Prime Esperienze

Le lezioni #2


di Membro VIP di Annunci69.it BratPeed
01.04.2024    |    164    |    2 9.5
"Aprii un po' alla volta gli occhi per incontrare quelli di Michi che mi fissavano neri e profondi, come osservando i curiosi e sconosciuti movimenti di un..."
Era quasi il tramonto e il traghettino stava terminando il suo giro su quel ramo del lago di Como. Pochi minuti dopo avrebbe attraccato al porticciolo di Bellagio, da dove la scolaresca si sarebbe finalmente diretta in albergo per la cena. Le femmine erano quasi tutte sul ponte più alto con le due insegnanti. Noi maschi eravamo concentrati in coperta a prua, a sbellicarci dalla risate per la gara di giochi di parole a sfondo sessuale che avevano ingaggiato Michi e Fabietto con la regola di utilizzare sempre le parole "Milano" e "Lecco", provocando scambi per noi esilaranti, tipo «Leccomi l’ano!». «No, mi là no lecco!».
Sono passati ormai molti anni, e la memoria mi ha fatto scordare la maggior parte di quegli stucchevoli calembour da caserma, ma la frase con cui Michi vinse la contesa non l’avrei dimenticata mai.
«Guarda Milano che cielo nero!»
Un’ora dopo l’avrebbe ripetuta in modo molto più allusivo, e rivolto soltanto a me, dal bagno della stanza doppia che dividevamo in quella gita di tre giorni nei luoghi manzoniani. Michi ci teneva molto alla pulizia personale in confronto alla maggior parte degli adolescenti. Ma quella sera, prima di cena, ci tenne a informarmi del fatto che, dopo una giornata in giro, era doveroso lavarsi per bene le parti intime. Ricordo la strana sensazione che provai nel riconoscere il mio turbamento. Ero disteso sul letto singolo, separato dal suo da un comodino. Lui aveva lasciato socchiusa la porta del bagno in modo da poter continuare la conversazione.
Fino a quel punto avevamo ripercorso e analizzato ogni singolo fotogramma dell’evento straordinario di cui eravamo stati testimoni allo sbarco a Bellagio: mentre il traghetto si avvicinava al molo e tutti si preparavano a scendere, noi ci eravamo piazzati sotto la scaletta da cui sarebbero scese le femmine che si trovavano sul ponte. Già in precedenza così facendo avevamo sbirciato le gambe e le mutandine di quelle che portavano la gonna. Ma in quell’occasione eravamo stati premiati da una sorpresa che poi sarebbe stata oggetto di lunghe considerazioni e pettegolezzi: nel momento in cui dalla scaletta era scesa una delle nostre compagne di classe più ambite, Roberta Miodedi, che quel giorno indossava una gonna di jeans al ginocchio, una botta di adrenalina ci aveva fatto ammutolire e fremere nel vedere chiaramente che la Miodedi non indossava mutandine. La visione della sua fichetta poco pelosa e di un culo sodo e ampio da adolescente avrebbe messo in moto la catena di sensazioni condivise che, al termine di quella giornata, mi avrebbero fatto scoprire un pezzo importante della mia sessualità.
«Guardami l’ano che ce l’ho nero!», aveva esclamato Michi dal bagno mentre faceva scorrere l’acqua dal rubinetto del bidet.
«Dopo una giornata in giro», aveva aggiunto con tono allegro, «il minimo è lavarsi il culo e le palle!».
L’esclamazione mi aveva spiazzato. La mia mente era ancora immersa nelle torbide sensazioni causate dall’esibizione della Miodedi e dal dibattito che ne era seguito, prima tra i maschi che avevano assistito e quelli che quella fortuna non avevano avuto, e poi tra me e Michi appena rientrati in camera. Quelle torbide sensazioni si erano confuse con l’immagine dell’acqua tiepida che scorreva tra i suoi testicoli, immagine che più tentavo di scacciare e più sembrava emergere potente nei miei pensieri.
Forse per esorcizzarla, dopo cena ebbi la pessima idea di prendere in giro Michi davanti ad altri compagni, esclamando che la prima cosa che aveva voluto fare appena arrivato in camera era stata lavarsi il culo. La battuta aveva provocato qualche risata, ma aveva causato l'inaspettata ira di Michi, che con uno spintone sullo sterno mi aveva scaraventato contro la serranda di un negozio. Una reazione mai vista, dall’esito eccessivo anche per lui, che subito si era precipitato a porgermi la mano per farmi rialzare tra gli sguardi attoniti degli altri. Dovevo aver toccato un punto delicato, Michi di rado aveva reazioni aggressive, e in generale era quel genere di ragazzo che può permettersi di non reagire a molte provocazioni quasi con la saggezza di un adulto, perché è chiaro a tutti che se lo facesse la vittima finirebbe male.
Per quanto l’episodio mi avesse mortificato, lui fu bravo a dimostrarmi di averlo già dimenticato quando rientrammo da soli in camera verso le dieci di sera. Un paio di birre trangugiate di nascosto dalle insegnanti ci avevano resi ancora più euforici. Ulteriori racconti e considerazioni sulla fantasmagorica visione della fica della Miodedi avevano eccitato tutti. In quello stato d’animo, mentre ci spogliavamo per metterci a letto, per qualche ragione decisi stavolta di andare io nel bagno e far sapere a Michi che mi sarei lavato le parti intime. Forse lo consideravo un gesto riparatore per la mia burla precedente, o forse il dare atto all’amico che in effetti puliti si sta meglio. Io però non ero in grado di verbalizzare quell’intenzione, e quindi quel che feci fu lasciare la porta del bagno spalancata e, dopo essermi lavato i denti, togliermi anche le mutande per accucciarmi sul bidet e lavarmi. Da quella posizione di certo Michi mi aveva visto, mentre se ne stava disteso sul letto a ripercorrere i fatti della giornata, considerando che la Miodedi da quel giorno contendeva alla zia Marta il primato di “femmina porca senza pudore che non indossa mutande”.
Quando uscii dal bagno con indosso solo dei pantaloncini corti (a ripensarci nemmeno io indossavo più mutande!), la stanza era in penombra. Michi aveva spento tutte le luci tranne l’abat jour sul comodino che separava i nostri due letti. Lo vidi semi disteso sul suo, gli occhi socchiusi, sorridente mentre favoleggiava di scopare la Miodedi, il corpo immobile, salvo un impercettibile movimento sotto le coperte, decisamente tese e rialzate in corrispondenza del suo bacino.
Mi ficcai sotto le coperte del mio letto, e con fretta eccessiva spensi la luce. Ma anche al buio Michi continuò a parlare di sesso, della zia Marta, e di come il Franchino, che era solito sorprenderla nei posti più improbabili della casa, fosse il beneficiario di una dotazione enorme. Io ero turbato. Percepivo che ogni parola di Michi era mirata a un qualche obiettivo, che in qualche modo immaginavo e desideravo, ma che una parte di me non capiva del tutto mentre un’altra lo rifiutava.
A un tratto sentii Michi agitarsi nel letto e d’improvviso la luce dell’abat jour illuminò di nuovo la stanza. Mi volsi verso di lui e quel che il mio sguardo vide fu la grande protuberanza delle coperte in corrispondenza alla zona dove Michi si stava evidentemente manipolando il pene.
«Oh, io non ci riesco mica a dormire adesso, solo ripensare alla figa della Miodedi mi ha fatto rizzare la tega come un cavallo!», esclamò quasi con furia. «Che poi a me quando viene duro duro come stasera non si smoscia nemmeno a cannonate se non mi faccio una sega, vuoi vedere che roba?»
Io mi schernii, sorridendo imbarazzato, provando a guardare da qualsiasi parte che non fosse la sua, biascicando un “macchisenefrega” davvero poco convinto.
Michi d’improvviso fece volar via la coperta. Era completamente nudo e afferrava il proprio pene eretto, stretto nel pugno. Lo agitava e rideva, facendo apprezzamenti sulle sue dimensioni, su quelle del Franchino, e chiedendomi del mio.
Io ero ammutolito. Il cazzo di Michi era, per i miei parametri, davvero lungo e grosso. Soprattutto aveva la pelle scura e spessa, che scorreva sull’asta scoprendo e ricoprendo una cappella gonfia e violacea. Sembrava il pene di un adulto fatto e cresciuto, come quello dei giornaletti porno. Provai vergogna all'idea di confrontarne le dimensioni col mio, e soprattutto per la mia totale inesperienza. Ma anche perché mi resi conto di essere eccitato anch’io. E non per le immagini della fica della Miodedi o del culo della zia Marta, ma per quella nudità così esplicita e verace del mio compagno di stanza, la sua risata, sempre allegra ma ora venata di una nota più diabolica.
«Dài, fai vedere anche tu!», esclamò allora Michi alzandosi dal letto e scoprendomi. Io restai immobile, e quel che Michi vide fu la protuberanza pulsante nei miei pantaloncini. Ora lui era in piedi a fianco del letto su cui io restavo immobile e disteso. Continuava ad accarezzarsi il pene con la mano destra mentre la sinistra, abbandonata la coperta ai miei piedi, stava afferrando l’elastico dei miei pantaloncini per farli scendere.
«Eddai, toglili! Ti vergognerai mica!», disse ridendo, ma con quella nota diabolica che fino a quel punto non gli conoscevo. «Stasera ti sei lavato anche tu, no? Di certo non puzzi», aggiunse strizzandomi l’occhio con malizia, e facendomi sapere di avere notato benissimo i miei movimenti in bagno. Senza proferire parola mi abbassai i pantaloncini e il mio pene barzotto fece capolino. A quel punto anche Michi, che valutava il mio pisello come se studiasse un utensile per capire come utilizzarlo, tacque. E da quel momento in poi, fino al mattino dopo, la sola parola pronunciata sarebbe stata un breve ordine, gentile ma perentorio, da parte sua.
Mi afferrò il pisello con la mano sinistra e iniziò a toccarlo come per soppesarlo, valutarne le dimensioni, la rigidezza. Il tocco perturbante di quella mano estranea mi fece quasi venire di getto. Provando un imbarazzo intollerabile, ma non sapendo nemmeno se davvero volessi che tutto questo finisse, provai ad alzarmi un po’ dalla posizione supina in cui mi trovavo. Finii così per sedermi sul letto con la schiena al muro e le gambe distese, di fatto riducendo di molto la distanza tra la parte superiore del mio corpo e quello di Michi, mentre la sua mano non mollava la presa del mio cazzo. Per quanti tentativi facessi, non riuscivo a distogliere lo sguardo dal suo pene, un’immagine così incendiaria da non riuscire a capire se il calore che stavo provando in tutto il corpo, dalle punte dei piedi alla testa, fosse causato da essa o dal modo in cui la mano di Michi sfiorava il mio pisello e scendeva lungo i testicoli.
Mollò la presa dal suo cazzo, che svettò rigido a pochi centimetri dal mio volto, per portare la sua mano destra verso la mia testa. Mi accarezzò i capelli, indugiando poi con la mano sul capo. Ci scambiammo uno sguardo, incerto e sconcertato il mio, enigmatico e gentile il suo. Percepii una leggera spinta che dalla nuca mi invitava ad avvicinarmi a lui, finché le mie labbra non furono a una distanza millimetrica dall’estremità del suo pene. A quel punto alzai lo sguardo. Michi mi guardò a sua volta negli occhi, serio, probabilmente leggendo tutta la mia incertezza, e la domanda implicita, quasi supplichevole, di quello sguardo.
«Apri», mormorò sorridendo appena.
E io dischiusi un po’ le labbra che stavo tenendo serrate. In un istante sentii su di esse la morbida pressione del glande di Michi, mentre le mie narici venivano colte da un soprassalto nel percepire il leggero afrore che emanava dalle parti intime del mio amico. Ero travolto. Dei miei cinque sensi, la vista e l’udito erano quelli che, forse per la prima volta, venivano messi in disparte per fare spazio a una cascata di sensazioni tattili, olfattive e gustative. La pressione dietro la nuca aumentò e così, mi parve, le dimensioni di quel cazzo così diverso dal mio che, un po’ pallido e timido, era comunque saldamente nella presa del pugno di Michi e ne godeva.
Spalancai, non so quanto volontariamente, la bocca guardando Michi negli occhi come a chiedergli consiglio. Lui mi penetrò per qualche centimetro la bocca, si fermò e quindi iniziò a ondeggiare il bacino, usando la mia bocca come prima aveva fatto con la sua mano, nell'andirivieni sempre più veloce, mentre con l’altra mano il movimento sul mio pisello seguiva quel ritmo, aumentando di intensità.
Il calore che mi avvampava da dentro e da ogni centimetro del corpo andava aumentando e concentrandosi nel basso ventre. Chiusi gli occhi e mi resi conto che in pochi istanti sarei venuto. Non feci in tempo a pensare che poteva essere umiliante sporcare la mano di Michi, che esplosi. Michi si fermò forse per guardare la mia espressione: con la bocca piena del suo cazzo da ragazzo cresciuto, il suo timido e fedele amico biondino, stringeva ora gli occhi come se stesse per piangere, mentre provava il più feroce e profondo orgasmo della sua breve vita.
Mi resi conto che nell'immobilità che si era creata, la mia lingua aveva preso a oscillare timidamente sull'asta rigida che avevo in bocca. Aprii un po' alla volta gli occhi per incontrare quelli di Michi che mi fissavano neri e profondi, come osservando i curiosi e sconosciuti movimenti di un piccolo animale. La mia vergogna fu superflua. Michi abbandonò il mio pene che, umido di sperma, si afflosciò subito, ma riprese l'andirivieni penetrante nella mia bocca. Come per farmi perdonare di quella zozza esibizione di piacere, richiusi gli occhi e iniziai a succhiare con decisione, aumentando di intensità i rapidi movimenti con la lingua che, lo capii subito, lui apprezzava molto. Per un istante mi immaginai la Miodedi al mio posto, e molto tempo dopo avrei scoperto che la stessa immagine aveva attraversato i pensieri di Michi.
Non so per quanto continuammo a quel modo. Persi del tutto la concezione del tempo. So solo che il respiro di Michi dovette aumentare di intensità, e così la forza e la frequenza di quel movimento. Non pensavo a nulla. Non pensavo al fatto che anche lui poteva venire. Anzi, al contrario pensai che di certo non sarebbe stato quel pompino inesperto a far godere un ragazzo come Michi, che già aveva avuto esperienze con femmine, di certo più esperte e attraenti di quanto potessi essere io, che ero solo un ragazzino, e che quel modo di usare la mia bocca era solo un gioco e una curiosità che Michi si era voluto togliere.
Mi sbagliavo, perché proprio a quel punto la frequenza dei movimenti del bacino di Michi diminuì, ma aumentò di forza, e così il suo respiro. Non feci in tempo a rendermene conto che un fiotto liquido e caldissimo colpì le pareti del mio palato, iniziando a scorrermi in bocca e quindi in gola. Un sapore salato e una sensazione viscida che sul momento non fui in grado di dire se mi facesse più schifo o sorpresa. In ogni caso la mano di Michi dietro la nuca mi sollecitava a non ritrarmi, e io non lo feci. Chiusi ancora più forte gli occhi. Ogni movimento diminuì di intensità e di frequenza, fino quasi a fermarsi del tutto. La mano di Michi mi teneva ancora la nuca premuta, come se l’avesse dimenticata là. Io restai immobile, gli occhi ora aperti che vedevano solo la pelle dei fianchi del mio compagno di stanza. Poi Michi iniziò a sfilarsi e vidi il suo pene, riemerso dalla mia bocca che l’aveva accolto fino a quel punto, lucido di umidi umori che mischiavano il suo sperma con la mia saliva.
Sentii a quel punto distintamente, sul fondo del palato, un consistente residuo di quegli umori, e alzai lo sguardo verso di lui, con la stessa espressione interrogativa di prima. Non sapevo che fare, ma esclusi l’idea di sputare quel che avevo in bocca, per paura di offendere il mio amico. Michi mi guardò appena, come se a vergognarsi ora fosse lui. Mi dispiacque, avrei voluto dirgli che non ce n’era motivo. E con quel pensiero deglutii quasi con riconoscenza quella miscela di sborra e saliva.
Michi si buttò sul suo letto, senza guardarmi e senza dire nulla, e spense la luce.
Mi sdraiai a mia volta, anch’io in silenzio, mentre tutto il mio corpo era invaso da un torpore mai provato prima.
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