Gay & Bisex
Aleksandra
di Ptro
04.04.2023 |
320 |
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"Quando le dita si son fatte strada al fianco della lingua ho creduto di svenire, e forse l’ho fatto; le sentivo ovunque e mi violavano, mi allargavano al..."
Scendo al volo dalla macchina donandogli giusto un tenero bacio sui baffi pregni del mio odore. Corro svelto sotto la pioggia fine delle notti estive fino al fragile riparo della tettoia del Bar Giallo dove potrò brillare alla luce gentile della loro vecchia lanterna e dell’insegna scassata. Lui schizza via nel buio sulla provinciale e chissà se lo rivedrò più o se solo il centone nascosto nella felpa mi ricorderà il suo profumo per i giorni brevi in cui rimarrà rifugiato nei miei risparmi ma son riportato alla realtà da Checco che geloso mi chiede come sia andato il lavoro e rispondo acida mostrando la macchia che il suo sperma forma lento sul retro del bermuda a mano a mano che fugge dal mio ano spanato. Che verso di disapprovazione che fa la Checca incapace di capir come abbia potuto un paparino così bello e dalla macchina così lussuosa scegliere me e non il suo pallido visino e il corpo scarnificato da angelo della passerella. Non bado al suo astio, so che di lavoro ce n’è per tutti, che i portafogli non son mai vuoti quando si passa sulla provinciale, che sulla via del porto il marinaio da noi si fermerà. Mi asciugo in fretta i capelli arruffati ed afferro avido la mia nuova lettura gonfia d’umidità, idiota che mai si ricorda di lasciar a casa i libri quando il radar dà pioggia. Son poche pagine, quasi un pamphlet, raccolta di scritti della compagna Kollontaj: promette grandi cose, promette libertà. Che delusione, invero, leggere che la rivoluzionaria parla di “malsana libidine” descrivendo con ingiuriose parole lo sterile amplesso. Sono sorpreso all’idea di essermi appena lasciato andare alla malsana libidine poiché nulla mi pareva malsano nell’uomo che s’era accostato nella nera Jaguar salutandomi vistosamente: appoggiato al finestrino a stringere i fili del contratto non ho visto segni di malattia alcuna, né colpo di tosse che potesse farmi pensare ad un ultimo ritorno del Covid infame. Oh, forse malsano il mio sedermi sul sedile senza prendermi briga di disinfettarlo mentre già sgasavamo verso i moli abbandonati sognando l’orgasmo? Ma no, che stolto, penso mentre un lampo nel diluvio mi riportava alla ragione, hai ragione compagna che malsana fu la libidine, giacché il suo alito di sigaro era invero imperdonabile e come peste riempiva la mia bocca accompagnando la sua lingua espansiva. Non che avessi pensato di sottrarmi anche solo un istante dalla sua stretta potente e dal suo corpo che acrobatico mi trascinava con sé sui sedili posteriori schiacciandomi su quella pelle cafona; ho amato l’irruenza maschia con cui mi ha morso il capezzolo impregnando il cotone sottile con la sua saliva. Ho ansimato leggero in concerto con la pioggia sul parabrezza mentre la sua mano mi stringeva il collo e l’altra peregrina strizzava il mio culo giunonico. L’ho perdonato per il suo sapor di sigaro, in effetti. Non ne ho sofferto affatto, forse. Magari l’ho amato, quando m’ha sputato in bocca e con gli occhi fissi nei miei ha promesso che avrebbe sfruttato fino all’ultimo euro investito nella sua nuova, temporanea proprietà. Sicuramente l’ho assaporato, l’ho conosciuto nel suo schifarmi, lasciando che la sua saliva giocasse con la mia lingua in una bocca spalancata per mostrargli lo spettacolo, per accogliere il padrone.
Non sono molto comunista, forse. La realizzazione mi colpisce come un fulmine a ciel sereno e trasalisco mentre Checco sbuffa e si lamenta perché la Fata e le sue curve sono caldamente invitate nel pick-up del vecchio Gian che se la porterà anche oggi giù al porto negli uffici vuoti della capitaneria e lui nulla, non c’è mercato per i twink e la Maura gli dà ragione e che ci vuoi far, ci dobbiamo far venire la barba che qua han tutti paura dei minorenni non son mica gli anni ’70 a Soho… Sorrido sarcastico, e bello ripieno, mentre mi faccio riavvolgere dal libro che puntuale mi cade di nuovo, par quasi che queste comuniste altro non siano che le ennesime puritane.
“L’atto sessuale si è trasformato in uno scopo a sé stante, in strumento per procurarsi un godimento supplementare, in concupiscenza esacerbata da eccessi e perversioni, sotto la spinta di un’artificiale esaltazione della carne.”
Sicura Aleksandra, che fosse supplementare il godimento sul volto del mio amabile cliente? Che sia supplementare il desiderio di unirsi alla carne dopo un giorno di arduo lavoro negli uffici di qualche multinazionale i cui documenti spiegazzati giacevano sotto i nostri corpi senza via di fuga? In effetti potrebbe anche esserlo, lo confesso. Potrebbe essere un passatempo borghese, potrebbe essere una fuga dai doveri di marito ma non a me, non a me sta indagare o rinnovare la morale punitiva. A me sta dirti che, cara compagna, l’esaltazione della carne non mi pareva affatto artificiale. La sentivo crescere gonfia e curiosa sul mio ventre teso dal piacere e ancora costretta dalle dure stoffe, strisciando sul mio corpo che si scuoteva al suo mordere e stringere e strizzare e leccare i miei teneri capezzoli ormai eretti come guardie dell’Armata Rossa. Spingevano anche loro di naturale esaltazione, lo giuro Commissaria, naturale come l’endorfina che mi mangiava le sinapsi e come i gemiti che non trattenevo e il sudore che nello stretto abitacolo iniziava ad inumidirmi i vestiti. Siamo stati naturali, naturali come poche volte. Naturali come il sesso nelle bestie quando le prende il calore. La sua carne si esaltava sempre di più su di me e io non sapevo fermarla mentre le sue dita correvano sui bottoni della camicia hawaiiana e mi spogliavano lasciandomi alla sua mercé, a farmi coprire dei suoi baci, a farmi succhiare l’anima che affiorava alla pelle in grosse macchie purpuree. Non sono stato da meno e mi sono avventato sul suo panciotto, sulla cravatta così lussuosa, che ci separavano condannandolo al calore e l’ho spogliato con le labbra già sul suo corpo e i suoi capezzoli in bocca e il naso nelle sue ascelle drogandomi del suo odore. Un’amica di mia madre disse una volta che i ricchi non puzzano, ed aveva effettivamente ragione. Sono rimasto deluso scoprendo solo un lieve odore di maschio che ancora si mescolava con il deodorante del mattino, così pulito, così per bene, così noioso. Ma già si toglieva con un calcio i pantaloni e la stoffa dei boxer in tensione lottava disperata per intrappolare un cazzo già libero oltre l’elastico intento a colare limpido precum ovunque sui bei sedili e mi tirava la testa a sé senza darmi tempo di prender fiato. In un istante avevo i suoi peli pubici a solleticarmi le narici e il cazzo a dissetarmi con liquido cristallino la gola sorpresa. Non scherzava, non era dolce: mi fotteva con forza tenendomi per i capelli e io ho avuto l’erezione più dura e turgida che mi ricordi. Più forte scivolava nella mia bocca forzando la mia gola, sfidando il mio vomito, più si allargava la macchia nei miei pantaloni e mi doleva non poter liberare il mio uccello dalla sua gabbia. Più mi chiamava troia, più forte mi colpiva sulle guance con mano ferma, più il mio buco boccheggiava e desideravo urlargli di prendermi e possedermi e svuotarsi in me all’istante, perché mi pareva di non poter più vivere senza. Lo volevo e lo sentiva ed affondava fino ai coglioni nella mia barba ridendomi in faccia felice mentre la bava colava copiosa giù per il mio mento e sulle sue cosce. Fossero tutti così i clienti!
Fossero tutti così i clienti! – Urla la Checca guardando me e il Mauro che nel frattempo s’è messo a fumare, e poi salta in macchina con un sorriso a 32 denti chiedendoci di non darci pena, che avrebbe dormito da lui, che il suo “poteva permetterselo”. La solita smorfiosa, ma chi si darebbe pena per lei? Lo penso ma in fondo sono felice che a prenderlo viene alla fine sempre Francesco che se lo scopa a casa sua e forse lo ama ma gli piace così clandestino ed illegale. Il libro mi rapisce di nuovo e leggo quando ecco apparire vergate insopportabili parole:
“La passione cieca, assorbente, esigente, perde vigore”
Perché mi fai questo, Kollontaj? Condannarmi così ad una vita di noia, di sesso da coppia eterosessuale all’orlo della menopausa, è quasi criminale. Non lo merito, non lo merita nessuno. Sicuramente non lo merita il mio amante di poco fa che non ha perso vigore, non nella mia gola oramai rimodellata a immagine e somiglianza della sua cappella, delle spesse vene, dell’asta vibrante. L’ha usata e slabbrata ma non ne ha voluto trarre sommo godimento, non così presto – o era tardi? Chissà, non guardavo l’orologio ma il suo petto villoso che incombeva su di me – non lo arrapava forse abbastanza la mia faccia coperta di saliva e rubizza per le sberle. Mi ha girato di forza, senza chieder per favore e senza lasciarmi respirare, quasi strappando il mio bermuda nella frenesia di avermi. Morsi, morsi infiniti sulle mie chiappe finalmente nude, sui miei peli appena accennati, sul mio buco umido e desideroso; ho urlato, forse per gioco o forse per dolore ma senza dubbio per piacere. La sua lingua si è insinuata presto dove prima battevano i denti ed in un attimo era dentro di me, scivolava bagnata sul mio buco, sulle sue pareti e sulle sue pieghe. Mi rimmava come fossi un dolce, una tenera chela d’astice da cui estrarre preziosa polpa, spingendosi ogni istante più in fondo. Io ululavo ad ogni colpo sentendomi un fiato d’ottone nelle mani di un esperto musicista e non temevo più ci vedessero, ci speravo quasi, ho desiderato enormemente che il mio volto sfatto dal piacere, gli occhi rivolti nelle orbite si fissassero nella mente di un marinaio innocente e di dio timorato passante di lì. Fuori il diluvio imperiava nascondendoci e dando a lui la tranquillità che invece bramava per divorarmi ed esplorarmi sempre di più, sentire i miei muscoli cedere e rinnovare incurante delle urla il suo contratto d’acquisto con schiaffi sonori sul culo ormai di burro. Quando le dita si son fatte strada al fianco della lingua ho creduto di svenire, e forse l’ho fatto; le sentivo ovunque e mi violavano, mi allargavano al limite costringendomi ad implorare di più, spingendomi a pregare di farmi possedere dal suo cazzo. Lui impassibile si limitava a usare le mani su di me, leccando alle volte tra le dita, infilandosi con le papille gustative nei buchi tra esse per riaffondare nel mio culo e mangiarmi fino all’esaurimento. Girava, vorticava dentro di me premendo ora la prostata ora il buco ed usciva ed entrava e io gridavo, la schiena inarcata, colando dal pene come una fonte rara. Sempre più dita, ho perso il conto e la sensibilità mentre martellava sulla prostata e in un sussurro chiedeva di fistarmi e rifiutavo – Prossima volta solo ottanta allora, falsa zoccola che non sei altro – rispose ridacchiando mentre scavava come volesse punirmi. Poi le sberle, di nuovo, forti e precise che sapevano di vendetta per il mio oltraggio ma capivo dai suoi gemiti che era ben chiara l’onestà del mio centone. Mi bramava forse quanto io anelavo esser preso e ancora le dita e la lingua e io sempre più pressato sul sedile quasi senza voce e l’orgasmo che cresceva nelle palle – Senza condom, ti prego – Sì dammela, tutta – Eccolo dentro, finalmente! Mi scivola nel culo senza problemi che ormai io sono un tunnel e lui gronda di umori prossimo ad impazzire ma lo sento tutto ad una nuova profondità ed impazzisco perché non si ferma, perché stringe i fianchi fino a farmi male. Sbatte potente, mi vuole allargare e scorre violento sulla prostata che mi elettrizza, mi scuoto, ho gli spasmi, l’ho dentro e mi si schiaccia addosso e mi morde e mi lecca l’orecchio e infine e sul collo e succhia e io non capisco più nulla. Ruggisce o parla o forse è patetico e dichiara l’amore ma io sento soltanto il collo che gode, mi marchia, son suo e dentro di me cresce e mi allarga come burro al sole. Cerco di resistere, ma lui infila un dito affianco al suo cazzo e non molla la presa al mio collo che morde che succhia che macchia per sempre e mi costringe ad urlare mentre lo tira fuori tutto e lo infila di nuovo con rumori eloquenti e mi stringo e sborro tutto, ogni goccia esplode sul suo sedile in una fonte di gioia e di urla. Le mie natiche si stringono, lo risucchiano, sento il culo contrarsi feroce con spasmi atroci al ritmo dei miei schizzi e lui che impazzisce e affonda tutto, cazzo, dita, con tutto il suo peso urlandomi che son vacca e l’onda di liquido bianco è in me, cola fuori non la trattiene il mio buco che è troppo largo. Si svuota fino all’ultimo girando e rigirando i pollici al fianco della sua minchia, tirando e massaggiando il mio culo che si lascia andare, che lo ricopre di nuovo della sua sborra e lo tira fuori e poi lo rinfila, ormai stanco, per farmi stringere intorno, per farmi richiudere e pulire, tenendo in me ogni goccia del suo umore.
Torno in me perché il ricordo mi ha fatto intenerire il buco e la sua sborra mi cola di nuovo lungo la coscia e mi macchia i boxer ricordandomi che per fortuna non è stato un sogno, che forse speso il centone mi rimarrà l’ano slabbrato a ricordarmi di lui in eterno. Che dolce regalo. Riprendo a leggere, che la serata è fiacca e la Maura è all’ottava paglia e questa la dice grama per la notte. Ma compagna Kollontaj, che mi venga un colpo!
“Finirà per sempre la prostituzione: questa vergogna”
Vorrei articolare un pensiero, scandalizzarmi e magari postare un commento sulla sua puttanofobia e lamentarmi della sua esaltazione nei collettivi femministi, ma non ho tempo: ha accostato un Mercedes. Proprio quando la notte pareva passar da brava a sonnolenta! Ecco la mano, ecco il sorriso gioviale d’un uomo vicino ai sessanta dalla candida barba, a far da esca per questa povera troietta. Che posso farci compagna se io al lavoro ci vado col sorriso e zompettando sotto la pioggia? Non mi sento alienato, né all’uomo né al plusvalore: inchinato al finestrino so già che il suo ultimo guadagno, il sudato orgasmo, lo lascerà nel mio buco. Magari, se il leader del Partito mi venisse in culo, potrei cambiare impiego ed unirmi a voi, ma temo che forse voi rossi siate più puritani nell’animo della beghina che va alla messa. Pensateci, compagna Kollontaj: quando volete, mi trovate sotto il muro del Bar Giallo.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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