Lui & Lei
La Benzinaia
di Arturo72
04.09.2019 |
18.899 |
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"Dirle che un’immagine del genere, apparte il fatto che mi si è impressa nella testa, e ci rimarrà, è di un erotismo unico..."
E’ un tratto di strada che per vari motivi percorro da qualche anno, al mattino. Una strada a grande scorrimento. C’è quest’area di servizio, con un bar. Nulla di che.
Mi fermo la prima volta, dire tre anni fa, faccio il pieno e vado a pagare il dovuto.
Pago ad un tizio che trovo alla cassa, e chiedo un caffè. Mi dice che la collega, la barista, è in magazzino ma che torna in un attimo.
Mi metto a leggere un quotidiano, in attesa. Solite cazzate di cronaca locale.
Dopo un attimo davvero, ecco la barista: minuta, magra, ben fatta, capelli corti biondi, occhi profondamente blu. Quarant'anni al massimo. Risalta la sua abbronzatura: : una di quelle che si stende al sole e ci sta ore, penso.
Indossa degli shorts e la T-shirt col logo dell’azienda petrolifera.
La T-shirt mi incanta. Non il colore, non la forma e non qualcosa che la renda bella.
La T-shirt mi incanta perché la Tizia dietro il bancone lascia che i suoi capezzoli di marmo trapassino quella maglia. Due seni piccoli, alti, e due capezzoli che mirano in alto, duri come da tempo non mi è capitato di vedere.
Mi chiedo se stia indossando il reggiseno.
Vorrei farle i complimenti, quelli veri. Dirle che un’immagine del genere, apparte il fatto che mi si è impressa nella testa, e ci rimarrà, è di un erotismo unico. Vorrei dire qualcosa, ma credo sia meglio soprassedere.
Inizio a frequentare il posto, che è diventato il mio punto di rifornimento mattutino.
I pieni di benzina e le colazioni si susseguono, così come procede una simpatica e banalissima conoscenza con la barista. Qualche sorriso, una battuta da parte sua, una da parte mia. Niente di peccaminoso e niente di ammiccante. Ma c’è una simpatia. Né un’allusione, né un doppio senso. C’è una cortese simpatia che si percepisce.
Nel tempo colgo alcuni riferimenti ad una sua situazione sentimentale, al fatto che è madre, poco altro. Ma quella simpatia è sempre palpabile.
Succede che le cose cambino, nella vita. Succede che per qualche tempo non ho più avuto modo di fare la mia sosta nel solito posto.
Fino a ieri.
Dopo mesi sono ripassato di li. Ho subito visto che il bar era chiuso, e avrei tirato dritto se non fosse stato per il fatto che dovevo per forza fare rifornimento.
Al contrario di mille altre volte, la stazione di servizio non era gremita di auto in attesa del proprio turno. Al contrario di tutte le altre volte, invece, al posto del ragazzo addetto ai rifornimenti, è sbucata fuori lei. Sorpresa, inaspettata e piacevole.
Mi ha riconosciuto, è uscita dall’ufficio e mi è venuta incontro. Sorrideva.
Gliel’ho detto, che era una sorpresa trovarla al posto del ragazzo. Ed era pure una sorpresa trovare il bar chiuso, saracinesche abbassate.
Mi racconta di una ristrutturazione e alcuni cambiamenti in corso.
Lei parla, e io la guardo. Bocca bellissima, denti perfettamente allineati e bianchi. Solita abbronzatura.
La solita T-shirt e soliti capezzoli duri a premere li sotto, a sfondare il tessuto.
Li guardo, non resisto. Lei guarda me che li guardo. Io guardo lei che guarda me. Ci ricambiamo il solito sorriso, ma oggi – dopo tutto questo tempo - ha preso un connotato di complicità. Forse il fatto di essere soli, quasi. Forse altro, non ho idea, ma prendo il coraggio a due mani e parlo.
“Trova la scusa che ti pare, ma portami dentro il tuo ufficio”, le dico sottovoce.
Mi guarda, tra lo sbigottito, l’imbarazzato e l’intrigato. Mi fissa, e io glielo ripeto, col solito tono, ma scandendo più lentamente le parole: “Trova - la scusa - che ti pare - ma - portami – in - ufficio” .
Ci sono due auto alle pompe, e nessun bisogno di lei perché tutto automatico.
“Ti vado a prendere la tanica”, mi dice a voce forse anche troppo squillante. I due che stanno facendo rifornimento nemmeno si accorgono di cosa sta per succedere. Si allontana verso quella che una volta era l’officina e io, forse 30 secondi di attesa, la seguo.
Apro la porta dell’officina. Il contrasto col fuori mi rende l’ambiente buio. Cerco di mettere a fuoco ma non la trovo. Faccio qualche passo e vedo una luce accendersi, in un secondo locale.
Proseguo e mi soffermo sulla porta.
E’ in piedi, culo appoggiato ad una scrivania, caviglie incrociate e braccia conserte. Mi guarda, mi fissa. Io la guardo, e la fisso. Indossa dei pantaloni fin troppo larghi per il suo fisico. Le scarpe antinfortunistiche.
“Se fossi nuda, con solo un paio di deolté ai piedi, non saresti altrettanto sexy” le dico.
“Se fossi nuda, con soltanto un paio di decolté ai piedi, ce l’avresti duro”, mi sfida.
Entro dentro, mi chiudo la porta alle spalle. Mi avvicino e mentre lo faccio mi tolgo la cintola e mi sbottono i jeans. Il cazzo è di marmo, ma lei lo sapeva perché l’aveva puntato fissandomi. Spero.
Sono di fronte a lei, i jeans abbassati alle caviglie e il cazzo di marmo che le si appoggia alle cosce. Le metto una mano dietro la nuca e la bacio. La lingua calda, caldissima. Una lingua avvolgente che sa come si bacia. La giro, staccandomi dalla sua bocca, e la appoggio alla scrivania : lei si slaccia i pantaloni e li lascia cadere in basso.
Ha un perizoma bianco, candido che contrasta con l’abbronzatura perfetta del corpo. Un culo da ventenne, duro, definito.La mano che era sulla nuca le si appoggia sulla schiena, premendo perché si abbassi e si pieghi.
Mi sputo sulle dita, le scosto il perizoma e avvicino le dita alla sua fica. Non serve, è un lago.
Me ne fotto di non avere preservativi, non me ne frega una sega. Voglio morire per quella scopata, se serve.
Me lo prendo in mano col solito orgoglio, le allargo le chiappe con una mano e avvicino la cappella tesa e dura. Scivolo dentro come fossi sul sapone.
E la pompo, la pompo come se non ci fosse un domani. Forte. Forte come nemmeno io ne ho idea. La voglia di riempirla che mi è presa è incontenibile. Le scopo la fica e penso a scoparle quel culo. Ma proseguo, non mi stacco, non mollo. Continuo come un animale a scoparla su quella scrivania che scricchiola ad ogni colpo.
Lei geme, soffocando le urla. Si mette in bocca un block notes che trova sulla scrivania.
La guardo, da dietro. Penso ai suoi capezzoli. Li voglio. Le alzo la maglia, da dietro e trovo una schiena bellissima, scolpita. Le metto una mano sulla testa e serro le dita imprigionando i capelli corti. Le do uno strattone per farle alzare il mento. Lei stacca una mano dal bordo della scrivania e si pianta il dito medio nel culo come niente fosse. Si scopa il culo col dito e ogni tanto me lo porge in maniera che io possa leccarlo. Una, due, tre volte. Poi ne mette due, e porge ancora le dita. E io le succhio.
Rallento i colpi perché mi piace lo spettacolo che vedo. Me lo godo dalla prima fila. Quelle due dita che si scopano il culo mentre il mio uccello le arriva in gola.
“Facciamo un cambio”, mi dice.
Le sue dita passano da sotto le cosce e, mentre io mi sfilo e appoggio la cappella a quel bellissimo buco di culo, lei comincia a toccarsi davanti. Mi avvicino, forzo un tantino e anche qui scivolo dentro. Piano, il culo è sacro. Piano, mi dico, piano. Ma è lei ad accelerare il ritmo muovendosi con ritmo più forte. La seguo.
C’è una sintonia perfetta pur nel modo così animale e selvaggio di scopare. Sembriamo due pazzi che non scopano da cento anni, direi. E invece entrambi sappiamo, non detto, che siamo due che si son trovati e hanno saputo capirsi senza parlare.
“Sborrami nel culo che voglio venire”, mi dice sottovoce e tutto d'un fiato.
Conto forse fino a cinque, e sento partire i fiotti di sborra dritti e potenti nel culo. Uno, due, tre, quattro, ne ho contati al meno sei di quelli importanti. Il secondo ha innescato il suo orgasmo, fortissimo, intenso. E ha pure innescato una squirtata da urlo.
Ci fermiamo, ansimando. Siamo sudati e fradici. Fradici di sudore e fradici di squirtata. Pantaloni inzuppati. Mi sfilo, piano. Lei rimane appoggiata a pecora alla scrivania. Io quasi barcollando mi appoggio vicino a lei, esausto, una mano tra i suoi capelli. Ma adesso sono carezze.
Mi guarda, col viso appoggiato al piano della scrivania, e sorride, regalandomi ancora una volta quella fila di denti perfettamente allineati e bianchi. E io sorrido con lei, increduli entrambi di cosa sia successo.
“E pensare che avrei pagato per vedere soltanto quei tuoi capezzoli che dal primo giorno mi perseguitano facendo capolino da li sotto”, le dico.
“Ah”, risponde lei con maliziosa sorpresa. “Ti saresti accontentato di due capezzoli?”
“Forse” dico “fino a mezz’ora fa avrei detto si”
Si alza, tira su i pantaloni, li stringe in vita con una cintola di cuoio e li rigira sui fianchi per accorciarli.
“Quando hai bisogno di controllare i liquidi, e farMI il pieno" - scandendo bene quel "mi" - "sai che qui trovi il servizio giusto”
Mi sistemo, coi jeans altrettanto inzuppati. La guardo ancora.
Non ho il coraggio di chiederle di farmeli vedere, succhiare, e lei non ci pensa, forse. I capezzoli, quei capezzoli, io ancora me li sogno. Ma credo che ‘stavolta sia un sogno di quelli che si avverano.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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