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La storia di P. I e II parte


di Oldplace
05.01.2020    |    771    |    1 9.4
"Sapevo come muovermi per eccitarlo"..."
La storia di P. I e II parte

Premessa

Ho letto più volte, nei commenti ai racconti, delle critiche anche aspre su certe situazioni illustrate sulle quali rimane peraltro il dubbio se siano storie vere o frutto di fantasia. Al di là del moralismo di certe critiche, su cui non esprimo giudizi, voglio sottolineare che la realtà, spesso, supera ogni fantasia e la storia che racconto si inquadra perfettamente in questo: una storia cruda, oscena nel complesso, ma pur sempre veramente vissuta dal protagonista che, oggi, se ne vergogna, ma il cui ricordo in fondo lo attrae ancora. 

Ho intitolato il racconto "La storia di P.", perché la P. che era l'iniziale del suo nick sulla chat. Mi è venuto in mente che la storia di questo ragazzo ha in effetti qualche analogia  con la "storia di O" di Pauline Réage, ma la scelta del titolo è stata assolutamente casuale.

E' una storia lunga quella di P., oggi quarantenne di origini siciliane che sta a Milano da oltre 15 anni, da quando vi trovò lavoro e lasciò la sua terra. Lasciò anche gli amanti che l'avevano iniziato al sesso con gli uomini. 

Sarebbe meglio parlare dell'amante, piuttosto che degli amanti perché, a dir suo, fu un uomo di oltre 60 anni che lo irretì quando aveva appena 18 anni, e ne fece il suo amante avviandolo ad un rapporto di cui, oggi, dice di vergognarsi, ma verso cui, in fondo, manifesta un po' di nostalgia... 

Con lui, che non ho mai conosciuto di persona, ho avuto solo delle lunghe conversazioni in chat e sulla base di esse ho ricostruito il periodo della sua iniziazione e della sua sottomissione, durata sei mesi, a quell'uomo, un vicino di casa, amico di famiglia, che si era offerto di fargli la scuola guida. Il ragazzo aveva accettato la sua offerta tranquillamente, anche perché lo conosceva da sempre e gli faceva simpatia per il suo carattere gioviale e aperto. Era uno scapolone un po' autoritario, questo sì, ma per lui era normale accettarlo, anche per la grande differenza di età e per gli atteggiamenti paterni che aveva sempre avuto nei suoi confronti proprio per averlo conosciuto da sempre.

Già con la scuola guida, l'uomo non aveva avuto nessuna remora a richiamarlo in maniera ferma a ogni piccolo errore o distrazione, e P. non si era sottratto, anzi ne sorrideva tra sé e sé, alle scoppole, all'inizio quasi affettuose, paterne, che ogni tanto sottolineavano gli errori alla guida. 

Fu così che, quell'estate, finita la scuola, le lezioni di guida si intensificarono e passavano molto tempo assieme, ovviamente non sempre alla guida. Ogni tanto quell'uomo, che lui, pur non essendoci nessun rapporto di parentela, chiamava affettuosamente zio, o meglio zì, come si usa in Sicilia con le persone più vecchie e con le quali si è in confidenza, si faceva accompagnare da P. in campagna dove andava a controllare i lavori agricoli nelle sue terre. Spesso si ritrovavano nella casa di quella campagna per andare a bere un bicchiere d'acqua, per riposare un po', o per fare qualche lavoretto domestico a cui P. si prestava sempre di buon grado, dallo spazzare per terra alle pulizie di cucina e bagno. Ma presto si sarebbe ritrovato a fargli servizi d'altro genere.   

Una di quelle volte, lo zì Peppe, questo era il suo nome, cominciò a solleticarlo per scherzo, e P. si ritraeva reagendo solamente con la classica risata convulsa che si attiva in quelle circostanze, ma non manifestando alcun fastidio a quel gioco. Gioco che diventò più pesante quando l'uomo gli sfilò la maglietta e cominciò a solleticarlo e toccarlo dappertutto sulle braccia, sul torace, sulla pancia nuda e sul sedere ancora coperto dai pantaloncini che indossava.

"Come sei bianco, P.!" - gli diceva - "Sembri una ragazzina!" "E che bei seni che hai!"... 

"Fammi vedere come sei sotto, fammi vedere se sei bianco anche lì!" disse ad un certo momento slacciandogli la cintura, abbassandogli i pantaloncini e mettendogli subito le mani sui morbidi, bianchi e tondi glutei veramente da ragazza che aveva P. 

P. continuava a ridere quasi compiacendosi dell'interesse che lo zì' Peppe mostrava per il suo culo. E non si sottrasse neanche quando l'uomo lo piegò quasi in due per sculacciarlo costringendolo ad appoggiare le mani per terra per non cadere. Ma smise di ridere, e continuò a non sottrarsi, quando un dito dell'uomo cominciò ad insinuarsi nel suo buchetto dopo averglielo messo in bocca per inumidirlo... 

"Non ricordo i particolari di questo primo contatto" - mi scriveva P. nella chat - "Ricordo però che mi diceva che dovevo essere la sua femminuccia, che lui era l'uomo forte che comandava e che poteva fare con me tutto ciò che voleva". 

Quella prima volta l'uomo si limitò a infilargli il dito nel buchetto. "Vedi P.,  questo buco è mio e ne faccio quello che voglio. Io sono il tuo padrone e tu la mia femmina schiavetta". E per dimostrargli cosa intendeva, si tolse subito la cintura e si sbottonò i pantaloni: se lo mise davanti, in ginocchio, e presolo per la testa gli forzò il suo cazzo in bocca. P. si fece usare a suo piacimento. Sentiva il cazzo dell'uomo fare avanti e indietro nella sua bocca, arrivargli fino in gola fino a soffocarlo, mentre lacrime e saliva, assieme agli umori dell'uomo, gli colavano sul mento e da qui al collo infradiciandogli anche il torace. Non aveva mai visto un uomo nudo, mai visto o toccato un cazzo in vita sua, e trovarselo addirittura in bocca fino a sfondargli la gola lo metteva in uno stato in cui mai si era trovato: gli doleva e lo soffocava, ma si rendeva conto di piacergli quell'uomo e quello che gli stava facendo. All'improvviso gli sentì stringere più forte le mani con le dita intrecciate dietro la sua testa: il bacino dell'uomo spingeva al fondo della sua gola quel palo di carne che cominciò a vibrare e a gonfiarsi per iniettargli direttamente in gola il suo carico di sperma. Il senso di soffocamento lo costrinse per la prima volta ad opporsi a quello che stava subendo e cercava di allontanare la testa spingendo indietro con le mani il bacino dell'uomo che reagì duramente gridandogli di stare fermo e bere tutto. Inghiottì lo sperma tra conati e singhiozzi e finalmente l'uomo si staccò da lui lasciandogli prendere fiato... Guardò solo allora quell'uccello enorme, già mezzo sgonfio, che pendeva fuori dai pantaloni che lo zì Peppe non si era nemmeno abbassati... "Brava la mia schiavetta" gli disse infine l'uomo - "Brava la mia femminuccia... Vedrai che ti farò diventare una vera femmina. La mia femmina"...

P. si rivestì notando di avere il cazzetto semirigido, ma non non osò toccarsi e segarsi come in quel momento avrebbe voluto. 



La storia di P II parte

Quella sera, nel suo letto, pensava a quanto era successo, e nonostante si sentisse un po' confuso, incerto su quello che aveva fatto, che anzi gli aveva fatto quell'uomo, si addormentò tranquillamente dopo essersi fatta una sega al pensiero dello zì' Peppe e del suo cazzo. L'indomani, il pensiero di venire meno all'appuntamento che l'uomo gli aveva fissato per accompagnarlo in campagna e per la scuola guida non lo sfiorò nemmeno e si presentò puntualmente davanti a casa sua. Ma L'uomo gli chiese di entrare e non di salire in macchina come d'abitudine per la lezione di guida. "Ancora vestito sei? Spogliati!"  lo apostrofò lo zì' Peppe. P. si sfilò la polo e attese. "Solo quello ti togli?" Il ragazzo si abbassò i pantaloncini rimanendo in mutande. L'uomo lo prese per un braccio e lo tirò a sé sfilandogliele subito e mollandogli una sculacciata che gli stampò cinque dita sul morbido culetto. Senza aggiungere una parola si sfilò la cintura e piegatala in due mentre lo bloccava con un braccio, gli assestò un colpo con tutta la sua forza su quello stesso gluteo. P. emise un grido soffocato ma l'uomo lo zittì dicendogli che così si sarebbe ricordato, la prossima volta, che quando glielo chiedeva doveva spogliarsi totalmente  . "A te - aggiunse - le cose da uomo non stanno: perciò o vieni vestito da donna o davanti a me stai nudo". P. non capì bene cosa intendesse dire: lui, cose da donna non ne aveva né mai ne aveva indossate. 

Per qualche giorno, ogni giorno, la prassi fu la stessa: lo portava nella casa di campagna o nell'abitazione di paese, e chiusa la porta lui si spogliava e rimaneva nudo davanti a quell'uomo che a volte lo toccava sul sedere, gli infilava un dito in culo, lo sculacciava, gli dava dei colpi di cinghia sui glutei. Quando lo zì' Peppe era al culmine della sua eccitazione, si tirava l'uccello fuori dai pantaloni e glielo metteva in bocca. A volte gli sborrava in bocca, a volte concludeva segandosi l'uccello e gli sborrava in faccia, sulla testa o dove gli capitava. Si sorprese quando, dopo avergli sborrato in bocca, un giorno gli chiese di mostrargli la bocca ancora piena di sperma e allo sperma aggiunse uno sputo che quasi lo disgustò. Ma il culmine del suo disgusto lo raggiunse quando gli rimise il cazzo già moscio in bocca e cominciò a pisciare chiedendogli di bere tutto. P. non si sottrasse neanche a questo e continuò a frequentarlo entrando nell'ordine dell'idea di essere veramente un oggetto senza volontà e di appartenergli, che fosse naturale venire usato da quell'uomo come gli aggradasse. E in fondo tutto quello che aveva fatto, che anzi gli era stato fatto, gli piaceva. 

Cominciò un periodo di sottomissione sempre più dura. Lo zì' Peppe lo chiamava a casa e lui correva. Lo portava in campagna e lui lo seguiva come un cagnolino ubbidiente. La prassi era sempre quella: appena soli P. si spogliava e si metteva nelle sue mani. L'uomo a volte lo sculacciava fino a fargli bruciare i glutei, gli tirava i testicoli e li stringeva fino a farlo quasi piangere. A volte lo legava e lo sculacciava o lo frustava con la sua cinghia. 

"Un po' mi vergogno a raccontare queste cose." - mi diceva P. in chat - "Insomma, mi ha riempito la testa. Mi diceva: 'Per me tu sei la mia donna... a me piace essere l'uomo forte che comanda. Devi ubbidirmi nel sesso'. Capivo che mi utilizzava per il suo piacere, ma piaceva anche a me".

Poi, mi raccontò anche il seguito: "Abbiamo iniziato a giocare alla schiavetta e al padrone. Mi eccitava anche. Mi faceva dei regalini: mi comprava intimo sexi ... scarpe coi tacchi alti... calze... gonne. Insomma ero la sua troia. Ma mi piaceva esserlo". 

"Così cominciò a farmi vestire come una ragazza con slip di pizzo, tanga, perizomi, calze a rete o velate, scarpe con tacchi altissimi, minigonne, camicette. Ed io camminavo per la stanza  ancheggiando e mostrandogli il mio culetto tondo e morbido. Sapevo come muovermi per eccitarlo". 

Gli chiesi se lo avesse depilato per farlo sembrare ancora meglio un ragazza. ""Io sono poco peloso - mi raccontava in chat - ma quei pochi peli che avevo li toglievo perché così gli piacevo ancora di più". Era entrato insomma nella veste che l'uomo aveva scelto per lui.

"Ricordo la prima volta che me lo mise dentro, dietro. Mi aveva legato i polsi dietro la schiena, quel giorno, dicendomi che uno schiavo poteva essere anche legato per il piacere del suo padrone, e che un padrone aveva il dovere di sverginare la sua femmina. Mi piegò sul tavolo e mi fece allargare le gambe al massimo. Mi frustò con la cinghia dei pantaloni mentre io cercavo di sottrarmi ai colpi che però erano inevitabili. Ad un certo momento si chinò e mi sputò sul buco mentre con uno o due dita lo massaggiava. Mi piaceva quella carezza, quel massaggio, finché non vi poggiò il cazzo cominciando a spingerlo dentro. Volevo scappare, agitavo il sedere, mi faceva troppo male, piangevo. Ma lui, senza smettere di spingere, si mise a gridare intimandomi di stare fermo perché quel buco era suo, gli apparteneva. Mi misi anche a singhiozzare, sentivo che il mio buco era stato rotto, e mi fermai sperando che venisse presto e si togliesse da lì. Continuò non so per quanto, finché non mi sborrò dentro, per la prima volta. Mi dissi, quando andai via ancora dolorante, che non sarei più andato da lui. Ma il giorno dopo ci tornai perché, in fondo, mi piaceva. E ci tornavo spesso, quasi ogni giorno". 
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