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Come salvare un matrimonio.... 1


di quartofederico
29.04.2020    |    19.091    |    15 9.7
"Il ristorante non era lontanissimo ci arrivammo in dieci minuti..."

A quel congresso non ci volevo andare, ma ci fui costretto. Ero l'unico che aveva qualche lavoro completato da presentare. Quindi, un po' per la carriera, un po' per il prestigio del settore che rappresentavo, una domenica di un bellissimo mese di maggio presi un volo per Monaco di Baviera e nel primo pomeriggio raggiunsi l'albergo, che mi era stato prenotato.
I lavori sarebbero iniziati il giorno successivo ed il mio intervento era previsto per la mattina del martedì.
Approfittai del resto del pomeriggio per rileggere alcune note che mi erano state segnalate dal mio capo, e poi scesi nella hall dell'albergo per cercare informazioni dove cenare.
Fui indirizzato dal portiere, che parlava benissimo l'italiano, verso una birreria lì vicino, gestita da un italiano, che faceva anche da mangiare e, dopo cena, non sapendo cosa fare, sentendomi straniero in terra straniera, raggiunsi l'albergo e me ne tornai in camera.
L'indomani un taxi mi portò nella sede del congresso che, tutto sommato, era anche abbastanza interessante; unica nota dolente: nessuno mi conosceva. Per lo meno questo credevo.
Ad un tratto mi sento chiamare:
"Professore - mi si avvicina un uomo sui quarant'anni - non si ricorda di me?"
Non me lo ricordavo, anche se, dall'inflessione della voce, capii che era sicuramente delle mie parti, ma davvero non mi sembrava di conoscerlo.
In segno di saluto, mi allungò la mano, che io non ebbi problemi a stringere e
"Lei è stato il mio professore al terzo liceo classico..." disse.
Mi stava portando indietro perlomeno di venticinque anni, o forse di più.
Subito dopo la laurea avevo accettato un incarico come supplente di storia e filosofia in quel liceo.
"Allora non mi ero sbagliato leggendo il suo nome sulla brochure del congresso" proseguì.
Anche se non mi ricordavo ancora di lui, le notizie fornitemi erano esatte, per cui, ritornando in sala, mi disse che era lì in rappresentanza di una testata giornalistica scientifica e che doveva fare un reportage sul congresso.
Lo rividi durante i lavori, ma poi, non essendo ospiti dello stesso albergo, la sera ognuno per fatti suoi.
I lavori proseguirono molto bene, ma, il mercoledì, subito dopo la chiusura, mi fu annunciato che il volo di ritorno, previsto per il giovedì mattina, era stato annullato, per cui il primo volo utile sarebbe stato per sabato mattina.
No, non potevo crederci... fino al sabato non avrei retto, per cui, con l'aiuto del portiere poliglotta, riuscii a prenotare un treno per l'indomani mattina.
Non l'avessi mai fatto.
Arrivati in Austria, causa uno sciopero dei ferrovieri italiani, che non erano giunti a prendere in carico il convoglio, fummo fatti scendere con modi abbastanza scortesi.
Eravamo circa un centinaio di viaggiatori e tra questi ritrovai il mio ex alunno.
Comunque, dopo più di un'ora, riuscimmo a prendere un trenino, e dico trenino, che in tre ore di viaggio ci portò sul lato austriaco del Brennero.
A piedi attraversammo il confine e, una volta in territorio italiano, trovammo una stazione deserta a causa dello sciopero dei ferrovieri.
Durante il viaggio, il mio alunno, che da ora chiamerò Massimo, mi era sembrato un po' giù di corda, ed io, per discrezione, non chiesi il perché.
Parlammo di quel periodo scolastico, del dopo, e lui mi raccontò che si era laureato in lettere e moderne, che si era sposato, e che aveva un figlio adolescente.
La moglie, diplomata alla scuola delle belle arti, aveva collaborato con alcuni stilisti locali, ma, a causa della crisi, aveva perso il lavoro.
Dicendomi questo notai una nota di tristezza sul suo viso; si bloccò e cambiò discorso.
Certamente qualcosa di molto grave lo angustiava, ma, se non era lui a parlarne, sarei rimasto sicuramente sulle mie.
"Professore, venga andiamo al bar, vediamo se hanno qualcosa da mangiare" disse.
"Senti, Massimo, non voglio che mi dai del lei: chiamami Federico" risposi.
Questo mi sembrò farlo rilassare un tantino e, sorridendomi, ci dirigemmo al bar fuori della stazione.
Riuscimmo a conquistare un tavolino e ordinammo due toast e una birra.
Notizie di treni niente, per cui anche per lasciare il posto ad altri avventori, ritornammo in stazione, e ci sedemmo nella sala d'attesa.
"E tu sei sposato?" mi chiese.
"Purtroppo non più! Ci siamo separati, ho un figlio grande che vive un po' con me, un po' con la mamma" risposi.
"Come mai?" proseguì.
"L'amore era finito e, con l'amore, un po' tutto; a te, invece, come va?"
"Non va... ovvero, non va più come prima; io l'amo alla follia e non voglio perderla, ma la situazione ci sta sfuggendo di mano".
"Lei cosa prova per te?" incalzai.
"Lei dice di amarmi, ma sono io che non riesco più a farla mia; credo di desiderarla, poi sul più bello, non riesco a.... chissà perché ti sto dicendo queste cose".
Era una chiara richiesta di aiuto.
Mi passarono nella mente le sensazioni che un paio di anni prima avevo provato anche io.
Il lavoro, la carriera, i viaggi, il lasciarla sola, il non saper riconoscere i messaggi che il suo corpo e la sua anima mi stavano lanciando: cieco e sordo fino ad un lento, ma inesorabile mutamento dei suoi sentimenti.
Le avevo fatto mancare tutta la complicità che occorreva per rinsaldare una relazione.
Ero stato il suo unico uomo e non avevo capito che, oltre alla mia complicità, le mancava una fetta di sessualità, che non aveva vissuto.
Forse l'ampliare il rapporto non l'avrebbe fatta innamorare di un altro.
Comunque, non bisogna piangere sul latte versato, e forse questo mio vissuto poteva essere d'aiuto per Massimo.
Ma come dirglielo?
Vedendomi pensieroso me ne chiese il motivo.
"Sei stato il suo unico uomo?" chiesi bruscamente
"Sì, ci siamo conosciuti adolescenti e da allora non ci siamo mai separati" rispose
"Fino a che saresti disposto a concederle, per non perderla?" esordii.
"In che senso?"
"Saresti disposto ad allargare il menage? Se l'avessi fatto io, invece di essere egoista, forse avrei ancora una famiglia."
"Vuoi dire che dovrei fare entrare un altro uomo nel nostro letto?"
Pronunciai un sì deciso!
Rimase un attimo a riflettere, poi:
"Non reggerei alla gelosia; l'amo troppo e sono sicuro che non è questo che lei vorrebbe" rispose.
"Riflettici su, analizza i suoi atteggiamenti, e anche se ti stanno stretti, mettiti per un attimo nei suoi panni".
Lo vidi riflettere, ma non aggiunse altro.
A tappe riuscimmo a raggiungere, la mattina dopo, la nostra città e prima di salutarci mi disse: "Come ti contatto?"
Gli porsi il mio biglietto da visita.
Presi il venerdì ed il sabato per riposare, il lunedì tornai al mio lavoro e il mio capo mi fece vedere subito un articolo che parlava di me, del lavoro presentato, elogiandolo, e mettendo in risalto l'eccellenza dell'equipe che aveva collaborato. La firma era ovviamente del mio ex alunno.
Avrei potuto telefonare per ringraziarlo, ma dato quello che ci eravamo detto, non mi sembrò il caso.
Passò tutta la settimana, e non si fece sentire: probabilmente non aveva gradito il mio consiglio; invece... il venerdì, mentre ero pronto per andare via dal lavoro, la portineria mi annunciò la visita di un giornalista.
"Lo faccia salire" fu la mia risposta e andai ad accoglierlo in corridoio, quasi vicino all'ascensore.
Ci stringemmo la mano e lo precedetti in ufficio.
Non mi sedetti dietro la scrivania, ma ci accomodammo tutti e due sulle due sedie davanti ad essa.
"Innanzitutto grazie per l'articolo, e poi ti devo far vedere questa" e tirai dalla borsa una vecchia fotografia.
Era la foto di una scolaresca: io al centro con un'intera classe attorno e, tra i vari alunni, c'era anche lui Massimo.
Gli brillavano gli occhi e fui felice di vederlo contento.
"Allora ti sei ricordato di me?" disse rigirando tra le mani la foto.
"Sono contento per la tua visita, e soprattutto... come va?" chiesi.
Mi guardò negli occhi e aggiunse:
"Ho bisogno di parlarti, ma non qua; quando puoi dedicarmi un po' di tempo?"
"Per te, sempre, quando vuoi, mi libero subito, magari mangiamo qualcosa assieme" risposi.
"Anche adesso?"
"Ma certo!"
Mi tese la mano, gliela strinsi ed egli:
"Ho la macchina giù nel parcheggio; se vuoi andiamo con la mia, conosco un ristorantino e sei ospite mio".
Assentii e, dopo aver preparato la mia borsa, ci avviammo all'ascensore.
Il ristorante non era lontanissimo ci arrivammo in dieci minuti.
Ci accomodammo ad un tavolo all'aperto, e ordinammo.
Massimo era turbato, lo si leggeva negli occhi per cui
"Dai... dimmi cosa, oggi, ti tormenta così tanto"
"Devo fare qualcosa... non resisto più... la sto perdendo e non lo voglio... ovvero non lo vogliamo" rispose
"Hai provato a fare ancora l'amore con lei?" chiesi
"Sì, sono certo di non soddisfarla più, lo so che non le bastano i baci, le carezze e solo leccate di.... vuole altro, ed io non riesco a darglielo, per cui...."
"Hai provato a sentire un medico, uno specialista?"
"Sì, non c'è niente di patologico; in effetti ho provato, anche, con una escort ed è andata alla grande. E' con lei che non mi riesce. Devi aiutarmi!"
"Innanzitutto devi parlarle, capire se anche lei vuole che le tendi una mano, e magari proporle una "cura" con un altro uomo, magari mentre tu guardi e partecipi."
"Perché non le parli tu? Potrei presentarti non solo come mio insegnante di liceo, ma anche come psicologo e credo che le tue competenze e i tuoi studi siano adatti anche in quel campo."
Rimasi perplesso, in effetti ero abilitato a svolgere quel tipo di lavoro, ma non l'avevo mai esercitato come terapeuta .
"Ok, ma ad un patto, tu le parli e cerchi di convincerla a conoscermi per iniziare questo tipo di percorso"
Sembrò risollevato da questo mio parlare, e promise che lo stesso giorno le avrebbe parlato.
Dopo pranzo ci salutammo con l'intesa che mi avrebbe aggiornato al più presto ed io raggiunsi a piedi la stazione della metro più vicina.
La sua telefonata arrivò il giorno successivo. In effetti il sabato mattina lo dedico al giardinaggio e lo squillo del telefono mi raggiunse mentre pulivo e innaffiavo i miei meravigliosi gerani.
"Ciao prof. disturbo?" chiese
"Ciao, non preoccuparti, novità?"
"Mia moglie vorrebbe conoscerti.... accetteresti un invito a casa nostra per un caffè oggi pomeriggio?" propose.
Un sorriso mi affiorò sulle labbra e non potei fare a meno di accettare.
"Ti aspettiamo, ciao"
Quel parlare al plurale mi fece pensare che la moglie avesse accettato l'aiuto del marito, ma mi sarebbe piaciuto sapere cosa le avesse detto.
Stavo a rimuginare, quando il telefono squillò di nuovo ed era di nuovo lui.
"Ora posso parlare, sono in strada" disse.
"Racconta brevemente" risposi.
"Credo che lei non aspettasse altro, voleva un aiuto e mi è sembrata molto contenta che la proposta le sia giunta da me.
Le ho detto di te, di come ci siamo incontrati, e ho mentito dicendo che anch'io mi ero rivolto a te.
Che per completare questo percorso volevi conoscerla e parlarle. Spero di aver fatto bene"
"Certo, hai agito proprio come volevo suggerirti, e son sicuro che presto ne veniamo fuori. A che ora posso venire a casa vostra?" chiesi.
"Ti aspettiamo dalle sedici in poi" concluse.
Mi preparai come per le grandi occasioni: grisaglia grigia in fresco lana, camicia celeste con polsi gemelli, cravatta blu di seta e pochette leggermente più chiara. Un leggero spruzzo di lavanda completò l'opera.
Mi fermai dal fioraio e presi un bouquet di roselline bianche e rosa con una sola rosa rossa al centro.
Arrivai puntuale, nonostante il traffico; citofonai e una voce femminile, all'apparecchio, chiese chi fosse.
"Sono Federico, l'amico di Massimo" risposi,
"Terzo piano, l'ascensore è in fondo alle scale" disse.
Raggiunsi il terzo piano e li trovai tutte e due sull'uscio.
"Vieni - disse Massimo - lei è mia moglie Adriana" ed entrammo in casa.
Un abbraccio con lui e una stretta di mano delicata, ma decisa, con lei.
Le porsi i fiori e mi sembrò stupita, evidentemente non era abituata a simili omaggi:
"Sono per me? Grazie..." e, rivolta al marito con un sorriso smagliante, glieli mostrò.
"Era il minimo che potessi fare per una donna meravigliosa, quale sei. Poi spero di conoscerti meglio."
"Davvero molto belli - disse odorandoli - E' stato gentilissimo!"
"No, scusa, mi chiamo Federico e mi faresti cosa gradita se mi dessi del tu. Il lei mi fa sembrare più vecchio di quello che sono" dissi
"Ok, accomodiamoci" invitò.
La donna, pur non essendo bellissima, aveva un corpo abbastanza gradevole, che lei, però, non valorizzava appieno. Una quarantina di anni, alta poco più di un metro e sessanta con qualche chilo in più del dovuto, capelli castano chiari, tirati all'indietro con una coda che scendeva sulle spalle.
Sicuramente non era molto curata, ma tutto sommato poteva sembrare la classica donna di casa.
Prendemmo il caffè in salotto, e fu lui che, senza nessun preavviso, disse:
"Credo che dovete parlare un po’ da soli" e si allontanò.
Un attimo di vero imbarazzo per tutti e due; credo che per lei doveva essere la prima volta ad esser lasciata sola, a decidere. Ma invece fu proprio lei a rompere il ghiaccio.
"Massimo è un uomo eccezionale, e lo amo - disse - ma bisogna trovare una soluzione a questo nostro malessere"
"Da quanto tempo, si verifica tutto questo?" chiesi
"Intendi da quanto non gli...." e non finì la frase
Ad un mio cenno del capo continuò:
"Ormai sono quasi sei mesi, e la cosa che più mi fa male è che lui si sente mortificato, perfino menomato, e a me fa più male questo, piuttosto che l'esser privata del mio godimento"
"Come compensi questa mancanza?" chiesi
Arrossendo e abbassando gli occhi, rispose:
"A volte mi arrangio da sola"
"Senti Adriana, sei una grande donna e sicuramente vuoi e puoi salvare il tuo matrimonio. Ma io e te, dobbiamo intraprendere un percorso, credo non molto lungo che, alla fine, vi riporterà l'uno tra le braccia dell'altro.
Con me, però, devi essere molto sincera e pronta ad affrontare situazioni che, inizialmente, potrebbero apparire non tanto terapeutiche, ma, credimi sono solo fatte per il vostro bene. Riflettici bene! Questo è il mio biglietto da visita, mi chiamerai tu quando, e se vuoi, iniziare quel percorso" conclusi.
Strinse il biglietto fra le mani e lo ripose nel fodero del suo cellulare.
Massimo rientrò dopo qualche minuto e capì che quello che dovevamo dirci l'avevamo già detto, per cui, rifiutando con molta cortesia un invito a cena, mi accomiatai da loro e questa volta Adriana mi abbracciò con molto trasporto.

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