bdsm
Dolore e scoperta
di MadidaCalla
19.12.2021 |
1.054 |
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"E accantonò piuttosto velocemente l'esperienza..."
Era cominciato tutto come un gioco, qualche anno prima. Lei stava a pancia sotto, lui le guardava il culo nudo. Non si ricordava più chi avesse preso l'iniziativa, sta di fatto che lui le lasciò lo stampo della mano in rilievo sul gluteo destro e lei volle che lui le facesse una foto, per rendere indelebile il ricordo. Le era piaciuta la sensazione. L'aveva eccitata che lui avesse deciso di fare quel gesto. Non avevano ancora mai parlato di nulla legato all'argomento. Sin dall'inizio del loro rapporto era stato chiaro che lui fosse l'elemento dominante. Lei era sempre stata una potenziale sottomessa, ancora prima di essere esposta alla nozione, di venirne a conoscenza. Quella sera di primavera, dicevamo, lui le schiaffeggiò il culo, mentre lei stava a pancia sotto, con il suo cazzo piantato dentro la figa. Il corpo di lei reagì spontaneamente, la figa si allargò di piacere, lei si trovò spiazzata e la sua mente reagì analizzando le sensazioni nuove. Il suo corpo primitivo, invece, riconobbe la via per permetterle di riprendere possesso di se stessa. Ma lei non ne aveva ancora coscienza alcuna. Qualche mese dopo, lei comprò il suo primo frustino. La prima volta che lo provarono insieme era gennaio, nel bagno di una stanza d'albergo, con tutti i rubinetti aperti per coprire con il rumore dell'acqua il suono delle frustate e le risate miste a gemiti e lamenti di varia natura. E scoprirono che si poteva continuare a sperimentare, in quella direzione. Lei era felice. In estate lui, per la prima volta, si sfilò la cinghia dai pantaloni, per usarla al posto del frustino. Lei era spaventata dall'idea del dolore che pensava avrebbe provato e, allo stesso tempo agognava quel dolore. E allora lui le disegnò il culo e le cosce a grandi pennellate rosse. E lei iniziò a chiedersi quanto oltre sarebbe potuta arrivare. Ai tempi, lei era convinta che il gioco fosse dimostrarsi più forte del dolore. Voleva dimostrare a lui, e a se stessa, che comunque avrebbe mantenuto il controllo. La sua capacità di dominarsi avrebbe prevalso sul dolore. Non avrebbe pianto. Non si sarebbe sottratta. Avrebbe sorriso, alla fine, pronta a godere dell'effetto selvatico che le procuravano le frustate e il cazzo nel culo subito dopo. Il culo, si resero conto, si apriva ancora più della figa, diventava accogliente e smanioso di essere riempito. E fu così per i successivi due anni. Continuarono ad espandere l'esperienza della loro personalissima versione di Dominatore/sottomessa, per lunghi periodi anche senza farlo in carne ed ossa, a causa della distanza e di impedimenti vari. Quando finalmente ricominciarono a vedersi con una certa regolarità, lei aveva voglia di riprendere a mischiare il piacere col dolore, voleva sentire, voleva sentire tutto, dentro fino in fondo,in modo brutale. Voleva godere ma, ancora di più, voleva dare a lui la carne, l'anima, voleva provare sensazioni assolute. E lui tornò a sfilarsi la cinghia. Iniziò come tutte le altre volte. Lei si preparò a resistere, ad essere più forte del dolore, a mantenere il sorriso e a cercare di non sottrarsi e di non fare i capricci. Voleva che lui le dicesse brava, voleva che lui fosse contento di lei, della sua dedizione, del suo impegno. Ancora una volta, si preparava ad incassare a testa alta, a dimostrare di essere la più brava, che niente e nessuno avrebbe potuto spezzarla. E lui, per la prima volta, decise di sferzarla con più forza e, per la prima volta, le fece male sul serio. Lei resse bene i primi colpi, poi il dolore prese il sopravvento, divenne predominante, cancellò qualsiasi altra sensazione. Lei contò fino a cinque. Lui posò la cinghia. Lei rimase obnubilata, per qualche momento. E poi arrivò l'ondata di consapevolezza, che la portò sull'orlo del pianto e la fece ansimare forte: aveva ceduto al dolore. I colpi più forti del normale le avevano tolto il sorrisino di superiorità dalla faccia e l'avevano lasciata inerme, indifesa, affidata alla capacità di lui di dosarli a sufficienza per farle abbassare lo schermo protettivo ma non fino a farli diventare violenza. E mentre lui la accarezzava per lenire il dolore, per non lasciarla sola in un momento così speciale, lei confusamente si rese conto che qualcosa era cambiato. Non in quel preciso istante, il processo era iniziato molto prima, ma lei aveva avuto un barlume di consapevolezza. Non approfondì. Era ancora troppo frastornata, aveva voglia di essere scopata, aveva voglia di godere e di ridere. E accantonò piuttosto velocemente l'esperienza. Nei giorni successivi ci ripensò spesso e si ritrovava stupita a ripensare alla stranezza di sentirsi vulnerabili, senza possibilità di nascondersi, di proteggersi. Era una sensazione talmente nuova e delicata che le aveva quasi fatto venire un attacco di panico. Un mese dopo, si ritrovarono un sabato d'autunno con la voglia e il tempo di stare insieme. Lui la fece mettere di pancia sulle sue ginocchia, e le abbassò i pantaloni. Le schiafeggiò il culo per un bel po', calcando la mano. Lei era eccitata e felice che lui le dedicasse tutte quelle attenzioni. Si sentiva frivola e rilassata, rideva e si godeva il piacevole preliminare al sesso che sarebbe venuto dopo. Era già parecchio eccitata. Lui, ad un certo punto, rimanendo sempre vestito, la fece spogliare. Continuò a sculacciarla e lei iniziò a non trovarlo più così rilassante, e iniziò a concentrarsi per resistere al dolore e dimostrare, come sempre, che il tutto si limitava a divertirla ed eccitarla. E poi lui prese un cucchiaio di legno dal ripiano della cucina, e iniziò ad usarlo per colpirla. Si spostarono sul letto, e lui continuava a calare il cucchiaio di legno con forza sul suo culo ormai incendiato e dolorante, sulle cosce, sui polpacci. Lei era sempre più concentrata, sempre più determinata ad essere ubbidiente, a mascherare il dolore, a non far trapelare che non riusciva più a sopportarlo. Lui la fece girare sulla schiena, e lui le disse che le avrebbe dato cinque o sei colpi sulla figa. Al quarto lei provò di nuovo quella sensazione di distacco da se stessa, quella pura consapevolezza che il dolore era diventato forte al punto da non poterlo più nascondere, lei non aveva strumenti, era di nuovo completamente vulnerabile. L'ultimo colpo la lasciò per un attimo attonita e poi, a sorpresa, arrivarono le lacrime e i singhiozzi. E lei non riusciva a fermarli, non riusciva a ricomporsi, non riusciva più a nascondere nulla. Più piangeva, più le veniva da piangere, e fu come un sollievo infinito, una liberazione, una rinascita. Lui la prese tra le braccia, in silenzio. Lei si aggrappò a lui, alla sua solidità, al suo calore. Lui era ancora lì nonostante lei avesse lasciato cadere del tutto le sue protezioni e si fosse finalmente permessa di mostrare quello che sentiva veramente. Lui le aveva chiesto di fidarsi, e le aveva dato in cambio una delle esperienze più forti della sua vita. Aveva, per la prima volta, assaggiato l'estremo. Aveva sempre pensato che l'estremo fosse l'orgasmo. Nella rielaborazione, si trovò a pensare come l'orgasmo fosse comunque limitato. Modulabile. Decisamente simulabile. E il piacere tende a rendere languidi e soddisfatti, pigri nell'espressione di sè, persino egoisti. Ma il dolore richiesto e accolto, presuppone invece un livello di fiducia quasi assoluta, il rischio di perdersi, il rischio di mostrare a se stessi, e agli altri, la nostra parte più nascosta e pura e fragile e potente e profonda. Il dolore obbliga alla verità. Al venire a patti con la fallibilità. Col bisogno dell'altro. Con l'altro.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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