Gay & Bisex
Ho sognato mio zio
di giovanniEvangelista
20.07.2024 |
108 |
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"Mi gettavo in acqua e allo stesso tempo mi svegliavo..."
Le prime volte sono accadute sotto il caldo pesante. Avevo undici anni qualcosa mi distraeva, mi portava via dai giochi, mi obbligava ad alzare gli occhi e a guardare gli uomini. Era ancora un desiderio senza nome, che mi faceva vagare a tentoni, senza capire cosa volesse il mio corpo da me. Mi ricordo che le prime volte somigliava a rabbia, ma con un'innaturale senso di ossessione. Mi tendevo, mi agitavo, il cuore batteva più forte, eppure, allo stesso tempo, lo sguardo mi si paralizzava sui corpi degli altri: su quelli di uomini molto più grandi di me. Gli slip dei bagnanti mi attraevano come cuscini. Li vedevo strabordanti e mi cresceva la voglia di tastarli, di strusciarci sopra la faccia, di baciarli.A quel tempo mio zio si svegliava presto la mattina. Si metteva in giardino e cominciava a lavorare alle carene barche. Per le undici il caldo arrivava a rendergli la vita impossibile e nel frattempo la polvere gli si era già aggrappata al sudore e dai polpacci saliva fino alla schiena. Portava scarpe da barca rovinate e un paio di boxer neri. Io mi svegliavo con lui, ma lui questo non l'ha mai saputo. Stavo ore a spiarlo, mentre dentro mi cresceva un'inquietudine che mi faceva tremare. Guardavo quei boxer: sembrava che contenessero qualcosa di pesante, come un sasso che li spingeva giù. Era una sorta di forza gravitazionale che però coinvolgeva anche me, o almeno il mio sguardo. Il nero delle mutande assorbiva le mie ore. Era un uomo gentile, basso e tozzo. Con braccia forti, collo largo e uno stomaco tondeggiante e teso. Guardavo quel suo muoversi da bestia nella polvere e nel sole. Guardavo i suoi peli neri, le sue sopracciglia spesse e ricordavo l'odore pungente che facevano i suoi vestiti e la sua casa. Quando, qualche anno dopo, cominciai a dare forme al mio desiderio - quindi imparando le posizioni del sesso, studiando i porno come fossero manuali - quell'inquietudine che mi chiudeva lo stomaco diventò voglia pulsante di vedere scivolare giù le mutande nere, nell'appagante attesa che mi facessero sobbalzare direttamente in bocca un cazzo grosso e duro. Non lo immaginavo lungo, ma sognavo che avesse una cappella perfetta per la mia bocca. Volevo che la sua punta rotonda mi riempisse il palato, aderisse; che il nostro incastro fosse ideale. Mi segavo pensando di leccare quella - e solo quella - rendendola lucida. Non conoscevo ancora la poesia della sborra, pertanto le fantasie si fermavano all'orlo della fellatio.
Per una serie di ragioni cupe e tristi non l'ho più visto. Sono cresciuto, ho esplorato a fondo il mio desiderio, ho scopato con passione, con rabbia, con disgusto. Il suo ricordo però è rimasto a scavarmi nella mente. Così una notte l'ho sognato.
Ricordo che una barca mi portava su un'isola, in una notte grigia con il mare mosso ma compatto, come se sotto si muovessero cose ignote e colossali che però non facevano mai rompere le onde nella loro spuma. La barca attraccava e io mi trovavo solo. Vedevo con la coda dell'occhio un cinghiale e mi spaventavo, tanto da cercare riparo nel bosco che mi stava davanti. Incontravo un uomo alto e gentile, con una chitarra fissata dietro la schiena. Mi invitava ad andare con lui: avrebbe incontrato un amico e suonato qualcosa per lui. Io accettavo. Il buio della foresta poi mi si apriva davanti agli occhi. C'era un fuoco e mio zio era dall'altra perte del cerchio. Mi guardava sorridendo con occhi tristi. L'amico suonava ma subito il fuoco si spegneva. D'un tratto ero solo con mio zio e lui mi si avventava addosso. Venivo buttato a terra e mi sembrava che fosse lui stesso un cinghiale. Gli guardavo il viso e mi pareva enorme, come il muso di un cavallo. Allora cominciava a leccarmi il collo e io mi schiudevo in gemiti. Godevo ed ero terrorizzato, gli mettevo le mani nei capelli, un po' cercando di trattenerlo, un po' per incitarlo a continuare. All'improvviso mi trovavo in ginocchio e lui era sempre lui, solo che era nudo. Davanti a me era comparso un cazzo massiccio, da uomo. Non lungo, circondato da peli ispidi. Lo sentivo scivolare dentro la mia gola ed era rovente. Sentivo - giacché non riuscivo a vederla - la cappella che mi ero sempre immaginato: grossa, tesa, sgusciare umida da sotto la pelle del cazzo e gonfiarsi nel mio palato. Guardavo lui, ma percepivo solo il suo cazzo bestiale.
D'un tratto ero solo, il mare era sempre più grosso e la barca non c'era più. Mi gettavo in acqua e allo stesso tempo mi svegliavo. Sudato, stanco, scavato da un desiderio antico che era rimasto lo stesso di sempre: ancora senza nome.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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