Prime Esperienze
Il percorso inconsueto
di Viaggiante
22.01.2022 |
11.584 |
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"Mi fiondai immediatamente sulla sua farfallona pelosa, spatolandole lentamente labbra e clitoride, prima di affondare la lingua nella sua calda e bagnata..."
L’estate era cominciata alla grande: a metà Giugno avevo superato con soddisfazione un esame difficile e lo stesso pomeriggio, come consuetudine, avevo deciso di “decomprimere” andandomene a fare un giretto con la mia PX. La mia vecchia Vespa disegnava con disinvoltura le sinuose curve delle colline romagnole, divincolandosi abilmente fra le insidie dell’asfalto sconnesso, reso torrido dal precoce caldo di quell’inizio estate di metà anni Novanta.
Preso dalla voglia di sperimentare percorsi inesplorati, decisi con audacia di prendere una strada non asfaltata, un po’ preoccupato per la salute della mia amata due ruote.
Niente mi piaceva quanto prendere strade nuove e spingermi oltre le esplorazioni passate, novello Ulisse, mai domo.
Dopo qualche kilometro di strada polverosa mi resi conto che le mie velleità esplorative quel giorno mi avevano spinto verso un approdo tutt’altro che esotico: quella che mi era parsa una selvaggia stradina diretta verso un affascinante ignoto, altro non era che una via privata che portava ad una casa di campagna, con qualche finestra e la porta aperte.
Avevo già iniziato la dura lotta dell’inversione della Vespa nella stretta strada bianca quando notai, vicino ad un alto terrapieno distante una trentina di metri dalla casa, una fontana di acqua corrente.
Decisi che valeva la pena dare un po’ di tregua al vecchio propulsore monocilindrico e lo spensi appena guadagnata l’ombra di un albero, approfittando della freschissima acqua della sorgente.
Ben presto mi accorsi che il silenzio che mi attendevo dallo spegnimento del motore veniva in realtà perturbato da un rumore decisamente sgradevole e stridente con la tranquillità del posto: da una attrezzaia poco distante dalla casa proveniva un frastuono rimbombante, talvolta inframezzato da improperi indistinguibili di voce femminile. Incuriosito cercai di capire l’origine del rumore, sbirciando all’interno della costruzione, reso ai miei occhi totalmente oscurato dall’intensità della luce di quel tardo pomeriggio di Giugno.
La mia azione indagatrice venne presto interrotta da una donna che usci dall’oscurità e mi guardò incuriosita, con la mano a parasole sulla fronte.
“Ha bisogno?”, mi chiese. “Ho solo sbagliato strada e approfittato della fontana. Lei piuttosto mi sembra un po’ in difficoltà, posso aiutarla?”.
A quella richiesta di aiuto mi venne incontro, spiegandomi che doveva spostare dei cassoni di plastica dal sottotetto dell’attrezzaia al pianale di un rimorchio, ma il vecchio paranco che poteva rendere l’operazione piuttosto agevole era fuori uso, trasformando una banale impresa in una fatica di Ercole.
“Mio marito è impegnato con la trebbiatura fino a questa notte, e domattina all’alba gli operai inizieranno la raccolta delle albicocche e dovranno utilizzare i cassoni”.
Era stata così precisa nella descrizione che mi sentii automaticamente arruolato e mi diressi con lei nel capanno.
Fino ad allora i miei interessi di ventenne o poco più erano stati sempre e solo diretti alle mie coetanee, mai avevo provato attrazione verso una donna sensibilmente più grande di me, quindi nella mia testa il fatto di aiutarla rappresentava unicamente un atto di cortesia ed educazione.
Nel seguirla verso l’attrezzaia posai lo sguardo sulla sua figura: vidi le forme generose, ma ancora ben composte, di una cinquantenne di campagna, vestita quasi come me: bermuda militari coi tasconi, T-shirt blu.
I vispi occhi verdi spiccavano in un volto abbronzato che aveva iniziato a sfiorire, mantenendo comunque ben vivido il ricordo della sua bellezza giovanile.
Ben presto capii la gravosità dell’impegno che mi ero preso e ci dividemmo i compiti: io sarei stato al piano superiore, avrei legato ad uno aduno i cassoni calandoli giù con una corda. Lei di sotto avrebbe slegato il cassone ed impilatolo sul pianale del rimorchio.
E così fino all’ultimo pezzo.
All’interno non tirava un filo d’aria e cominciai a sudare, grondando fin da subito. Mi tolsi la maglietta ed iniziai a lavorare a petto nudo.
Dall’alto, mentre calavo la corda, lo sguardo mi si posò presto sui seni generosi, la scollatura era valorizzata anche dalla mia posizione sopraelevata.
Per qualche istante il mio istinto voyeuristico contrastò con l’imbarazzo che provavo nello sbirciare i seni di una donna che avrebbe potuto essere mia madre, ma ben presto l’ormone prevalse.
Per non dare troppo nell’occhio misi a punto una tecnica che sembrava funzionare molto bene: dovevo solamente resistere nelle prime fasi della discesa del cassone, in cui Marta, così si chiamava, aveva lo sguardo diretto verso l’alto, quindi verso di me.
Col cassone ormai giunto a destinazione, anche il suo sguardo lo seguiva e si distoglieva da me: in quel momento potevo riempirmi gli occhi del tremore delle sue tettone, che a stento potevano essere contenute dal reggiseno.
Nei momenti frenetici dello slaccio della corda i suoi movimenti secchi di donna di campagna cominciarono a far fuoriuscire anche la mia libido, che cercavo di tenere a bada prendendomi pause per dissetarmi.
Terminare il lavoro richiese circa un’ora e mezza e mi ridusse come uno spazzacamino: la polvere sprigionata dalla movimentazione di quegli oggetti fermi da un anno si era appiccicata al mio corpo sudato e uscii dall’attrezzaia come un minatore riaffiora dalla cava.
Anche Marta era provata dal caldo e dalla polvere.
“Vieni, ti faccio lavare, non puoi tornare a casa così”, disse dirigendosi verso la casa.
Mi accompagnò in bagno invitandomi a fare la doccia.
Nel mentre mi avrebbe cercato un asciugamano.
Mi tolsi rapidamente i miei pochi indumenti e cominciai a lavare la pelle, impastata con la polvere.
La doccia era spaziosa e protetta da una tendina, da dietro la quale sentii la porta aprirsi: era Marta che mi portava quanto promesso.
Dopo qualche secondo fece capolino oltre la tenda e mi chiese “Ti va se facciamo la doccia insieme?”.
La invitai e si precipitò dentro, già nuda.
Finalmente potevo ammirare le sue dolci rotondità, dopo averle immaginate durante il lavoro.
Le tette erano naturali e molto abbondanti: gli anni e la gravità le avevano rese un po’ cadenti, ma avevano dato loro anche quella naturalezza che io, ventenne, scoprivo essere molto eccitante.
Mentre vide che le guardavo il corpo, si avvicinò e mi mise la lingua in bocca.
La sua avidità era così diversa da quella delle mie coetanee, la sua lingua guidava la mia in una danza frenetica, audace, esplorativa, inarrestabile.
Mi mise un po’ di bagno-schiuma nelle mani e si voltò, dandomi la schiena.
Cominciai ad insaponarla, scesi fino al sedere. Le mie mani esplorarono le sue rotonde chiappe con entusiasmo, mentre il mio uccello era ormai duro e pulsante.
La abbracciai da dietro afferrandole le tette, “impastandole”, mentre la mia nerchia si faceva sempre più irruente sulla sua schiena.
Poi arrivai alla passera, rigorosamente col pelo, come usava allora. La insaponai ben bene, sentendo il sapone mischiarsi coi suoi liquidi umori.
Poi si voltò e prese ad insaponarmi lei.
Passò quasi subito ad insaponarmi il cazzo, ormai al limite.
Lo risciacquò velocemente, si chinò e lo prese in bocca con fare famelico, con una foga ed una perizia a me ignote.
Dopo pochi istanti ero purtroppo già pronto a venire, e la mia anomala precocità mi imbarazzò a tal punto che Marta se ne accorse.
“Non ti preoccupare, vienimi pure in bocca” disse menandomi il cazzo velocemente dentro la sua bocca.
Sentendomi disimpegnato dal suo benestare, potei finalmente liberare tutto il mio piacere dentro di lei, schizzandole in gola getti di sborra, ciascuno dei quali era accompagnato da un suo gemito.
Non ne sprecò una goccia.
Dopo l’orgasmo manifestai il mio dispiacere per essere durato così poco, lei mi rispose sorridendo : “Hai fretta?? Vieni, asciughiamoci ed andiamo a bere della limonata fresca”.
Andammo a sederci in cucina, a bere. Io con gli slip, lei con una T-shirt XXL, bianca.
Mi parlò della sua vita in campagna e di come le piacesse, nonostante tutti gli aspetti negativi; mi raccontò del figlio che studiava a Bologna.
Dopo una ventina di minuti si accorse che le guardavo sfacciatamente le cosce nude, accavallate e sorrise.
“Vorrei ricambiare il favore” le dissi ormai sbloccato da ogni timore.
Mi prese per mano, mi accompagnò al piano di sopra e mi portò in un salottino (in camera era troppo rischioso, mi disse).
Si tolse la maglietta, rimanendo completamente nuda.
Si sedette sul divano e divaricò le cosce.
“Accomodati”, mi disse.
Mi fiondai immediatamente sulla sua farfallona pelosa, spatolandole lentamente labbra e clitoride, prima di affondare la lingua nella sua calda e bagnata intimità.
La leccai per un quarto d’ora facendola venire almeno due volte, alternando lenti e leggeri movimenti di lingua a fameliche sorsate, dopodiché, con la faccia tutta bagnata dal suo nettare, mi accorsi che il mio arnese era di nuovo prontissimo.
Erano quelli anni di pressante campagna informativa contro l’HIV ed io ero sempre stato rigorosissimo nell’utilizzo del preservativo.
In quel momento realizzai di esserne sprovvisto.
Marta risolse rapidamente la mia titubanza afferrandomi l’uccello ed infilandoselo nella figa.
Nel penetrare quella passera così accogliente mi resi conto che era la prima volta che praticavo la penetrazione senza preservativo.
Le nubi furono presto cacciate dall’ardore di Marta, che si mise a 90 per farsi impecorare. Incaprettandola vidi per la prima volta uno scenario differente rispetto a quello a cui ero abituato, cioè toniche chiappe di ventenni.
Stavo sbattendo per la prima volta un bel culaccione “da sposa” (così lo chiamavamo scherzando fra amici), che tremava sotto i miei colpi energici.
Mi stavo scopando una moglie ed una mamma altrui, una figura che mai prima di allora avevo pensato potesse avere una sessualità.
Ed invece ne aveva, e come.
Marta cambiò posizione, sedendosi sopra di me.
I suoi tettoni penzolavano sopra la mia faccia al ritmo del suo pelvi.
Trovai irresistibile la loro forma a scendere, li afferrai a due mani e li presi a morsi.
Eravamo stesi sul tappeto di fronte al divano.
La girai e le spalancai le gambe, afferrandole per le caviglie.
Ripresi a darle dei colpi di lingua, aiutandomi con la mano.
Marta sembrava gradire molto il gioco manuale, dimostrandosi anche piuttosto pratica.
La sua figa accolse senza fatica quattro dita, e solamente la mia voglia di scoparla ancora mi impedì di spingermi oltre.
La penetrai ancora da sopra e poco dopo mi urlò : "Dai! Sto per venire, godi insieme a me!!”.
Risposi a quella chiamata alzando la frequenza dei miei colpi.
Venimmo assieme con gande passione.
Per la prima volta nella mia vita avevo sborrato in fica senza preservativo.
Per la prima volta avevo rivolto le mie attenzioni sessuali ad una mamma/moglie abbondantemente negli “anta”, e mi era piaciuto molto.
Le mie colonne d’Ercole erano state superate, l’oceano innanzi a me era sempre più sconfinato.
Poco dopo la Vespa scendeva lungo la collina, nell’incipiente tramonto.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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