Prime Esperienze

Casalinga


di mezzasuora
04.11.2011    |    92.635    |    0 7.2
"Mi prese per un braccio e poi mi disse:” Ti porto dalla fermata del pullman” Scendemmo dall’alloggio, salimmo sulla sua Uno..."

Tutte le mattine, dopo aver spedito Myrabel a scuola (fa la quarta elementare) torno a casa. Alle 8.50 arrivo a casa ed ho 10 minuti per rendere decoroso il mio monolocale prima dell’arrivo dei clienti.
Questa mattina, stavo sistemando il mio vecchio divano letto di cuoio nero, quando ho iniziato a pensare al papà di Myrabel.
Facevo terza media, avevo 15 anni (non mi sono mai impegnata e in prima media ero stata bocciata). All’epoca ero una sporcacciona collaudata. Passavo i miei pomeriggi a pensare ai ragazzini. Quando tornavo a casa con il pullman, quando tutti salivano, mi mettevo nell’ultima fila in fondo. Tiravo le tende dei finestrini laterali, appoggiavo la schiena al vetro e alla tenda, mi calavo i pantaloni e poi … ricevevo le loro dita. Il viaggio di ritorno a casa era decisamente lungo, e avevo trovato il modo di renderlo esaltante. Seduta, con le gambe aperte, mi lasciavo toccare da ragazzini, a volte c’erano dei vecchietti o studenti universitari. Molti si divertivano a studiarmi mentre mi masturbavo…
In quel periodo conobbi Bartholomew, Bartho, per tutti, il supplente di inglese. Era nato a Londra, ma i suoi genitori erano del Burkina Faso. Era alto, con la pelle nera, molto gentile. Aveva all’epoca 29 anni. Un mattino, finita la sua ultima lezione con noi, mi ero fermata a parlare con lui. All’una e mezza il pullman partiva per il ritorno a casa e volevo restare a parlare ancora con quel personaggio che mi incuriosiva.
Parlammo del più e del meno, gli chiesi se aveva visto dal vivo la principessa Diana e se era bella come in tv, se Londra gli mancasse… Chiacchierammo a lungo e quando guardai l’ora, cazzo, erano le 14. Era passata un’ora. Guardai Bartho e gli espressi il mio problema: il prossimo pullman sarebbe stato alle 18. Non sapevo cosa fare. Prendere un taxi era troppo costoso, farmi portare a casa era pretendere troppo. Fu Bartho a lanciare una proposta: andare a mangiare un boccone al bar e poi andare a studiare da lui. Mi avrebbe dato una mano (non sarebbe bastato, mi ci voleva un miracolo) con matematica e inglese. Colsi l’occasione al volo (nella speranza di cavarci qualcosa di buono).
Mi accompagnò al bar dove divorammo due toast e ci scolammo un bel po’ di Coca Cola (3-4 lattine), ridendo e ruttando come due ossessi (non aveva l’aria di un professore, sembrava un rapper). Quando risalimmo sulla sua macchina, una Uno scassata, dopo che ebbe acceso il motore, mi disse: “Andiamo a casa mia.”
Con lo sguardo, seguivo il panorama dal finestrino e spalancai gli occhi quando sentii la sua mano calda appoggiare sulle mie gambe. Con la mano sinistra guidava e con la destra stava cercando di avvicinarsi alla mia figa. Avevo la minigonna (sul pullman era molto pratica) e con un guizzo raggiunse i miei slip. Ad un semaforo vidi che un camionista dal suo cabinato ci guardava eccitato. Le sue dita accarezzavano l’elastico e il cotone, ma non accedevano al contatto diretto con la pelle. Arrivammo a casa sua, io ero tutta accaldata.
Mi fece entrare in un misero appartamento, un bilocale in un vecchio palazzo.
Appena fummo entrati, mi sollevò la gonna e mi chiese: “Sei vergine?”. Annuii, non sapendo che di lì a qualche minuto non lo sarei stata più.
Mi portò nella sua camera da letto e mi fece coricare sul letto, mi spogliò completamente e, dopo essersi avvicinato ad una cassettiera, lo vidi afferrare un tubo di vaselina. Tremai, pensando che mi volesse sodomizzare. Si spogliò e vidi la sua erezione enorme. Aveva un pene enorme. Si spalmò la vaselina sulle dita e con queste iniziò a penetrarmi.
Ero coricata sul suo letto e tenevo le gambe allargate mostrandogli la mia figa che si stava eccitando già solo per il fatto di essere guardata da un uomo.
Sentii le sue dita affondare e una sensazione di caldo mi invase. Si tirò indietro, si lubrificò il pene e me lo infilò in figa. Spingeva come un ossesso, io mi sentivo bruciare. Mi vennero le lacrime agli occhi quasi subito, poi però i muscoli della vagina si adeguarono a quel pene enorme e iniziai a provar piacere. Intanto Bartho aveva iniziato a strizzarmi i capezzoli e a leccarmi il collo. Cambiammo posizione e mi mise a 4 zampe sul letto. Continuava a penetrarmi e ora aveva iniziato a stuzzicare il mio clitoride. Spostò le sue dita all’interno del mio buco del culo e iniziò a spingerle dentro. Cominciò a penetrarmi con forza, sia in figa che in culo e dopo interminabili minuti sborrò inondandomi l’interno della vagina che ora sembrava l’antro di una grotta.
Mi sollevai in piedi per andare a rivestirmi, ma Bartho mi fermò. Prendendomi da dietro, iniziò a leccarmi le grandi labbra e la vagina che ora stavano colando sangue e sperma in modo copioso. La sua lingua calda si insinuava in zone che mai nessun ragazzino era riuscito a stimolare. Divaricai ulteriormente le gambe e lui continuò ancora a lambire la mia figa. Raggiunsi un intensissimo orgasmo e tutti i miei umori gli inondarono la bocca, ma lui continuava a leccare. A malincuore si separò dai miei genitali. Si era scolato tutto. Andò a lavarsi, si rivestì. Io ero ancora sul letto nuda, attonita, a ripensare all’accaduto.
“Che fai?” Mi chiese lui in modo freddo. “Niente” risposi.
Ripresi le mie robe. Mi rivestii. Mi prese per un braccio e poi mi disse:” Ti porto dalla fermata del pullman”
Scendemmo dall’alloggio, salimmo sulla sua Uno. Scesi alla fermata e guardai l’ora: le 16. Pensavo a Bartho e a quanto ero stata stupida a perdere la verginità così volgarmente.
Presi il pullman alle 18 e tornai a casa piangendo.
Mia madre mi chiese cos’era successo. Le dissi che mentre andavo dal pullman, dei negri mi avevano sequestrata e violentata per tutto il pomeriggio. Ci credette, ma non mi portò in ospedale per la vergogna.
Non vidi mai più Bartho.
Nove mesi dopo nacque Myrabel, la gioia della mia vita.
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