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La Svolta di Danyelle


08.02.2025 |
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"Il Padrone mi accompagnò con la sua auto fino al cancello, dove venni presa in consegna da un uomo di colore che, seppi dopo, essere il tutto fare..."
Dopo quella sera o, meglio, dopo la performance di quella sera, il mio Padrone fu letteralmente invaso da richieste per la sua schiava ed in particolare dall’Ingegnere Riccardo (così ho scoperto si chiamava l’uomo occhialuto che la sorte ha voluto venisse abbinato al mio numero), che fu particolarmente colpito non solo dalla mia vocazione alla schiavitù, ma soprattutto dalla mia predisposizione ai rapporti sessuali senza limiti.Nelle numerose telefonate che fece al mio Padrone, infatti, non faceva altro che ricordare con quale sensuale voluttà avessi rivolto gli occhi verso il cielo nel momento del mio godimento, che arrivò senza che il mio clitoride fosse stato in alcun modo sensibilizzato, a comprova della mia natura di troia e puttana, amante del cazzo, unico e assoluto mio irrinunciabile padrone.
Si avviò una trattativa di oltre una settimana che portò, alla fine, alla mia cessione per la durata di un mese all’Ing. Riccardo, dietro un lauto compenso in denaro elargito a favore del mio Padrone.
Danyelle non capì cosa stesse tramando alle sue spalle fino a quando una sera il Padrone la chiama al suo cospetto, le ordina di inginocchiarsi con lo sguardo sommesso e rivolto a terra, dicendole: “Troia, questa sera ti porto a fare una gita. Starai fuori casa per circa un mese. Non è necessario che ti porti alcun tuo effetto personale perché, dove andrai, troverai tutto quello che ti occorre”.
Per come mi è stato insegnato durante il periodo di addestramento, non ho proferito parola e sono ritornata in salone dove ero intenta a stirare gli ultimi indumenti del Padrone. Un silenzio assordante scende nella stanza ed un brutto presagio pervade la mia mente. Il pensare di dover rimanere lontano dal mio Padrone e Carnefice, anziché farmi sentire sollevata mi ha, invece, buttata nello sconforto più cupo. Due lacrime scesero sul volto che, inevitabilmente, fu imbrattato dal rimmel.
Se ne accorge il Padrone che viene dietro di me e, per la prima volta da quando è iniziata questa storia, mi avvolge in un tenero abbraccio e, nell’asciugarmi con le dita le guance irrorate dalle lacrime, mi dice: “mi mancherai, schiavetta mia”.
Il soggiorno nella sontuosa villa dell’Ing. Riccardo segna definitivamente il destino e la personalità futura di Danyelle. Se fino ad allora il suo vecchio Padrone alternava momenti di sottomissione ed umiliazione estrema a momenti di tenera umanità, sebbene rari, il nuovo Padrone si dimostrò immediatamente spietato e insensibile, trattando la schiava davvero come un oggetto e relegata ad elargire piacere a lui e a tutti coloro che gli fu confesso usarla.
L’arrivo a casa dell’Ing. Riccardo avvenne in prima serata. Il Padrone mi accompagnò con la sua auto fino al cancello, dove venni presa in consegna da un uomo di colore che, seppi dopo, essere il tutto fare dell’ingegnere. Mentre il mio Padrone si allontana senza nemmeno salutarmi, Omar (questo è il suo nome), mi fa entrare bruscamente in casa prendendomi per un braccio e, dopo avermi letteralmente scaraventata sul freddo pavimento, mi ordina di denudarmi completamente.
Presa alla sprovvista ed ancora un po' attonita dai modi bruschi di Omar, mi attardo un attimo nell’eseguire gli ordini e, per questa mia lieve mancanza, vengo immediatamente colpita nel basso ventre da un calcio sferrato dallo stesso Omar. “La pacchia è finita, PUTTANA” inveisce Omar, fissandomi dall’alto al basso con i suoi occhi neri di rancore. “Pensi che sei venuta a sollazzare il cazzo dell’ingegnere e che per questo motivo possa godere di privilegi? Tu, in questa casa non vali niente, sei un oggetto, sei un cesso, sei una sputacchiera e varrai meno del gabinetto”.
Mi tolgo i pochi vestiti che avevo addosso e, nel frattempo, cerco di capire le motivazioni della reazione di Omar, apparentemente immotivata. Tutta tremante, sono ora al cospetto di questo energumeno completamente nuda, tranne le mie zeppe di sughero ai piedi e la mia immancabile gabbietta rosa, che cerco di nascondere timidamente coprendola con le mie esili e sottili mani.
Questa mia pudicizia fece scoppiare in una fragorosa risata il mio torturatore, il quale mi ordina di inginocchiarmi a quattro zampe al suo cospetto. Memore della sua reazione violenta di un attimo prima quando ho tardato ad eseguire gli ordini, prima ancora che finisse il comando mi trovo a terra come una cagna ai suoi piedi.
“Bene. Cominci a capire come ti devi comportare. Avvicinati con la bocca ai miei piedi e baciali con devozione ogni volta che tu sarai al mio cospetto. L’Ingegnere mi ha dato il compito di insegnarti le regole della casa, che ti consiglio di imparare in fretta se non vuoi soffrire le pene dell’inferno”.
Mi affretto quindi a baciare i piedi nudi di Omar che si presentano particolarmente odorosi e sporchi, considerando che siamo nella stagione estiva che lo porta a camminare per casa completamente scalzo.
“Oltre a essere baciati, i miei piedi hanno bisogno di essere puliti dalla tua lingua, sporca di una cagna” e, nel mentre mi istruiva sui miei compiti, mi allaccia al collo un collare con un lungo guinzaglio, che tiene saldo nelle sue mani. “Senza un nuovo ordine mio o dell’Ingegnere non potrai alzarti da questa posizione, per cui cerca sin da ora di abituarti”, disse Omar, ridendo sguaiatamente, nel mentre mi tirava con il guinzaglio verso una poltrona presente nella stanza.
Senza neanche capire come, mi ritrovo a leccare le piante dei piedi di Omar che nel frattempo si è messo comodo sulla poltrona, allungando ed appoggiando le gambe sopra un pouf. Sono stata costretta a leccargli e pulire i suoi piedi per oltre una ora, passando la mia lingua tra le singole dita, succhiandone tutto lo sporco ed il sudore accumulato da chissà quanto tempo, al punto che in qualche tratto la pelle si era addirittura scurita.
Questo mio lavoro costante di lingua ha chiaramente svegliato gli istinti sessuali ed animaleschi dell’uomo che, avverto, diventare sempre più irrequieto, sentendolo mugolare. Mi è vietato alzare la testa senza un suo preciso ordine per cui non posso vedere cosa succede intorno a me, ma ho la sensazione che stia iniziando a toccarsi il cazzo da sopra la tuta.
Questa mia sensazione diviene certezza nel momento in cui lo vedo bruscamente alzarsi in piedi, costringendomi a mettermi in ginocchio strattonando il guinzaglio verso l’alto, in modo che ora la mia bocca arrivi giusto all’altezza del suo ventre. Tutto avviene in fretta ed in un attimo mi ritrovo con il naso incollato al suo cazzo, di cui ne avverto immediatamente il calore e la consistenza, sebbene da sopra i vestiti.
“Puttana, la tua lingua è morbida e umida al punto giusto. Hai fatto svegliare la bestia che ho in mezzo alle gambe ed è ora che ti prenda cura del mio cazzo. Sai cosa fare e come farmi svuotare in fretta perché ho molte cose da fare”.
Sebbene fino a quel momento avessi subito le angherie di questo uomo, il ritrovarmi con il viso incollato sopra quel palo di carne pulsante e odoroso di piscio e di sperma, che invade ogni punto più recondito del mio cervello, ha contribuito a risvegliare in me l’indole di troia sottomessa, adoratrice del Dio Cazzo.
Inebriandomi del delizioso ed eccitante odore che emana la sua verga, nel compiacermi di avergli procurato una erezione a dir poco maestosa, aiutandomi soltanto con le labbra e i denti, giusto per aumentare la sua eccitazione, gli abbasso la tuta. Come una molla, il suo cazzo mi sbatte vigoroso sulla fronte, lasciando scoperti due grossi testicoli che, a vederli così, sembrano davvero ricolmi di sperma. Annuso, bacio e lecco la cappella violacea, succhiandone il liquido pre-seminale di cui è coperta, strofinandomela su tutto il mio viso.
Lui in piedi mi osserva con lascivia, desiderando il momento in cui glielo prenderò in bocca per succhiarlo. Man mano che le mie labbra sfiorano la sua cappella oppure lambiscono le pareti nervose della sua asta, lo guardo negli occhi, facendolo illudere che lo avrei imboccato da un momento all’altro. È un incrociarsi di sguardi che segnano chi di noi due ha il potere: Omar o la schiava? In questo momento chi domina sono io, con la mia bocca, la mia lingua e, tra un attimo, la mia gola. Infatti, quando decido di ingoiarlo, lo faccio molto lentamente, senza tentennamenti, infilandomelo centimetro dopo centimetro, fino alla radice dei coglioni.
Omar non crede ai suoi occhi nel vedermi ingoiare la sua bestia, che ora ha letteralmente invaso ed ostruito la mia gola. Grazie agli insegnamenti del Padrone, ho imparato non solo ad ingoiare il cazzo senza avere rigurgiti ma soprattutto, una volta introdotto nella cavità esofagea, a stimolare la cappella con i movimenti dell’ugola e della trachea. Riesco a stare in apnea quasi due minuti e quando lo estraggo dalla bocca, un mare di saliva mi inonda il viso ed il corpo. A questa vista, Omar sempre più eccitato, mi prende per i fianchi, mi gira come un fuscello posizionandomi a pecorina sui braccioli della poltrona e, senza alcuna delicatezza, mi allarga le cosce, esponendo il mio culo alle intemperie.
Mi costringe con una mano a tenere il viso schiacciato sulla seduta della poltrona e con l’atra tiene alzato il mio culo, per posizionarlo all’altezza giusta del suo cazzo che ora, duro come il ferro e grosso come una bottiglia di coca cola, mi viene appoggiato sulla mia fica anale, pronta per essere deflorata. Sono cosciente che, sebbene eccitata, sarà molto doloroso accoglierlo dentro il mio antro e sarà davvero difficile provare alcuna forma di piacere. Chiudo gli occhi nel momento in cui sento il calore della sua cappella premere sulla mia fessura per entrare. Serro la bocca stringendo tra i denti l’orlo del cuscino della poltrona e chiudo i pugni della mano, per resistere all’imminente dolore.
“Puttana di una scrofa. Mi hai fatto infoiare. Ora ti spacco il culo, brutto frocio che non sei altro, così impari a provocarmi”, disse Omar mentre si accinge ad appoggiare la cappella dinanzi alla mia fessura e comincia a farsi avanti per entrare. Per non provare dolore, inizio a spingere lo sfintere verso l’esterno per rilassare le pareti anali, al fine di favorirne quanto più possibile l’introduzione. Il cazzone di Omar inizia a farsi strada nella mia fica anale, che la sento allargarsi a dismisura man mano che le spinte si fanno sempre più intense. La carne dell’animale sta per essere avvolta interamente dal mio intestino, quando dal fondo della sala si ode un urlo.
“OMAR, FIGLIO DI PUTTANA, FERMATI”.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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