Gay & Bisex
Etero convinto
di Marmarpe
30.05.2016 |
17.595 |
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"Quel pomeriggio tornai ancora al cantiere ma non lo vidi..."
Avevo sempre trovato difficoltà a pronunciare quell'espressione: "etero convinto". Persino il suono che quelle parole producevano mi risultava sgradevole. Quasi doloroso. Forse perché rappresentavano la morte di ogni mia speranza. Forse perché il loro significato suonava per me come una specie di resa. La presa di coscienza definitiva di non poter avere qualcuno che desideravo con tutte le mie forze. E sapere che un bel ragazzo che avevo incontrato al centro commerciale, un uomo maturo che passeggiava mano nella mano con la moglie o un muratore che spiavo da lontano su un cantiere non potevano essere miei solo perché "etero convinti", mi faceva stare male. E allora, l'unico sollievo alle mie inquietudini era la mia fantasia, quando in bagno mi masturbavo pensando a loro e a quello che avrei voluto fare con loro. Col tempo avevo imparato che non tutto si può avere, c'è sempre un limite. E i cosiddetti "etero convinti" rappresentavano un limite invalicabile, una montagna insormontabile che mai sarei riuscito a scalare. E così, con buona pace delle mie fantasie e dei miei pensieri peccaminosi, mi ero arreso all'evidenza: guardare e non toccare. Fino all'estate scorsa. Un'estate calda ed afosa che forse avrebbe potuto donarmi di nuovo qualche speranza. O almeno una possibilità di ripensamento. Era agosto inoltrato e finalmente avevo ottenuto le tanto agognate ferie. La ditta di termoidraulica per la quale lavoro aveva deciso di chiudere proprio a ridosso di ferragosto, lasciandomi 2 settimane tutte per me. Avevo deciso infatti di non partire ma di concentrarmi davvero su me stesso e sul mio benessere, perché ne avevo davvero bisogno. Due settimane, insomma, per ricaricare le batterie, dopo un anno di stress e casini. Per fortuna abito in una città sul mare e quindi anche restare lì non era poi così male. Da più di un anno vivevo solo e avevo scelto un appartamento in un edificio residenziale proprio sul lungomare. Il primo giorno di ferie mi svegliai di buon'ora, feci colazione e decisi di godermi quello splendido sole con una lunga passeggiata sul lungomare. Il caldo era già ai limiti della sopportabilità, ma questo non mi fece desistere. Scesi in strada e cominciai a camminare sul marciapiede che costeggiava la spiaggia. Da lontano vidi un cantiere che non avevo notato nei giorni precedenti. Quando fui abbastanza vicino, mi resi conto che stavano sistemando la pavimentazione del marciapiede. Era un cantiere piuttosto grande e vi stavano lavorando diverse persone. Subito in me si fece strada la mia parte più "troia" e buttai un occhio per vedere se c'era qualche operaio interessante: i soliti uomini di mezza età, qualcuno più giovane. Ma comunque niente di particolarmente interessante. Diressi di nuovo lo sguardo davanti a me e continuai a camminare. Verso la fine del cantiere notai un ragazzo che stava sistemando la recinzione esterna e lì sgranai gli occhi. Era un ragazzo sulla trentina, capelli corti e biondi, robusto ma non grasso, alto poco più di un metro e settanta, sudatissimo. Due occhi castani e un viso imbronciato: non doveva essere piacevole lavorare sotto quel sole! Passai molto vicino a lui e non gli staccai gli occhi di dosso. Indossava un paio di pantaloncini che mettevano in evidenza due gambe muscolose e molto pelose e, sulla parte superiore del corpo, aveva solo la pettorina fosforescente che usano nei cantieri stradali, lasciandomi così la possibilità di ammirare buona parte del suo torace ricoperto da una folta peluria bionda. Continuai a fissarlo a lungo e i nostri occhi si incrociarono per un istante. Io sostenni il suo sguardo ma lui abbassò subito gli occhi e tornò al suo lavoro. Camminai ancora per un po' e poi tornai indietro. Quel ragazzo mi aveva decisamente turbato. Ai miei occhi era terribilmente attraente. Sicuramente non era un adone, un ragazzo da copertina, insomma. Ma era maschio e sexy da farmi perdere la testa. Quando fui di nuovo vicino a lui, non so dove trovai il coraggio, ma decisi di tentare una specie di approccio e gli dissi le prime parole che mi vennero in mente:"Oggi il caldo è insopportabile. Vuoi qualcosa da bere? Vado a comprarlo al bar e te lo porto!". Lui alzò lo sguardo sorpreso, quasi come se non si fosse nemmeno accorto della mia presenza. Mi guardò incredulo e rispose:" No, grazie, non disturbarti. Tra un po' arriva la mia ragazza. Mi porta il pranzo e un paio di bottiglie di acqua fresca!". E continuò a lavorare. Io non seppi trovare nemmeno le parole adatte per rispondergli. Mi sentii solo terribilmente imbarazzato. E così ripresi a camminare verso casa. Lungo il tragitto c'erano solo due parole che riecheggiavano costantemente nella mia mente:" Etero convinto, etero convinto, etero convinto". E il loro ripetersi all'interno della mia testa era per me una sofferenza senza eguali. Rientrai in casa visibilmente turbato: quel ragazzo mi aveva davvero sconvolto. Forse era stato l'odore della sua pelle sudata che avevo percepito quando gli ero vicino, forse il suono della sua voce, forse la sua espressione così disinteressata, forse il suo atteggiamento burbero o forse quel corpo così maschile ed attraente. Comunque non riuscii a non pensare a lui per tutta la giornata. In ogni istante la mia parte più razionale cercò di reprimere i miei desideri. Ma non ci riuscì. Ero come stregato da quel ragazzo. Il giorno seguente mi svegliai un po' più tardi e, quasi come un automa, presi dal l'armadio le cose più succinte che avevo: un paio di pantaloncini cortissimi ed una maglietta striminzita che mi lasciava scoperto quel fantastico culo da troia che ho. Mi depilai completamente e indossai un profumo molto femminile. La voglia che avevo di rivederlo mi fece scendere subito sotto casa, deciso a farmi notare da lui. Arrivai in prossimità del cantiere e lo vidi ancora lì. Ma stavolta non era solo. Notai che tutti gli operai erano fermi in pausa pranzo e che accanto a lui c'era una ragazza. Si stavano baciando. Evidentemente lei anche oggi gli aveva portato il pranzo. La cosa non mi scoraggiò e passai davanti a loro sculettando come una vera troia. La ragazza mi notò e le sentii dire: "Ma Come si è vestito questo? Ma è un uomo o una donna?". E risero entrambi. Non feci caso a quel commento. Quello che mi interessava era che lui mi avesse notato. Camminai ancora e poi tornai indietro. Stavolta il mio bell'operaio era solo e stava lavorando. Mi fermai vicino a lui e lo fissai. Lui si accorse di me e io, di tutta risposta, mi passai la lingua sulle labbra. Lui rimase in silenzio, scosse il capo e tornò al suo lavoro. Un suo collega lì vicino si accorse della cosa, scoppiò a ridere e disse rivolto al mio operaio:" Alessio, mi sa che hai fatto colpo!" E continuò a ridere. Imbarazzato ripresi a camminare e me ne tornai a casa. Adesso sapevo anche il suo nome. E il desiderio di averlo era sempre più forte. Il giorno dopo presi un pezzo di carta e ci scrissi sopra il mio numero:" 33276..... per Alessio". Uscii di nuovo di casa vestito come una troia, raggiunsi il cantiere e lasciai scivolare il biglietto vicino a lui. Mi voltai e vidi che lui stava leggendo il biglietto. Se lo mise in tasca e continuò a lavorare. Dopo una decina di minuti mi avvicinai di nuovo. Lui si avvicinò alla recinzione, mi afferrò per un braccio e mi guardò con un espressione a metà tra l'incazzato e lo schifato. Cercando di non urlare, ma visibilmente alterato mi disse:" Senti, a me piace la figa. Devi smetterla, mi stai creando dei problemi!". Io continuai a fissarlo: il suo odore mi annebbiava la testa e così mi passai ancora una volta la lingua sulle labbra e gli dissi:"Ti voglio!" Lui si guardò intorno, temendo che qualcuno potesse aver sentito. Poi si voltò di nuovo verso di me e mi sputò in faccia. Io non mi scomposi. Raccolsi con un dito la sua saliva e me la portai alla bocca succhiandomi il dito. Lui lasciò il mio braccio e se ne tornò al suo lavoro, non prima di avermi mandato a quel paese. Tornai a casa in preda ad un'eccitazione enorme. Mi masturbai a lungo pensando a lui. A questo punto se non l'avessi avuto sarei impazzito. Volevo vedere il suo cazzo, pensavo solo a quello, mi stava facendo impazzire. Quel pomeriggio tornai ancora al cantiere ma non lo vidi. Per un attimo pensai che avesse chiesto di lavorare da un'altra parte affinché io non lo scocciassi ulteriormente. Ma poi passai davanti ad un bar e lo vidi lì, intento a bere un caffè con i suoi colleghi. Gli passai davanti, incrociai il suo sguardo e mi diressi verso la toilette. Pochi secondi dopo la porta si aprì ed entrò lui. Io rimasi impietrito. Non sapevo quali fossero le sue intenzioni e così non dissi nulla. Lui si avvicinò al lavandino, mi guardò e mi disse:" Io non mi voglio incazzare, davvero. Ma se continui così m'incazzo sul serio. Non ce la faccio più, stai diventando il mio tormento, cazzo!". "Ti voglio", seppi solo rispondere ancora una volta. Allora lui cercò di non scomporsi e continuò:" Senti" disse a voce bassissima "se ti faccio vedere il cazzo, mi giuri che poi mi lasci in pace?". Io lo guardai negli occhi ed esitai prima di rispondere. Avevo una voglia matta di vedere il suo cazzo ma di sicuro poi avrei voluto anche qualcosa di più. Alla fine però accettai. Lui mi spinse dentro uno dei bagni, chiuse la porta e si abbassò con un colpo solo pantaloncini e slip. Ne venne fuori un cazzo bellissimo, completamente moscio. Largo e anche discretamente lungo, non circonciso, sormontato da una fitta peluria bionda alla base. Due palle pendenti e grosse, ricoperte anch'esse da fitti peli biondi, completavano il quadro. Io rimasi fermo per un po', tradendo con lo sguardo tutto il desiderio che avevo. Poi, quasi in automatico, allungai una mano verso di lui. Ma lui mi bloccò subito. Si rivestì e se ne andò. "Adesso vai a fare in culo però, non rompermi più!" Furono le sue ultime parole prima di sentire la porta sbattere alle sue spalle. Lasciai passare un po' di giorni e passai ogni minuto a fantasticare su di lui. Su quel bellissimo cazzo, sul suo sguardo, sul suo corpo. Cercai di resistere ma alla fine la voglia di rivederlo ancora una volta ebbe la meglio e così tornai a trovarlo. Lui mi vide subito ed alzò gli occhi al cielo, quasi disperato. "Sei un tormento", mi disse. E continuò a lavorare. Io però restai lì e cominciai a riempirlo di complimenti. Alla fine presi un foglio di carta e ci annotai sopra il mio nome ed il mio indirizzo. Glie lo porsi ma lui non volle prenderlo, così lo lasciai cadere a terra, sperando che prima o poi lo leggesse. "Sta arrivando la mia fidanzata, se non te ne vai chiamo qualcuno e ti faccio internare perché tu sei pazzo". Mi disse ancora. Forse aveva ragione, la voglia che avevo di lui mi stava facendo impazzire. In fondo lui era un "etero convinto" è solo un pazzo avrebbe continuato a comportarsi come me. Tornai a casa ancora una volta deluso e deciso a fantasticare su di lui per soffocare le mie voglie. In fondo la fantasia non avrebbe potuto togliermela nessuno, neppure la convinzione di non poterlo avere mai. Quella sera, però, verso le 17:30, sentii suonare al citofono. "Sono Alessio!", sentii dire. Mi pietrificai. "Forse stavolta è venuto davvero a menarmi", pensai. Il tono della sua voce tradiva ancora una volta la sua incazzatura. "Quarto piano, seconda porta a destra", risposi. Aspettai con ansia il suo arrivo ed aprii la porta. Lui entrò, chiuse la porta alle sue spalle. Si sbottonò i pantaloni, li abbassò e si mise una mano sugli slip:"È questo che vuoi?" Mi disse guardandomi negli occhi. Io ricambiai il suo sguardo e lo ammirai. Era ancora vestito da lavoro, aveva i capelli scompigliati dal sudore, la barbetta incolta lo rendeva ancora più sexy e la sua pelle luccicava da quanto era sudata. Anche i peli del suo petto erano completamente bagnati. Tutta quella scena non mi fece capire più nulla. Mi inginocchiai ai suoi piedi e affondai il naso sui suoi slip. Respirai il suo odore acre dopo una giornata di lavoro al sole. Quel l'odore fu per me la molla che mi fece perdere ogni freno inibitore. "Sei una puttana!", mi disse lui "Io sono fidanzato e guarda cosa mi stai facendo fare", continuò. In un attimo si abbassò gli slip e il suo meraviglioso cazzo,ormai in tiro, sbatté contro le mie labbra. Lo guardai negli occhi, prima di lasciarlo sprofondare completamente nella mia bocca. Lui si lasciò andare ad un gemito di piacere e io rimasi così, immobile, a gustarmi la sua cappella nella mia gola. A quel punto cominciai ad andare avanti e indietro lentamente, assaporando ogni singola parte di pelle del suo arnese. Aveva il sapore più buono del mondo. Sapeva di maschio. Sapeva di lui. E questo mi piaceva. Poi mi soffermai sulla cappella. Presi a succhiarla con avidità mentre ascoltavo i suoi mugolii, segno evidente che la cosa cominciava a piacergli davvero. Feci scorrere ripetutamente la mia lingua lungo la sua asta, scendendo poi fino alle palle. Lui si abbassò gli slip fino al ginocchio per facilitarmi il lavoro e io pomiciai con le sue palle. Lo feci a lungo, le adorai quasi come fossero un idolo. Sapevo già che, di lì a poco, da loro sarebbe stato prodotto il frutto del piacere del mio uomo. Dopo un po' Alessio mi prese per le orecchie e appoggiò la cappella sulle mie labbra. Io le dischiusi e lui lo ficcò tutto nella mia bocca. Cominciò a scoparmi la bocca. Sembrava indemoniato. Temetti per un attimo che volesse venire in fretta per poi andarsene. Io volevo che restasse lì, volevo averlo tutto per me. Il suo modo violento di scoparmi la bocca mi provocò diversi conati, ma questo non lo fece rallentare né desistere. "Succhi meglio della mia ragazza, sei proprio una troia succhiacazzi", continuava a ripetermi. Lo vidi liberarsi della maglietta e, mentre mi scopava ancora la bocca, ammirai ancora una volta quel corpo che avevo tanto desiderato. Poi lui si fermò, si liberò completamente dei pantaloncini e degli slip e mi chiese di spogliarmi. "Non togliere gli slip però" mi disse "non voglio vedere il tuo cazzo, mi fa schifo", continuò. Io restai in mutande, mi fece voltare e mi spinse fino al tavolo della cucina. Mi abbassò e mi fece appoggiare lì. Scostò con la mano i miei slip e mi infilò prima uno e poi due dita nel buchetto:" Quanto sei troia!" Continuava a ripetermi. Poi si abbassò, sputò sul mio buchetto, ci appoggiò la cappella e con un colpo deciso fu dentro di me, senza preamboli e senza darmi la possibilità di abituarmi al suo cazzo. Io urlai dal dolore ma lui mi tappò la bocca con la mano:" Non urlare, puttana. Sei tu che hai voluto il mio cazzo. Non devi fiatare" mi disse. E prese a scoparmi il culo come se non scopasse da anni. Intanto urlava dal piacere e mi apostrofava con i termini più sconci che conosceva. Il mio buchetto era oscenamente dilatato e il dolore aveva lasciato quasi subito il posto al piacere più sfrenato. Sentivo il suo corpo peloso e sudato sulla mia schiena, l'odore pungente della sua pelle aveva ormai saturato la stanza e mi stava trascinando in un vortice di godimento. I suoi mugolii e le sue parole oscene erano inframmezzati dal suono sordo del suo scroto che sbatteva violentemente sulle mie natiche e dal rumore che produceva l'attrito del suo uccello contro le pareti del mio intestino. Poi prese una sedia dal tavolo, uscì dal mio culo e vi si sedette. Mi ordinò di impalarmi e con un gesto rapido strappò la stoffa posteriore dei miei slip per facilitarmi la cosa. Io mi avvicinai al suo cazzo con calma, cercando di sedermici sopra. Ma lui ancora una volta mi dimostrò che non aveva voglia di aspettare e di fare le cose con calma, così mi afferrò per i fianchi e mi spinse sul suo cazzo che svettava in aria. In un attimo mi fu di nuovo dentro e, senza mollare mai i miei fianchi, prese a scoparmi ancora più forte. Così forte che io arrivai a sperare che sborrasse in fretta, anche perché ero al limite e poco dopo mi sborrai nelle mutande. Ma lui aveva una resistenza incredibile. Così decise di cambiare posizione ancora una volta. Mi fece sdraiare a pancia in sù sul tavolo, mi sollevò le gambe ed entrò ancora una volta dentro di me. Con le braccia teneva le mia gambe e con il bacino spingeva forte con rabbia, quasi come se volesse sfondarmi. Vidi il suo viso trasfigurato dal piacere mentre mi insultava ancora. "Hai il culo più largo di tutte le puttane che ho scopato, sei una vera cagna", continuava a dirmi. E mentre continuava a spingere forte lo sentii urlare più forte. "Sborro... Ti riempio il culo di sborra, troia". Sentii il suo cazzo contrarsi dentro mi me, prima di riempire il mio intestino con il frutto del suo godimento. Restò fermo per qualche secondo mentre si asciugava il sudore dalla fronte. Poi tirò fuori l'uccello ormai barzotto dal mio culo e vi infilò due dita. Le estrasse completamente sporche di sborra e me le infilò in bocca. "Ecco, troia, succhia la sborra che hai tanto desiderato!". Io impiegai un po' per riprendermi da quella scopata, così rude ma anche così eccitante. Ma la sua voce mi riportò presto alla realtà. "Devo andare a darmi una pulita, dov'è il bagno?" Mi chiese. Io mi alzai a fatica dal tavolo e gli chiesi di seguirmi. Gli mostrai il bagno e lui mi disse:" Aspetta, entra con me, adesso che hai avuto quello che volevi devi pulirmi il cazzo per bene!" Entrammo insieme in bagno e lui mi fece inginocchiare. Presi in bocca il suo cazzo ormai completamente molle e lo ripulii per bene da ogni traccia di sborra:" Ecco così, come la più troia delle puttane!" Mi disse. Io alzai gli occhi e vidi stampato sul suo viso un sorriso beffardo e lo sentii dire ancora:"Adesso prenditi anche questa, sei stato tu a dire di volermi!". E così cominciò a pisciarmi addosso e in bocca, ridendo di gusto. Una volta finito, uscì dal bagno, si rivestì e uscì di casa. Io rimasi lì a terra, sporco ed eccitato. Pensai a mille cose. Ma pensai soprattutto che, forse, un "etero convinto" non è mai "convinto" fino in fondo. Alessio andò via prima che io potessi chiedergli di rivederlo, senza dire nemmeno una parola. Nel mio cuore, però, sapevo ( o forse speravo!) che un giorno avrei rivisto il mio "etero convinto". E quel giorno, forse, sarebbe arrivato molto presto...
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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