incesto
Sono tuo figlio il matrimonio parte due


10.01.2025 |
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"Eppure, mentre mi guardavo intorno, il mio cuore era pesante..."
Tutto intorno a me girava vorticosamente. Le luci scintillanti del Notley Abbey si facevano sempre più fioche, come se cercassero di sfuggire alla mia vista offuscata dalla confusione. Avvertivo la bocca secca e le voci degli invitati che rimbombavano nelle mie orecchie, mentre il mio cuore batteva sempre più forte, come un tamburo in preda all'eccitazione e all'ansia. Al mio fianco, William, con i suoi lunghi capelli biondi che scendevano morbidi sui suoi profondi occhi grigio-verdi, sembrava essere l’incarnazione di tutto ciò che desideravo. Il suo sorriso, luminoso e perfetto, mettendo in risalto i suoi denti bianchi, sembrava quasi rassicurante.Indossava uno smoking bianco che aderiva perfettamente al suo ampio torace, mettendo in evidenza i muscoli pettorali ben definiti sotto la stoffa elegante. La sua espressione, tuttavia, tradiva un certo nervosismo mentre attendeva con ansia la mia risposta. Dietro di noi, mio padre osservava in silenzio, e questa presenza calmante ma anche inquietante era evidente.
“C’è qualcosa che non va?” mi domandò William, e in quel momento potevo percepire il dolore velato nei suoi occhi.
“Nulla,” risposi, cercando di mascherare la mia inquietudine. Le parole mi uscirono dalla bocca come un automatismo, ma il peso della situazione era difficile da ignorare.
William posò le sue mani sulle mie spalle, facendomi sentire il suo calore. Le nostre teste si avvicinarono, e lui mi abbracciò, un gesto che sembrava volerci unire in un momento di intimità. Mi baciò dolcemente, il suo tocco era come un balsamo per le mie ansie. Rinsavisci e lasciai che la sua lingua esplorasse la mia bocca, mentre io avvolgevo un braccio attorno a lui, accarezzando i muscoli della sua schiena. "Permettimi di averti," sussurrò nel mio orecchio con ardore. Senza parole, feci un cenno col capo, il mio desiderio di seguirlo era palpabile. Gli invitati, vedendo l'anello al mio dito, applaudirono con entusiasmo. "Eh, bene sì! Mi ero sposato!" esclamai, cercando di giustificare questo nuovo capitolo della mia vita.
Ma la gioia fu di breve durata. Vidi mio padre alzarsi dalla sedia e allontanarsi senza neanche voltarsi, perdendosi nel lungo viale alberato. Il suo gesto mi fece sentire un senso di vuoto e solitudine. Nel frattempo, le nuvole nel cielo si stavano diradando, rivelando la brillante luna piena sopra di noi. Gli invitati sorseggiavano flutes di prosecco, brindando alla nostra unione, ma la mia mente era in tumulto. I miei pensieri, un uragano di emozioni contrastanti, vennero interrotti dal suono dei nostri passi uno accanto all'altro mentre ci preparavamo a ballare.
“Il ballo tra me e mio marito,” pensai, ripetendo la frase a voce alta per cercare di rendere tutto ciò reale. William mi guardava con intensità, senza mai distogliere lo sguardo, e io gli accennai un sorriso. Mi sembrava incantato, come se fluttuassimo in una bolla di serenità.
Mentre ondeggiavamo fianco a fianco, la sua presenza emanava una calma placida, quasi regale. Tuttavia, dietro la fredda sicurezza nei suoi occhi si nascondeva una tensione sottile. La sua forza apparente parlava di una confidenza che nascondeva desiderio e una certa irrequietezza.
La musica continuava a suonare, e avvicinando le labbra al mio orecchio, William sussurrò: “Guarda intorno a te. Questa era la vita che avevo progettato per noi, un'esistenza da favola, e vissero per sempre felici e contenti!”
La mia espressione tradiva confusione. Non riuscivo a comprendere a pieno il significato delle sue parole. “Non capisco,” risposi, il cuore che batteva forte.
Senza batter ciglio, lui scandì con chiarezza: “Oggi è l'ultimo giorno in cui sarai felice. Goditelo. La tua favola sta per trasformarsi in un incubo, finché morte non ci separi.”
Le sue parole risuonavano nella mia mente, lasciandomi sbigottito. Non mi aspettavo nulla di simile, e la mia confusione crebbe mentre cercavo di interpretare ciò che stava dicendo.
“Ti ho visto!” aggiunse con un tono che non ammetteva repliche, e il mio cuore si bloccò per un attimo.
D’un tratto, le nuvole tornarono a coprire la luna piena, oscurando il cielo. Una goccia d’acqua cadde sul mio smoking nero, seguita da un'altra e poi da un'altra, fino a piovere a dirotto, come se il cielo stesso piangesse. Il tipico tempo londinese non sa mai cosa aspettarsi. La pioggia iniziò a bagnare quel meraviglioso campo di lavanda, sprigionando il suo profumo intenso. Mentre la gente correva a ripararsi, me ne stavo lì, immobile, accanto a William. La musica si spense, lasciandoci in un silenzio carico di tensione. I suoi occhi minacciosi erano fissi sui miei, e io sentivo le lacrime mescolarsi alla pioggia. La realtà che avevo tanto desiderato sembrava trasformarsi in un incubo.
Salutammo gli invitati, e tutto ciò che avremmo dovuto condividere, come il taglio della torta e i fuochi d’artificio, venne spazzato via dalla tempesta. Ci dirigemmo verso la suite che i proprietari del Notley Abbey ci avevano offerto. La camera era splendida, finemente decorata con affreschi e caratterizzata da tre ampie finestre affacciate sul fiume, che creavano un panorama incantevole.
Lo scenario, con un bagno a lume di candela, una grande vasca idromassaggio e l’aria impregnata dell’aroma di incensi e petali di rosa, era da sogno. Eppure, mentre mi guardavo intorno, il mio cuore era pesante. Il pavimento in parquet di rovere e il letto con baldacchino dorato non riuscivano a calmare la tempesta dentro di me. Decisi di affrontare William. "Dobbiamo parlare!"
William si avvicinò lentamente, e io indietreggiai fino a cadere nel letto. "Parlami di quell’uomo che mi hai descritto come tuo padre. Raccontami di lui!" chiese, il tono della sua voce più intenso, carico di emozione.
Il suo volto si fece scuro. In quel momento, capii che questo doveva essere un confronto cruciale, non solo per me ma per entrambi. Sentivo il peso della verità schiacciarmi, e sperai che le mie risposte potessero aprire un dialogo vitale per il nostro futuro.
William si avvicinò lentamente, la sua figura imponente e carica di una tensione palpabile. Con un gesto brusco, si tolse la giacca, lasciandola cadere sul pavimento con un rumore sordo, quasi come un segno di ciò che stava per accadere. I suoi muscoli, perfettamente definiti, si muovevano sotto la pelle liscia mentre, in un gesto che sembrava sfidare ogni controllo, fece scivolare via la camicia bianca, rivelando il suo torace ampio e scolpito. Ogni movimento era carico di una forza che non riuscivo a ignorare, eppure c’era qualcosa di più inquietante nel modo in cui si liberava di quegli abiti.
Gli occhi di William erano più scuri ora, come se il controllo che aveva mantenuto finora stesse iniziando a sgretolarsi, e la sua presenza, che una volta sembrava così rassicurante, ora emanava un’energia che non riuscivo a decifrare. Il suo corpo, scolpito e forte, rifletteva una perfezione esteriore che, in quel momento, sembrava irraggiungibile, ma dentro di lui si celava una tempesta, qualcosa che avrei dovuto scoprire, nonostante il timore che mi stringeva il cuore.
Mi guardò intensamente, un silenzio pesante tra noi. Sembrava aspettarsi qualcosa da me, ma le parole non riuscivano a uscire. Poi, senza preavviso, si avvicinò, il suo respiro caldo sulla mia pelle mentre lentamente sfiorava la linea del mio colletto. Un brivido mi percorse, un mix di desiderio e paura.
“Adesso, Andrea,” disse con voce bassa, carica di una minaccia che non riuscivo a ignorare. “Vediamo se riesci a sopportare ciò che sta per succedere.”
Lentamente, la mia mente iniziò a lottare con il corpo che reagiva al suo tocco. Ma sapevo che non potevo voltarmi, non ora. Non ancora. La verità che avevo cercato di evitare, e che ora sentivo avvicinarsi come una forza inarrestabile, stava per esplodere.
“Perché lo fai?” sussurrai, con la voce tremante, cercando di trattenere la paura che mi stava invadendo.
William, tuttavia, non rispose. La sua mano si posava sul mio viso, e per un attimo, mi sembrava che c’era una lotta silenziosa tra il desiderio di mantenere il controllo e la consapevolezza di non poter più nascondersi da ciò che stava succedendo.
Nel silenzio delle mie parole, sentivo la sua presa sulle mie cosce, la tensione dei muscoli sotto la pelle, mentre la morbidezza dei peli sfiorava il mio viso, un tocco aggressivo che mi faceva tremare.
Sbottonava i pantaloni, lasciandoli scivolare fino alle caviglie, mentre il mio cuore si stringeva. Dove era finito l’uomo di cui mi ero innamorato? Quello che mi sfiorava con dolcezza, come se avesse paura di rovinare qualcosa di prezioso. Mi diceva che non voleva alterare la perfezione che vedeva in me, una perfezione che sembrava aver preso forma dall’amore stesso. Ora, tutto sembrava cambiato, ed io non riuscivo a fermarlo.
Mi urlava contro, e, istintivamente, abbassavo lo sguardo. Poi, senza avvertire, mi afferrava i capelli, mi costringeva a piegare il collo, un movimento che mi lasciava senza respiro. Un’intensità che mi sopraffà, e mi trovavo a cedere, non avevo altra scelta che assecondarlo.
Leccavo lo scroto facendogli contrarre la pelle, con la lingua disegnavo una linea retta per tutto il suo membro, fino alla cappella, con ferocia, assaporavo ogni istante, mi lasciavo trasportare dal suo ritmo costante.
Ma non era abbastanza per lui. Con fermezza, afferrava il mio viso, il suo gesto era carico di determinazione. Si muoveva dentro la mia bocca, sentivo il fiato bloccarsi, come se l’aria non riuscisse a entrare nei polmoni, il suo pene era solido e deciso ,con movimenti impetuosi e incessanti, ogni colpo mi travolgeva. Il mio viso si faceva pallido, mentre la nausea mi sopraffaceva, ma nulla sembrava in grado di fermarlo.
Liberava una mano e afferrava con forza la parte interna della mia coscia, seguiva con il pollice le linee che si avvicinano al centro, verso il basso, raggiungeva il mio ano.
Lo imploravo di non toccarmi, ma aveva bevuto troppo e non era più lucido. Non sentivo più il sangue scorrere nei polsi, ormai legati saldamente. Eppure lui non ascoltava, sembrava del tutto indifferente a ciò che cercavo di dirgli, come se fosse posseduto da una forza che lo controllava.
Con una presa violenta, afferrava i miei fianchi ,voleva farmela pagare per ciò che era successo con mio padre.
Affondava il viso, le sue labbra avide verso la mia fessura, la sua lingua mi penetrava, ma non provavo alcuna sensazione.
Volevo solo che finisse.
Urlavo, ma non per piacere, bensì per il dolore. Quella doveva essere la nostra prima notte di nozze, un momento che avrebbe dovuto essere di felicità, ma si stava trasformando in un incubo.
Le sue dita continuavano a massaggiare la zona con forza, premeva in profondità, stimolava i punti più sensibili, generava onde di energia che si diffondevano lungo tutto il mio corpo.
Contro la mia volontà, si dedicava al consumo del mio corpo, affondava il viso in esso con una bramosia primitiva . La sua bocca, sempre più insaziabile, si apriva in un'angolazione tale da sembrar desideroso di inghiottire tutto ciò che poteva. La lingua, umida e inquietante, mi colpiva con forza, provocando uno shock sensoriale che era al contempo sconcertante.
Le sue mani, forti e ferme, si posavano sui punti più delicati del mio corpo, generando una sensazione di sofferenza.
Con presa ferma e decisa, mi tratteneva saldamente, mi immobilizzava e rendeva impossibile ogni tentativo di fuga. Era come se fosse determinato a rivendicare ogni parte di me, inscrivendo una sorta di contraddittorio sigillo di passione e sottomissione, lasciandomi intrappolato in un vortice di sensazioni opposte, dove il confine tra il piacere e l’angoscia si faceva sempre più sottile.
Per un attimo, percepivo una pausa da parte sua e mi voltavo , cercavo di capire il motivo. Speravo che fosse tornato in sé, pronto a liberarmi o magari a scusarsi. Invece, lo vedevo intento a leccarsi avidamente le dita. Si era accorto che lo osservavo, scattava un sorriso malizioso prima di chinarsi di nuovo su ciò che lo interessava.
Versava un po' di saliva sulla mia entrata, iniziava a premere con le dita, ma il mio sfintere opponeva resistenza. Nonostante ciò, lui continuava con determinazione, spingeva il suo pene turgido che si dissolveva nella mia intimità, mentre il mio urlo rimbombava nelle pareti della stanza.
Seguiva il ritmo delle mie reazioni: ad ogni mio segno di resistenza, aumentava la pressione, calibrava ogni movimento in base a come reagivo.
Più gridavo, più lui aumentava la pressione; più provavo disagio, più spingeva. Il suo movimento era incessante, penetrava sempre più in profondità, ma io non riuscivo a sentire niente, non avvertivo alcuna dilatazione. Dopo pochi minuti, persi completamente i sensi. Ero esausto, non avevo nemmeno più la forza di urlare.
Esprimeva il suo piacere nel vedermi in quello stato, mi percuoteva prima su una natica e poi sull'altra.
Accanto al letto si trovava un tavolo, su cui era poggiata una glacette contenente una bottiglia di champagne. Mentre persistente ampliava il suo movimento, allungava la mano verso la bottiglia e la stappava:
“Dobbiamo brindare, dolcezza...”, mormorò con soddisfazione.
“Dobbiamo celebrare la tua grande voglia!”
“Brindiamo a te, a tuo padre e all’amore”, aggiunse con un sorriso beffardo, alzando la bottiglia come se fosse un rito sacro.
Beveva dalla bottiglia, lasciava che le gocce di champagne scivolavano lungo la mia schiena. Mi sentivo umiliato, devastato e provavo un profondo disprezzo per me stesso.
Mi contorcevo, cercavo di limitare la sua invasività, ma mi lasciavo andare completamente ai suoi movimenti, permettevo ai miei gemiti di esprimere il mio malessere.
Mi spegnevo lentamente, come un incendio che si affievolisce. La rassegnazione si diffondeva nel mio corpo, risalendovi fino alla testa e scendendovi fino alle punte dei piedi, mentre nel mio cervello si celava un profondo buio.
William continuava a muoversi con me in modo impersonale, come se fossi una bambola gonfiabile, una nuvola di confusione si sovrapponeva alla mia mente, mi faceva visualizzare il volto di mio padre, per un momento, avevo l'immagine di lui dentro me, mi rendevo conto che avevo raggiunto l'orgasmo anale .
Le sue braccia avvolgevano il mio corpo, le dita tracciavano ogni linea della mia pelle, mentre la sua lingua umida esplorava ogni centimetro della mia epidermide. Quegli attimi sembravano durare ore, giorni infiniti e frenetici. Sentivo un profondo disagio per le impronte e i segni che marchiava la mia pelle.
Con i polsi bloccati nella sua presa, mi sentivo come un burattino, schiavo del suo volere. La mia mente ballava una danza confusa e priva di controllo; non riuscivo più a formulare pensieri lucidi e lasciavo che il mio subconscio avesse la meglio sulla mia parte vigile. Era dotato di un membro rigido che pulsava con forza all'interno di me.
Un millesimo di secondo prima che esplodesse, percepivo la sua bocca affondare nella mia carne e stringeva con una ferocia inappropriata. Scattavo in avanti per il dolore acuto, soffocando ulteriori grida perché non avevo più fiato nei polmoni. Non riuscivo a concentrarmi, avevo la testa imprigionata in una bolla ovattata e, se mi muovevo, cominciavo a vedere offuscato.
Non avevo la forza né la volontà di reagire quando mi colpiva le natiche e i fianchi, la carne più tenera dell'interno coscia, la pelle della schiena, il tricipite del braccio e poi ancora l'incavo fra collo e spalla. Perviveva una leggera pressione al collo e, orientandomi nella mia nebulosa mentale, capivo che stava avvolgendo un lenzuolo attorno al mio collo.
Lo usava per strattonarmi e avvicinarmi a sé, per potermi penetrare più intensamente. Il suo membro affondava come un coltello, ma la sua forma carnosa mi toglieva ogni senso. Poi stramazzavo sul materasso, sottomesso ai suoi colpi.
Mi afferrava strettamente dai fianchi e liberava tutta la sua potenza, emettendo gemiti intensi e suoni profondi, sfogando il proprio godimento senza trattenersi. Sconquassato dal suo ritmo che si riverberava all'interno del mio ano, gridavo. Sembrava un masochista, mentre la mia forza diminuiva.
Continuando a essere un oggetto sotto il suo controllo, mi lasciavo trasportare in un turbinio di posizioni, con il lenzuolo come unico sostegno. Ero stretto al suo addome mentre mi cingeva con un braccio, sdraiato sul fianco mentre una sua mano mi premeva contro una coscia, scostandola per entrare in me più profondamente. Le gambe sollevate, tutto il suo peso su di me, mi baciava e afferrava con passione.
Sentivo il suo liquido seminale scorrere lungo le cosce, il suo orgasmo si concentrava nel mio sfintere, sotto un costante attrito della pelle. Il peso del suo corpo e la forza delle sue mani si facevano sentire ovunque. Il suo odore permeava le lenzuola, mentre i suoi occhi brillavano nella luce soffusa.
Non ragionavo più; i pensieri erano troppo stancanti per essere formulati. I muscoli non rispondevano più ai miei comandi involontari e si abbandonavano alla sua furia. Non sapevo per quanto tempo mi aveva penetrato, ma ad un certo punto percepivo il movimento del suo membro turgido allontanarsi dalle mie profondità.
Lo vedevo sorridermi, un sorriso che trasmetteva soddisfazione per ciò che aveva fatto. La sua figura era imponente, la pelle pallida lucida di sudore e sprigionava una forza inaspettata. Mi sentivo sopraffatto dalla stanchezza, le palpebre gravate dal sonno, e il mio corpo sembrava voler affondare tra i cuscini. Con voce debole, lo supplicavo di lasciarmi andare. Nonostante i suoi insulti, mi abbandonavo al sonno, un sonno profondo e ristoratore.
Dei deboli raggi di luce filtravano dalle finestre e scaldavano leggermente le palpebre, illuminando l’interno dei miei occhi con sfumature arancioni e rosse. Le labbra erano secche, la gola arsa, e il mio primo pensiero era che avevo dormito poco e male, con sogni confusi e incoerenti. Cercavo di fare un rapido riepilogo mentale, ma la memoria del sogno svaniva presto, sostituita dalla consapevolezza della realtà. Mi sforzavo di alzarmi e, con fatica, mi dirigevo verso il bagno, sentendo il rumore dell’acqua che scorreva. Mi sentivo debilitato e dolorante, ma riuscivo a bere qualche sorso d’acqua dalla bottiglia per rinfrescarmi. Mi vestivo in fretta, senza curarmi di allacciare le scarpe, e raccoglievo le mie cose.
In un attimo, scendevo le ripide scale e correvo fuori, come se fossi inseguito. Senza guardarmi indietro, mi perdevo tra i campi, continuando a correre senza fermarmi, gridando aiuto. Mi tolgevo la giacca e rimanevo solo in camicia, ansante, come un animale esausto. I miei occhi erano tesi, il corpo fradicio di sudore freddo e scosso dai brividi. Cominciavo a riprendere fiato, sentendo un sollievo, ma la paura era ancora forte. Le persone che incrociavo mi osservavano, sicuramente preoccupate dal mio aspetto disorientato.
Provavo a chiamare mio padre, ma non sapevo nemmeno cosa dirgli, se non urlare e piangere. Cosa era successo? Non riuscivo a capire, la mia mente era un turbinio di immagini confuse e preoccupazioni. Avevo la nausea. Continuavo a correre, cercando di liberarmi da tutto. Entravo in un bar, andavo in bagno e chiudevo la porta dietro di me, cercando di calmarmi. Prendevo un respiro profondo, poi guardavo nello specchio. Vomitavo, aprivo il rubinetto e risciacquavo la bocca, cercando di respirare. Un colpo alla porta mi faceva sussultare. “Occupato!” gridavo, cercando di fermare il panico. Le mani tremavano quando prendevo il cellulare e chiamavo mio padre. Il telefono squillava, e al terzo squillo, sentivo la sua voce chiamarmi. Lo interrompevo, piangendo, e con voce singhiozzante gli chiedevo:
“Papà, mi vieni a prendere?”
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