Gay & Bisex
NON HAI MAI SMESSO DI FARMI STARE BENE
di Parcifal
30.07.2024 |
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"Lì mi hai trovato!
Che ansia! Anche a ripensarci oggi..."
Ci siamo incontrati quando ero ancora un giovane bizzoso ed idealista.A ventidue anni credevo nella lotta, non mancavo a una sola manifestazione, scendevo in strada, urlavo slogan, gridavo la mia indignazione.
Galeotta fu l'ennesima manifestazione universitaria, non ricordo neanche più per cosa mi battevo.
Mi ricordo però la paura, i fumogeni, gli infiltrati con felpe e cappucci neri, le sbarre di ferro, i bastoni, la violenza.
Gli insulti e le provocazioni e, alla fine, la carica della polizia.
Avevo cercato di defilarmi, di scappare dal caos, dall'insensatezza della rabbia gratuita e mi ero nascosto in un vicolo, dietro un cassonetto.
Lì mi hai trovato!
Che ansia! Anche a ripensarci oggi.
La tua figura si stagliava in controluce, alta, tenebrosa. Possente.
Non sei mai stato piccolo!
Riconoscevo solo lo scintillio del casco e le manette alla cintura.
Ti sei accucciato al mio fianco, ti sei tolto l'elmetto, i tuoi occhi blu mi hanno travolto.
Non avevo mai visto uno sguardo così fermo e gentile allo stesso tempo.
Vedevo l'uniforme tirare sui pettorali, i bicipiti gonfi e le cosce sode avvolte strettamente nei pantaloni.
Se il tuo sguardo non fosse stato così sereno avrei avuto paura, eri tu invece ad aver paura. Per me.
Pensavi fossi ferito, mi hai chiesto come stavo, se ero in grado di alzarmi.
Ancora oggi dici che fu il mio sguardo da cucciolo smarrito, i mei occhi nocciola riversi su di te come cioccolato fuso, a farti soccombere e decidere di tenermi.
E mi hai tenuto, dopo quindici anni, dopo litigi e riappacificazioni, il collare che porto mi identifica come tuo.
Mi hai aiutato a rialzarmi, hai chiuso un occhio e non mi hai portato in centrale, in cambio hai voluto tutti i miei dati.
Il giorno dopo ti ho trovato ad attendermi a fine lezione, nessuna privacy davanti un distintivo.
Mi hai detto che poiché non ero fra gli arrestati né i segnalati non potevi convocarmi ma speravi nella mia collaborazione.
Davanti a un caffè ho risposto a tutte le tue domande, ubbidiente, riconoscendo la forza, l'autorità che emanavi.
Ho anche fatto il moccioso, come dici tu, a volte, quando ti faccio pesare la differenza d'età (ben quattordici anni, sei un vecchietto), toccandoti e allontanandomi, parlandoti a distanza di respiro e poi stravaccandomi sulla sedia, lontano dalle tue mani.
Ho provato a condurre il gioco ma eri tu che mi davi corda, corda con cui io stesso stringevo i nodi che mi avrebbero intrappolato.
Finito l'aperitivo, mi hai preso il braccio, mi hai fatto alzare e con la calma e l'autorità di chi è nel giusto mi hai chiesto se sapevo di essere tuo.
Ho riso. Ho tremato. Ho provato a svincolarmi, senza convinzione. Ho alzato lo sguardo, l'ho abbassato e con voce soffocata ho detto sì.
E' cominciata così fra noi, pochi sguardi e la sensazione di aver trovato la persona a cui appartenere.
Mi hai portato a casa tua, abbiamo camminato tranquilli, senza fretta, mano nella mano sotto i portici di Bologna.
Proseguivi fiero, a testa alta, sicuro di te, sicuro di noi, che fossimo già noi, abituato alla tua pelle, che indossavi con orgoglio e in cui stavi bene.
Poliziotto e gay. Qualcosa da ridire?
Questa tua forza mentale, questo tuo credere in te, sentirti bene in te stesso e non vacillare mai,
spaventa e confonde le persone che credono di poterti offendere, ricattare, farti del male.
Sai chi sei e ti piace.
Come piace a me.
Arrivati a casa tua non ho fatto in tempo a entrare che chiusa la porta mi ci hai sbattuto contro, con forza, senza violenza.
Mi hai preso le mani, hai unito i polsi li hai portati sopra la mia testa, facendomi stendere le braccia e obbligandomi a mettermi in punta di piedi.
Ti sei abbassato su di me e mi hai divorato la bocca, la tua lingua che mi leccava le labbra, premeva per entrare, leccandomi i denti, il palato, succhiandomi.
Ti sei ritratto e mi hai morso il labbro inferiore, incidendo leggermente, per poi leccarmi per lenire il bruciore. A ripensarci sento il cazzo vibrare e puntare fiero.
Con la mano libera mi hai strappato la camicia e hai iniziato a pizzicarmi i capezzoli.
Non sono rimasto passivo a lungo, ho duellato con la tua lingua, ho strusciato il mio corpo sul tuo, la frizione del mio cazzo racchiuso nei jeans sulla tua coscia me lo ha fatto gocciolare.
Mi hai liberato le mani e sono caduto in ginocchio, ho attaccato con ferocia la tua cintura, ti ho aperto i pantaloni, ed eccolo il mio premio.
Un cazzo maestoso, un uccello lungo e spesso, circonciso, venoso, con una cappella rosa e tendente un po' a destra. Non ho aspettato il tuo invito, l'ho messo subito in bocca.
Sono sceso di colpo fino ai tuoi peli, riccioli neri ben curati, e nel risalire ti ho fatto sentire gli incisivi.
Una lieve scossa per farti capire che non ero, e non sono, poi così sottomesso.
Ho leccato il tuo cazzo adorandolo, con la lingua piatta, su e giù, seguendo le vene, schiacciandole e sentendo battito pulsare. I tuoi mugoli mi accendevano e mi esortavano a dare il meglio di me.
Il mio uccello ancora rinchiuso nei pantaloni urlava la sua insoddisfazione, lacrimava pure, ma non potevo esimermi, dovevo adorati.
Ho preso solo la cappella in bocca, l'ho leccata, succhiata. Ho mordicchiato la corona per poi ripassarci sopra lisciandola, ho infilato la lingua nella tua fessura, più a fondo che potevo, assaporando i tuoi umori, il tuo carico pronto a esplodere.
Ho abbandonato il tuo cazzo per un attimo, ho ripreso fiato, alzato lo sguardo leccandomi le labbra per farti vedere quanto mi piacesse il tuo sapore, per farti sapere quanto piacere mi dava, e mi da, avere il tuo uccello in bocca.
Poi mi sono rituffato, ho leccato la cappella, aspirato il glande e sono sceso in picchiata verso la radice, roteavo la lingua e aspiravo come se non ci fosse un domani.
Con le mani ho abbassato ancora di più i tuoi abiti, una rapida leccata al mio palmo, mentre con l'altro continuavo a mungerti, e ho preso fra le mie dita le tue palle, giocandoci, rigirandole, tirandole leggermente.
Un lampo di dolore aumenta il piacere.
Non ce l'hai fatta più, hai dovuto prendere il comando, le tue mani sono calate sulla mia testa, mi hai afferrato le ciocche e hai iniziato a dettare il ritmo.
Niente più giochi, niente più stuzzicamenti. Finalmente il mio continuo su e giù, suzione pura.
Mi sei arrivato in gola, i mei mugugni vibravano sulla tua asta rendendoti folle, spingendomi a ingoiarti sempre più velocemente. Poi sei venuto.
Mi hai schizzato in bocca, sborra cremosa e calda, stranamente dolce e salta.
Pensavo fosse finita, che mi avresti lasciato col cazzo pronto a implodere mentre ti riprendevi, fra grugniti e ansiti.
Quanto mi sbagliavo, non sei assolutamente egoista.
Ti sei tolto le scarpe scalciandole assieme ai calzini, pestando prima una gamba poi l'altra ti sei sbarazzato dei pantaloni e con un movimento fluido mi hai tirato su.
Contro il tuo petto ancora intrappolato nella camicia.
Mi hai baciato con furia, assaporando il tuo stesso sapore nella mia bocca.
Mi hai levato del tutto la camicia e con sol gesto mi hai calato jeans e boxer.
Non potevo più aspettare, in un sol colpo, mi sono liberato di calze e scarpe per poi uscire dai mei abiti.
Mi hai portato sul divano, mi hai accarezzato tutto, graffiandomi i capezzoli, leccandoli per lenire il dolce bruciore, sei sceso al mio ombelico, mordicchiandomi lungo la strada, hai banchettato col mio corpo, per arrivare alla parte di me che più ti aspettava.
Il mio uccello duro, teso, bagnato che chiedeva solo di essere assaporato.
E l'hai fatto, mi hai ingoiato in un sol colpo, senza preavviso, senza preparazione, senza giochi. Dritto al sodo.
Hai bevuto da me, leccandomi, portandomi allo stremo, stringendo la base con la tua mano, impendendomi di venire. Sarebbe stata sufficiente solo un'altra leccata.
Poi di botto mi hai ribaltato, faccia sui cuscini, piegato sulle ginocchia, culo in alto, esposto per te, per la tua lussuria.
Mi hai accarezzato, palpato leggermente e sculacciato, mi ha divaricato le natiche.
Mi. Hai. Divorato. Il. Culo.
La tua lingua ruvida mi ha leccato per tutta la lunghezza della fessura, hai morso, succhiato, leccato, hai girato attorno al buco stuzzicandomi, facendomi implorare, picchiettando sulla rosetta.
Infine ti sei deciso, hai iniziato a duellare, la tua lingua che come una spada colpiva il centro di me, forzando l'entrata, facendo cedere il muscolo, rendendomi bagnato, scivoloso, ammorbidendomi e rilassandomi.
Il mio buco ha ceduto, la tua lingua è entrata scopandomi, avanti e indietro, con forza per poi mordicchiarmi la rosetta e succhiarmela.
Per zittire i miei mugolii mi hai ficcato due dita in bocca, intimandomi di leccarle bene, di bagnarle, insalivarle perché a breve sarebbero entrate nel mio culo.
Il primo dito è andato a giocare con la tua lingua dentro di me, il lieve bruciore della penetrazione, il calore che mi risaliva i lombi si fermava in basso alla schiena.
Il mio buco fremeva, si apriva e richiudeva attorno al tuo dito, per non farlo sfuggire.
Ti ho supplicato, implorato di smetterla di torturarmi. Quasi piangevo, singhiozzando, chiedendoti di scoparmi.
Mi hai infilato dentro un altro dito, fino alle nocche, sforbiciando per allargarmi. Dopo il secondo, un terzo e poi un quarto.
MI sentivo pieno, allargato, il muscolo teso.
Il vuoto.
Ho digrignato i denti, ancheggiato, mugugnato la mia insofferenza.
Non potevo essere portato al limite e poi essere lasciato indietro, senza varcarlo.
Ti ho sentito ridere, sbeffeggiare la mia impazienza, la mia ingordigia.
Ti ho sentito allontanarti un attimo, il rumore di un mobile, un cassetto aperto, uno stappo e poi una sostanza fredda sulla mia pelle bollente.
Le tue dita viscide mi hanno aperto di nuovo ungendomi, rendendo il mio canale rovente, umido e scivoloso e sei entrato in me.
Forte, potente, mi hai riempito, allargato, teso.
Mi sei arrivato imperioso fino alle natiche, le tue palle che schiaffeggiavano le mie.
Il mio buco era talmente affamato, talmente ingordo che non ha protestato.
Si è aperto per accoglierti per poi stringertisi addosso, prendendo le misure, facendoti da fodero.
Mi hai dato un attimo per abituarmi a te, mi hai messo la mano sul collo, spingendomi ancora più giù sui cuscini. Mi hai fatto inarcare la schiena, facendomi alzare il culo, esponendomi a te. Per te.
Mi fatto sentire la tua autorità, la tua possanza, la tua dominanza, esigendo da me la più bella postura, ti regalavo la mia sottomissione.
Hai iniziato a martellarmi con forza, con ferocia, ti sentivo spingere, ritirarti, quasi fino a uscire, la rosetta tesa dalla tua cappella, e poi ributtarti dentro, di colpo, fino in fondo.
Hai cambiato di poco l'angolazione e le tue spinte folli mi colpivano la prostata ogni volta, facendomi vedere le stelle, facendomi sbavare sui cuscini e implorare pietà. Urlare ancora, più forte.
Hai continuato ad affondare ancora e ancora.
Ho sentito il tuo cazzo, se possibile, ingrossarsi ancora, perdere un po' il ritmo.
Mi hai afferrato l'uccello, stringendolo forte, facendomi sibilare.
Sono bastate tre rapide carezze ruvide e sono esploso, gridando. Sono venuto a lungo, spargendo il mio seme sul divano, non sapendo neanche più chi fossi, solo consapevole del tuo cazzo in culo che dava gli ultimi colpi.
Ti sei irrigidito, hai spinto con forza un'ultima volta e ti sei svuotato dentro di me.
Ho sentito la tua sborra inondarmi, bruciare il mio canale che ti avvolgeva.
La tua sborra nutriva la fame di te che avevo dentro.
Sei collassato su di me e io mi sono accasciato sul divano, sotto di te, eri troppo per poterti reggere ( sei 1.90m per 100kg di muscoli, contro il mio metro e 75 di pura scattante snellezza).
Mi hai seguito con ancora il tuo cazzo ben piantato dentro di me, lo sentivo rimpicciolirsi, fino a quando non è sgusciato fuori.
Ti sei sorretto sulle braccia, mi hai rimesso sulle ginocchia e guardato il tuo sperma colare dal mio buco soddisfatto, esausto, che sorrideva godurioso.
L'hai spalmato come una crema di bellezza per tutta la fessura.
Mi hai sollevato e baciato, senza più urgenza, senza più ferocia.
Un bacio languido, un accarezzarsi di lingue, uno scambio di carezze, come un buongiorno, un bentornato, il caldo abbraccio dell’intimità.
Ti sei staccato accarezzandomi gentilmente, accompagnandomi nella beatitudine post orgasmo per ringhiare "mio", mi hai baciato di nuovo, dolce, gentile, affettuoso.
Il tuo calore mi sommergeva, mi cullava, l'unica risposta possibile era "tuo".
Mi hai fatto stare così bene... e anche adesso, dopo anni, dopo che abbiamo approfondito i nostri bisogni di dominare e sottomettersi, anche adesso continui a essere tutto, a farmi stare bene.
Non hai mai smesso di farmi stare bene.
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