Lui & Lei
Quel venerdì in ufficio
di GiocoConTeXXX
21.01.2024 |
7.203 |
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"I manager che godono dell'orario ridotto, le mammine pancine che corrono a prelevare i pargoli all'asilo e i "maledetti" part time..."
Venerdì pomeriggio, ore 17.L'ufficio si è già svuotato di gran parte dei colleghi e non è una grande perdita, se n'è andata la parte noiosa. I manager che godono dell'orario ridotto, le mammine pancine che corrono a prelevare i pargoli all'asilo e i "maledetti" part time. Restiamo noi poveri sfigati, quelli che possono coprire l'ufficio fino a tardi perché tanto non hanno famiglia e a casa non li aspetta nessuno.
Con un moto di orgoglio e di rivincita, decidiamo che è l'ora migliore per stappare quelle bottiglie di prosecco rimaste in frigo. Oggi è stato il compleanno di un collega, che ha portato un robusto rinfresco. Solitamente l'alcool non è ben visto in orario di lavoro, ma essendo venerdì ha deciso che un brindisi ci poteva stare. Vuoi le regole aziendali, vuoi che il rinfresco era appena alle 11 del mattino, fattostà che la Coca Cola e il thé al limone erano andati decisamente più a ruba del vino.
"Ragazzi, vi ho lasciato le bottiglie in frigo... fatene buon uso!" ci urla il festeggiato prima di scappare frettolosamente a casa intorno alle 15.30. La moglie, lo sappiamo tutti, non avrebbe avuto per nulla piacere se fosse rientrare oltre il solito orario. E noi, il club degli sfigati, ci guardiamo a metà tra il dispiacere di non poter alzare di nuovo il calice in sua presenza e la golosità di dare fondo a quelle bottiglie rimaste.
Lavoriamo per circa un'ora e mezza fingendo dedizione e concentrazione, ma sappiamo bene che stiamo tutti aspettando il momento in cui saremo rimasti davvero in pochi. Vediamo sfilare man mano cappotti e pc portatili in direzione della porta, auguriamo "buon weekend, a lunedì" con un sorriso più smagliante del solito e una luce negli occhi che fingiamo dipenda dall'imminente fine settimana. Ma no, il nostro ristretto gruppetto di disgraziati aspetta con ansia l'ultima ora alcolica. Tacitamente abbiamo tutti fatto in modo di finire il lavoro entro le 17, in modo da cazzeggiare per quell'ultima ora beverina.
Finalmente iniziano a spegnersi le luci anche dei reparti a fianco al nostro, i telefoni si ammutoliscono, le mail in entrata si calmano praticamente del tutto. E' il momento.
Abbiamo ancora i calici presi in prestito dalla caffetteria per il brindisi di stamattina, ognuno guarda il proprio gelosamente conservato sulla scrivania sapendo che a breve verrà di nuovo riempito.
S., senza remore di sorta, va a prendere le bottiglie dal piccolo frigo dell'area relax pochi passi più in là e torna con un sorriso stampato in faccia verso le scrivanie. Noi, nel frattempo, ci siamo radunati trepidanti come se aspettassimo il Messia, calici pronti in mano e una certa soddisfazione nel sentirci, per una volta, un po' meno sfigati.
Siamo in quattro e la prima bottiglia finisce senza nemmeno accorgersene, seguita a ruota dalla seconda. Di cibo, purtroppo, non è rimasto nulla dalla mattina... le mammine sono sempre tutte a dieta eppure in queste occasioni magicamente mangiano come dei camionisti.
Ci accorgiamo che il vino sta salendo perché le risate si fanno più sguaiate e S., totalmente gay, si lascia andare in confidenze sulle sue passate esperienze con dovizia di particolari. Si ferma ad un certo punto solo perché gli suona il telefono ed è costretto a rispondere, è il collega petulante di un altro reparto.
Ma che vuole alle 17.50?? Si dirige alla sua scrivania e il nostro piccolo circolo di viziosi si sfalda. Le altre due colleghe ne approfittano per andare a spegnere i pc e infilarsi i cappotti, i minuti mancanti li trascorreranno sicuramente in chiacchiere davanti al timbra-cartellino.
Resto solo io con l'ingrato compito di riportare i calici alla caffetteria, prima di andarmene a mia volta. Ne prendo due per mano e mi avvio per il corridoio, costeggiando uffici quasi tutti bui e disabitati. Salgo la rampa di scale, apro la porta della sala caffetteria e vengo inghiottita dal buio. La luce è già stata spenta sicuramente da quelle taccagne della segreteria e filtra solo un vago chiarore dalle luci in strada, che si riflettono sulle vetrate in alto. Con le mani occupate dai calici incastrati tra loro non oso accendere la luce per non rischiare di mandarli in frantumi, perciò aspetto qualche secondo nella semi oscurità affinché gli occhi si abituino. "Conosco bene la sala, posso tranquillamente appoggiarli sul bancone anche al buio" penso tra me e me, mentre la porta sbatte richiudendosi dietro di me.
Appena inizio a distinguere le forme, procedo verso il bancone e appoggio i bicchieri sani e salvi. Resto un attimo a osservare la stanza, com'è diversa ora. Mi rendo conto che non l'avevo mai vista così buia e silenziosa, non sembra nemmeno la stessa rispetto a quando brulica di chiacchiere e risate tra un caffè e l'altro.
Sono totalmente assorta nel mio pensiero, quando dall'estremità opposta del bancone sento un "ciao".
Ho un sussulto. So bene che là dietro c'è un'ulteriore piccola rientranza che usiamo come deposito della caffetteria, ma non mi aspettavo che ci fosse qualcuno!
Si avvicina di alcuni passi, forse consapevole di avermi spaventata e dandomi così modo di farsi riconoscere.
"Ciao" rispondo al responsabile dell'ufficio legale. Cerco di dissimulare, ma per una frazione di secondo mi sono davvero spaventata.
"Ti ho fatto paura?"
"No no, ma non me l'aspettavo di trovarti qua" mento spudoratamente perché non voglio dargli questa soddisfazione. Una volta mi era simpatico, poi nel corso del tempo e avendo fatto carriera è diventato insopportabile. Abbiamo anche fatto una litigata di fuoco una volta e da allora lo saluto mal volentieri. E' un bel tipo, però, devo ammetterlo.
Cammina verso di me con il suo fare saccente e si ferma piuttosto vicino.
"Vedo che avete festeggiato, potrei denunciarvi per ubriachezza sul posto di lavoro..."
L'umorismo dei manager.
Rido a denti stretti della sua battuta e taglio corto, faccio per andarmene, ma mi prende delicatamente per il braccio. Sarà stato il prosecco o l'antipatia covata negli ultimi anni, ma reagisco d'impulso liberando il braccio in modo brusco.
Restiamo per un attimo basiti entrambi, non è certo un comportamento civile tra colleghi. Qualche secondo in sospensione, nella mia testa iniziano a vorticare le conseguenze che questo avrà sul mio posto di lavoro... stronzo com'è lunedì andrà dalle risorse umane a riferire.
Invece, incredibilmente, mi tira a sé e mi bacia. Un bacio quasi violento, che pensavo di non volere e che invece, dopo il primo attimo di smarrimento, voglio eccome. Un bacio forte, intenso, carico di eros, di antipatia, di attrazione e di proibito.
Mi spinge contro il primo muro a portata di mano senza mai staccarsi dalla mia bocca. Il contatto con la parete dietro di me mi fa sentire una preda senza via di fuga e mi eccita al tempo stesso. Per reazione gli succhio la lingua con foga e con le mani gli attacco ancora di più il viso al mio, tenendolo per la nuca.
Questo mio gesto non lo lascia indifferente e decide di osare ancora di più. Mi prende i polsi e mi solleva le braccia in alto, oltre la testa, per dominarmi ancora di più. Mi piace, glielo lascio fare e sento un brivido percorrermi tutta la schiena.
"Maledetto" penso e per tutta risposta affondo la lingua nella sua bocca. Si avvicina con il petto appoggiandosi al mio e mi blocca ancora di più.
Sento un'esplosione bollente di eccitazione tra le gambe, il viso avvampa e la testa esplode in mille immagini. Senza pensarci e totalmente in preda a una voglia sempre più intensa di averlo, avvicino il mio bacino al suo. Lo incollo lì e inizio a strusciarmi piano ma in modo deciso, fino a premermi con forza contro di lui.
Mi sfugge un gemito. Lo voglio ora, qui.
Come se mi avesse letto nel pensiero abbassa un braccio, mentre l'altro continua a tenermi i polsi sollevati sulla testa. Senza dire nulla si dirige diretto verso il bottone dei miei jeans, lo apre con una facilità estrema e la cerniera a quel punto non prova nemmeno a opporre resistenza.
Oltrepassa facilmente i miei slip e mi sfiora, sono già un mezzo lago. Mi accarezza mentre il mio respiro inizia ad affannarsi, soffocando dei piccoli gemiti. Per interminabili secondi gioca con le mie labbra bagnate, stuzzicandomi come se sapesse esattamente come muoversi.
Quando lo ritiene opportuno, fissandomi negli occhi e continuando a non proferire parola, affonda due dita dentro di me.
Ho un sussulto, perdo il respiro per un attimo e lo riprendo solo per lasciar andare un gemito. Sto letteralmente grondando e una vampata di calore mi percorre tutto il corpo.
Lo percepisce e aumenta il ritmo delle sue dita dentro di me, le muove nonostante io le stringa al mio interno quasi intrappolandole.
Giro il viso da un lato, chiudo gli occhi. Mi lascio andare totalmente al ritmo delle sue dita, ormai non posso fare altro. Sento il suo sguardo su di me e la sua voce che all'orecchio mi sussurra "Dai, dai... fammi sentire come vieni".
Le sue parole, le sue dita, la situazione... perdo il controllo e un secondo prima di provare un piacere bollente e primitivo libera i miei polsi per portarmi l'altra mano sulla bocca, sotto la quale mi sente e mi sento ansimare in modo soffocato e scomposto.
Con la bocca ancora tappata, passano svariati secondi prima che riesca a calmare il respiro ed è solo allora che lascia la presa. Mi guarda dritto negli occhi, nella penombra scorgo, credo, un sorrisetto soddisfatto.
"Buon weekend"
"Anche a te"
Se ne va, mi ricompongo un attimo e a mia volta esco da quella sala che ora, oltre ai gossip aziendali, custodisce un segreto in più.
Quando arrivo al mio ufficio, non c'è più nessuno. S. se n'è andato, ma mi ha lasciato un post-it sulla scrivania, riconosco la scrittura.
"Ti ha cercata il responsabile dell'ufficio legale, gli ho detto che sei alla caffetteria, richiamalo".
Magari lunedì.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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