Gay & Bisex
La diseducazione di Sam o delle perversioni
di Ptro
23.03.2022 |
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"Ascoltate le mie considerazioni, si lasciò sfuggire una risata sommessa, promettendo di farmi vedere quanto perverso l’avessi reso: un istante dopo, le sue..."
Ciò che puntualmente mi colpisce, nel corrompere i miei amici etero, è come l’assist me lo diano loro, spontaneamente. Giocano, convinti d’essere inscalfibili nella loro ardente passione per la figa, ammiccando e bramando, vanesi, le mie lusinghe. Con Sam è iniziata esattamente così, sotto il solleone. Le gocce di sudore che gli scintillavano lungo la schiena, come nel migliore film porno, erano il preludio d’una mia inquadratura sul suo culo. Come gli ho sempre detto, Newton non avrebbe mai scritto nulla sulla gravità, se l’avesse visto: si protendeva spavaldo nell’aria come le più ardite architetture e fiero resisteva alle mie mani, che ben presto furono autorizzate a palparlo. Godeva del piacermi, era evidente; provava un certo orgoglio che non veniva spento dal rossore che gli montava sotto i riccioli scuri. Piacermi cozzava con la sua idealistica visione dell’amore, eppure il brivido delle mie carnali attenzioni correva lungo la sua schiena e la tensione lo dilaniava. Nel corso dell’estate, la sua remora morale al mio tocco s’affievoliva e sempre più spesso le mie mani esperte correvano a deliziare col dolore i suoi capezzoli, avvinghiati dalle dita, strappati con violenza al gonfio petto. Spudoratamente agivo tra la gente, generando il suo biasimo. Ma un corpo, lo scoprirà, non mente mai, sicché potevo chiaramente vedere il suo interesse per me crescere sotto il dolce costume azzurro, tendere la stoffa bagnata delineando forme che rielaboravo in seguito allietandomi in bagno.I tempi non erano maturi, così l’estate finì e tornai al nord privo del piacere di rubargli verginità, purezza e baci. Tuttavia, sapevo di aver sepolto un seme di peccaminosa stirpe nei suoi pensieri, che non ci mise molto a radicare e ad iniziare a crescere. Cominciò, come spesso avviene, una volta in cui mi diede della troia in chat: il mio durello fu immediato, e glielo feci notare. Continuò. Il tono era giocoso, ma sapevo che era ben conscio degli effetti che provocava, sapevo che mentre digitava nuovi insulti poteva immaginare la mia mano che scorreva delicata sulle mutande, aiutando il mio orgasmo a liberarsi. Troia, mi scrisse, mentre venivo in silenzio pensando a lui. Iniziò a usare quel termine spesso, non so se per disattenzione o volontà di eccitarmi. Ma il sesso divenne argomento di scambi quotidiani, e l’interesse per le mie passate avventure salì. Chiedeva, domandava, e fondamentalmente, iniziava ad ammettere sogni e pulsioni verso altri uomini. Verso di me, in particolare. Ma l’ansia di questo patriarcato infame e delle sue mascolinità egemoni lo trattenevano ancora dall’esprimere il suo desiderio, dal mostrarmi il suo agognato corpo nudo. Non lo fermava più, tuttavia, dall’accettare che gli inviassi il mio.
Si parlava della mia ultima avventura, un delizioso esperimento di bondage, e io gli proposi di vedere le splendide foto che m’erano state scattate. Il suo sì mi riempì di gioia mentre immaginavo il suo sguardo curioso poggiarsi sulle mie cosce nude, sulla benda che mi copriva il volto, sul petto stretto dalla canapa, sul cazzo barzotto che placido mi riposava addosso. Immaginavo i suoi occhi dilatarsi, e il pene gonfiarsi in fretta, mentre scorreva sul primo piano del cespuglio di peli su cui troneggiava il mio cazzo. Si eccitò, ne ero certo. La conferma arrivò pochi mesi dopo, quando tranquillamente si lasciò inviare foto di me, dolcemente legato ai piedi avvolti da bianche calze di spugna di un master conosciuto online. Mi eccitava pensarlo intento a fissare la mia faccia coperta dalla bianca spugna, osservare lo scotch da cui le mie braccia erano immobilizzate, e un brivido sulla schiena mi scosse all’idea che potesse, in quel momento, desiderare di avermi sdraiato a terra con i suoi piedi delicati tra le labbra, a massaggiarlo con la lingua per il suo puro diletto. Quella sera mi masturbai pensando a lui. Pochi giorni di delicata opera di convincimento, di perversi attacchi alla sua innocenza, separarono quest’ultimo scambio dal suo diretto coinvolgimento nell’attrazione tra i nostri corpi.
Era una serata come tante, quando in chat si iniziò a parlare di scatti che mi ritraevano nello svolgimento della sublime arte del pompino. Stuzzicavo, minacciando di inviarne alcuni; con mia grande sorpresa, mi rispose beffardo, sfidandomi a farlo. Non voglio rinnegare la possibilità che egli avesse, invero, sperato di far riemergere la mia pudicizia, il mio riguardo per la sua mente illibata ed eterosessuale. Purtroppo, però, sono sempre stato troppo perverso perché simili attacchi morali potessero scalfire i miei impuri disegni: premetti invio, e l’etere portò a destinazione le mie peccaminose foto. Immaginate la faccia che aveva, a guardarmi godere con un turgido cazzo ben piantato nella gola, le labbra tese nello sforzo d’accoglierlo tutto. Pensate al suo membro che si induriva alla vista d’una mano che spingeva in basso la mia testa, verso quelle palle che contenevano il mio agognato bianco tesoro. Sognate la sua mano nei jeans alla vista della turgida cappella, lucidata dalla mia saliva, che contrastava viola col pallore della mia guancia. Stavo per vincere anche le sue ultime difese, ne ero certo. Ciò che ignoravo è che sarebbero cadute già il giorno seguente.
Mi raccontava di come sperasse di conquistare una ragazza con una battuta talmente squallida e insipida da avere meno chance di successo rispetto a un classico come “tuo padre è un ladro…” Appurata la serietà delle sue intenzioni, e con il genuino desiderio di convincerlo a desistere, gli chiesi di scommettere una foto del suo cazzo se l’approccio fosse fallito. Accettò senza fiatare. Rimasi sconvolto: per la prima volta non aveva tentennato, non aveva pensato alla sua verginità, alla sua inesperienza, non aveva vagheggiato di eterosessualità. Era nudo davanti ai suoi desideri più nascosti e aveva scelto di seguirli. Una strada pericolosa, da cui io, come buon amico, non l’avrei mai allontanato. Vinsi la scommessa, ovviamente. Me lo disse a sera, poche ore dopo la sciagurata iniziativa, allegando la foto prima ancora che potessi rispondere. Eccolo lì, il pene dei miei sogni, quel frutto vergine eppure così grosso da rubare lo schermo, avvolto nelle sue delicate dita. Dalla dilatata cappella lunghe vene scendevano a coronare l’asta che già desideravo provare in gola, fino alla nera nuvola di peli il cui odore muschiato avrei volentieri sniffato, nascondendoci il volto. Ero duro e bagnato, e stavolta, oramai sicuro che ricambiasse il mio gioco, glielo scrissi. Era il momento della verità: avevo davvero ottenuto il suo interesse? Rinunciava davvero ai sogni d’amore per seguire l’istinto del corpo e il fuoco della passione? Mi chiese le prove del durello. Avevo vinto e così iniziammo la notte di sexting più splendente che io ricordi. La concluse un video di un suo lungo getto bianco, sparato su quei glabri addominali che tanto avrei voluto solleticare con la mia lingua. Desideravo bere il suo piacere, toccare il suo cazzo, annusare la sua pelle, baciare le sue labbra. Volevo essere il suo primo uomo, il suo mentore, come sempre ero stato in quell’amicizia. Bramavo unire, oltre alle nostre menti, i nostri corpi in una complessa geometria lubrificata dal sudore.
Ma dovevo attendere. Pasqua era lontana e così il mio ritorno a sud. L’assenza di messaggi perversi, di ammiccamenti, poi, mi fece temere d’aver superato il limite. Due settimane passarono senza che si facesse vivo, e io temetti d’aver rovinato l’ennesima amicizia spinto da un irrefrenabile ormone, d’aver forzato la sua comprensione del reale, relegandolo alla vergogna dei suoi sentimenti. Più di tutto, temevo fosse invece contento ma del tutto appagato da quella notte di messaggi, che non corrispondesse la mia sete d’umore e fame di carne. Così, quando accettò l’invito a passeggiare tra le bancarelle di Port’Alba, più che fiducioso apparivo tetro. Vestii di nero, convinto di assistere al funerale di un’era. Invece lui, a conferma del mio grande terrore, si comportava spontaneamente come un anno prima aveva fatto: era appagato. La mia mente vagava disperata altrove, cercando di distogliere gli occhi dalle sue forme perfette e ricondurli ai libri, ma pareva ch’ogni titolo fosse “L’Idiota”, a condanna della mia illusione. Sarei tornato a casa a sfogarmi, per l’ennesima volta, nella fredda ceramica accompagnato solo dalla mia stanca mano. Pessimista cosmico, m’avrebbe definito lui, avesse potuto leggere in quei pensieri che mi accompagnavano nel vicolo dove lui, raggiunta l’ombra di una colonna, mi mise al muro con un bacio. Avete presente il succitato “Idiota”? Cambiò il contesto, invariata rimase la lettura consigliata, mentre delicatamente gli stringevo le guance imberbi nelle mie mani e passavo le dita tra i suoi riccioli corvini. Che labbra morbide.
Mi stupì nuovamente poggiando beffardo una mano sul mio pacco, massaggiandolo sfrontato. L’idea che quel piccolo pervertito, fino al giorno precedente, fosse un convinto ed innocente etero e ora mi stesse masturbando in quella che aveva tutta l’aria d’essere la fiancata di una chiesa mi strappò un sorriso che si fece strada tra le sue labbra. Accortosene, Sam si staccò appena da me, il necessario per sussurrarmi una richiesta di spiegazioni. Ascoltate le mie considerazioni, si lasciò sfuggire una risata sommessa, promettendo di farmi vedere quanto perverso l’avessi reso: un istante dopo, le sue ginocchia poggiavano sul selciato sconnesso e le dita veloci mi scorrevano sulla patta. A giudicare dal guizzo di gioiosa trepidazione sul suo volto, non solo ero sul punto di scopare in un vicolo, a pochi metri da una strada dove andava in scena la vita, ma mi sarebbe anche toccato fare l’attivo: il ragazzo desiderava davvero “accogliere” tutti i miei insegnamenti. Non mi sottrassi certo alle sue attenzioni né al mio compito da educatore, tanto più che le sue mani s’erano oramai fatte strada, aperto il jeans, nelle mie mutande, e per la prima volta toccarono l’oggetto del desiderio. Tremava delicatamente, e mi pareva di poter udire la sua tachicardia. Il desiderio che così a lungo aveva represso, e che io malizioso avevo liberato, lo terrorizzava ed elettrizzava insieme. Il suo sguardo tradiva un timore che aveva l’aria di essere un ripensamento; serviva un mio intervento per ricordargli che oramai era perso. Lo guardai e gentilmente gli chiesi se volesse vederlo. Un labile sì lasciò le sue labbra e ne approfittai. Un secondo dopo il mio pene barzotto gli ballava davanti agli occhi, nascosto dalle ombre. La sua mano continuava a stringerlo, il tocco faceva affluire il sangue al mio inguine: si gonfiava, costretto tra le dita, e lui allargava gli occhi stupiti. Iniziai a muovermi impercettibilmente col bacino, stimolandomi ancora di più: ero al massimo dell’erezione. Una mano tra i ricci, lo avvicinai alla cappella, lasciandolo abituare all’odore, osservando quel giovane inesperto, che mai aveva baciato fino ad allora, prendere confidenza con la bellezza di un membro virile. A sorpresa, prese lui l’iniziativa: la lingua guizzò rapida fuori dalle labbra salutando la mia violacea testa. Il brivido freddo della saliva mi fece impazzire e desiderare di sfogarmi in fondo a quella gola. Ma, da buon maestro, aspettai che il mio studente fosse pronto ad esplorare di più. A giudicare dal bacio che le sue labbra mi stavano donando, lo era. Il sapore era piaciuto, perché la lingua tornò a coccolare la mia fessura alla ricerca di delizioso precum. Come una magica pozione, il liquido cristallino gli fece spalancare la bocca, che accolse in sé tutta la cappella, succhiandola con delicatezza. Io giocavo felice con i suoi riccioli, e lui lentamente lasciava che sempre più centimetri della mia carne scivolassero dentro la sua gola. Gli mormoravo, scosso dal piacere, delicati complimenti. Una bocca vergine così brava non l’avevo mai trovata, e non l’avrei facilmente persa. Ero oramai tutto dentro. Il suo naso, perso tra i miei peli, annusava per la prima volta un uomo, e i suoi occhi lucidi fissarono, in cerca dell’approvazione del mio viso sconvolto dal piacere. Gli chiesi di prendermi in mano le palle, massaggiarmele. Lo fece con gusto, allegro ci giocava e le strizzava. I tempi erano maturi per portarlo al livello superiore, pensai; strinsi forte i suoi capelli e iniziai a fottergli la gola con colpi lenti ma profondi. Sentii la saliva impregnarmi il pube, vidi i suoi occhi lacrimare. Accennai a fermarmi, ma lui mi riprese in bocca, implorandomi di continuare. Mentre pochi metri sopra di noi, nelle calde cucine, famiglie ignare cenavano, Sam banchettava col suo primo cazzo con l’abilità di una troietta navigata. Lo accarezzai, incapace di esprimere quanto splendido mi appariva in quel frangente. Me lo disse lui, mentre prendeva aria e ricomponeva il suo volto sfatto, chiedendomi di baciarlo. M’accosciai appena, infilando la mia lingua nella sua bocca, assaporando il mio cazzo dalle sue labbra. Fu un bacio violento, pieno di passione e saliva, bagnato come i nostri cazzi, sporco e segreto come il vicolo in cui si consumava. Poi, spiazzandomi, si alzò, mettendomi in faccia il suo splendido culo, ancora avvolto in jeans troppo stretti. Ancora incredulo di sé stesso, con una voce che pareva non appartenergli, mormorò la formale richiesta d’esser posseduto. Per quanto passivo, come potevo rifiutare dinnanzi a una simile offerta? La sua verginità tanto preziosa e romantica, offerta alla carne d’un uomo in mezzo alla strada. Lo avevo vinto, o forse meglio, liberato dalle sue catene. Gli potevo e dovevo, dopo tanto periplo, garantire un amplesso animale e sincero che lo aprisse alle gioie del sesso occasionale. Morsi con foga il culo marmoreo prima d’abbassargli il pantalone quel tanto che serviva per esporre le due pesche appena vellutate, ancora più gonfie per la spinta dell’indumento. Le carezzai a lungo, godendo di quella morbidezza, del tocco delicato sotto i polpastrelli, del lieve profumo di sudore che ne veniva. Lo desideravo. Volevo farlo mio. Senza accorgermene, mi ritrovai con le labbra ad esplorare quei monti perfetti, a massaggiare con la lingua ogni dove di quei glutei, scendendo sempre più verso il mio obiettivo finale. Mi trovai dunque con la faccia premuta tra loro, a divorare il buchetto tramite cui sarei entrato nel suo cuore. Baciavo in modo sordido e umido quel pertugio, saettandoci con la lingua insalivata, come volessi limonarlo dal basso. Ci feci l’amore finché non s’aprì abbastanza da accogliermi, da lasciarmi lubrificare anche l’interno, rilassato dagli spasmi di piacere che ormai s’erano impossessati del cervello completamente spento di Sam. Così, bagnato dalle sue labbra, un primo mio dito superò le barriere, iniziando a scuotersi dentro di lui, alla ricerca della sua prostata e del suo piacere. Sentivo il suo sfintere stringersi spaventato intorno all’intruso, ma anche i rantoli di piacere che lasciavano la sua bocca, invitandomi a continuare. Ecco allora che lente, noncuranti del rischio che una comare passante potesse scoprire il nostro peccato, le altre dita andarono a fare compagnia al fratello, allargandosi come tentacoli, che gonfiandosi scavano la roccia marina, spingendo e dilatando le sue pareti sempre più umide e vogliose, aumentando la portata dei suoi gemiti. Mi iniziò, in una trance sessuale, a implorare di fotterlo, con termini scurrili che mi eccitarono ancora di più. Era pronto per ricevermi, lo sapevo. Ogni sua barriera era caduta, voleva solo essere mio. Mi alzai, poggiando la mia cappella sul suo buco, e mi chinai innanzi per annunciargli che tuttavia sarei probabilmente durato poco. Rispose chiedendomi semplicemente di scoparlo perché non poteva più resistere al desiderio, e lo accontentai. Alla prima spinta mi respinse, chiudendosi. Un gemito di dolore. Lo abbracciai sussurrandogli parole dolci, finché non sentii il suo buco bagnato allargarsi di nuovo e il mio cazzo farsi lentamente strada in lui. Mentre gli dicevo quanto gioivo ad essere il suo primo uomo, s’era finalmente aperto abbastanza da prendermi fino alle palle. Sentivo il suo morbido culo premermi sul pube. Era mio. Era di tutti. Era finalmente la troia che avevo sempre visto in lui. Glielo sussurrai piano, baciandolo sul collo, e lui sorrise, cercando le mie labbra con le sue. Il grazie che mormorò dopo fu uno dei più genuini e pieni di riconoscenza che ebbi mai sentito. Così come la sua richiesta, fatta osservandomi con occhioni di cerbiatto, di venire in lui. Non potevo resistere oltre. Gli tappai la bocca e lo scopai. Il suo corpo schiacciato contro il muro buio, il mio corpo che si scontrava con il suo culo che delicato massaggiava il mio cazzo, tutto era così erotico. Il suo buco era umido, stretto, mi calzava come un preservativo, ma era piacevole come il paradiso terrestre. Nella mia saliva scivolavo fino alla sua prostata, la carezzavo con la mia cappella gonfia, e poi mi ritraevo fino a dilatare di nuovo lo sfintere, provocando guaiti di gioia in quel ragazzo che già aveva capito che il piacere sta nel sentirsi aprire, nel perdere il possesso di sé, i propri confini. Ero al limite, le mie palle iniziarono a stringersi, l’asta a vibrare, e così caldi e spessi gli schizzi di sborra gli allagarono il culo. Venimmo insieme. Me ne accorsi dopo, quando, mentre mi riprendevo dalla gioia, sentii gli spasmi del suo buco spremer fuori le ultime gocce dal mio cazzo stanco. Lo percepii nel suo respiro affannato, negli occhi chiusi e nella bocca stravolta. Avevo raggiunto il mio obiettivo.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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