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Gay & Bisex

La prima volta con il Maschio (3)


di Mouselet
15.11.2019    |    1.111    |    3 9.4
"Ormai ogni traccia della mia mascolinità si era dissolta: ero la sua bellissima e bravissima puttana, ero sua..."
Il Maschio era disteso a pancia in su sotto di me: si era portato le mani dietro la testa e aveva appoggiato i gomiti sul letto. Si era sdraiato comodamente per godersi lo spettacolo. I suoi bicipiti risaltavano ancora di più nella posizione piegata del braccio, ma quello che mi vinse furono le sue ascelle, che ricomparvero di nuovo dopo che qualche ora prima le avevo leccate come una cagna: due incavi abissali rigogliosi di nero pelame ferino, che emanava un odore possente di Uomo. Io ero seduta sul suo cazzo: 21 cm di carne dura come il marmo mi penetravano la vulva anale da quasi un’ora. Torreggiavo soddisfatta sul mio trono di muscoli, completamente assorbita nella visione di quel mostro del sesso. Scorsi con lo sguardo tutto il suo mastodontico torace. Ingenuamente, come una verginella inerme, poggiai le mani su quei pettorali gonfi di palestra e, facendo un’espressione fintamente sorpresa, dissi: «Maschio, sono enormi!». Lui mi sorrise compiacente. E allora scesi con le mia dita affusolate dai pettorali verso gli addominali: percorsi il canale dello sterno e arrivai a quel graticcio di protuberanze lievemente velate di lanugine. Al solo tocco mi eccitai da impazzire: quel corpo era stato scolpito da anni e anni di esercizio fisico e io quella sera ne ero la regina. Poggiai il peso sulle mie palme e mi sollevai lungo la sbarra di cazzo che avevo in culo: «Aaah!», gemetti svergognata. Restai sollevata qualche secondo, poi mi lasciai ricadere su quel bastone: «Oooh!», stavolta gemette il Maschio, con voce profondissima.
Lo guardai con aria di sfida, quindi mi sollevai di nuovo («Aaah!») e poi scesi di nuovo («Oooh!»), mi risollevai e riscesi, e poi un’altra volta, e un’altra volta ancora, e così via finché non cominciai a scoparmi da sola. Salivo e scendevo su quell’enorme salsiccia che mi farciva la fregna e ogni volta mi sentivo più troia di prima. Piano piano lasciai ogni inibizione e cominciai a godere intensamente con gemiti e sospiri degni della migliore attrice porno. Intanto il Maschio ruggiva sotto di me, imprecando alla mia troiaggine e riempiendomi di cazzo e di insulti: «Oooh sì! Che troia che sei! Prendi il cazzo, prendilo fino in fondo! Ti apro il culo in due! Guarda che vacca! Ti piace il tuo toro, eh? Ti piace? TI PIACE?». Io risposi in preda all’estasi: «Sììì! Ti adoro, Maschio! Sei il toro perfetto! Scopami, scopami, scopami! Voglio il tuo cazzo! Lo voglio! LO VOGLIO!». Il Maschio slegò le mani da dietro la testa e le poggiò imperioso sui miei fianchi femminei: il contrasto tra il nero del suo corpo e il biancore del mio era pura poesia. Strinse dunque la presa e con forza mi spinse in basso: in quel momento il suo bestione da monta arrivò dove nessuno era mai arrivato. Lanciai un urletto di godimento, ma ricominciai con ancora maggior lena. Volevo prenderlo alla sprovvista, volevo che mi possedesse fino in fondo, volevo che mi impregnasse.
«Dammi la sborra, Maschio! Dammela! Voglio spremerti il cazzo fino all’ultima goccia di sborra!», urlai aumentando il ritmo. Lui rispose subito: «Oooh sì, troietta! Ti riempio la figa di sborra! Ti metto INCINTA!». A quell’ultima parola il mio cervello andò in tilt: da quel momento volevo solo sborra, tanta sborra nel profondo dei miei intestini, un fiume di sborra a inondarmi le viscere. Aumentai ancora di più il ritmo e sentii il Maschio aumentare l’intensità dei respiri: stava per arrivare, la sborra stava per farcirmi. «Dammela, Maschio! La voglio! Dammela! Dammi la SBORRA!». Su quell’ultima parola emise un grugnito violentissimo e mi scaricò nella fregna un primo potentissimo schizzo di seme virile: io non rallentai minimamente la cavalcata e ne seguirono altri otto, che mi riempirono interamente il budello di crema. A ogni schizzo il Maschio gridava di piacere con tono sempre più bestiale, finché all’ultimo liberò un sospiro di soddisfazione e compiacimento. Io cominciai allora a diminuire i rimbalzi e con delicatezza mi fermai, lasciando penetrare ancora più in profondità quell’arnese sventraculi che mi aveva battezzata. «Che puttana che sei! Sei una bellissima puttana! La mia puttana!». A quelle parole ebbi un tuffo al cuore: mi abbandonai con il torace su quello del Maschio e poggiai la mia guancia sinistra sui suoi pettorali. Lui mi circondò con le sue braccia possenti da body-builder e mi strinse forte nei suoi muscoli: «Sei la mia bellissima e bravissima puttana!». Ero la passiva più felice al mondo. E in tutto questo il suo cazzo era dentro di me ininterrottamente da più di un’ora.
Restammo in quella posizione per qualche minuto, finché non recuperammo entrambi un ritmo regolare del respiro. Io sentivo il calore bovino del petto del Maschio, che mi scaldava fino al midollo spinale: il mio culetto, invece, era una fornace ormai da tempo. Dentro quella fornace si stava cuocendo il suo seme, la sua sborra, la sborra del Maschio. Ero così felice di avere accolto quell’uomo belluino dentro di me: mi sentivo impregnata, marchiata, eternamente legata a lui. Ormai ogni traccia della mia mascolinità si era dissolta: ero la sua bellissima e bravissima puttana, ero sua. E lui era mio, il mio uomo, il mio Maschio. «Credi che sia finita così?»: la sua voce, così scura e così profonda, aveva rotto il silenzio. Provai un improvviso brivido di paura, ma tentai di stare al gioco: «Vuoi darmi ancora più cazzo, Maschio?», lo tentai. «Voglio vederti venire». È vero, mi ricordai in quel momento: non ero venuta e non ci pensavo perché per me vedere lui venire era stato il massimo del piacere. Lui continuò: «E poi ti avevo promesso un’altra cosa». Spalancai gli occhi nella fioca luce della stanza, ancora appoggiata con la guancia sul suo petto. È vero anche questo: mi aveva promesso di ficcarmi un piede in culo.
«Ferma così!», mi intimò con tono calmo, ma perentorio. Non mi mossi: il suo cazzone era ancora piantato nella mia figa e ancora non accennava a perdere la sua durezza. Con le braccione ancora intrecciate dietro la mia schiena si girò sulla destra portandomi con sé, finché ci ritrovammo invertiti: io sotto di lui e lui sopra di me. Lasciò la presa e si puntellò sulle mani per sollevare il torace. Come una montagna si ergeva sul mio corpicino magro e longilineo e io lo guardavo con gli occhi di una bambina incantata. Scese di nuovo a baciarmi appassionatamente in bocca e di nuovo si risollevò. «Ora lo tiro fuori, ma mi raccomando: stringi più che puoi perché la sborra deve restare dentro». Io annuii, volontariamente succube: d’altronde mai avrei pensato di lasciar andare anche solo una goccia di quel bendidio che mi fermentava nella fregna. Il Maschio cominciò a estrarre il suo bestione e il mio utero cominciò a rilassarsi. Strinsi la presa mentre usciva: non fece capolino nemmeno uno sputo di sborra. «Brava la mia puttana», mi disse. Io ero soddisfatta, sebbene sentissi tutto il vuoto che quel cannone aveva lasciato dentro di me: allo stesso tempo realizzai che di lì a poco sarei stata riempita da ben altro. Un sorriso di malizia mi si dipinse sul volto inconsapevole: «Maschio, voglio il tuo piede in culo».
Il Maschio non se lo fece ripetere. Si mise a sedere sul letto e portò la gamba destra davanti a sé. Quindi me la allungò fin sopra al viso. Io tirai fuori la lingua da cagna e cominciai a slinguazzare la pianta liscia di quel piede scultoreo. Di lì a poco lo afferrai con le mani e lo abbassai fino a potermi ficcare la punta in bocca: riuscii a lubrificare tutte e cinque le dita contemporaneamente. «Ma guardati: non riesci a stare con la bocca vuota. Ora basta, puttanella, sennò me lo consumi». Mi fermai obbediente. Il Maschio ritirò il piede verso di sé e io prontamente afferrai le mie caviglie con le mani, spampanandomi al massimo la passerina. Il Maschio avvicinò il suo alluce gigantesco al mio orifizio, e dopo averlo sfiorato cominciò a premere: il ditozzo entrò in un attimo. «Aaah!», gemetti come una prostituta in calore. Il Maschio cominciò a muovere avanti e indietro quel salsicciotto di carne, finché non rilassai completamente quella che probabilmente era già la fregna più slabbrata che avesse mai visto. Poi spinse, spinse, spinse sempre più: entrò il secondo dito, il terzo, il quarto, e la mia vulva anale era ormai larga quasi dieci centimetri. Un’ultima spinta e il piede entrò completamente: il mio ano si era aperto all’inverosimile e la sensazione di pienezza era sconvolgente. Avevo in culo il piede del Maschio.
A quel punto cominciò il godimento più sfrenato che avessi mai provato. Il mio condotto rettale, già squartato dal cazzone equino del Maschio e abbondantemente lubrificato dalla sua sborra cremosa, si spalancava ora fino al suo limite massimo per accogliere quel piede superbo, altero, immenso. Il Maschio cominciò a scoparmi con esso: lo tirava indietro e lo riportava avanti a una velocità sempre maggiore. Io mi sentivo l’intestino pieno di lui: le pareti del retto erano tese come non mai e ogni terminazione nervosa era stimolata in mille modi da quello stantuffo mastodontico. Cominciai a sentire un calore insopportabile alle chiappe. Il Maschio decise che era il momento. Allungò la sua manona sinistra sul mio cazzo, che giaceva inerte sul mio addome. Lo prese in mano e cominciò a segarlo, non accennando minimante a diminuire il ritmo della stantuffata rettale. Ero stimolata doppiamente: il mio cazzo era già ritto tra i ditozzi della sua mano, mentre i ditozzi del suo piede mi profanavano la figa. Il calore delle chiappe aumentò ancora e ancora. Cominciai a respirare affannosamente e a gemere svergognatamente. «Aaah!... Aaah!... Aaah!... Maschio… Aaah!... Maschio… Maschio…». D’improvviso esplosi. Sborrai cinque volte sul mio petto, mentre il mio sfintere a ogni schizzo si contraeva intorno a quel budello di carne virile. Ero in Paradiso: fu la sborrata più eccitante che avessi mai provato. Mi accasciai esausta sul letto, lasciando andare ogni presa. Il Maschio adagiò il mio cazzo sul mio addome e piano piano estrasse il suo piede dal mio retto, il quale non accennò neanche a richiudersi, tanto indegnamente era stato violato. «Mi hai eccitato tantissimo, puttanella: mi è tornato duro il cazzo…».
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