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Lui & Lei

Perle a una finta porca


di Membro VIP di Annunci69.it BratPeed
14.11.2024    |    2.663    |    2 9.2
"La commessa non era arrabbiata per la fibbia, ma per il fatto che Antonia da principio non le aveva detto dell’incidente e si era limitata a rimettere le..."
. "Cena a sbafo" non l’ho mai letto. Non ho letto quasi nulla di Bukowski.
Colpa di Antonia.
Antonia la conobbi un pomeriggio in un centro commerciale. Stava discutendo con la commessa di un negozio di scarpe dove io dovevo consegnare dei campioni per conto di un tizio che aveva un laboratorio artigianale di cinture, uno dei lavori che mi toccava fare a quell’epoca per pagarmi gli studi.
La commessa aveva avuto da ridire per il fatto che Antonia aveva provato diversi tipi di scarpe e a un paio di queste si era rotta una fibbia. La commessa non era arrabbiata per la fibbia, ma per il fatto che Antonia da principio non le aveva detto dell’incidente e si era limitata a rimettere le scarpe nella scatola. Quando si era accorta della cosa la commessa glielo avevo fatto notare, senza rimprovero, come una constatazione. Antonia, come suo solito, si era sentita tirata in mezzo, e si era difesa attaccando. Senza che la commessa l’avesse minimamente offesa o anche solo richiamata, aveva iniziato a inveire contro quel negozio e la merce scadente che tentava di rifilare ai clienti. E a ogni tentativo della commessa di scusarsi se era risultata offensiva, il tono di voce di Antonia era aumentato, fino quasi alle grida.
La commessa stava per scoppiare a piangere. Molte donne, avrei poi scoperto, finivano sull’orlo delle lacrime per mano di Antonia e delle sue sfuriate. A quel punto ero intervenuto io. Antonia mi aveva visto alle spalle della cassiera già da un po’. Avevo notato i suoi sguardi, e poi avrei ricordato la sensazione che tutta quella scenata fosse stata fatta per attirare la mia attenzione. Io invece, fino a quel punto ero rimasto con lo sguardo sempre rivolto altrove, fingendo di sistemare la mia merce, e come se non sentissi quel che le due donne si dicevano.
Ma quando vidi le spalle della cassiera tremare, il capo chinarsi e sentii il primo singhiozzo, alzai gli occhi, guardai fisso quelli di Antonia, mi diressi deciso verso di lei e le afferrai il mento.
– Adesso basta, signorina – le intimai guardandola dritta negli occhi e tenendo il suo mento con una certa forza.
Era alta poco più di un metro e sessanta, mora, occhi scuri, carnagione scura, rotondetta, ma decisamente in forma e probabilmente con qualche anno più di me, che all’epoca ne avevo venticinque.
Si immobilizzò con un’espressione indecifrabile, ma non risentita, e io ebbi l’impressione che deve avere un domatore di serpenti letali dopo un buon lavoro.
Dieci minuti dopo la stavo scopando nel culo contro un muro del parcheggio del centro commerciale, in un angolo formato da due finte pareti che a tratti veniva illuminato dai riflessi dei fari delle macchine che circolavano in gran numero. Era un sabato pomeriggio, e chi fosse passato a piedi là nei pressi di certo avrebbe sentito i mugugni di Antonia, soffocati dalla mano che le tenevo sulla bocca, mentre con l’altra le afferravo la polpa tra il sedere e i fianchi, morbida, liscia, elastica, profumata, sbattendola come un quarto di manzo da frollare.
Antonia adorava Charles Bukowski. Nel breve periodo in cui ci frequentammo, mi regalò praticamente tutta la collezione dei suoi libri, che io non lessi praticamente mai, perché non me ne diede il tempo.
Antonia, ne ebbi svariate prove, andava tenuta a debita distanza.
Eppure di Antonia ancora oggi non potrei fare a meno, se solo per noi fosse ancora possibile incontrarci. Il che, forse per fortuna, non è dal momento che viviamo praticamente agli antipodi del pianeta.
Quando la conobbi meglio, dopo quel sabato pomeriggio, scoprii che era la cosa più eccitante che mi sarebbe mai capitata nella vita. Aveva anche un seno fantastico, non grande, ma di una forma a pera quasi adolescenziale, tradita però da due capezzoli come quelli di una donna in periodo di allattamento. Scuri, gonfi, con le areole larghe e gonfie anch’esse. Li baciavo in tutti i modi possibili, con piccoli schiocchi, veloci leccate, voraci morsi.
Ma a essere stupefacente era la sua fica che già al tatto, nel buio di quell’angolo di parcheggio, mi era sembrata molto gonfia. Quando me la trovai davanti la prima volta mi sembrò sovradimensionata rispetto al resto di tutto il corpo. Eppure bellissima, rinchiusa com’era tra le due labbra esterne, due labia majora gonfie e palpitanti, e così vorace nell’apririsi a qualsiasi mio gesto, carezza, leccata. La prima volta che vi affondai la lingua, lei mi ribaltò e me la trovai di fronte, sopra la mia faccia. Non fu un tentativo di sottomissione – Antonia voleva un maschio che a letto la dominasse completamente, come l'episodio del negozio di scarpe dimostrava –, semplicemente Antonia sapeva quel che io volevo nel momento esatto in cui lo desideravo. E se non ero io a prendermelo prima, quel che io volevo, era lei a offrirmelo, perché anche lei voleva quel che io volevo.
Fuori dal letto però Antonia era ingestibile. La regola tramandatami da mio nonno, “trattale bene nella vita, trattale male a letto”, con lei non funzionava. Antonia era semplicemente incapace di rapportarsi al genere umano senza evitare scoppi di rabbia e scenate del tutto immotivate.
Ma è una lunga storia da raccontare, anche un po’ triste.
Quel che conta è che un giorno Antonia esagerò davvero, e della mia casa finì per restare davvero ben poco di intero, perché più o meno tutto lo distrusse lei, compresi i fottuti libri di Charles Bukowski.
Poi Antonia si sarebbe scusata, come suo solito, e mi avrebbe ripagato ogni cosa. Se lo poteva permettere del resto. Era ricchissima, nel senso dei soldi, e non solo. Ripagato sì, ma lo avrebbe fatto da un posto lontano, dove entrambi sapevamo che sarebbe tornata prima o poi e dal quale io ero escluso. Mi avrebbe ripagato tutto, tranne i libri di Bukowski, che infatti non ho mai letto, e la nostalgia per quella sua fica terribile e superba.
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