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Prime Esperienze

La novizia (pt. 3)


di Scopamico-78
03.06.2024    |    7.601    |    7 9.8
"Così, in piedi al centro della stanza, con le braccia penzoloni sui fianchi, iniziai a sentire la sua lingua leccare le mie labbra chiuse, la sua bocca..."
“Ecco brava, aprilo così, vedi, con questo il Signore trova la strada per entrare in te, portarti grazia e gioia al corpo ed all’anima”.

“E adesso Don Mario cosa faccio?” risposi tenendo il suo membro nella mano all’altezza dei miei occhi, lo osservavo, lo studiavo cercando di spostarlo in entrambe le direzioni valutandone le diverse prospettive.

“Muovi piano la mano, sentilo aprire e richiudilo lentamente” continuò accarezzandomi amorevolmente sul capo.

Si era avvicinato a me durante la preghiera del mattino.

In chiesa eravamo tutte in ginocchio ai banchi e con lo sguardo fisso al pavimento.
Il silenzio era rotto solo dai fonemi simili a delle “s” che inondano l’ambiente quando tante bocche pregano senza emettere suoni, in un playback senza la traccia vocale.
La madre superiora iniziava la prima frase della preghiera ed ognuna doveva continuarla nella propria bocca.

Don Mario venne ad inginocchiarsi accanto a me, avvicinò la sua bocca al mio orecchio, sentivo il calore del suo alito tra il lobo ed il collo e disse di restare lì appena finita la preghiera che avrebbe continuato la confessione del giorno prima.

Così feci, restai in ginocchio mentre le altre si alzavano, uscivano dai banchi a formare una doppia fila e lentamente si incamminavano verso l’uscita.

Io a capo chino sul banco scorsi qualcuna che bisbigliava qualcosa alla propria vicina, si sentì qualcosa simile al suono di sorrisi soffocati e suor Monica dovette richiamare al silenzio in un paio di casi.

La chiesa era vuota ormai ed io e Don Mario restammo qualche minuto in silenzio a pregare.

Sentivo la sua presenza e non sopportavo quel silenzio ingombrante, volevo succedesse qualcosa.

“Come ti senti oggi fanciulla? Hai sentito il Signore dentro di te?” Iniziò.

“Bene Don Mario” risposi, “sento più pace, ma il Signore ho l’impressione che vada e venga in me, Clara mi ha aiutato a sentirlo, ma ora è andato via”.

“Come ti ha aiutato Clara?” continuò con molta calma.

“Con i baci, con le mani e con tutta se stessa, ho sentito il Signore esplodere in me” risposi a bassa voce.

Solo pronunciando queste parole mi tornavano in mente le immagini di Clara ed iniziavo a provare un desiderio nello stomaco, quel tepore che attraversa i muscoli ed inebria il cervello.

“Vorresti che ti aiuti io adesso?” mi chiese Don Mario puntandomi gli occhi addosso in modo deciso.

Scossi la testa assecondandolo e lui: “Vieni con me”.

Ci alzammo ed iniziammo a camminare attraversando la navata della chiesa, il mio istinto era quello di restare sempre un passo indietro al suo, ma lui, con una mano sulla mia schiena, faceva in modo che fossimo sempre allineati.
Passammo in silenzio attraverso la porta ed il corridoio che collega la chiesa alla casa canonica ed arrivammo nel suo ufficio.

Tutte le pareti erano piene di scaffali ricolmi di libri, una parete era aperta da una grande vetrata e dinnanzi a questa, al centro della stanza, una grande scrivania in legno pesante posta in modo che la luce potesse illuminare sul piano del tavolo, dietro questa, una gigantesca sedia in legno e pelle come fosse un trono.
In un angolo, un inginocchiatoio posto difronte ad una croce in legno. L’aria sapeva di carta, legno e polvere.

“Chiudi gl’occhi” mi disse.

Così, in piedi al centro della stanza, con le braccia penzoloni sui fianchi, iniziai a sentire la sua lingua leccare le mie labbra chiuse, la sua bocca passo sul collo e poi ancora sulla bocca, con una mano mi stringeva un seno e con l’altra comincio a cercare tra le cosce.
Ecco che mi baciava sulle guance, sulla fronte e di nuovo sulle labbra che si erano aperte leggermente.
Ne approfittò la lingua di Don Mario per scivolarmi in bocca dove trovò la mia, piena di saliva e di voglia di essere leccata.

Continuò così per diversi minuti e sentivo cento lingue e mille mani, tra le gambe un flusso di desiderio mi sgorgava dalla figa ed avevo voglia, tantissima voglia che quel calore diventasse sempre più forte, sempre più intenso da sconvolgermi l’anima.

“Ora ti mostro come posso entrare in te a portarti la grazia del Signore” disse Don Mario staccandosi ed iniziando a sbottonarsi la tunica in modo deciso ed affannato.

Aveva un bel corpo, seppur non magro, ben fatto ed appena abbassò le mutande si liberò nell’aria un uccello importante e fiero.

Mi accostò all’inginocchiatoio facendomi cenno di prendervi posizione, lui si mise tra me e la croce in legno alle sue spalle, mi prese la mano e l’appoggiò al membro.

Quando lo aprivo era bagnato di un liquido viscoso che richiudendolo arrivava fin fuori e filava col mio dito, ne sentivo il profumo e nella mia mano il cazzo di Don Mario diventava sempre più duro, come pietra, lo vedevo arrotolato da vene che affioravano a tratti lungo la sua estensione e poi sparivano dentro eccetto quella posta al di sotto, quella era lunga e gonfia.

Continuai a muoverlo, la cappella era ormai violacea quando lui mi fermò e disse: “il Signore deve entrare in te dapprima dalla bocca, poni le tue labbra su di lui”.

Così feci ed iniziai a baciarlo, lui mi prese la testa da dietro e piano la spinse a se in modo che inevitabilmente il suo membro mi finisse in bocca.
Non dovetti pensarci che la lingua cominciò a giocarci, mi sentivo riempire la bocca ed era bello.
Avevo le mani appoggiate alle sue cosce e lui che mi spingeva la testa contro di se, facevo con la bocca quello che stavo facendo prima con la mano, sentivo la figa ormai fradicia di umori.

“Adesso tira fuori la lingua e passala intorno, in ogni punto” mi invitò Don Mario.

Ubbidii, lui mi guidava sempre la testa ed ogni tanto mi rispingeva tutto il cazzo nella bocca, la mia testa era sua.

“Vieni, stenditi sullo scrittoio” disse di scatto mi accompagnò ed aiutò a salirvi.

Mi alzò la veste ed allagò le gambe, il profumo del mio sesso arrivò fino a me che ero distesa e guardavo il soffitto.
Sentivo avvicinarsi la sua testa sulle mie cosce e riconoscevo i suoi baci e la sua lingua a volte a destra altre a sinistra, sentivo la sua barba poggiarsi sulla pelle.
Con un dito scostò la mutandina ed iniziò con la lingua come Clara.
Ero persa, la mia bocca cominciò ad emettere versi come se avessi la febbre altissima e stessi delirando.
Volevo esplodere.
La sua barba era bagnata di me e lo sentivo quando strusciava sulle cosce, la lingua entrava e leccava, premeva e raccoglieva i succhi che mi uscivano.

“Ora è il momento che io entri nel tuo ventre a portarti grazia e gioia”.

Si alzò, il cazzo era marmoreo e dritto, lo appoggiò a me, spinse ed entrò come un coltello caldo nel burro.

Non fu come Pasquale, non sentivo dolore, Pasquale era il dolore, questo era il piacere.

Don Mario si muoveva in modo ritmato, mi riempiva la pancia e me la svuotava, la mia mente non pensava, e dalla bocca uscivano solo respiri affannati e versi contorti.

Ero sua ormai completamente e volevo esserlo, volevo continuasse per sempre a spingermi il cazzo dentro, sempre più dentro.

“Don Mario adesso, si Don Mario, sento…sento, così Don Mario, si, si, si”.

Ed arrivò un tuono e le stelle ed il mare, arrivarono i lampi di luce e la pioggia, arrivarono gli alberi e le colline, tutta la bellezza in un unico istante.

Quello che seppi poi fosse un orgasmo, mi sconvolgeva il corpo e l’anima, tremavo tutta dentro e fuori.

Don Mario continuava a scoparmi, rosso e sudato, finché lo tirò fuori e schizzò il suo seme sulla mia pancia e sui peli del mio pube, continuava a muoversi, ma più lentamente, sempre più lentamente.

Mi baciò sulle labbra e mi disse: “Ora vai figliola, che la grazia del Signore sia con te”.
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