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Una passeggiata lungo il fiume


di Scrittoreghost
02.03.2025    |    35    |    0 6.0
"“A 32 anni sei un’opera d’arte, ” mormorò, slacciandomi i jeans quel tanto che bastava per farli scendere un po’..."
A 32 anni, mi sento nel pieno della vita: abbastanza giovane da avere ancora quella curiosità sfrenata, abbastanza maturo da sapere cosa voglio. È stato proprio questo mix a spingermi a curiosare su quella chat online, dove ho conosciuto Roberto. Aveva 60 anni, quasi il doppio di me, e qualcosa nel suo modo di scrivere mi aveva catturato subito: una sicurezza pacata, un’ironia che tradiva anni di esperienze vissute. “Non sono più un ragazzino,” mi aveva detto una volta, ridendo, “ma ho ancora qualche asso nella manica.” Dopo giorni di messaggi che oscillavano tra il flirt e confessioni velate, abbiamo deciso di incontrarci. “Una passeggiata lungo il fiume,” mi ha proposto, e io ho accettato, intrigato dall’idea di vedere cosa si nascondesse dietro quelle parole.

Ci siamo trovati nel tardo pomeriggio, il sole basso che dipingeva il fiume di riflessi dorati. Quando l’ho visto, Roberto era esattamente come me lo immaginavo: i capelli brizzolati che raccontavano anni di vita, un fisico ancora solido nonostante il tempo, e un portamento che trasudava una calma autorità. Aveva rughe leggere intorno agli occhi, segni di risate e forse di qualche dolore, e indossava una camicia chiara che gli dava un’aria distinta, quasi fuori dal tempo. Io, con i miei jeans aderenti e la maglietta leggera, mi sentivo più moderno, più spavaldo, come se la mia giovinezza fosse un’arma segreta che potevo sfoggiare.

Camminavamo lungo il sentiero, il fiume che scorreva lento accanto a noi. Lui parlava della sua gioventù, di serate folli negli anni ’80, di viaggi in posti che io avevo visto solo su Instagram. “Ai miei tempi non c’erano queste chat,” disse con un sorriso, “dovevi provarci di persona, rischiare.” Io ridevo, stuzzicandolo. “E ora ti nascondi dietro uno schermo?” Lui mi guardò, gli occhi che brillavano. “Non proprio. Sono qui, no?” Quel “no” aveva un peso, una promessa, e io sentii l’aria cambiare, caricarsi di qualcosa che non era più solo chiacchiere.

Ci fermammo vicino a una panchina, un angolo tranquillo dove il fiume curvava e gli alberi ci isolavano dal mondo. Mi appoggiai alla ringhiera, lasciando che il vento mi scompigliasse i capelli, consapevole che i jeans mettevano in risalto il mio culetto, ancora sodo e pieno di quella vitalità che i 30 anni ti regalano. Sentivo i suoi occhi su di me, e quando mi girai, lo trovai più vicino, il suo sguardo che tradiva un desiderio che gli anni non avevano spento. “Hai qualcosa che io non ho più,” disse piano, quasi a se stesso, “quella freschezza.” Ma c’era una fame nella sua voce, come se vedermi gli ricordasse cosa significasse sentirsi vivo.

Non parlò più. Allungò una mano, e le sue dita sfiorarono il mio culetto, un tocco leggero ma deciso, come se volesse reclamare qualcosa che il tempo gli aveva negato. Trattenni il fiato, sorpreso ma non dispiaciuto. Mi piaceva. La sua mano era diversa da quelle dei ragazzi della mia età: più ruvida, più lenta, con una sicurezza che veniva dall’esperienza. “Ti piace?” mi chiese, la voce bassa, e io annuii, sentendo un calore risalirmi lungo la schiena. Lui sorrise, un’espressione che diceva “lo sapevo,” e la sua mano si fermò lì, accarezzandomi attraverso i jeans con una calma che mi fece quasi tremare.

Mi girai verso di lui, i nostri visi vicinissimi. “Sei sfacciato per essere un sessantenne,” lo provocai, ma il mio tono era complice. Lui rise, la mano che ora stringeva un po’ di più, come per dimostrarmi che l’età non lo aveva rallentato. “E tu sei troppo giovane per resistermi,” replicò, e mi baciò. Le sue labbra avevano un sapore diverso, più intenso, come se ogni bacio portasse con sé anni di pratica. Io ricambiai, spingendomi contro di lui, il mio corpo più agile che si adattava al suo, più rigido ma ancora forte.

Ci spostammo dietro gli alberi, un riparo naturale che ci nascondeva. Mi spinse contro un tronco, le sue mani che ora esploravano il mio culetto con una dedizione che mi eccitava. “A 32 anni sei un’opera d’arte,” mormorò, slacciandomi i jeans quel tanto che bastava per farli scendere un po’. La sua pelle contro la mia era un contrasto: la sua ruvida, segnata dal tempo, la mia morbida, ancora intatta. Si inginocchiò, e io sentii il suo respiro caldo mentre mi baciava lì, sul culetto, la lingua che si muoveva lenta, assaporando ogni centimetro. Era diverso dai ragazzi più giovani, più paziente, e io mi abbandonai, mordendomi un labbro per non farmi sentire troppo.

Mi girai, tirandolo su per baciarlo di nuovo, il mio cuore che batteva forte. Gli slacciai i pantaloni, curioso di vedere cosa nascondesse quell’uomo che aveva quasi il doppio dei miei anni. Lo toccai, sentendo la sua eccitazione, e decisi di usare la mano. Lo accarezzai piano, poi con più decisione, osservando il modo in cui il suo viso si tendeva, le rughe che si accentuavano mentre il piacere montava. “Sei bravo per essere così giovane,” disse con un sorriso spezzato, e io accelerai, le sue mani ancora sul mio culetto, stringendolo e palpandolo avidamente. “Non fermarti,” sussurrò, la voce roca, e io accelerai il ritmo, sentendo il suo corpo tendersi sotto il mio tocco. Pochi istanti dopo, con un gemito soffocato, si abbandonò al piacere, venendo tra le mie dita mentre il suo sguardo si perdeva nel mio.

Ci ricomponemmo, ansimanti, e ci guardammo. “L’età non conta, eh?” dissi, sistemandomi i jeans. Lui rise, passandosi una mano tra i capelli brizzolati. “Non quando c’è questo,” rispose, dandomi un’ultima pacca sul culetto.
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