Gay & Bisex
La prima volta con il Maschio (2)
di Mouselet
02.11.2019 |
1.331 |
3
"Non potevo vedere nulla, sdraiata a pancia in su come ero, ma sentivo il mio sfintere cedere a ogni assalto di più..."
Roberto voleva ficcarmi un piede in culo. Ci misi qualche secondo per realizzare la cosa. Ma quando cominciai a immaginarmi quella pratica per me del tutto nuova, iniziai a sentire un calore interno sempre più ingombrante. La mia fighetta si contrasse: voleva essere profanata da quel piede possente. Guardai Roberto con occhi languidi: mentalmente lo stavo implorando di prendermi, di possedermi, di farmi sua in qualsiasi modo volesse, anche e soprattutto con i suoi piedi. Roberto sorrise malizioso: aveva interpretato bene il mio sguardo. Si alzò in piedi: io rimasi in ginocchio per terra continuando a tenere gli occhi incollati su di lui. Da quella posizione vedevo i suoi pettorali incombere prepotenti sulla dura grata dei suoi addominali scultorei: alla loro base si intrecciava una folta peluria nerastra che incorniciava 21 cm di cazzo imperiale, superbamente innalzato sopra la mia testa a significare dominio. Roberto mi guardava dall’alto con occhi soddisfatti e insaziabili allo stesso tempo: «Appoggiati al divano, passivella». Obbedii senza fiatare, eccitata come una troia al pensiero di quello che stava per succedere.Roberto si inginocchiò dietro di me, posizionandosi davanti al mio culetto. A un tratto sentii le sue manone gigantesche appoggiarsi sulle mie chiappe tremule: espanse le dita tozze al massimo e strinse la presa. Lanciai un gemito femmineo: «Maschio… ti voglio», sussurrai con voce da zoccola. Il Maschio spalancò le mie chiappe e avvicinò la bocca alla mia vagina anale. Inspirò forte e sospirò con brama: era il suo pasto della serata. Una prima lappata di lingua mi colse impreparata: un brivido di gelo mi percorse la schiena. Poi il Maschio cominciò a leccare la mia passerina come un mastino lecca una ciotola d’acqua, voglioso di saziare la sete di una giornata. Io ero in Paradiso: la sua lingua sapiente esplorava tutto il buchetto in lungo e in largo, intervallando le leccate con baci furtivi e fulminei colpetti di lingua, che mi facevano alternatamente strizzare e rilassare l’orifizio. A un certo punto incollò le labbra al mio ano come una ventosa e cominciò ad aspirare. Soffocai un urletto di intenso godimento: il buchetto mi si strinse sempre più, ma quando dopo un intero minuto il Maschio si staccò, liberai ogni ritenzione e si spalancò una voragine pulsante che, rimanendo oscenamente aperta, chiedeva solamente di essere riempita fino all’orlo, di essere soffocata di carne virile. «Bene, sei pronta», sentenziò lui.
Era giunto il momento: stavo per essere profanata dal Maschio. Sarei diventata sua, avrei accolto la sua impronta dentro di me, avrei covato la sua dominazione. Roberto appoggiò il globo perfetto del suo glande sulla soglia del mio pertugio e cominciò a forzarlo. Quello si aprì spontaneamente, senza fare alcuna resistenza. Il cazzo continuò la sua catabasi fino a incastrarsi perfettamente nel mio retto: le palle toccarono il mio culo. Emisi un sospiro di pura soddisfazione: avevo raggiunto il culmine del piacere. Ero stata marchiata. Girai la testa verso Roberto: «Maschio… scopami: sono tua». Roberto non se lo fece ripetere due volte. Appoggiò saldamente le manone da gigante sui miei fianchi femminei, tornò indietro col cazzo di qualche centimetro e poi sprofondò di nuovo fino alle palle. Da quel momento sarebbe stato impossibile e inutile tentare di fermarlo. Cominciò un assalto da toro, il mio toro da monta. Entrava e usciva dal mio culo con ritmo incessante, sempre più intenso, proiettandosi con tutto il corpo avanti e poi indietro. Io lo seguivo come un giunco al vento, rilasciando urletti da troia ogni volta che si eclissava in me. A ogni spinta toccava un punto diverso del mio utero, procurandomi ogni volta scariche di adrenalina lungo la schiena inarcata quasi oltre il limite del possibile. La mia figa anale si apriva a ogni impatto di più: ormai non opponeva più alcuna resistenza a quell’ariete da battaglia. Nel frattempo il Maschio mi ricopriva di complimenti e insulti: «Ma guardati come lo prendi bene! Sei una troia favolosa! La mia troia favolosa! Mmmh, senti che figa calda e vogliosa che hai: non ti basta mai il mio cazzo, eh? Lo vuoi? LO VUOI?». Senza rendermene conto, mi sentii urlare: «Sììì! Dammelo, Maschio! Dammi il cazzo! Il tuo cazzo da toro! Sei il mio toro da monta! Montami come una vacca!».
Le mie parole dovettero inorgoglirlo particolarmente, perché decise di dimostrarmi ancora di più la sua potenza. Lasciò la presa dei miei fianchi e si distese con il petto marmoreo lungo tutta la mia schiena. Quindi passò le sue braccia ingombranti sotto le mie ascelle e arpionò le mie spalle con l’incavo dei suoi gomiti. Io mi lasciai fare qualsiasi cosa volesse fare, completamente abbandonata al potere di quell’uomo gigantesco che mi stava scopando l’anima. Roberto cominciò a raddrizzare la schiena: io ero ancora imperniata sul suo cazzone e il mio busto seguì il suo. Mi ritrovai seduta su quella nerchia divina, che per il peso del mio corpo mi profanò ancora più in profondità. Emisi un sospiro femmineo: ero intrappolata nella sua presa da gorilla e non avrei mai voluto liberarmi. Dopo qualche secondo di pausa, Roberto cominciò ad alzarsi da terra. Il mio peso era una piuma per lui: quando fu completamente in piedi, mi ritrovai sospesa a mezz’aria con un cazzo gigantesco in culo e la schiena appoggiata su un fascio di muscoli tesi. «Mmmh, Maschio, quanto sei forte!», feci con una voce da zoccola di prim’ordine. «Ora sentirai tutta la mia forza, passivella», rispose con una voce baritonale ma dolce, e mi diede un bacio sulla guancia. Quindi si mosse e, tenendomi in quella posizione, mi portò in camera da letto e mi adagiò con delicatezza sul lenzuolo, abbandonandosi sopra di me. In tutto questo il suo cazzo non era mai uscito dalla mia fregna, che anzi si slabbrava sempre più. «Sei pronta, passivella?».
Non aspettò la mia risposta per cominciare: tornò il toro da monta di qualche minuto prima. Riprese a scoparmi con ritmo frenetico: affondava in me come un coltello nel burro. Io ero costretta sotto il corpo caldo e non potevo far altro che subire i suoi affondi prepotenti, ognuno dei quali mi faceva uscire un gemito soffocato di godimento maialesco. «Ti piace, eh, passivella? Senti come ti si allarga la fregna: sei nata per prendere il mio cazzo. E io te lo darò finché non ti aprirò il culo in due!». Soffocata dai gemiti, riuscii a rispondere: «Oh sì, Maschio! Dammelo tutto, Maschio! Sono la tua troia, la tua puttana, la tua zoccola, Maschio!». Sentirmi definire sua fu la goccia che fece traboccare la sua brama di possesso. L’affondo successivo fu il più potente di tutti: il suo asso di bastoni mi arrivò allo stomaco e il mio fiato si spezzò. Roberto si fermò a quella profondità senza tornare indietro, quindi mi passò l’avambraccio destro sotto il collo e, incollandosi alla mia schiena, si rotolò sul lato sinistro. Mi ritrovai supina su quella distesa di muscoli guizzanti, con le gambe all’aria e la passera vergognosamente spampanata: quel cazzo da toro non era ancora mai uscito da lì dopo esserci entrato più di mezz’ora prima.
Roberto cominciò a scoparmi in quella posizione. Prima sprofondava e riemergeva piano, leccandomi contemporaneamente il lobo dell’orecchio sinistro, poi passò via via a un ritmo sempre più feroce. Non potevo vedere nulla, sdraiata a pancia in su come ero, ma sentivo il mio sfintere cedere a ogni assalto di più. Il suo nerchione si faceva strada nel mio intestino inesorabilmente: mi solcava come un aratro e non accennava a volersi fermare. «Maschio, voglio cavalcarti, ti prego». Non so dove trovai il coraggio di stopparlo, ma volevo provare quello stallone di razza come una vera cavallerizza. Il Maschio acconsentì. Sempre evitando che il suo bellissimo bestione uscisse dalla mia passerina, mi rizzai seduta sul suo inguine, quindi mi girai su quel perno carnoso e mi ritrovai a guardare in faccia il mio stupratore. Com’era soddisfatto: aveva la peggior troia seduta sul suo cannone e gli si stampò in volto il sorriso del successo. Mi abbassai a baciarlo: pomiciammo come animali per cinque minuti, mentre il mio retto continuava a essere rimestato da quella lattina di sborra. Quindi rialzai la schiena e puntai i palmi delle mani sui pettorali di ferro del mio uomo-bestia. Sorrisi anch’io: «Quando vuoi, passivella».
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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