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Gay & Bisex

Il Gorilla (2)


di Mouselet
12.05.2020    |    637    |    2 9.4
"Tra un gemito e l’altro, intanto, io mi giravo a contemplare le sue sverniciate di saliva e tra le sue cosce intravedevo rialzarsi il cannone: la sua..."
Ormai ero quasi arrivata a casa del Gorilla. Durante il tragitto a piedi da casa mia a casa sua avevo ripensato ad altre volte in cui si erano verificati incontri di questo genere tra me, la puttanella, e Fabio, il Gorilla. Io gli scrivevo un messaggio, arrapata come una maiala, e lui rispondeva di lì a poco, sempre disposto ad accontentarmi: io chiedevo di essere ricevuta per la mia dose di cazzo, e lui faceva di tutto per venirmi… incontro. Quel giorno ripensai in particolare a un nostro incontro non molto lontano nel tempo, anche per questo ben impresso nella mia mente, e non solo nella mia mente. Mi aggiravo per casa in preda a una fregola animalesca: scrissi a Fabio «Gorilla, la voglio ORA!», e Fabio, in pochi minuti, rispose «Cucciola, vieni a prenderla!». Mi piacevano troppo i suoi vezzeggiativi: mi facevano sentire così innocente e zoccola allo stesso tempo. In fondo era stato lui a rendermi così: il suo fare gentile e protettivo mi faceva sentire libera di sbizzarrirmi, senza nuocere a me e tanto meno a lui. Perciò quando mi chiamava «Cucciola», io mi sentivo autorizzata a giocare con lui allo stesso tempo con ingenuità e con monelleria: in entrambi i casi lui avrebbe reagito bene, nel primo caso vezzeggiandomi perché in preda all’affetto, nel secondo insultandomi perché in preda alla voglia.
In un quarto d’ora ero a casa sua: lui mi aprì la porta in canottiera e mutande, senza nient’altro addosso, nemmeno le ciabatte o i calzini. Dio, che visione! La canottiera stava per scoppiare: era a tal punto tesa da quel concentrato di muscoli che sembrava colata su quel corpo come uno strato di cioccolata. «Quanto sei stronzo: ti fai trovare così apposta per eccitarmi!». «Be’, quanto a stronzaggine anche tu sei messa bene! Lo sai che questi pantaloncini corti mi fanno impazzire: non lasciano nulla all’immaginazione, e ti si vede quasi la fregna!». Sorridendo e allargando il mio sorriso in una risatina, mi gettai tra le sue braccia: lui mi strinse coi suoi braccioni da boxer e mi baciò appassionatamente. La passione del bacio si trasmise subito alla sua fava da 22 cm, che divenne dura come un mattone in quella gabbia di tessuto in cui era miseramente intrappolata. Mi staccai dal suo bacio e continuando a fissarlo negli occhi con lo sguardo più ammiccante che riuscii a lanciare mi inginocchiai ai suoi piedi. «Togliti la canottiera!», ordinai. Lui eseguì senza replicare e scoperchiò un tesoro di carne inestimabile: per stuzzicarmi ancora di più si mise le mani dietro la testa e accennò una posizione da modello. «Quanto sei stronzo!», ripetei. «E tu con quello sguardo da puttana cosa sei?». Per vendicarmi della sua spocchia, mi mossi con tale rapidità che abbassargli gli slip e schiaffarmi quel cazzone in gola fu tutt’uno: preso di sprovvista, il Gorilla lasciò andare la posa e inarcò la schiena appoggiandomi le mani sulla testa, che aveva già cominciato il suo andirivieni irrefrenabile su quel binario di ferro.
Avere quel palo in bocca mi mandava in estasi: era così ben tornito, così diritto, così duro. Un capolavoro di cazzo! Mi ci dedicavo con passione fanciullesca e allo stesso tempo con dedizione sacerdotale: la mia venerazione sarebbe stata ben presto premiata con quel nettare divino che avrebbe placato la mia sete. Procedevo avanti e indietro su quel cannolo ormai da qualche minuto: il Gorilla grugniva a ogni affondo e pian piano aveva aumentato il ritmo del respiro. Sapevo bene dove colpire per mandarlo su di giri. Allungai le mani verso l’alto, scalando quella montagna di muscoli con le mie dita lunghe e affusolate: il Gorilla ebbe dei brividi al mio tocco. Raggiunsi ben presto quello che volevo toccare e che sapevo avrebbe fatto impazzire quel manzo umano. Il Gorilla è sensibilissimo sui capezzoli, a tal punto che, se le sue aureole vengono stimolate nel modo giusto, lui rischia di sparare la sua dolce crema senza neanche rendersene conto: e io puntavo proprio a quello. Afferrai entrambi quei cilindri di carne tra il pollice e l’indice rispettivamente della mia mano destra e sinistra: erano già durissimi. (In tutto questo non avevo smesso un secondo di pompare il suo candelotto di 22 cm con la mia sapiente bocca puttanesca). Cominciai a sfregare quei capezzoloni tra le mie dita: il Gorilla diede un grugnito pazzesco. «Puttana famelica! Troia bocchinara! Baldracca succhiasborra!». Io aumentai la frizione: il suo cazzone vibrò. A quel punto interruppi immediatamente la tortura e staccai le dita: i capezzoli erano più prominenti che mai e sembravano pulsare. Li sfiorai leggermente con i rispettivi indici, dando il colpo di grazia. Il Gorilla esplose in un urlo animalesco e mi sparò sette schizzi di abbondante sborra direttamente in bocca. Pasteggiai quel cocktail con la lingua, assaporando ogni goccia: quindi aprii la bocca (lo sguardo del Gorilla, spossato dalla sborrata, era fisso sul mio volto), feci vedere la mia preda, e ingoiai.
Dopo qualche secondo di intensi scambi di occhiate vogliose mi alzai e gettai le mie braccia attorno al collo taurino del Gorilla: un profondo bacio trasmise il sapore di sborra direttamente alla lingua del suo produttore. Quando dolcemente ci staccammo, continuammo a guardarci negli occhi: «Mi farai impazzire, cucciola…». Io sorrisi con finta ingenuità e diedi in un risolino acuto. In momenti come quello sentivo una connessione viscerale con il Gorilla, come se la natura ci avesse generati per accoppiarci: in lui percepivo placarsi tutte le mie ansie, e la nostra perfetta simmetricità mi faceva sentire al sicuro, certa che non ci sarebbe potuto essere incastro migliore del nostro. E proprio per incastrarci meglio, il Gorilla, dopo avermi allontanato gentilmente da sé, si tolse definitivamente dai piedoni gli slip che erano caduti a terra e rimase completamente nudo, quindi prese a spogliare me. Mi tolse prima la maglietta a maniche corte, lasciandomi a petto nudo, poi si inginocchiò per slacciarmi le scarpe e togliermi i calzini. Rimanevano solo i pantaloncini corti a giro-fregna: ancora inginocchiato, forzò sulle mie anche con le manone per farmi girare e si ritrovò con le mie chiappette davanti al muso. Diede un’annusata profonda: «Senti che odore di sorca!», disse estasiato. A quel punto cominciò a spingere in basso i pantaloncini e, quando vide che non mi ero messa neanche uno slippino: «Ma che troia che sei!», disse, «Sei proprio la peggio troia arrizzacazzi!». Io risi di gusto e intanto lo agevolai nello sfilarmi i pantaloncini, rimanendo nuda e liscia come una pesca noce. Il suo fiatone da Gorilla arrapato mi schiaffeggiava le melette: a un tratto, quasi inebriato da quell’afrore femmineo, spinse il suo grugno nel mio solco e cominciò a grufolare come un maiale, leccando voracemente quel tarallo di carne che lo mandava fuori di sé.
Io gemevo come una cagna: quando il Gorilla mi leccava la fregna lo faceva con tanta passione che sembrava mi scopasse con la lingua. Mentre io gemevo, lui imprecava tra una lappata e l’altra: «Madonna… che sorca… che fica che hai… non vedo l’ora… di sfondartela… ti sfondo… ti apro in due… troia… rotta in culo…» e così via di complimento in complimento. Tra un gemito e l’altro, intanto, io mi giravo a contemplare le sue sverniciate di saliva e tra le sue cosce intravedevo rialzarsi il cannone: la sua cappellona fece capolino di nuovo, turgida come una mela, dura come un guscio di noce. Mi salì una voglia ferina di impalarmici: volevo che mi riempisse, che mi colmasse, che mi saturasse. Ma soprattutto volevo che mi desse di nuovo quella cosa. Al solo pensiero in bocca mi risaltò il suo sapore, quel gusto dolceamaro di Uomo-Bestia, quella consistenza pastosa e liscia allo stesso tempo. Ma stavolta non la volevo in bocca. A un tratto il mio sguardo si incrociò con quello del Gorilla: lui capì subito. Staccò la faccia dal mio culetto e fece una smorfia di disappunto, come a far capire che si staccava a malincuore. Con due passi indietro si lasciò andare sul divano, dove cadde seduto a gambe spalancate: completò la sua posa da Zeus in trono allargando le braccione sopra gli schienali. Il suo cazzone svettava in tutti i suoi 22 cm di bestialità, solido, sicuro, arrogante. Io gli davo ancora le spalle, mostrando le mie rotondità eburnee profanate da quella linguaccia taurina. Inarcai la schiena per attizzarlo ancora di più e notai subito che il suo cannolo diede un guizzo di approvazione: «Che puttana che sei! Vieni a sederti, puttanella, così vediamo se sculetti ancora!». Risi con innocenza simulata e mi girai verso di lui, cominciando ad avvicinarmi piano piano. Quando fui tra le sue gambe spalancate, salii sul divano rimanendo in piedi in linea d’aria sopra quella torretta di vene pulsanti. Il Gorilla alzò le braccione dagli schienali, ponendo le sue mani da gigante sui miei fianchi e cominciò a premere dolcemente perché scendessi e mi impalassi. Io posi le mie mani sui suoi deltoidi protrusi e mi lasciai guidare verso lo sventra-passere. Quando il mio buchino toccò la cappellona, si aprì con facilità, tanto era stato lubrificato, e con una discesa che sembrò infinita inglobò quel cilindro centimetro dopo centimetro. Alla fine mi ritrovai seduta sul pube del Gorilla: entrambi i nostri petti proruppero in un sospiro di goduria, sollievo e aspettazione.
Due secondi dopo stavo rimbalzando come una molla su quel pistone d’acciaio: a ogni affondo e a ogni ritirata si sentiva uno sciacquio di saliva e umori vaginali che facilitavano quel trapano nel suo lavoro di scavo all’interno del mio budello intestinale. Dietro il divano c’era un finestrone: nel riflesso del vetro mi vidi in tutta la mia troiaggine. Saltavo su e giù su quel cazzone inarcando la schiena il più possibile: il mio sterno si allargava in avanti offrendo al Gorilla il turgore dei miei capezzoli eccitati. Il Gorilla, infatti, non solo andava matto se gli toccavo le sue aureole da bisonte, ma adorava torturare in ogni modo le mie aureole da vacca: diceva che avevo dei capezzoli da balia in calore, che con quella fregna da puttana che mi ritrovavo potevo solo averli in quel modo, larghi, duri e succosi. In un attimo me lo ritrovai attaccato al mio capezzolo destro come un lattante e lanciai un urletto di piacere e sorpresa. Portai la mia mano destra tra i suoi capelli e cominciai a spingergli il capo verso il mio petto: lui succhiò con ancora maggiore voracità. Ero in estasi: un cazzo imperiale mi apriva la fregna in due mentre due labbra bovine mi prosciugavano una tettina. Il Gorilla cominciò a grugnire: era il segnale che stava per cedere. D’altronde anch’io ero quasi al punto di non ritorno. Lo staccai violentemente dal mio seno e gli rialzai la testa: stavolta sprofondai io tra i suoi pettorali e presi a succhiargli il capezzolo sinistro, che nel frattempo era diventato di marmo. Lui cominciò a imprecare: «Troia, puttana, vacca, zoccola! Ti piace il mio capezzolo, eh? Vuoi il latte? Ti ci riempio il culo!», e aumentò il ritmo dell’inculata. Mancavano pochi secondi ormai: il suo respiro si fece più frequente, il suo petto era in fiamme, il suo cazzone pulsava. Smisi di succhiare, diedi un morso al capezzolone e contemporaneamente strinsi il mio tarallo anale: il Gorilla sbraitò una bestemmia e la sua minchia esplose. Uno schizzo dopo l’altro, una fontana di sette schizzi di sborra mi colmò il budello rettale, stimolandomi la prostata all’inverisimile: senza soluzione di continuità, alla sborrata del Gorilla nel mio ano rispose la mia sborrata sul suo petto. Cinque schizzi di candido sperma verniciarono di bianco il pelame scuro del Gorilla, mentre il suo sperma taurino cominciava già a colare giù dal mio sfintere lungo i suoi coglioni. Portai la mano destra dietro la mia schiena e con l’indice raccolsi un rivolo di quella bevanda divina: nel frattempo, con l’indice della mano sinistra raccolsi un rivolo della mia squirtata. Con un risolino femmineo portai contemporaneamente l’indice destro alla mia bocca e l’indice sinistro alla bocca del Gorilla: entrambi succhiammo avidamente.
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