orge
Il Regalo
di Daiquiri
23.09.2013 |
15.908 |
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"Come molte coppie sposate, abbiamo l’intelligenza di mantenere accesa la nostra passione, confidandoci soprattutto mentre mentre facciamo l’amore, le nostre..."
Ci consideriamo una bella coppia, io e mio marito. Ancora innamorati e complici, malgrado dodici anni di matrimonio. Come molte coppie sposate, abbiamo l’intelligenza di mantenere accesa la nostra passione, confidandoci soprattutto mentre mentre facciamo l’amore, le nostre reciproche fantasie, senza tuttavia aver mai realizzato quelle più inconfessabili.Almeno fino a quel pomeriggio di settembre...
Quel giorno lui mi propose di accompagnato in un breve viaggio di lavoro in una città non distante dalle nostra. Sulla via di ritorno, promise, mi avrebbe fatto un bel regalino e saremmo di rientrati in città prima di sera. Accettai con piacere l’idea di passare una giornata insolita e piacevole in sua compagnia.
Lasciammo la nostra città di buon mattino e dopo poco più di un’ora arrivammo in quella piccola cittadina. Ci salutammo con un affettuoso bacino sulle labbra, prima che lui dedicasse un’oretta per quel suo incontro di lavoro, mentre io gironzolavo per il corso della città a guardar vetrine e fare piccoli acquisti in una bella profumeria.
Prima di pranzo ci ritrovammo dove convenuto e lasciammo quella piccola città, imboccando l’autostrada verso casa, per poi uscirne poco dopo in direzione di un outlet grandi marche, spizzicare un paio di sandwich e fare un po di shopping insieme.
Fu divertente vedere con quanta cura scelse per me un completino di lingerie di quelli un pò piccanti, insistendo perchè lo indossassi sin da subito. Davvero un bel regalino, pensai compiaciuta per l’effetto da zoccoletta che faceva quel completino sul mio corpo da quarantenne ancora in forma.
Nel pomeriggio caricammo gli shoppers degli acquisti nel bagagliaio della bella auto di mio marito e lui la guidò fino a riprendere l’autostrada in direzione casa.
Ma poco dopo il motore iniziò a singhiozzare e l’auto a sussultare, costringendo mio marito a ridurre al minimo la velocità e percorrere qualche chilometro a bassissima andatura prima di poterci fermare presso una più sicura piazzola d’emergenza.
Lui scese dall’auto, aprì il cofano motore e lo vidi fare qualche telefonata, probabilmente per cercare un’officina. Dopo un paio di telefonate, risalì in auto, inserì nel navigatore una località ed un indirizzo e percorremmo a bassa velocità una decina di chilometri d’autostrada, per poi uscire in direzione di una zona industriale, verso un’officina in grado di risolvere quell’inconveniente.
Il navigatore ci guidò lungo viali un pò desolati, forse a causa dell’orario pomeridiano di quel venerdì pomeriggio, costeggiati da edifici e piccoli capannoni industriali, fino un capannone un pò malconcio, nella periferia di quell’anonima zona industriale.
Il titolare di quell’officina, un tipo sui sessanta un pò scorbutico forse per l’imminente chiusura, ci disse di non avere quel ricambio e che considerato l’orario non avrebbe potuto procurarne uno compatibile con quell’auto.
Mio marito fece appello a tutta la sua capacità per convincerlo a trovare una soluzione e quello, dopo qualche telefonata, ci disse che in via del tutto eccezionale, avrebbe potuto procurare quel particolare componente presso un suo fornitore, ma non disponendo dell’elevata somma necessaria, o mio marito glie l’anticipava in contanti, oppure andava con lui per pagare quel ricambio con la sua carta di credito.
Decisi di attendere in officina, nell’angolo dedicato all’attesa clienti e seguii con lo sguardo mio marito e quel tipo salire su un furgoncino sporco e malconcio e lasciare l’officina, mentre gli altri operai lavoravano su una vecchia auto.
Mi accomodai su un divanetto economico in finta pelle rossa in quella specie di salottino, posto all’angolo del capannone, vicino gli uffici ed ai gabinetti. A completare l’effetto sala d’attesa, un tavolinetto basso con qualche sgualcita rivista, un televisore appeso alla parete, accesso su un canale musicale e due macchinette automatiche distributrici di bevande e merendine.
Rimasi lì, scocciata ed annoiata a sfogliare quelle sudice riviste, trovandone tra tutte quelle di motori, una di gossip femminile, anche se di qualche mese prima.
Poco dopo, l’unica donna di quella piccola sgangherata azienda, una trentenne vestita come una quindicenne e dal trucco un pò vistoso, uscì dalla segreteria, scambiò un paio di battute sguaiate con i tre operai ancora al lavoro, accostava in segno di chiusura le due grandi ante di lamiera del capannone e se ne andava a godersi il weekend, senza nemmeno salutarmi.
I tre operai, uno sui trenta, gli altri due più grandi, erano nell’angolo opposto del capannone, probabilmente presi più a commentare qualcosa su di me piuttosto che fare il loro lavoro.
Li osservavo, più per noia che per interesse, guardando senza farmene accorgere sopra le pagine ingiallite della rivista che sfogliavo distrattamente.
Poco dopo, il giovane si staccò da quel gruppetto e lo vidi venire verso di me, voltandosi un paio di volte verso gli altri due, che ammiccavano.
Puntò dritto al distributore di caffè, mise una mano sudicia nella tasca della sua tuta blu da lavoro, tirò fuori qualche moneta ed iniziò ad infilarle nella macchinetta. Poi si fermò, attese un attimo, si girò verso di me e disse “Signorina, lo vorrebbe un caffè ?”. Abbozzai uno sprezzante sorriso mentre dicevo di no. Lui insistette : “Magari preferisce un tè, un cioccolato caldo...”. “No, grazie”, dissi senza alzare lo sguardo, ma intuendo che quello non si sarebbe fermato lì...
“Magari la signora preferisce questo...” gli sentii dire con voce più seria, mentre si era fin troppo avvicinato a me. Alzai lo sguardo e me lo trovai proprio di fronte, con una mano che stringeva il pacco già gonfio sotto la sudicia tuta da lavoro.
D’istinto provai ad alzarmi, ma una sua mano sulla mia spalla mi costrinse a ripiombare pesantemente seduta sul divanetto di similpelle.
“Che intenzioni hai, cretino, sono una cliente e tra un pò torna mio marito ed il tuo principale...” dissi, indignata per quel gesto di arroganza che quell’imbecille si stava permettendo sotto lo sguardo divertito dei colleghi.
“Adesso te lo faccio vedere io, che intenzioni ho !” Risposte tenendomi schiacciata sul divano con una mano, mentre con l’altra armeggiava sotto la zip della tuta, ora aperta fino alle sue mutande colorate.
Provai ancora ad alzarmi, ma quella mano sudicia e forte mi teneva incollata sul divanetto ed al mio tentativo di spaventarlo dicendogli che avrebbe perso il lavoro per quella bravata, lui, girandosi verso gli altri due operai che nel frattempo s’erano avvicinati, disse ridendo : “Si, si, poi te lo fa vedere lui, cosa ti fa, il principale !!!”.
Gli altri, sempre ridendo, s’abbassavano le zip dei loro pantaloni e se le lo tiravano fuori, mentre lui mi schiaffeggiava con il suo cazzo duro e grosso sulle guance, cercando la mia bocca, che io giravo dall’altra ogni volta dall’altra parte, lontano dalla sua cappella.
Ero confusa, non spaventata, ma sicuramente molto incazzata per come quei tre mi stavano umiliando, eppure, sentivo che quella situazione era in qualche modo sotto controllo.
La sua mano si spostò dalla mia spalla e mi afferrò per la nuca, obbligandomi a tenere le mie labbra schiacciate sulla sua cappella gonfia. Sentivo l’odore forte del suo cazzo e quando la sua mano spinse ancora la mia nuca contro di lui, invece che divincolarmi, aprii la bocca e me lo ritrovai in bocca, quasi fino a togliermi il respiro.
Lo sentii mugulare di piacere, mentre la sua presa dietro la mia nuca mi costringeva ad ingoiarne ancora un pò, fino a farmi strozzare. Allora mollò un pò la presa, mi afferrò per i capelli, sempre dietro la nuca ed iniziò a farmi fare su e giù, lungo il suo cazzo.
Mi accorsi allora che le mie mutandine nuove colavano di piacere, ero scioccata, incazzata, offesa e di fatto violentata, ma quello che mi stava accadendo mi eccitava come mai ricordavo prima.
La sua mano era ancora dietro la mia nuca, ma ora non aveva più bisogno di tirarmi per i capelli, nè di spingermi contro di lui, anzi, accompagnava i miei lunghi e lenti movimenti, ora leccando la sua cappella turgida, ora lasciandolo sprofondare quasi tutto nella mia bocca.
Intanto gli altri due, decisamente meno giovani piacevoli del ragazzo, se lo menavano, ridendo e dicendosi tra loro : “Guarda come gli piace, alla signora” e l’altro : “Adesso glie ne facciamo assaggiare un altro po, di cazzi...”.
E così, a turno mi ritrovai con la bocca piena dei cazzi di tutti e tre, e ricordo che tutti i miei sensi erano concentrati nel constatare quanto fossi eccitata da quella strana situazione.
Di ognuno di quei tre sentivo il diverso odore forte di sudore e di cazzo, vedevo e sentivo in bocca le diverse forme e dimensioni. Quello più sgradevole era il tipo alto e magro, scuro di carnagione e con la barba ispida. Aveva un cazzo fino, lungo e storto e dall’odore sgradevole, di sporco. Il ragazzo, quello che per primo ha iniziato a scoparmi in bocca, aveva invece un bel cazzo, grosso, dritto e nerboruto, ed era a lui che mi dedicavo con maggiore eccitazione. Il terzo aveva un cazzo non particolarmente lungo, ma straordinariamente grosso da riempirmi tutta la bocca. E fu proprio lui che mi riempì la gola, fiottandomi in bocca tutto il suo piacere, così abbondante che ne sentii colare un bel pò da un lato della mia bocca...
Poi, mentre ero ancora stordita da quel che mi stava accadendo e tutti miei sensi erano concentrati su quel sapore forte che mi riempiva la bocca, mi sentii gelare il sangue, sentendo alle mie spalle un’altra voce dire : “Hai visto come gli piace alla tua signora ? E’ questo che volevi, nò ?”
I tre fecero un passo indietro, continuando a menarsi i rispettivi cazzi, ed io, ripulendomi col dorso della mano quel rivolo di sborra e saliva che colava dalla mia bocca, capii finalmente cosa intendeva mio marito quando parlava del regalo che avrei avuto quel giorno.
Lo vidi, mio marito, a pochi passi da me, anche lui con il suo cazzo in mano ed una strana smorfia di piacere, forse per avermi appena visto troja come non mai. Fu allora che per misto di rabbia e di piacere, mi sollevai dal divanetto di similpelle rossa, mi inginocchiai davanti al ragazzo col bel cazzo duro e grosso e cominciai a leccarglielo, guardando negli occhi mio marito.
Il regalo mi era chiaro, ormai. Mio marito mi aveva portato alla monta da quei tipi. Lui aveva concordato tutto ed ora si stava godendo la scena. Ed in quel momento, decisi che quel regalo me lo sarei preso tutto....
Cominciai ad ingoiare quell’asta nerboruta, mentre qualcuno di loro m’insultava dicendomi quanto fossi troja e chiedendo a mio marito se gli piaceva vedermi così. Lui annuiva in slienzio.
E mentre io continuavo ad ingoiare quel cazzo grosso e duro, sentii gli altri due alle mie spalle, che mi guidavano fino ad appoggiarmi con entrambe le mani su un’angolo del tavolinetto basso, così da poter continuare a sbocchiarne uno, mentre gli altri mi sollevavano la gonna fino ai fianchi e mi sfilavano le mutandine, zuppe del mio piacere.
Mio marito e quel sudicio sessantenne del titolare dell’officina nel frattempo di erano anche loro avvicinati, ognuno con il cazzo duro in mano.
E mentre io continuavo ad ingoiare il cazzo duro e gonfio del ragazzo, sentivo altre mani ruvide sulle mie natiche, tra le gambe e sulla figa. Le sentivo infilarsi sotto il mio golfino di cotone turchese e strizzarmi le tette, mentre le tiravano fuori dal mio reggiseno nuovo. Non capivo più chi fosse a farmi cosa, ma percepivo che mio marito, col cazzo duro in mano, stava lì, a guardami, mentre quattro tizi stavano abusando di me....
... o forse io di loro.
Li sentii dietro di me, scoparmi a turno, quello con il cazzo stretto, lungo e storto e quell’altro che già mi aveva già sborrato in bocca. Poi anche il ragazzo mi scopò da dietro, mentre a turno la mia bocca si riempiva degli altri cazzi, senza che ormai io riuscissi più a capire chi mi fosse in fica e chi in bocca. Li sentii venire, più volte, non sò chì e sentivo il loro liquido che colava lungo le mie cosce, fino alle caviglie, mentre mi scopavano e m’insultavano. Anche la mia bocca, era piena di sborra e saliva, che colava in terra sul pavimento già sudicio.
Poi capii che anche il titolare, il più vecchio e sgradevole di tutti, si era fatto sotto, rivendicando la sua parte. per un pò scopò da dietro, come tutti, poi sentii le mani ruvide di altri che mi divaricavano le cosce, mi tenevano le natiche ben aperte sentii le dita grosse e ruvide cercare il buchino del mio culo. Qualcuno, forse il vecchio si sputò su una mano e sentii il dolore di quelle dita che mi aprivano il culo, mentre qualcun altro di loro mi godeva nella mia bocca e sul viso...
Ad un certo punto mi accorsi di avere in bocca il cazzo di mio marito e sebbene totalmente in preda a quel delirio di sesso, lo riconobbi perché era l’unico profumato e ben vestito.
In quel momento sentii il vecchio dietro di me strofinare il suo cazzo contro il mio buchino per poi invadermi dentro senza nessuna attenzione. Ebbi un sussulto di dolore, che mi costrinse ad ingoiare fino in gola il cazzo di mio marito, mentre il vecchio, me lo sbatteva nel culo con tutta la sua forza.
Provavo dolore per quell’inculata senza alcun rispetto ed anche la figa mi faceva male per come ero stata scopata con violenza. Ero imbrattata di sborra e saliva in faccia, sul collo e su seni, ormai fuori dal reggipetto, stranamente ancora allacciato. Non sapevo quanti di loro avevano goduto nella mia bocca, ne quanti mi avessero riempito la figa, così tanto da sentirmi colare lungo le cosce e le gambe, Ero ancora poggiata con le mani sul tavolinetto basso, con i fianchi in alto e le cosce aperte, la bocca piena fino in gola dello sperma di quei sconosciuti e del cazzo di mio marito.
Quel porco del titolare intanto mi stava sfondando il culo, mi faceva male, ed io mi sentivo una gran troja, umiliata eppure gratificata fonte del piacere che quei tipi mi stavano rubando ed al tempo stesso regalando.
Il vecchio mi scopò talmente forte che ci mise poco a godere dentro di me, emettendo un rantolo come un porco sgozzato. Venni anche io in quel momento e mentre ancora godevo di quella violenza, anche mio marito mi fiottò in gola, dicendomi “godooo, troja...”.
Quello di lui che non riuscii ad ingoiare lo vidi scivolare dalla mia bocca lungo il suo cazzo e gocciolare in terra, unendosi sul pavimento alle altre macchie della mia saliva, mista al piacere di tutti gli altri.
Con altrettanta rozzezza con cui mi era entrato dentro, il vecchio si sfilò dal mio culo ed anche da lì sentii colare un rivolo caldo ed abbondante. Ripresi un pò di respiro e con questo un pò di controllo del mio corpo e della mia mente. Entrai nel gabinetto sudicio dietro le macchinette automatiche di caffè e merendine e mi ripulii di tutto quello schifo di cui ero stata inondata e riempita.
Lasciai scorrere un pò l’acqua di quel lurido lavandino perché fosse più fresca, sciacquai alla meno peggio la figa e provai sollievo nel sentire un pò di fresco tra le pieghe un pò lacere del mio buchino. Sciacquai la bocca e le mani, cercando di togliere lo sperma di tutti dal mio volto, dai miei capelli e dal petto. Finalmente mi guardai allo specchio. I miei vestiti erano un disastro, i miei capelli spettinati ed ancora appicicaticci. Eppure il mio sguardo era languido come non mai, per tutto il piacere che avevo appena provato. Ricordavo di essere venuta due o tre volte, ma tutto fu inspiegabilmente e straordinariamente intenso.
Rimasi per un pò poggiata con le spalle alla porta del bagno, gli occhi chiusi e le mani lungo i fianchi, finchè non sentii che qualcuno di quei tizi se ne stava andando.
Poi sentii il rombo cupo dell’auto di mio marito e capii che l’auto non aveva mai avuto bisogno d’esser riparata. Ora dovevo farmi coraggio ed uscire da quel cesso.
Aprii la porta e trovai le luci del capannone quasi tutte spente, passai a fianco del tavolinetto e del divanetto, vidi ancora le abbondanti macchie in terra di sperma di quei tizi, compreso quello di mio marito, misto alla mia saliva. Li in terra, sporche e sdrucite, c’erano anche le mie mutandine nuove. Le raccolsi, salii nell’auto che mio marito aveva già puntato verso l’uscita l’uscita del capannone, chiusi lo sportello e chiusi di nuovo li occhi, mentre lo stridio delle ruote mi portava fuori da quel posto.
Mi accorsi allora che stringevo forte nel pugno le mie mutandine e mentre l’auto si lasciava alle spalle quel capannone ormai avvolto nel buio, decisi in quel momento che avrei custodito con cura il ricordo di quel prezioso regalo.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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