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Dorothea: la dea dei boschi


di light78
28.03.2017    |    3.111    |    3 9.9
"Sentivo mi afferrava le chiappe e le stringeva forti a sé, sempre più strette..."
Settembre volgeva al termine. I boschi tuttavia non avevano ancora mutato la loro vegetazione: la stagione era ancora in ritardo. Sembrava quasi fine Agosto e la stagione turistica non era ancora finita.
Mi avvicinai a lui, dopo un'ora di ricerca affannosa.
Il manico era bello grosso, duro, giovane; la cappella scura, bagnata dalla rugiada del mattino.
Finalmente avevo trovato il porcino che tanto avevo sognato.
Lo accarezzai lungo la cappella, gli tolsi i fili di erba che lo ricoprivano appena.
Ora mi appariva nella sua interezza.
Tirai fuori la mia Nikon, immancabile compagna di avventure, e cominciai a fotografarlo da ogni angolazione.
Dietro di me sentii dei passi. Mi nascosi istintivamente dietro il primo albero, temendo fosse la Guardia Forestale, anche se quel giorno ero perfettamente in regola, permesso e cestino alla mano.
Apparve una splendida fanciulla biondina con le treccine, occhi azzurri, vestita con una camiciettina scozzese e un completino a zuava tirolese. Io ero rannicchiato sotto il castano, nascosto nella mia mimetica, dubitavo potesse vedermi.
Ne approfittai per carpirle alcuni scatti mentre con il bastone in mano, perlustrava i pineti in cerca di porcini anch'ella. Il mio timore era che si dirigesse verso di me, trovando così il mio. Cosa dirle? Come comportarmi? D'altronde non potevo di certo uscire ora – pensai – l'avrei fatta morire dallo spavento!
La situazione era paradossale. E lei si stava proprio recando verso di me..
Ora era vicina. Bastava alzasse un po' gli occhi e probabilmente mi avrebbe visto, rannicchiato lì sotto l'albero. Cosa inventarmi?
Ad un certo punto sentii lei saltare. Mi ero scordato dello splendido esemplare di porcino davanti a me.
Lei si inginocchiò. Fummo faccia a faccia. Ora non poteva non vedermi.
Ma ancora una volta fui lesto. Avevo imbracciato la Nikon. Vide sono una cannone che osservava quello splendido esemplare, e me dietro sdraiato! Sobbalzò!
“Ehy! Ma è tanto che sei qui?!? Cosa stai facendo!!”, mi urlò!. Io con voce pacata “Psss.. Sono uno studioso. Così ne blocchi la crescita! Lo sto fotografando da 2 ore!”
Mi guardò tra lo stupito e l'interessato. Vedeva in me un fuso di testa forse. Ma pensai che se la fosse bevuta.
Poi un po' stizzita esclamò “Sì ok, ma ora il gioco è finito! Devo staccarlo per il manico e continuare la mia ricerca!”.
Io la sfidai “Non penso proprio. L'ho trovato prima io! Ce ne saranno altri!”
Vidi la vena in fronte di lei che si ingrossò, l'odio percorrere il suo sguardo. A lei non andava giù di lasciare a me, quella cappella ora baciata dal tenue sole mattutino.
“Ok bella! Facciamo così! Facciamo metà a testa!” il gioco cominciava a piacermi. Mi dispiaceva lasciarle metà del prezioso bottino: ma cercavo di stabilire con lei un contatto prima che se ne andasse. La ragazza era bella, specie ora che era incazzata. Mi era salita una voglia di darle tanto, di più di quel mezzo manico..
Si girò..”A chi il manico? A chi la cappella? Capisci che non ha senso?”. “Lo tagliamo per lungo!”replicai.
“Ok, affare fatto! Ma lo stacco io. Mi piace prenderlo in mano!" esclamò con rabbia. Sogghignai.
Lei mi guardò. “La smetti di sogghignare? Sì, mi piace prenderlo in mano..”
Mentre lo staccaval le continuavo a scattare le foto: non si ritraeva, né si chiudeva i bottoncini della camicietta. Non poteva non essersi accorta che i seni facevano capolino fuori dalla scollatura..
Ci sedemmo sul prato. Lei afferrava il manico e lo teneva ben stretto: passai la lama del coltello ben affilata. Ne feci due parti perfette.
Mi guardò all'improvviso, quasi a supplicarmi di non lasciarla ora che avevamo concluso la nostra missione.
Tirai fuori dal mio zaino della cioccolata. Giela sporsi. Finalmente un sorriso e un grazie.
“Cosa fai qui sola?” “Quello che fai te..Vado a funghi, ma in modo meno goffo!”e scoppiò a ridere. “Cosa facevi nascosto lì sotto?”. Dovetti raccontarle tutto! Rise di me, ma almeno ora cominciavamo a socializzare.
Era una ragazza del posto, lo avevo intuito anche dall'accento, e dalla camminata agile.
Dorothea il suo nome, gestiva d'estate con la famiglia la baita a 2500 metri.
A pranzo si occupava di servire a tavola i tipici piatti locali: ora l'avevo riconosciuta, era la splendida ragazzina sbarazzina che pochi anni prima avrei messo la firma a battezzare. Ma ahimè, al tempo era troppo piccola.
Ora era una giovane fanciulla, i seni ben torniti, i muscoli ben scolpiti, la pelle molto abbronzata.
Il tutto contrastava con i capelli chiari e gli occhi celesti. Non aveva trucco. Aveva delle bellissime lentiggini sulle guance.
Raccoglieva i funghi per poi servirli a mezzogiorno. Mentre me lo raccontava le porsi la metà del mio porcino, mi sembrò giusto così. Le avevo già fatto perdere tanto tempo, e stimavo quel modo di guadagnarsi da vivere.
Lei nel vedere quel mio gesto, così naturale, mi baciò. Un bacio passionale, lungo.
Denotai in lei la voglia di essere coccolata, accarezzata, una grossa carenza di affetto: la avvolsi con tutto il mio corpo.
Le sue mani avvolsero il mio in ben che non si dica: sfilò i miei pantaloni e le apparve uno splendido esemplare di manico. Mi sussurrò all'orecchio “Questi sono esemplari unici..questo non lo dividerei con nessuno..” e mi baciò l'orecchio.
Io ero in estasi. La ragazza era molto country. Non era la classica ragazzetta di città.
Era pulita, nulla da dire. Ma quando le scoprii la vagina, quel batuffolo di pelo, bello, un po' “nature”, mi aizzò una voglia selvaggia.
La volli sopra di me. Osservarla in tutta la bellezza. Tenerla per le treccine mentre cavalcava il mio manico furente.
Presi la Nikon. Non potevo farmi sfuggire scatti di tale intensità.
La mia mano destra sul seno, la sinistra sulla treccina a reclinarle indietro il collo mentre cavalcava: la Nikon appoggiata sul mio petto ad immortalare con autoscatti in sequenza tutta la scena.
Lei si eccitava alla visione della macchina fotografica: me lo faceva sentire con movimenti del corpo. Era bagnato tutto l'interno coscia.
Le mie mani scivolavano sul suo clitoride, ad infierire.
Temetti che i suoi gemiti richiamassero a noi tutti gli animali del bosco.
La presi prima che venisse: volli entrarle da dietro. Si mise in ginocchio, accondiscendente.
Le leccai l'ano, sentivo il profumo di donna e di sesso tutt'attorno.
La bagnai con il liquido del suo stesso corpo. Mi avvicinai al suo sedere, con grande dolcezza.
Ne avvertii la rigidezza. Provai ad entrare.
Ma lei mi bloccò. Probabilmente era vergine di culo, non se la sentì, sebbene la foga era tanta.
Si girò. Una lacrima le scendeva dagli occhi celesti splendidi.
La punta della cappella era già dentro. Lo sfilai. Decisi di non rovinare i prossimi giorni di questa splendida fanciulla.
Le baciai nuovamente il sedere. Lo infilai poderosamente in vagina. Per distrarre lei e per dare sfogo al mio manico.
A lei tornò il sorriso, la rilassatezza. Anche se ogni volta che lo sbattevo con forza la sentivo gemere sempre più forte.
Sentii la mia vena ingrossarsi dentro di lei, pulsare. Dovevo venire. Non voleva che mi togliessi.
Sentivo mi afferrava le chiappe e le stringeva forti a sé, sempre più strette.
Pensai di darglielo tutto, caldo. Godemmo di felicità.

Il sole era già alto: specie lei aveva una certa fretta.
Si rivestì davanti ai miei occhi: rimaneva il tempo per rapirle gli ultimi scatti.
Mi riabbracciò dolcemente, bisbigliandomi un tenero grazie all'orecchio.

La vidi ripartire come una giovane cerbiatta: veloce se ne andò in mezzo alla boscaglia.

Sono passati mesi, stagioni, il sole comincia a scaldare nuovamente i monti.
Con ansia attendo la riapertura della stagione estiva. Chissà se Dorothea lavorerà ancora lì, chissà cosa proverà quando mi rivedrà mescolato tra i suoi clienti.
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