certo. A seguire, queste parole: “mi ha detto Tizia, che saresti arrivato e l’avresti aspettata qui dentro, al buio, col cazzo in tiro. Quello che non ti ha detto è che avresti trovato me”. Sono ancora li in piedi, bottiglia in mano, impalato. Mi viene spontaneo rispondere a quella voce, chiedendo se anche lei ha voglia di bere del vino. “Versamelo, grazie. Ma lascia i bicchieri li sopra”, mi risponde. Riempio due bicchieri e poso la bottiglia. “Che vuoi che faccia?”, le chiedo. “Aspettiamo qualcuno?”.
Intravedo la tenda aprirsi , dal centro. E’ un sipario, direi. E intravedo pure Lei, li dietro. E’ seduta sul bordo del letto. Capisco che è bionda, e mi pare indossi un reggiseno nero. Mi avvicino, sono spudorato. Lei più di me, tutto sommato. Le arrivo a 10 cm e non fa una piega. Mi sbottono i pantaloni e li faccio scivolare giù insieme agli slip. Ho il cazzo barzotto, adesso. Lo conosco fin troppo bene. Ha voglia di sentire una mano e sentire una bocca.
E’ li pronto per esser preso in bocca in tutta la sua morbidezza ed esser trasformato in un cazzo di marmo. E lo so, ci vorrà poco. Lei abbassa le testa, piegandola da una parte e lo prende esattamente come piace a me. Senza mani, risucchiandolo dentro. Se lo fa crescere in bocca come poche donne sanno fare.
E’ il giusto compromesso tra il saper usare le labbra, il palato, la lingua, e il saper succhiare e rilasciare. “Mungilo”, le dico. “continua a mungerlo così”. Gli occhi si cominciano ad assuefare al buio, e l’ambiente si schiarisce. Pure Lei diventa più nitida. Robusta, direi. Uno di quei fisici morbidi e floridi botticelliani. Capelli lunghi, li sentivo tra le mani e li vedo adesso. Un seno straripante dentro quella guêpière nera.
Continua a mungermi il cazzo mentre io infilo le mani nel reggiseno e palpo quel ben di dio. Riesco a tirarli fuori, entrambi. Seni pesanti, grandi. Cerco i capezzoli, li sento tra le dita. Sono piccoli, sproporzionati rispetto a quell'abbondanza. Un seno in ciascuna mano, mi sembra di impastare il pane. Bellissimo. Lo massaggio, lo sento, voglio conoscerlo. Il cazzo esplode. Immagino le vene, la cappella dura dentro quella bocca. Una mia mano va dietro la sua testa, e comincia a spingerla contro di me. Voglio sentirla piena del mio cazzo. Voglio sentirla tossire. Voglio sentirla sbavarci sopra.
L’ambiente è saturo dei suoi rumori sciacquettosi, dai suoi risucchi, dalle sbavate. “Usa anche le mani”, le dico “segami come più ti piace farlo”. Sento una mano sulle palle morbide, la sento che me le massaggia, le stringe delicata ma decisa. Non fa male, per niente. Sento quella mano che risale le palle fino all'attaccatura. Le prende in pugno, delicatamente, mentre con l’altra mano continua a segarmi a pugno chiuso, come un’ossessa. Quei momenti che uno deve decidere se schizzare di brutto, o godersela ancora a lungo. “Continua” le dico “continua così che sei una macchina da guerra”.
Voglio che duri il più a lungo possibile. Comincio a vedere il luccichio dei suoi occhi. Oramai il buio iniziale è diventata penombra leggera, ai miei occhi. La fermo e le metto il cazzo in mezzo alle due montagne. Mi ci sparisce dentro, ma lei è incredibile. Si abbraccia le tettone, e comincia a spagnoleggiare a ritmo serrato. Si sputa tra le tette e sputa sulla mia cappella. Mi devo letteralmente trattenere dal non schizzare un litro di sborra su quel viso.
Mi arriva il trillo di un messaggio.
E’ Tizia, vuole una foto del mio uccello in bocca di Lei”. Faccio leggere il messaggio a Lei, che sorride. Apro la fotocamera, metto il flash e scatto un paio di foto. Le invio. In un attimo arriva la risposta, con la foto di Tizia che si tocca. “Non male, rispondo. Qui c’è posto”. “E se non fossi io la terza che puoi aspettarti di veder arrivare ;-) ?”
Dico a Lei.. “chiamiamola, che ne dici?” Continuando a succhiarmelo fa “si” con la testa. Chiamo Tizia, che non risponde. Dopo poco altro messaggio, con un video. Tizia che spompina un cazzo. E la voce che dice.. “aspettatemi”. “Non farlo schizzare” dice a Lei “aspetta me”.
Cervello in pappa, il mio. Tizia in casa con un uomo da spompinare. Io qui con Lei, che mi spompina. Non amo altri uomini in mezzo, mentre scopo. Davvero, non mi piace troppo l’idea di un altro uomo, e ancor meno mi piace l’idea del mio uccello a pochi centimetri da un altro uccello. E’ un mio limite. Per cui riprendo il telefono: “se decidi di unirti, arriva da sola. Tizio lascialo a casa”
Passano pochi minuti e la porta del camper si apre di colpo, preceduta dal ticchettio dei tacchi. Lei ed io ci giriamo, istintivamente, e siamo abbagliati. Entra Tizia. Lei vede noi, inequivocabilmente. E io, nel controluce, non vedo lei, per niente. Richiude la porta dietro di se, e adesso siamo noi in vantaggio. La vediamo, circa, vediamo i contorni, ed è lei al buio. La sento sorridere, a due metri di distanza. Una risata delicata, come ricordavo al telefono nella prima e ultima telefonata.
Si avvicina a noi due, oramai sciolti. Si avvicina a me, sento le sue mani sul viso. Mi percorre il viso con le dita. Come se volesse memorizzare i dettagli.
“Grazie Lei”, dice con quella voce bellissima. “Se non ti dispiace, vorrei rimanere sola con lui”. Lei scende dal letto, sul quale si era riadagiata, da un bacio a Tizia, ringraziandola. Cammina verso il lato opposto del camper, dove in un attimo si sfila la guêpière e indossa una gonna. “buon divertimento”. Tizia la blocca, d’improvviso “aspetta!”. Le si avvicina, le da un secondo bacio e le sussurra qualcosa all'orecchio. Io col cazzo duro in mano. In piedi, ancora. Tizia mi viene dietro, e da dietro mi copre gli occhi con le mani, profumatissime di buono. Dal buio delle mani mi accorgo che la porta si apre e si richiude. Lei esce, ne sento i passi.
Rimango con Tizia, li dentro, in quella penombra che ormai mi ha rotto le palle. Vorrei luce, vorrei tanta luce.
Vorrei vederla. Si spoglia, dietro di me. Sento che si sbottona la camicia, la toglie. Sento le scarpe volare. Sento quei due tre bottoni dei jeans saltar via, e sento come se muovesse il culo per farli scendere e toglierli. Rimane dietro, e con le mani mi abbraccia il torace, per poi scendere direttamente sul cazzo. Lo afferra, lo tocca. E’ ancora di marmo, nonostante quei minuti di intermezzo. Sento che mi guida con le mani per farmi girare. Si abbassa, piegandosi sulle ginocchia. Me lo prende in mano, lo tasta come se dovesse strizzarlo.
Ma vinco, senza discutere: il marmo è marmo. Sento la punta della lingua sulla cappella. Sento la lingua leccarlo dalle palle fin su. Sento la bocca, e la intravedo, prendermelo dentro. Lo lascia, per un attimo. Si alza, mi si avvicina all'orecchio e d’improvviso mi sussurra il nome di quell'azienda, con quella “doppia esse” romagnola. Esattamente come se stesse rispondendo dalla sua postazione di lavoro: “Doppia Esse buongiorno, sono Tizia”.
“Il caffè te l’ho già offerto”, mi dice. “Adesso sdebitati, e scopami il culo. Abbiamo più di un'ora”.
-----------
Possibile che qualcuno lo abbia già letto anni fa: il racconto è il medesimo, e sono il medesimo pure io :)
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore.
Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.