Prime Esperienze

Salomé


di amorepassailguanto
31.07.2024    |    39    |    0 8.7
"Un giorno mi chiamò e mi disse di prepararmi per una passeggiata..."
A me la fica ha sempre tirato. Forse all'inizio era solo un desiderio di provare quello sentivo fare mia madre nel lettone. Non si è mai nascosta né vergognata e, fin dalle mie prime domande mi ha spiegato tutto e anche detto che un giorno avrei avuto anche io quel piacere, ma che ero una bambina, che troppo presto mi avrebbe fatto male e che era meglio aspettare che fossi pronta. Mi aveva anche detto di dirgli subito se qualcuno ci avesse provato prima del tempo, che non era bello neanche da pensare e che lei voleva proteggermi. Sapevo che lei mi voleva un gran bene. Sono cose che si sanno. Anche io le ho sempre voluto bene, mi sono fidata e le ho ubbidito. E sono contenta di averlo fatto.

Ricordo che una volta mi ero messa il suo rossetto, due limoni sotto la maglietta e del caffè sulla fichetta per "fare la grande" e quando lei è tornata a casa abbiamo fatto un sacco di risate io, lei e anche Arba, la cagna, che non capiva ma era allegra con noi. Ci capitava di dormire tutte e tre insieme nel lettone.

Se c'era un uomo io andavo a giocare da qualche altra parte e sentivo mia madre godere e urlare, ma sapevo che le piaceva e pensavo che avrei anche io avuto lo stesso. Dopo le facevo un sacco di domande sull'uomo, che tipo era e perché lei lo aveva accolto, come era fatto e cosa le aveva fatto. Lei mi diceva tutto quello che chiedevo e io diventavo grande. Era il tempo delle domande: mamma sono strana, mi si gonfia, che fanno quelli, ho paura, c'è una macchia sulle mutande guarda, guardami, mi scappa da ridere, mi scappa la pipì, mi scappa, dove andiamo domani?

Aveva alcuni amici intimi, sempre gli stessi, che poi restavano con noi a pranzo. Nessuno di loro mi ha mai fatto nulla che non mi andasse. Qualcuno mi voleva bene e mi portava piccoli regali.

Una volta uno dei suoi amanti disse qualcosa di volgare in mia presenza e lei lo cacciò di casa all'istante, sbattendo uno straccio bagnato sul muro con uno schiocco come un comando. Ma di solito bastava la Sua presenza e il tono di voce. Non era una bellezza da fotografia, ma era donna in peno: si sentiva e si vedeva e si capiva da come apriva la porta, da come portava i capelli, qualche volta un po’ lucidi.

L' ho vista scopare tante volte con uno dei suoi amanti, Emilianos, un greco di Cipro, col quale andavamo al mare e in barca. Mamma, quando lo aveva conosciuto, aveva 31 anni. Lui è più giovane di 6. Così adesso ne hanno rispettivamente 31 lui e 37 lei. Si chiamavano nello stesso modo e questo era fonte di equivoci e di risate.

Allora volevo andare anche io nel lettone con loro, e mamma diceva che non erano cose per bambini. Ma io insistevo e una volta feci un capriccio dei miei: mentre prendevano il sole nudi versai loro addosso un secchiello di un fango schifoso che ero andata a scavare con la mia paletta in una marana vicina alla spiaggia, con dentro un pesce morto. Avevo 9 anni. Loro si alzarono gridando e corsero nudi in mare a lavarsi poi tornarono ridendo. La sera dopo cena mi portarono nel lettone e mi fecero vedere da vicino il cazzo di Emilianos. Era un po' strano prima moscio poi dritto. Ero curiosa e allungai una mano per toccarlo e poi con la stessa mano mi toccai la fica poi tornai a toccarlo ed era duro. Poi la mamma allargò le cosce, si tolse le mutande e la fece vedere pelosa e aperta, ma che la mia era ancora troppo piccola e che avrebbe fatto male. Io misi una mano sulla mia e la trovati gonfia.

La notte li sentii scopare e non provai la solita invidia, ma una sensazione nuova. Era la prima volta che mi si gonfia a la fica. Ormai, a differenza delle mie amichette, sapevo tutto ed era solo questione di tempo. Mi misi una mano sulla fica e strinsi cercando di immaginare un godimento che avrei provato, pensai di sverginarmi da sola con il manico della spazzola e di farla finita così. Il giorno dopo tornai a giocare e non ci pensai, ma ogni tanto mi accarezzavo fra le gambe e le parlavo come facevo con Arba, la nostra cagna. Così, nel giro di una settimana, la fica ha cominciato a gonfiarsi ho cominciato a provare piacere toccandomi. Da allora non ho più smesso.

Dopo sei mesi cominciai a vedere spuntare i peli. Tutta fiera andai dalla mamma e lei mi disse, ancora una volta, di stare tranquilla e che mi avrebbe detto lei quando sarebbe venuto il momento. E di nuovo mi disse piano quasi abbracciandomi: "Decidi sempre tu. Loro dopo".

Un giorno mi chiamò e mi disse di prepararmi per una passeggiata. Io avevo ormai 12 anni, avevo iniziato a fare sangue tutti i mesi e aspettavo impaziente di avere il primo uomo. Le chiedevo quando sarei stata pronta e lei mi diceva di aspettare. Sapevo che quella passeggiata era per parlare di questo. Lei non prese vie traverse. Mi disse che se mi fossi fatta sverginare da un certo signore che lei conosceva avrei avuto due vantaggi: una somma di denaro da mettere da parte e una specie di zio sul quale contare per il futuro. Dopo, avrei potuto scopare quanto mi pareva con chi mi pareva, ma secondo lei non era saggio sprecare la mia verginità a caso, con uno dei miei coetanei, che magari non capiva niente. Diceva che gli uomini che capiscono le donne sono pochi. Poi mi disse che non mi voleva costringere a fare niente che non mi andasse e di pensarci sopra. Ero io che decidevo.

Le chiesi di farmi conoscere l'uomo che poteva sverginarmi senza dirgli nulla e lei mi rispose che era amico di Emilianos, conoscevo già bene e che si chiamava Emilios. "Buffo", dissi io. "Vi chiamate tutti uguali".

Una sera la nostra barca era ormeggiata in una isola greca vicino a Salonicco, una lingua di terra dimenticata dove non passavano turisti, ma solo viaggiatori che si fermavano per qualche giorno e ripartivamo chi per Istanbul e il Bosforo, chi per i balcani o per chissà dove. Per alcune sere io, la mamma ed Emilianos avevamo cenato nell'unico ristorante dell'isola, dove imparato a danzare il Sirtaki, una danza greca ritmata e facile, della quale ora conoscevo i passi. C'erano ragazzi, uomini e donne di tutte le età e tutti danzavano. Quelli che facevano la musica erano in tre: uno suonava un violino, uno una specie di chitarrone e il terzo faceva il ritmo con non so cosa, forse dei tamburi o dei pezzi di legno. A me piaceva danzare e non pensavo. Chiudevo gli occhi e andavo con la musica, che cresceva di intensità. Li vidi tutti andarsi a sedere, uno dopo l'altro. Continuavano tutti a battere le mani, anche da seduti, fino a quando non restammo in pochi sulla pista illuminata dalle candele: io, mamma, Emilianos e quattro o cinque ragazzi.

Uno di loro era uno spagnolo e faceva un gran rumore battendo i tacchi e mi arrivava nelle gambe. Un rumore che pareva che mi parlasse. Andavo io al suo ritmo o era lui che andava al mio? Mi pareva che fossimo rimasti soli, io e lui. Le coppie danzavano, alcuni mi chiesero come compagna ma io li scansavo, giravo intorno a lui, non lo perdevo d’occhio.

Mi avvicinai a mia madre e le dissi: "Mi piace quello" accennando al ragazzo spagnolo che mi lanciava occhiate da lontano.

Vidi Emilianos che batteva le mani a tempo e mia madre che mi guardava sorridendo e un signore vicino a lei. Dallo sguardo capii che parlavano di me. A un certo punto si sono accorti che li guardavo e fatto cenni di saluto. Dopo un po' tutti si erano girati. Mia madre si volto e restò con uno sguardo duro:
-Vai!
-Vado!, risposi con uno sguardo. Ma poi mi avvicinai e lei si avvicinò
-Emilios?
-Dice che la serata è tua e decidi tu con chi passarla. Beviamo tutti alla tua salute. Lui è comunque il tuo padrino. Avrete tempo di parlarne. Va tutto bene e tu, tu sei splendida.

La musica era cambiata. A me quella danza era venuta naturale e mi fermai a prendere fiato. Ora non era più il ritmo semplice del Sirtaki ma qualcosa di più forte e di più duro. Il ragazzo spagnolo era sudato, aveva dei lampi negli occhi e si teneva dritto e rigido, tenendomi una mano con due dita mi faceva girare intorno. Poi ci fu un grande applauso e uscirono due mozos con grandi vassoi come specchi, con bicchieri di carta e caraffe di terracotta piene di sangria gelata. Gli animi si scaldarono di nuovo e i musicisti parlavano fra loro, fino a che il violino riprese una musica spagnoleggiante prima a pizzico poi con improvvisazioni e fioriture, cui si associarono gli altri due ammiccando a noi di danzare. Come volevo, mi capita di toccare con l’anca il suo cazzo eretto. Ci fermiamo tutti e tue su questo, su questo.

Ci fu un lampo di sguardi fra il mio spagnolo e la splendida donna che era ancora mia madre, poi tornai a girare con lui inventando una specie di flamenco greco, i tre musicisti, lui, io, quelli che battevano le mani…
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