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Gay & Bisex

La prima volta con il Maschio (1)


di Mouselet
28.10.2019    |    13.075    |    6 8.2
"Era riuscito a strapparmi un appuntamento dopo circa un mese in cui mi aveva scritto quasi ogni giorno: mai avrei creduto che un uomo della sua imponenza..."
Quando vidi per la prima volta Roberto, rimasi folgorato. Indossava una maglietta a maniche corte blu e dei pantaloncini abbinati, ai piedi scarpe da ginnastica: era inizio Giugno e la serata si prospettava abbastanza calda. Quello che mi colpì soprattutto furono le sue braccia: la maglietta strategicamente corta era ben tesa intorno alle spalle possenti, da cui partivano due bicipiti erculei che guizzavano a ogni minimo movimento. Mi immaginavo già a tastarli con le mie esili dita, a esplorarli centimetro dopo centimetro. Mi chiesi se mi ci avrebbe fatto giocare: magari potevo chiedergli, fingendo una curiosità infantile, se poteva intostarli per me; lui, con aria soddisfatta, avrebbe piegato il braccio rivelando una grossa pagnotta marmorea, e io, facendo la voce da troia, avrei detto: «Oddio, maschio, sono enormi!».
Lo chiamavo «maschio» e lui mi chiamava «passivella»: i ruoli erano stati chiari fin dall’inizio. Era riuscito a strapparmi un appuntamento dopo circa un mese in cui mi aveva scritto quasi ogni giorno: mai avrei creduto che un uomo della sua imponenza avrebbe cercato un ragazzo magro e longilineo come me. Eppure aveva insistito con una costanza quasi incredibile: alla fine aveva vinto la mia riluttanza mandandomi foto di lui mentre si allenava in palestra. In quelle pose scultoree, sudato dalla testa ai piedi, con i muscoli induriti dallo sforzo, era per me l’uomo su cui avevo sempre fantasticato, l’Ercole che mi avrebbe finalmente sollevato sulla spalla e portato a casa sua come una preda inerme. Quando lo vidi, la mia mente andò subito a quel momento: non vedevo l’ora che mi prendesse, che mi possedesse, permettendomi finalmente di scontrarmi col suo corpo dal vivo, di annusare la sua pelle, di appoggiare le mie labbra sui suoi muscoli, di adorarlo come non riuscivo ad ammettere neanche a me stesso.
L’appuntamento cominciò molto a rilento: il mio imbarazzo era tanto più palese quanto più era salda la sua sicurezza. Roberto sapeva che già ero suo: mi aveva già conquistato. Gli sarebbe bastato un piccolo cenno e sarei caduto ai suoi piedi, ma soprattutto aveva capito bene che io non vedevo l’ora che lui mi desse quel cenno. Dopo aver passato un’oretta e mezza circa a passeggiare e chiacchierare, ci ritrovammo nella zona dove aveva parcheggiato e mi chiese se volevo che lui mi riportasse a casa in macchina. Era il cenno. Risposi di sì, e nel tragitto a piedi fino alla sua macchina cominciai quasi a tremare, tanta era la voglia che avevo di saltargli addosso: ebbi un’erezione fulminea e iniziai a sentire una certa smania alle gambe. Arrivati alla macchina, lui salì dal lato del guidatore, io da quello del passeggero, e dopo qualche parola di circostanza, finalmente ci baciammo. Fu un bacio selvaggio, animalesco, bestiale: le sue labbra carnose avvolsero le mie sottili e le due lingue cozzarono più volte nel tentativo sfrenato di entrare più a fondo nella bocca dell’altro. Nel frattempo lui allungò un braccio dietro di me e mi strinse al suo petto: potevo lasciarmi andare. Mentre continuavamo a pomiciare, con le mani percorsi le sue braccia possenti e sentii tutta la sua forza virile: i muscoli erano contratti in una morsa d’acciaio e per quanto stringessi la presa, non riuscivo a tenerla per più di qualche secondo. A un tratto mi crebbe dentro una brama furente di spalmarmi sul suo corpo: scavalcai il cambio e mi sedetti a cavalcioni sopra di lui, tutto questo mentre le nostre lingue continuavano a congiungersi. Quando mi appoggiai sul suo grembo, sentii l’uomo, il maschio che avevo sotto di me: il suo cazzo era di marmo e premeva gigantesco contro la lampo per uscire. La cappella spingeva contro il mio inguine, al che mossi il mio culetto avanti e indietro per esplorare tutta la superficie di quel magnifico cilindro che di lì a poco mi avrebbe profanato.
In quella posizione potei percepire tutta la sua possanza. I pettorali erano duri come la roccia e cominciai a strusciarci addosso il mio torace: volevo che mi entrassero dentro, che Roberto mi scopasse anche con quelli, tanto erano incombenti. Lui capì presto che mi attizzavano molto, per cui a un tratto mi prese la testa tra le mani e delicatamente me la fece appoggiare sul suo petto: a quel punto perse ogni delicatezza e cominciò a spingermi le guance contro quella massa di muscoli, lasciandosi sfuggire profondi rantoli di godimento (nel frattempo io gemevo come una verginella). Preso da questa smania di essere adorato in ogni centimetro, mi fece spostare la testa sul suo bicipite sinistro, lasciato nudo dalla maglietta a maniche corte: io cominciai a leccare come una cagna. Strusciavo il naso su tutta la superficie tesa e guizzante della sua protuberanza muscolosa: quel corpo duro mi dava un senso di virilità sovrumana, a tal punto che cominciai a sentir svanire la mia poca mascolinità e mi lasciai andare a una metamorfosi interna, che mi stava facendo sentire sempre più passivo, sempre più femmina. La metamorfosi si completò quando Roberto, arrotolati i pochi centimetri della manica corta fin sopra il deltoide, scoprì l’incavo peloso della sua ascella da gigante e mi ci spinse la faccia contro.
Fu il Paradiso. L’afrore di maschio alfa mi penetrò le narici e la bocca. Le gocce del suo sudore mi bagnarono il naso e le labbra. Ero sua, finalmente sua. Da allora tutto il mio essere si slanciò verso di lui: il mio unico scopo diventò ricevere quel maschio dentro di me. Il contatto con la sua ascella, con i suoi peli, con il suo odore, mi fece eccitare a tal punto che non stavo più in me: mi prese un fremito interno che mi proiettò nella mente l’immagine dei nostri corpi perfettamente combacianti, perfettamente simmetrici. Il mio buchetto, anzi la mia figa, si schiuse e cominciò a pretendere di essere riempita, tanta era la voglia di pienezza che la tormentava. Mentre si compiva in me questo miracolo, lui continuava a far strusciare la mia faccia contro la sua ascella, su e giù, finché io non schiusi la bocca e, tirata fuori la lingua, leccai tutto quel ben di Dio. Un sapore divino, appunto, forte e pungente, come forte e pungente era la potenza di quell’esemplare semiferino d’uomo di cui sarei stata la vittima volontaria.
Entrambi in preda a un’eccitazione animalesca, ci staccammo malvolentieri da quell’amplesso tanto perfetto: Roberto voleva possedermi a dovere e la macchina non era un luogo degno. Tornata al mio posto, fremetti per tutto il tempo che il Maschio guidò fino a casa sua: nel frattempo posai più volte la mano sulla sua coscia destra, per sentire la forza di quel fascio di muscoli che tanto più mi eccitava quanto più era estraneo alla mia struttura corporea. Arrivati finalmente a casa sua, entrammo in fretta nell’appartamento: io quasi non vidi nulla di quello che c’era intorno a me, né lui perse tempo a mostrarmelo. Ci spogliammo velocemente, lasciando i vestiti alla rinfusa per terra. Roberto si tolse prima le scarpe, poi la maglietta, quindi i pantaloncini, rimanendo in mutande. Fu una visione stupenda: il suo torace scolpito torreggiava su due gambe tornite, mentre i pettorali protuberanti e le braccia muscolose si impedivano a vicenda, tanto erano ingombranti. Il tutto sullo sfondo di una carnagione ustionata dal sole meridionale. Un’epifania dal passato, un dio dell’antica Magna Graecia.
Anch’io ero rimasta in mutande, in piedi attonita davanti a quel Maschio. Ci guardammo intensamente negli occhi, finché non prevalse la brama incontrollabile di unirci. Ci abbracciammo in modo furioso e cominciammo a pomiciare. Lui fece subito scorrere le sue mani gigantesche lungo tutta la mia schiena fino a raggiungere gli slip: si intrufolò con la destra nel mio intimo e con quelle dita tozze cominciò a impastarmi la fighetta. Io andai in deliquio: se fossi una donna, avrei iniziato a bagnarmi. Nel frattempo, il mio petto nudo si scontrava con il suo ammasso di muscoli marmorei: dai pettorali spuntavano i capezzoli turgidi come pietre che mi penetravano la pelle a ogni contatto. I suoi addominali, perfettamente scolpiti, sembravano tratteggiare una linea continua fino alla fonte di ogni piacere, quel meraviglioso esemplare di cazzo che Roberto teneva difficilmente nascosto nelle mutande. Già mugugnavo all’idea di scoparmici la bocca quando il Maschio decise che era giunto il momento: mi puntò le mani ferocemente sulle spalle e mi abbassò fino a farmi mettere in ginocchio. Non resistetti: la troia che era in me si palesò. Avevo la faccia all’altezza di quel bozzo duro che non aspettava altro che essere liberato. Prima di tirare giù gli slip, strusciai tutta la faccia su quella imponente protuberanza: l’odore acre di cazzo piscioso, misto al sudore inguinale dell’uomo sportivo, mi entrò nelle narici e mi scopò il cervello. Mi decisi a tirare giù l’elastico e liberai finalmente quel mostro di 21 cm, che mi si proiettò addosso con uno scatto schiaffeggiandomi la guancia. Roberto disse: «È tutto tuo, passivella», e lo inghiottii. Il Maschio fece un rantolo improvviso quando io cominciai a suggere quel leccalecca come un bambino. Lo insalivai per bene fino a che non riuscii a ficcarmelo tutto in gola fino alle palle: a quel punto mi fermai e volsi lo sguardo verso l’alto, riconoscendo un sorriso di compiacimento sulle labbra carnose del mio uomo.
Continuai a leccare quella lattina di carne per dieci minuti. Lo percorsi più volte in tutta la sua lunghezza. Mi fermai più volte a slinguazzare la cappella turgida e umidiccia: il pre-sperma già cominciava a colare, e io ne vado matta. A un certo punto Roberto mi mise sulla testa la sua mano destra, una mano tozza, pelosa, potente, con cui cominciò a dettare il ritmo della mia ciucciata. Intanto emetteva gemiti cavernosi, intervallandoli con complimenti e insulti del tipo «Brava, passivella, sei bravissima a succhiarlo! Continua così, succhiamelo tutto! Quanto sei troietta: ti piace proprio il cazzo!». Io ero in visibilio per quelle parole forti e gentili allo stesso tempo, e a ogni frase duplicavo il mio impegno nel lubrificare di saliva quello scettro virile, che di lì a poco si sarebbe fatto strada nei miei intestini. Dopo dieci minuti, Roberto si mise seduto sul divano, maestoso come Zeus in trono. Io lo seguii posizionandomi ai suoi piedi e non persi tempo: subito mi ripresi in bocca quel biscione e continuai la succhiata. Ma stavolta Roberto aggiunse un elemento nuovo alla scena. Mentre io mi dedicavo alla sua verga nodosa, lui piegò la gamba sinistra in alto e portò il piede sul divano. Era un piede stupendo: si vedevano le vene pulsare in superficie su una pelle ambrata e liscia, ricoperta di una leggera peluria. Mentre facevo su e giù con la mia lingua sulla sua nerchia, vidi da vicino quel piede portentoso, quasi erculeo. «Ti piace il mio piede, passivella?». Mi aveva notato mentre lo guardavo. «Perché non lo lecchi?». Il tentativo di reprimermi fu inutile. Abbandonai con sommo rammarico la bestia spaccaculi e scesi con la bocca su quel piede. L’odore era del tutto assente: non c’era sudore, non c’erano tracce di sporcizia. Era un piede perfetto: la pelle liscia ne esaltava la perfezione. Aprii la bocca e poggiai la lingua sul dorso di quell’opera d’arte. Sentii subito la protuberanza venosa. Mi mossi fino in cima, percorrendo tutta la sua estensione. Roberto fece un sospiro di godimento: ci diedi dentro da vera troia. Leccai tutta la parte superiore, poi passai alle dita: ciucciai il pollicione per minuti che mi parvero ore, poi scesi sulle singole dita più piccole. Infine tentai di mettermi tutta la punta del piede in bocca e con mia sorpresa ci riuscii. Alzai lo sguardo verso il Maschio: lui stava sorridendo compiaciuto. «Sai dove altro te lo ficcherò, passivella?».
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