Gay & Bisex
Innamoramento e amore...Parte Prima
di PassMatVoglioso
06.04.2020 |
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"Nei libri, le biblioteche, i testi antichi aveva trovato conforto e sicurezze ma non le risposte alle sue mille inquietudini..."
Louis era arrivato bambino in Italia portato dai genitori in cerca di un futuro migliore e della natia Jamaica non ricordava quasi più nulla se non il sole, le strade, affollate, sterrate e sempre polverose, il rumore. C’era rumore anche dove abitava, alla periferia di Roma, ma era diverso, era rumore di città, di una borgata sconclusionata e caciarona, di traffico, di caos industriale. Aveva rapidamente imparato l’italiano e si era integrato con i compagni di scuola, delle elementari, medie e superiori, e con gli amici del quartiere. Intelligente ma con poca voglia di studiare, aveva capito presto che gli sarebbe piaciuto lavorare, con le mani, col corpo più che con la mente che pure sciorinava numeri ed operazioni con velocità fulminea. Il padre aveva seguito il fratello emigrato anni prima e aveva messo su un chiosco per cibo da asporto, in gran parte cucinato in casa dalla moglie e dalle figlie più grandi… ciò che ricordava maggiormente di quei primi anni era la cucina, unico vero grande vano della casa, invasa da pentole di ogni foggia, messe all’opera già all’alba per sfamare con mille fragranze i tanti operai della zona in pausa pranzo. Proprio grazie a questa classe operaia, che sembrava non avere mai fine, il padre aveva potuto aprire un buchetto dove continuava a servire pietanze da asporto e poi il primo ristorante con annessa pizzeria guadagnandosi una visibilità sociale e una posizione economica discreta. In famiglia però continuavano ad essere troppi, le case cambiate nel corso degli anni sempre piccole, sempre indaffarate, sempre troppo piene di gente perennemente impegnata a fare qualcosa. Aveva visto crescere i suoi fratelli e sorelle, aveva partecipato, a volte suo malgrado, a tutte le loro vite, fidanzamenti, matrimoni, diplomi e lui veniva sempre dopo le loro esigenze e a quelle dei genitori impegnatissimi nel lavoro. Aveva imparato ad essere autosufficiente, a risolvere i suoi problemi da solo, senza avere mai un vero confronto con nessuno di loro. Lo amavano, certamente, e lui li ricambiava con sincerità e gratitudine ma crescendo gli erano stati negati momenti di intimità, di sfogo o di dialogo. L’unico che lo aveva seguito un po’ di più era il fratello del padre, muratore tuttofare che aveva solo due figlie e per questo lo aveva accolto come il figlio maschio che non aveva avuto. Con lo zio passava del tempo anche durante il suo lavoro e per questo aveva deciso che da grande ne avrebbe seguito le orme, tanto che fu proprio lo zio ad essere il suo primo datore di lavoro. Quando disse in famiglia che dopo la maturità avrebbe continuato a lavorare per lo zio nessuno si sorprese, nessuno chiese spiegazioni e chiarimenti e come in tante occasioni della sua vita, tutta la faccenda venne sbrigata in modo veloce, senza ulteriori discussioni. La sua esistenza si svolgeva così tra lavoro e famiglia, tutto procedeva senza intoppi, rapido nell’apprendere non gli ci volle molto per diventare bravo, tanto da mettersi in proprio e aprire la sua ditta. Il lavoro procedeva, la sua famiglia prosperava, i fratelli e sorelle facevano figli … e incontrò una ragazza, la barista che gli preparava ogni giorno il cappuccino prima di cominciare a lavorare. Sembrò naturale uscirci, frequentarla …. Lei, italiana, figlia di operai, era graziosa, una famiglia per bene e la sposò. Crebbe la ditta e crebbe la sua famiglia, 3 bellissimi bambini, a distanza ravvicinata, gli riempirono l’animo di gioia e di orgoglio e così, placidamente superò i suoi “primi cinquant’anni” senza problemi ma anche senza reali esperienze segnanti. Ne era lieto, non aveva mai avuto grandi sconvolgimenti dell’animo ma al tempo stesso nessun vero problema …. apparentemente! Sempre troppo assorbito dalla famiglia di origine, dal lavoro, dalla famiglia che si era creato, non si era mai soffermato su quel senso di inquietudine che talvolta gli attanagliava la mente e lo faceva sentire anche in colpa per non sentirsi soddisfatto di tutto ciò che la vita gli aveva regalato. Eppure il tarlo c’era, lo sentiva grattare sempre più spesso e in quei momenti sapeva che non aveva mai veramente vissuto, che non aveva mai dato realmente voce ai suoi desideri ma soprattutto non aveva mai imparato a riconoscerli. Il diavolo però ci mette sempre le corna e prima o poi arriva per chiunque il momento della resa dei conti.
Fu proprio lo zio, ormai in pensione, a presentargli un architetto con cui aveva lavorato un paio di volte in passato e che aveva bisogno di una Ditta come la sua per portare a termine un importante progetto con il Comune di Roma. Si incontrarono nell’ufficio del professionista dove design e denaro facevano bella mostra in ogni angolo. Louis non ne era intimidito abituato com’era a ristrutturare le più belle case della capitale e poi ormai era un imprenditore di successo quindi l’incontro con l’anziano architetto fu un incontro tra pari. Dopo le presentazioni si misero al lavoro e l’intesa fu immediata, sembravano l’uno il completamento professionale dell’altro. La collaborazione, partita sotto i migliori auspici, cominciò immediatamente e si intensificò sul campo, con frequenti incontri in cantiere. A vederli insieme formavano una strana coppia. L’architetto più grande di una quindicina d’anni che sembrava il nonno e Louis, che si considerava ancora “il manovale” nonostante avesse ormai più di 20 dipendenti, due segretarie e un conto cospicuo in banca, il nipote. Tra i due nacque un rapporto se non di amicizia almeno di stima e rispetto reciproci. Si parlavano di persona o al telefono almeno 10 volte al giorno ma mai avevano saputo nulla della vita privata l’uno dell’altro.
Un giorno Louis ricevette una chiamata di primo mattino, l’architetto aveva avuto un infarto ed era ricoverato in ospedale. Si precipitò appena possibile e lo trovò provato ma salvo, tanto da continuare a lavorare, seppur poco, dall’ospedale stesso. Arrivò il giorno in cui gli fu chiaramente detto che avrebbe dovuto mettersi completamente a riposo ma fortunatamente il progetto era stato quasi completato e avrebbero potuto chiudere il cantiere nel giro di qualche mese. Fu allora che Louis conobbe il figlio dell’Architetto, Matteo, che dagli Stati Uniti dove viveva da anni, tornò per aiutare il padre in difficoltà. Alla soglia dei 50 anni, era alto e robusto, moro con occhi verdi, non si sarebbe potuto definire una gran bellezza ma neanche brutto, uno destinato a passare abbastanza inosservato, un po’ timido ma non impacciato, affabile ed introverso, cresciuto con un padre assente e una madre incombente, quarto di 5 fratelli e sorelle che si spartivano le poche attenzioni del padre e l’affetto della madre. Appena laureato in Filologia antica aveva deciso di specializzarsi in America dove aveva potuto finalmente liberarsi dal confronto col padre, le cui orme erano state seguite dai fratelli e sorelle, e dalle ansie di controllo della madre che gli avrebbe volentieri pianificato tutta l’esistenza. Nei libri, le biblioteche, i testi antichi aveva trovato conforto e sicurezze ma non le risposte alle sue mille inquietudini. Aveva capito da adolescente di essere “diverso”, all’inizio senza realizzare esattamente in che cosa, fino ad arrivare a capire di essere omosessuale. Ma anche quando lo ebbe capito, non comprendeva perché non riusciva a condividere i valori della sua famiglia o amici che lo circondavano. Matrimonio, figli, carriera, denaro erano parole senza senso e che al tempo stesso lo rendevano straniero, incompreso ed incomprensibile ai più. Aveva avuto incontri, certo, tanti, aveva imparato a soddisfare la sua fame di sesso con uomini altrettanto affamati, ma mai era andato oltre la “botta e via”, mai nessuno si era soffermato su di lui né lui aveva mai trovato chi lo prendesse mentalmente oltre che fisicamente. Non aveva mai passato una notte con un uomo, non aveva diviso spazi e tempi con un altro, i maschi erano dei piacevoli passatempi che esaudivano il bisogno di sesso così come il cibo quello della fame. Si ripeteva che non era nato con il destino di incontrare qualcuno speciale e per il quale lui fosse speciale. Lentamente, ma inesorabilmente, scivolò nella routine della sua vita fatta di lavoro, che era la sua vera grande passione, passeggiate al mare, letture e viaggi. Aveva anche una discreta vita sociale. Brillante e sempre sorridente faceva facilmente amicizia con uomini e donne, rimanendo però sempre un po’ distante, quasi distratto, sempre desideroso di tornare alla sua amatissima solitudine. Non era e non si sentiva solo, come amava ripetere, ma single per scelta, degli altri, come diceva per strappare risate agli amici. In fondo però sapeva che se era vero che nessuno lo aveva mai cercato più di tanto, era altrettanto vero che non si era mai messo in gioco nei sentimenti, non aveva mai osato, aveva preferito essere single per paura, inesperienza, incapacità e forse anche per pigrizia. Il padre e la madre non chiedevano, non cercavano di capire o forse avevano capito ma preferivano non sapere, con i fratelli e sorelle non aveva mai avuto un rapporto veramente fraterno. Era sempre stato bravo a scuola, ubbidiente, non aveva mai creato problemi …insomma era il figlio e fratello di cui si poteva persino dimenticare l’esistenza. Anche quando comunicò che non avrebbe seguito le orme paterne non ci furono discussioni ma anzi i fratelli ne furono felici perché avrebbero avuto un concorrente in meno e lo stesso fu per il padre che avrebbe avuto uno in meno da guidare, dirigere ed instradare. La madre la prese come una decisione un po’ ribelle, ma non se ne preoccupò poi tanto perché dava per scontato che quel figlio, ai suoi occhi così stravagante, avrebbe continuato a non crearle problemi, come aveva sempre fatto. Vinse la sua prima borsa di studio ad Oxford e nessuno ne fu particolarmente orgoglioso e nessuno pianse per la sua partenza. Arrivarono altri successi, prestigiose Università americane se lo contesero e lui seguì la sua strada, sempre un po’ incompreso dalla famiglia che ormai era lanciata in direzioni sempre più lontane da lui. E a lui si rivolsero quando si trattò di aiutare il padre a chiudere il cantiere, gli altri erano troppo impegnati con le proprie carriere e famiglie e poi era un compito di poco conto che gli avrebbe portato via solo due o tre mesi. Stranamente, Matteo non si oppose alla decisione, in fin dei conti poteva prendersi un periodo sabbatico e colse l’occasione per rientrare in Italia, seppur temporaneamente e staccarsi dal lavoro che da qualche tempo non procedeva come avrebbe voluto. Ecco, uno stacco, una specie di vacanza gli sembrò offrire un momento per rimettere a posto i propri pensieri, per recuperare energie per troppo tempo disperse e poi, perché no, vivere nuovamente a Roma dopo tanti anni di lontananza. Per i primi giorni si fermò nella vecchia casa dove aveva vissuto con i genitori, ormai svuotata di tutti i fratelli, ma poi si trasferì nell’appartamentino che il padre gli aveva “regalato” durante i suoi anni universitari e che ora era stato liberato dagli inquilini. Il padre lo accolse con scarso entusiasmo, sapeva che Matteo era solo una soluzione di ripiego e sperava che sapesse almeno fare il “ripetitore”, limitarsi cioè a riportare le sue direttive in cantiere. Ma lo scarso entusiasmo era dovuto anche al fatto che conosceva poco Matteo e non era sicuro di volerlo conoscere meglio. Con tutti i suoi figli aveva avuto un rapporto complesso, lui preoccupato di non avere un degno successore per il suo studio professionale e loro troppo inclini ad assecondarlo per ottenere maggiore comprensione ed appoggio. In fondo non conosceva bene nessuno di loro e sapeva che la moglie aveva avuto un ruolo ben preciso nell’impedire che li conoscesse meglio. Lei sapeva che se questo fosse accaduto, lui avrebbe potuto avere preferenze, trattarli diversamente e metterli l’uno contro l’altro per spartirsi il “bottino” della ditta. Per anni lei aveva orchestrato nell’ombra fusioni ed acquisizioni con altri studi, organizzato matrimoni con i rampolli giusti della borghesia italiana per assicurare posizioni di rilievo ad ognuno dei suoi figli, su tutto il territorio nazionale ed oltre. Ora godeva i frutti di anni di intrighi, ognuno degli “eredi” aveva la sua società di architettura e design ma in diverse città italiane ed europee, tutte sotto il cappello dello studio del marito che per questo si sentiva un vero capitano d’industria. Solo Matteo non era parte di tutto ciò ma non rappresentava una minaccia, si occupava di “latinismi” e se ne sarebbe andato via a breve offrendo il doppio vantaggio di aiutare il padre senza distrarre gli altri fratelli dai loro obiettivi. Matteo era il perfetto agnello sacrificale e per questo fu grata del suo arrivo e disposta a riaccoglierlo come il figliol prodigo. In fondo la decisione era stata sua e come sempre era riuscita a farla digerire al marito senza problemi e quindi la collaborazione cominciò sotto i migliori auspici.
Nonostante le riserve, i due parvero intendersi, il padre dettava regole e condizioni, il figlio eseguiva ma cominciò a dare ogni tanto un suo contributo “creativo” che si rivelò di aiuto. Impiegò qualche giorno per capire cosa facesse la ditta, quali fossero le esigenze più immediate e pur non avendo alcuna nozione di architettura in breve fu in grado di capire i meccanismi del cantiere e le sue dinamiche. Arrivò quindi il giorno in cui si rese necessaria la sua presenza in loco, era stato delegato ad apporre firme su documenti vari e quindi andò, avendo bene in mente tutte le istruzioni del padre, a conoscere il capo cantiere, ovvero Louis. Lo aspettava in un container allestito come ufficio e a volte dormitorio di fortuna e a stento riusciva a nascondere il disagio di conoscere il figlio del “capo” che sapeva essere totalmente a digiuno di architettura e sicuramente dotato della superbia tipica dei privilegiati, Ne aveva conosciuto solo uno di loro, al telefono, e gli era bastato per capire che avrebbe passato i peggiori mesi della sua vita. Matteo arrivò in anticipo e gli fu indicato il container dove sarebbe stato raggiunto da Louis, entrò e vista una moka si mise all’opera per preparare un buon caffè. Louis fece il suo ingresso nel momento in cui lui era girato di spalle ad armeggiare col fornello elettrico e pensò che uno dei suoi operai stesse approfittando della sua assenza per prendersi una pausa non dovuta. Ma in quel momento Matteo si girò e fu subito chiaro che era il figlio dell’architetto. Gli occhi, il naso, la conformazione della bocca erano quelli della madre, almeno di viso le somigliava moltissimo e nonostante Louis avesse incontrato la signora solo un paio di volte e di fretta, la somiglianza non gli sfuggì. Fu così, davanti a due tazzine spaiate che fecero la loro conoscenza. I due erano stati ben ragguagliati dalle chiacchiere dei loro “informatori” chi fosse l’altro e ora si studiavano per cercare di capire quale dei pettegolezzi e voci riferite avesse miglior fondamento. Parlarono subito di lavoro, sbrigarono le formalità per cui Matteo era stato mandato e poi fecero un sopralluogo per il cantiere, cosa che Louis pensava di sbrigare più per dovere formale che per reale utilità, ma Matteo si rivelò subito entusiasta dell’opera e si mostrò un attento osservatore ed un critico intelligente. Dal canto suo, Matteo apprezzava la schiettezza del capo cantiere, ne comprendeva la profonda capacità professionale, era lieto che fosse così legato al padre e ammirava la sua leadership con gli operai che, si capiva, lo rispettavano e gli obbedivano con piacere. Ma tutto ciò era solo la superficie….
Matteo era rimasto subito colpito dall’uomo per la sua avvenenza: alto come lui ma più robusto, un bel fisico temprato dal lavoro, la pelle meravigliosamente ambrata, occhi scuri e profondi, un bel sorriso franco e disarmante, mani grandi, modi maschili ma non rudi….aveva notato come i pantaloni da cantiere fasciassero le cosce lunghe e muscolose, come la felpa aderisse a bei pettorali e ad un accenno di pancia…insomma Matteo si era ritrovato davanti un gran bel pezzo di maschio come non ne vedeva da tempo. Louis dal canto suo aveva apprezzato i modi del giovane uomo ma lungi da lui avere un solo pensiero lascivo. Di questo tipo di pensieri non ne aveva mai avuto nei confronti di uomini e neanche di donne da quando si era sposato ma non poté fare a meno di sentire qualcosa, come un turbamento nell’ordine generale delle cose, un leggero prurito, come se il suo tarlo si fosse svegliato dal letargo e stesse cercando ci comunicargli qualcosa. Una sensazione netta ma fuggevole che come altre volte nella vita era stato bravissimo a cancellare dalla mente, quasi fosse un noioso moscerino poggiato sulla mano che si scaccia facilmente con un movimento del dito. La giornata procedette tranquilla e finì con l’impegno di incontrarsi tutti giorni in cantiere per fare ognuno la sua parte di lavoro sul campo. E così fu per un paio di settimane, tutto procedeva nel migliore dei modi, Matteo spesso si assentava per andare dal padre che finalmente ebbe il permesso di uscire di casa e ritornare a piccoli passi nella vita normale.
Matteo e Louis si incontravano spesso e cominciarono a conoscersi meglio. Passavano insieme molto tempo, più del necessario, parlavano tanto e non solo di lavoro, facevano in modo di trovarsi insieme per il pranzo, la pausa caffè, l’aperitivo e scoprirono che si affezionavano sempre di più a quei momenti dove ognuno dei due apriva sé stesso all’altro. Sembravano specchiarsi l’uno nell’altro, entrambi un po’ dimenticati dalle rispettive famiglie, entrambi autonomi in tutto tranne che nei sentimenti. Uno era single, l’altro sposato ma ugualmente solo, incastrato in un matrimonio che si reggeva sulla routine quotidiana, i figli ormai cresciuti lanciati nelle loro vite, una moglie distratta e ormai impegnata in una vita che non comprendeva e non coinvolgeva più il marito. Scoprirono soprattutto che tornare la sera a casa, ognuno alla propria esistenza, li rendeva malinconici e avrebbero volentieri continuato a stare insieme se la distanza sociale e i rispettivi ruoli non li avesse riportati con i piedi per terra. Matteo cominciò a passare più tempo anche con il padre che aveva preso l’abitudine di raggiungerlo a casa la sera per farsi raccontare le ultime del cantiere e con la scusa che la moglie era spesso impegnata con le sue amicizie, teatri e canaste di beneficienza, si auto-invitava a cena. Aveva sempre odiato mangiare da solo e ora che non poteva più lavorare con la stessa lena del passato, gli sembrava di essere invecchiato di decenni, di essere diventato inutile e un peso per la famiglia. Durante la cena parlavano di lavoro ma essendo ormai agli sgoccioli non c’era più molto da dire, quindi le cene diventarono sempre più silenziose. Matteo era abituato al silenzio e il padre ricordava che questo ragazzo, anche durante le riunioni di famiglia non interveniva molto se non interrogato.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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