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Diario Hélène Gennaio 2009
di HeleneHoullier
15.09.2024 |
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"La situazione sarebbe precipitata la sera del ventinove di gennaio, quando Hélène era in bagno a cambiarsi dopo avere finito il lavoro..."
Ventinovesimo episodioChiara accettò volentieri di accompagnarla, e le due ragazze si ritrovarono nuovamente a parlare da sole, in francese, come non accadeva da tempo.
La biondina lungo la strada confidò a Hélène, di essersi praticamente lasciata con Lorenzo, aggiungendo che quest’ultimo ancora non si era rassegnato alla sconfitta, ed in cuor suo s’illudeva che tutto fosse ancora come prima. La chiamava in continuazione, tormentandola con la sua gelosia ingiustificata e ridicola, al punto che per Chiara quella vicenda era oramai divenuta uno strazio insopportabile.
Da settimane si vedeva regolarmente con Marco, che le piaceva moltissimo; ed in quel frangente, prendendo Hélène per un braccio, le disse apertamente di essere a conoscenza dei loro messaggi, ma anche di non esserne per nulla infastidita, trattandosi solamente di uno stupido scherzo.
Hélène provò un atroce imbarazzo, ma parlandole sempre in francese, Chiara aggiunse di non essere affatto informata di quanto essi si scrivevano, ma semplicemente di sapere che si trattava di uno stupido gioco.
Assorbita da tutti questi pensieri umilianti e penosi, Hélène fece il suo ingresso nel Caffè, trovandovi la signora Nadia seduta dietro il bancone, intenta a preparare alcune fatture. Chiara la seguiva a breve distanza, guardandosi intorno.
Quando Nadia la vide, subito si levò in piedi accogliendola con un amabile sorriso. Ed in quel preciso istante, dal piccolo spazio nascosto dietro alla porta di legno sul retro, uscì un uomo non giovane, sulla sessantina, con i capelli piuttosto disordinati e bianchi, ed un lungo sigaro stretto tra le dita. Spostò la donna senza troppa cortesia, e fu dinanzi alle due ragazze. Quel signore era Mariano, il proprietario del locale.
Guardò Chiara con vivace interesse ed entusiasmo, domandandole subito: “Sei tu la ragazza belga?”; ma questa non rispose, lasciando che fosse Hélène a presentarsi, nel suo italiano misto di francese.
L’uomo prese la mano di Hélène, e stringendola con fare cerimonioso, le disse: “… mi aveva detto mia moglie che ti piaceva la cucina italiana … ma a noi va bene così, dimmi solo che taglia porti tesoro”. Le avrebbero ordinato la divisa da lavoro, una semplice camicia bianca con il collo alla coreana, ed una gonna scura lunga un palmo sopra il ginocchio. Le scarpette, rigorosamente nere senza il tacco, le avrebbe invece portate direttamente Hélène.
Le presentò una ragazza piuttosto seriosa, che si faceva chiamare Elle e che veniva dalla Sassonia. A dispetto della sua giovane età, Elle era tra le cameriere più serie ed affidabili, e spesso le venivano assegnate mansioni di grande responsabilità. Insieme a lei vi erano anche Cathy, Veronica e Rosaleen, tutte ragazze tra i venti ed i venticinque anni, impiegate per una stagione o poco più. Gli unici colleghi maschi erano invece italiani, si chiamavano Leo e Daniele; a vederli non si sarebbe detto affatto, che fossero interessati alle donne, avevano un atteggiamento effemminato.
Il signor Mariano chiese ad Elle di prendersi in carico la giovane Hélène e di aiutarla durante il suo apprendistato, a partire dal mercoledì immediatamente successivo; la divisa da cameriera sarebbe stata pronta e Hélène avrebbe dovuto presentarsi lì dieci minuti prima per cambiarsi ed indossarla. Come ultimo atto prima di lasciarla andare, a Hélène vennero presentati coloro che se ne stavano tutto il tempo chiusi nella cucina: erano tre uomini romeni, e si chiamavano Ivan, Adrian e Gheorghe. Costoro al contrario dei due camerieri italiani, avevano fattezze piuttosto ineleganti e virili, e senza nemmeno tanta grazia scrutarono Hélène da cima a fondo, come si fa con le bestie al mercato, lasciando subito intendere a quali dettagli fossero interessati.
Mentre quella veniva introdotta, Chiara se ne stava in piedi da sola vicino all’ingresso, e parlava al telefono con Marco. Non nascondeva la sua curiosità, nel guardare i camerieri e i cuochi, ed il futuro ambiente di lavoro della sua coinquilina.
Hélène ottenne un anticipo di cinquanta euro, ma le fu detto chiaramente che il resto lo avrebbe ricevuto solamente a fine mese, dopo aver dimostrato di saper lavorare bene come tutte le altre, con puntualità e cortesia.
Così iniziò un periodo nuovo, in cui Hélène si recava direttamente dall’Università al suo luogo di lavoro, senza dover passare da casa. Il primo giorno trovò la sua divisa pronta per lei, e la dovette indossare sotto lo sguardo attento di Nadia. Per sua fortuna quel giorno Hélène aveva scelto un casto paio di calze intere di colore scuro, e così quel cambio d’abito non fu tanto imbarazzante come avrebbe potuto.
Entrò nella sala e subito la giovane kellerina tedesca, iniziò ad istruirla; avrebbe servito un tavolo di vivaci e rumorosi studenti, quattro ragazzi già piuttosto brilli, che con ottima probabilità frequentavano gli stessi corsi di Hélène.
Ordinarono una bottiglia di vino ed alcuni antipasti a base di carne, senza darle apparentemente troppo peso.
A metà serata, dopo essere andata in bagno a fare la pipì, Hélène diede un’occhiata al suo telefono, e vi ritrovò del tutto inatteso, un messaggio di Marco. Era da diverso tempo che questi aveva smesso di scriverle.
“Vedi di fare la brava e di trattare bene gli uomini, sennò vengo subito lì e ti sistemo per le feste …”
Lo lesse e subito ripose il telefono nella sua borsetta. Ma contrariamente al suo primo naturale istinto, subito Hélène fu distolta da un senso strano di timore.
Uno dei quattro studenti la riconobbe, e le disse sorridendo: “Ma tu non sei la ragazza belga che viene ai corsi?”; Hélène fece cenno di sì, si vedeva che era assai imbarazzata. Fu così che Elle la prese sotto un braccio, e parlandole nell’orecchio le disse: “Anch’io vado qui all’Università … qui tutte le ragazze frequentano gli stessi corsi … ma non devi dare mai troppa confidenza alle persone, non puoi farlo …”.
Alla fine della serata Hélène era sfinita. Mise il suo cappotto nero direttamente sopra alla divisa del lavoro, portando via con sé una borsa bianca con i vestiti del pomeriggio. Trovò sul suo telefono un nuovo messaggio di Marco, che scherzando diceva: “Hai fatto la brava … per oggi niente sorprese ma stai attenta a come ti comporti …”.
Elle le stava sempre accanto, dandole continui consigli e utili raccomandazioni; vi era invece uno dei tre cuochi, quello di nome Adrian, che non si limitava affatto a servirle i piatti o a prendere degli ordini da lei. Era dalla prima sera che egli la fissava: aveva i capelli scuri piuttosto corti ed un fisico snello di buona statura, con spalle non troppo robuste.
La guardava in continuazione, mentre Hélène entrava e usciva dalla cucina, con i fianchi stretti nella sua solita gonna nera.
Per fortuna l’uomo non aveva alcuna possibilità di disturbarla, dal momento che Hélène staccava all’una di notte, quando quegli era ancora impegnato a ripulire i piatti e la cucina. Quel cuoco non le piaceva davvero per nulla, era volgare e pesante, e la scrutava sempre allo stesso modo, con aria desiderosa e sanguigna. Gli altri due cuochi dovevano essersi resi conto della cosa, e di tanto in quanto le sorridevano in maniera eloquente e altrettanto irrispettosa.
La situazione sarebbe precipitata la sera del ventinove di gennaio, quando Hélène era in bagno a cambiarsi dopo avere finito il lavoro. Adrian spinse forte la porta con tutta la serratura chiusa, e quella si aprì, rivelando Hélène al suo interno, nell’intento di indossare un paio di jeans; aveva le mutandine color panna, strette e rotonde attorno al monte di Venere. La ragazza belga fu rapida nel richiudere la porta serrandosela dinanzi con rabbia e decisione: ma non poteva neppure immaginare, che da quel momento in avanti sarebbe iniziato il suo tormento.
In quei giorni Chiara e Hélène avevano cominciato a prepararsi, per una prima prova in scritto nella complicata materia di Diritto Civile. Hélène tremava al pensiero di dover affrontare quell’esame di lì entro poche settimane, ma per sua fortuna Chiara era ben disposta ad aiutarla in quel periodo; e spesso lo faceva studiando insieme con lei durante le sere del lunedì e del martedì, quando Hélène non doveva andarsene al lavoro.
Ed una sera di quella stessa settimana, mentre la ragazzotta belga si trovava al lavoro dentro al solito locale, ella vide entrare dalla grande porta a vetri sulla strada le inequivocabili sagome di Marco e di Lele.
Quelli si sedettero al tavolo senza nemmeno salutarla, ma la fissavano in continuazione, e sembravano quasi divertirsi alle sue spalle, provocandola in modo spudorato ed irrispettoso. Ed il messaggio che giunse sul telefono di Hélène, era assolutamente disgustoso: “Mi piaci vestita da cameriera … vorrei alzarti quella gonna …”.
Nonostante i due ragazzi avessero fatto in modo di sedersi lì vicino per essere serviti da lei, la fortuna volle che fosse Veronica quella sera ad occuparsi di loro. La solita Elle comunque prese Hélène da un lato, e senza tanti giri di parole le disse: “Io credo che tu hai troppe distrazioni quando lavori … devi ignorare gli uomini … non guardarli, perché non sei pagata per questo … hai capito …?!?”.
Ma Hélène si muoveva tra i tavoli della sala, con la mente assolutamente confusa. Era fortemente condizionata dalla loro presenza, ed andò avanti a grande fatica fintanto che quelli non decisero di andarsene, dopo avere regolarmente pagato il conto alla sua collega.
“Non mi piace come ti muovi sei una grassona … mettiti subito a dieta sennò ci penso io” fu il regalo finale di Marco, al termine di quella lunga serata indimenticabile.
Trentesimo episodio
Il professor Martini comunicò le formalità della prova d’esame, che sarebbe cominciata di lì a poco, la mattina del mercoledì 4 di febbraio: Hélène se ne stava seduta nelle ultime file in alto a destra, accanto a Chiara, e stava letteralmente tremando di paura, mentre lo ascoltava; il suo livello di preparazione era infatti del tutto insufficiente.
Il tratto scritto assegnato a Hélène aveva come oggetto lo spazio pubblico, un tema incontrato a lungo durante le lezioni, che la ragazza belga aveva mandato a memoria per bene. Scrisse tutto quello che ella ricordava, con svariati errori calligrafici e senza particolare ordine. Riuscì tuttavia a completare la sua prova e consegnò il manoscritto firmandolo con il proprio cognome. Altrettanto fece Chiara, e subito abbracciò Hélène, felicitandosi con lei per essere riuscita a consegnare il proprio lavoro in tempo utile.
Uscirono dall’edificio e decisero di andarsi a bere un tè in un elegante bar qualche isolato distante. In quel frangente un nuovo messaggio giunse sul telefono di Hélène.
Chiara la guardò con occhi vivaci pieni di complicità, erano già sedute al tavolo in una sala ovattata e silenziosa. Poi prese a dirle: “Che fai non lo leggi ?!?...”; la ragazza belga temeva che la sua amica intendesse vedere coi suoi occhi, quello che Marco andava scrivendole.
“Andiamo, guardalo!”, la esortò, mentre Hélène sentiva le gambe tremarle sotto il tavolo, ed il ventre ingrossarsi.
“Facciamo così …”, riprese nuovamente la biondina, “adesso tu lo leggi senza dirmi nulla … e io mi limiterò ad osservare l’espressione del tuo viso …”; e si mise a ridere di gusto.
“Che fai allora?” insistette. Allorché Hélène si decise ad estrarre il telefono dalla borsetta; e continuando a tacere tutta quanta, si apprestò a leggere il messaggio. Vi era scritto: “Questa sera si festeggia … o devi essere bacchettata…?”.
Hélène ristette immobile con sguardo inespressivo.
Chiara dovette comprenderlo subito, che quel messaggio non le aveva causato esattamente un sentimento molto piacevole, ed aggrottando le ciglia domandò con fare non proprio disinvolto: “… Marco è un maiale … vero? ...”.
Hélène fece cenno di sì con la testa, e ripose via il suo telefono; allorché Chiara, intendendo alleggerire un poco la situazione, riprese con tono scherzoso: “Non ci fare caso, io lo so cosa ti scrive … ma a te piace veramente venire trattata così ?!?...”; “Così … come? ...” domandò Hélène, che nel frattempo stava scivolando nel baratro della vergogna e teneva lo sguardo basso; “… voglio dire … così come ti tratta lui, tu lo sai cosa voglio dire …”.
Hélène continuò a fingere di non capire, ma oramai la situazione era divenuta fin troppo imbarazzante, ed allora ella decise di aprirsi, ed alzando lo sguardo rispose: “No, non mi piace davvero per niente … digli di smettere per favore”.
Chiara sciolse tutto in una risata leggermente indisponente, e prendendo la mano della sua amica, le disse sottovoce: “…non ti preoccupare, il cane che abbaia non morde …”. Hélène non conosceva per nulla questo modo di dire e non comprese affatto il significato di quella frase. Ma per sua fortuna, in quell’istante ella ricevette una provvidenziale telefonata da parte di sua madre, che attendeva con non poca apprensione, di sapere come fosse andata la sua prima prova d’esame; ciò pose fine a quella conversazione così fastidiosamente intima ed incresciosa, e le consentì di finire il suo tè in santa pace.
Quella sera Hélène andava servendo un paio di tavoli, il primo occupato da una coppia di giovani fidanzati che la trattavano con fare davvero sgradevole e atteggiamento irrispettoso, ed un altro animato da un gruppo di allegre giovani, sicuramente straniere, molto probabilmente anche esse frequentanti la stessa Università.
Hélène entrava e usciva dalla cucina, e a seconda dei piatti che le avevano ordinato, veniva servita da Adrian oppure da Gheorghe; il terzo cuoco di nome Ivan s’era licenziato da alcuni giorni, e adesso i due lavoranti romeni erano rimasti là dentro a faticare da soli; il signor Mariano aveva deciso di non sostituire il più anziano dei tre - gli incassi non stavano andando molto bene diceva, a giustificazione di questa sua scelta.
Adrian era quello che batteva la carne, e cucinava delle bistecche piuttosto sane e abbondanti; Gheorghe era invece quello che preparava i primi, i contorni e le insalate.
Nel frattempo, Hélène serviva il tavolo delle giovani studentesse, assai vivaci e rumorose nonostante non avessero bevuto quasi nulla; una di loro parlava il francese, ed intuendolo dall’accento di Hélène, le rivolse la parola nella sua stessa lingua. La cameriera, che era stata lungamente istruita sulla necessità di non esibire troppa confidenza coi clienti, rispose in modo sommesso e poco entusiasta. Ripresero così a parlare subito tra di loro, e Hélène intese come colei che poc’anzi le aveva rivolto la parola, la andasse adesso descrivendo alle sue amiche in termini assai poco gentili.
La ragazzotta, in quel momento, fece nuovamente il suo ingresso in cucina; era stanca e appesantita, quella sera i due tavoli le stavano dando non poco lavoro da fare, e la fatica della lunga giornata, cominciata con l’esame, iniziava a farsi sentire; si avvicinò ad Adrian per ordinare alcune cose, e vide quello che la fissava in basso, senza alcun rispetto.
Vi rientrò dopo alcuni minuti, e prelevò il filetto di manzo appena preparato, destinato alla coppia di clienti antipatici ed altezzosi; si ritrovò dinanzi ad Adrian, mentre Gheorghe non era lì, probabilmente era appena andato in bagno. Vide i suoi occhi pieni di voluttà, e subito comprese ciò che egli aveva in mente: si voltò sperando di fare in fretta ad uscire, ma in quell’istante lui si spostò verso di lei e le mollò una manata fortissima sul didietro, che schioccò come in un tonfo sordo e penoso, scuotendola sui glutei gonfi e abbondanti.
Hélène entrò nella sala piena di vergogna, con le lacrime agli occhi; e nemmeno si rese conto, che quella manata le aveva lasciate chiare ed evidenti, alcune chiazze di farina intorno alla gonna nera stretta e aderente. Fu proprio la signora Nadia ad avvisarla, prendendola da parte e dicendole: “Cosa diavolo hai fatto sul sedere? … hai una bella manata di farina bianca sul didietro … ma chi diavolo è stato a toccarti ?!? dimmelo che lo licenziamo ...”.
Hélène comprese come Nadia avesse assai pochi dubbi su chi fosse stato, in realtà, a toccarla; ma senza spiegarsene nemmeno la ragione, ella decise di tacere, forse per non incorrere nell’ira del cuoco romeno. Si giustificò in maniera assai improbabile, dicendo di essersi appoggiata al tavolo, e di non essersi affatto resa conto di essere sporca; allora quella le mise una mano sulla gonna e massaggiandola nervosamente, la ripulì di quei vergognosi segni bianchi.
Mentre la serata andava per concludersi, entrando nuovamente in cucina, la ragazzotta rivide il cuoco che la scrutava con la sua solita aria di sfida; si allontanò da lui con espressione completamente indisponente, dicendogli in modo serio ed accorato: “… non lo fare più… non ci provare mai più… sennò lo dico alla signora Nadia!”.
Si prese un’altra manata, ancora più forte, sul didietro, sotto gli occhi indifferenti ed ignari dell’altro cuoco Gheorghe. Uscì dalla cucina come se l’avessero oltraggiata.
Trentunesimo episodio
Il martedì successivo vennero esposti i risultati dell’esame di Diritto Civile. Chiara li lesse mentre Hélène era ancora in casa, e dal momento che quest’ultima era stata bocciata, preferì che fosse lei stessa a vederli per prima con i propri occhi. Fu un’autentica doccia gelata, dal momento che Hélène sperava in cuor suo di avercela fatta; ed invece il suo risultato fu estremamente negativo, al contrario di Chiara che invece superò l’esame con una brillante valutazione.
Si intuiva bene quanto la sua coinquilina fosse in un certo imbarazzo quel giorno, non aveva nemmeno il coraggio di parlare, dello sciagurato esito di quella prova; fu proprio Hélène nell’intervallo della lezione, a confidarle: “Tu hai fatto il possibile per aiutarmi … ma queste materie non fanno davvero per me …”, e si coprì candidamente il viso per nascondere alcune timide lacrime. Chiara allora le prese delicatamente la mano, e stringendola le disse: “Non è vero Hélène … devi solamente impegnarti un poco di più ed essere un po’ meno distratta … e sono sicura che ce la farai”.
In quel frangente e per la prima volta in assoluto, Hélène cominciò a realizzare tra sé e sé, che probabilmente quell’avventura non sarebbe andata avanti a lungo, e che presto o tardi, se ne sarebbe dovuta tornare a casa.
Quel sabato si festeggiava San Valentino, ed i tavoli del locale erano stati tutti addobbati con tante rose rosse; si annunciava del duro lavoro da fare.
Hélène divideva con Veronica i tavoli della saletta centrale, mentre Rosaleen serviva le coppie sedute vicino all’ingresso e Cathy dava una mano alla cassa. Quella sera tutte le ragazze erano state abbellite con un fiore bianco nei capelli, rigorosamente legati assieme. L’unica eccezione era la solita Elle, che avendo un taglio sbarazzino da maschietto, era stata risparmiata.
Hélène quella sera segnava un mese esatto da quando aveva iniziato a lavorare; con l’esperienza era divenuta molto più rapida e disinvolta, al punto che anche la signora Nadia aveva smesso di controllarla tutto il tempo, e la stessa Elle adesso la seguiva sempre meno. Eppure, proprio quella sera, e per la prima volta, Hélène combinò davvero un grosso pasticcio dei suoi: ad una coppia che aveva ordinato due piatti di risotto alla cantonese, portò per errore due piatti di risotto alla milanese, e pure con un certo ritardo; rimediare non fu semplice, dal momento che il risotto impiega molto tempo per venire preparato: fu pertanto così, che all’atto di pagare il conto, la coppia chiese di poter parlare direttamente con il proprietario.
Il signor Mariano non era lì quella sera, non si faceva mai vedere al locale di sabato, ed allora ad ascoltare quella coppia di clienti insoddisfatti intervenne la signora Nadia; Hélène li osservava da debita distanza, e sentiva le gambe tremarle per la paura. La donna che era stata servita da lei parlava e gesticolava guardando la signora Nadia con furore, ed anche il suo compagno a volte di tanto in quanto interveniva, rincarando la dose; salutarono la moglie del proprietario senza troppa cordialità, e quella rispose allargando le braccia in modo sommesso con un cenno di scuse.
“Che cosa le hanno detto?” chiese Hélène continuando a tremare; Nadia allora la prese a sé per un braccio, e parlandole nell’orecchio le riferì: “… hanno detto che non verranno mai più, e poi mi hanno detto che sei lenta e poi …”; Hélène iniziò a temere per sé stessa, ma la signora Nadia sospingendola per un fianco la fece rientrare di corsa nella sala, vi erano ancora numerosi tavoli in attesa di essere serviti. Alla fine della serata le cameriere erano letteralmente stremate, ed una alla volta si sciolsero i capelli e si cambiarono. Cathy fu venuta a prendere dal suo fidanzato, un uomo sulla trentina alto ed attraente, che aveva posteggiato sul bordo della strada, la sua scintillante e vistosa automobile sportiva; anche Rosaleen mentre si cambiava, confidò alle sue colleghe di doversi precipitare a casa del suo ragazzo, che oramai la attendeva da troppo tempo. Veronica invece era addirittura sposata, anche se il marito si trovava in un’altra città per motivi di lavoro. L’unica single tra le cameriere del locale, era proprio Elle.
Hélène fece per sciogliersi i capelli, ma in quell’istante con sua grande sorpresa, trovò un mazzo di nove rose rosse appoggiato sopra alla sua borsa bianca, avvolto in un drappo di cellophane; le altre ragazze non erano attorno, e vicino a lei si trovava unicamente Leo, uno dei due camerieri maschi. La guardò e sorridendo le disse con una certa grazia: “…non penserai mica che sia stato io?!?”, e si mise a ridere. Hélène lo fissò, era ancora assai meravigliata per quel dono del tutto inatteso, e a quanto pare non apprezzò nemmeno quella battuta. “… e leggi il bigliettino… no ?!?”, ribatté il cameriere indicando in basso.
Stretto intorno al cellophane, tenuto insieme da un elegante nastro rosso, un minuscolo bigliettino bianco portava con sé una semplice dedica: “Per la bambina più furbetta e cattivella del mondo”, ed in fondo a chiudere il tutto “Ti voglio, Lele”.
Leo allora riprese il discorso, e le disse: “Hai visto che non sono io, anche se il nome mi somiglia …”, e si mise a ridere. Aveva letto il bigliettino, e non era stato il solo. Infatti, di lì a poco, mentre Hélène recuperava le sue cose dalla borsa per potersi cambiare, vide appoggiata allo stipite la sagoma di Adrian che la scrutava dall’alto in basso.
“Cosa vuoi?!?” l’apostrofò Hélène, il cui iniziale stupore per quel dono inatteso, aveva presto lasciato il posto ad uno strano sentimento di smarrimento e di timore. Ma Adrian non rispondeva, ed allora Hélène fece per rimettere il suo ricambio dentro alla borsa, pensando di andarsene a casa direttamente col suo abito da lavoro.
A quel punto il cuoco romeno finalmente aprì bocca, e con voce spezzata e roca, le disse: “Tienilo quel fiore sulla testa che sembri quasi una spagnola … ed invece quelli là li devi buttare … subito”.
E poi senza attendere oltre, le domandò: “Chi è … Lele eh?”.
Hélène si sentì tremare tutta, tra le gambe e lungo la schiena; rispose balbettando: “Chi sei tu, per potermi dire cosa devo fare …”. Ma subito si rese conto di avere sbagliato, dal momento che quello le si fece più vicino, in modo minaccioso. Hélène sentì la pressione salirle, avrebbe voluto chiamare qualcuno, ma dalla sala del locale si udivano oramai sporadici rumori, unicamente di sedie che si spostavano e di posate rimesse in ordine.
Allora ristette attaccata al muro, mentre Adrian oramai era ad un passo da lei; le fu vicino, ed infine con un gesto rapido e sconsiderato, le prese i fiori dalle mani e li scaraventò in un secchio per lavare i pavimenti. Poi non contento la afferrò per un braccio, provando a trascinarla con sé dentro il bagno.
Per fortuna in quell’istante si udì la voce della signora Nadia, che dalla sala richiamava Hélène: era prevista una paternale di quelle severe, per avere scontentato quella coppia di clienti che erano usciti lamentandosi. La ragazzotta belga dovette sentirsi ripetere più volte, che era lenta e impacciata, e che era perennemente distratta mentre serviva.
La moglie del proprietario concluse dicendole: “…per questa volta non dirò nulla a mio marito … ma ai prossimi che si lamentano di te, dovremo vederne le conseguenze tesoro …”.
Si scusò sommessamente, e non osò domandare a quali conseguenze si riferisse la signora Nadia, era una minaccia vaga anche se piuttosto seria. Ma poté uscire dal locale indisturbata, e filò dritta verso la fermata dell’autobus.
Sul telefono trovò due messaggi, uno del solito Marco che la insultava, e l’altro – ancor più sciagurato - di Lele; li lesse entrambi provando un immane senso di fastidio. Ma intanto giunse a casa sana e salva, dopo una serata di lavoro davvero pesante e complicata, e con una buona mattina di domenica avanti a sé per potersi riposare.
Stava prendendo coscienza di piacere agli uomini; non le era mai accaduto prima d’allora, ma a quanto pare il calore e la passione della gente di Roma avevano cambiato di molto le cose. Si sentiva ancora incredibilmente confusa nella testa, Lele non le interessava davvero per nulla, e Hélène non aveva nemmeno ringraziato per il mazzo di fiori che egli le aveva regalato, né risposto al suo scontato e banale messaggio; del resto, il numero di telefono a Lele, lei non lo aveva neppure mai dato.
Adrian era invece un tipo aggressivo, e Hélène aveva un vivo timore di lui; la spaventava la sua natura animale, il suo tratto passionale e incontrollato. Ma intanto, mentre girava per le bancarelle del mercato cercando biancheria intima a basso costo, erano quegli occhi sanguigni e virulenti che ella teneva fissi nella mente, e non riusciva a dissimulare a sé stessa, un senso strano di attrazione e di smarrimento.
Il mercato era un luogo assai caotico, ma in pieno giorno e con soli trenta euro in tasca, per giunta vestita semplicemente in tuta e con le scarpe da ginnastica ai piedi, Hélène volle vivere da sola quella sua prima esperienza, ed anche acquistare alcuni capi di lingerie che le servivano.
Sentiva che da un momento all’altro le sarebbe accaduto, di cadere nella ragnatela, di finire tra le braccia di un uomo; e allora voleva essere pronta nel migliore dei modi. Il perizoma nero cinturato di pizzo in cima era forse un po’ troppo largo sul davanti, ma dietro presentava unicamente un filino sottile quasi invisibile, e le stava bene; le calze autoreggenti da abbinargli, erano incredibilmente corte, sembravano quasi dei lunghi calzettoni, ed arrivavano solo di poco oltre il ginocchio.
Ma con la gonna scura del lavoro quelle calze andavano alla perfezione, la lasciavano libera disotto, e adesso che il locale era spesso anche riscaldato in maniera un po’ eccessiva, le avrebbero dato sollievo. Così quella domenica Hélène attraversò il lungo viale in salita, diretta verso il suo luogo di lavoro, con grande fremito e turbamento.
Ma Adrian quella domenica non c’era; era stato sospeso per un giorno solo, per ragioni misteriose. Al suo posto vi era nuovamente il vecchio cuoco Ivan, richiamato per una serata solamente, per rimediare a quella situazione; le cameriere andavano interrogandosi sul perché di quello strano provvedimento, ma nessuna ne aveva compreso il motivo. Si accennava a problemi con la polizia o forse addirittura con la droga; Gheorghe era muto come un pesce, e faceva finta di non sapere assolutamente nulla.
La signora Nadia alla fine della serata decise di tranquillizzare tutti, e prendendo i camerieri in disparte uno alla volta, li informò del fatto che vi erano stati unicamente alcuni problemi con la questura, ma che dall’indomani il loro cuoco romeno sarebbe rientrato regolarmente al suo posto.
Allora Hélène si recò in bagno per cambiarsi, senza provare alcun timore; abbassò la cerniera sul retro della gonna, e se la lasciò cadere lungo le cosce, finché non fu giù in terra intorno alle scarpette senza il tacco. Si rimirò l’addome ed il sedere girandosi avanti e indietro dinanzi allo specchio; era grassa e sgraziata, e quegli indumenti intimi così smaccatamente provocanti, le lasciavano decisamente troppa carne scoperta, da tutte le parti, piena rigonfia di cellulite.
Indossò un pantalone scuro e vi mise sopra il suo solito cappotto nero; si sentiva stranamente sola e insoddisfatta, e mentre al buio in piedi attendeva l’autobus lungo la strada, nemmeno fu minimamente sollevata dal fatto di non avere ricevuto, per questa volta, alcun deplorevole messaggio.
Trentaduesimo episodio
Il professor Ducré iniziò a parlare dell’esame, e lo fece nella maniera più subdola, spiegando come dovevano comportarsi tutti gli studenti che desideravano poterlo rimandare. Era solamente metà febbraio, ma le prime prove sarebbero iniziate già a maggio, e certamente sarebbero stati davvero in pochi, a cimentarsi con quella difficilissima sfida al loro primo tentativo.
Paula era seduta accanto a Hélène, e quel giorno appariva radiosa e di ottimo umore, mentre Chiara era rimasta a casa, a letto raffreddata e leggermente ammalata; l’argentina si rivolse alla sua coinquilina, prima che riprendesse la lezione dopo l’intervallo, e le disse: “Lele c’è rimasto davvero molto male… non l’hai nemmeno considerato un poco … e mi ha anche detto di averti regalato delle rose”; Hélène provò ancora una volta del vivo disagio, ma con la studentessa di Buenos Aires andava sempre così sin dal primo giorno.
Si fece forza, e trattenendo a stento la rabbia rispose: “… non so nemmeno perché me le abbia comperate …”, allorché Paula le mise una mano sulla spalla, con disinvoltura, e le disse: “Si è dichiarato con te, gli piaci … e tu cosa aspetti, vuoi rimanere vergine per tutta la vita?!?”.
Per Hélène fu peggio di una frustata. Non avrebbe mai saputo se la sua coinquilina stesse provocandola, o se realmente ella credesse, che lei era veramente vergine; tutte le storie che Hélène si era inventate non erano bastate, per convincere le sue due compagne d’appartamento, che ella avesse realmente avuto un ragazzo nel suo lontano passato.
Allora replicò leggermente piccata, a bassa voce: “Ma cosa dici?”; ma Paula non aggiunse nulla. Tra ragazze si capiva benissimo, come lei non avesse mai avuto una vera esperienza, e per quanto Hélène s’illudesse, le sue bugie erano oramai note e acclarate da tempo.
Il termine della lezione interruppe quella non semplice conversazione, e finalmente Hélène rimase da sola, dal momento che Paula si era mossa nell’edificio accanto per seguire un corso del secondo anno. Si accomodò seduta nella sala quasi vuota della biblioteca, ed iniziò a studiare in tranquillità.
In quel momento però fu nuovamente presa da uno strano turbamento: aveva negli occhi lo sguardo aggressivo di Adrian, mentre quegli le strappava dalle mani senza alcun rispetto, il mazzo di fiori regalatole da Lele; e poi ripensava al pene lungo e arcuato di Costanzo, o a quello più largo e tosto di Marco; infine rivide anche Lorenzo, mentre quegli eiaculava copiosamente, sulla schiena della sua coinquilina.
Fare l’amore doveva essere davvero molto doloroso, pensava tra sé e sé Hélène, mentre le pagine del libro che teneva aperto sulla scrivania, erano divenute fogli insulsi pieni di macchie nere prive di significato. Un dolore simile ad un abuso, ad una violenta forzatura: un oggetto duro e vibrante conficcato in mezzo alle gambe … peggio di un castigo.
Quel pensiero l’aveva trascinata via, e oramai turbata del tutto; si sforzò parecchio per ricomporsi, ma era scivolata nel baratro di quei riflessi sporchi e vergognosi, ed il resto della giornata, trascorso in casa, non le fu per nulla di aiuto.
Era inquieta e quell’ossessione non voleva proprio saperne di lasciarla in pace; dovunque ella andava, vedeva sempre degli uomini che la fissavano, e li immaginava tutti quanti con il loro sesso fermo tra le mani, pronti a farle provare quello che da tempo ella avrebbe dovuto conoscere.
La sera del diciotto di febbraio, ritenne opportuno rilassarsi un poco, prima di potersi recare al lavoro; lo fece bevendo una buona camomilla spruzzata col limone nella sala da tè, in perfetta solitudine. Aveva lasciato a casa il suo provocante intimo nero acquistato al mercato, si sentiva tremendamente grassa e inadeguata con quella roba indosso.
Entrata in cucina, subito vide Adrian con un vistoso livido scuro sopra l’occhio: come spesso accade alle femmine, immediatamente Hélène provò un vivo senso di pena e di preoccupazione per lui; e senza nemmeno pensarci un solo istante, gli fu vicino e gli domandò che cosa fosse successo.
Quegli le rispose con tono di voce scontroso: “Che cosa diavolo ti importa!?! … tu sei solo una donna …”. Ci rimase male, ma fu presto Veronica a rivelarle in maniera garbata nell’orecchio, la verità: “Ha preso dei pugni, c’è stata una rissa sabato notte, credo che avessero guardato alcune ragazze degli altri … stagli lontana …”.
Ma intanto Hélène continuava a provare pena per lui, e quando fu nuovamente dentro alla cucina per ordinare una bistecca di manzo, si fece vicina e gli disse: “Dovresti stare a casa, quel livido deve fare ancora molto male …”.
Adrian non la degnava di alcuna considerazione quella sera; e Hélène non riusciva nemmeno a capire, se fossero i pugni presi ad averlo completamente trasformato, o se piuttosto fosse per caso proprio lei, a non piacergli più.
Si sentì all’improvviso nuovamente sola ed indesiderata, e tutto ad un tratto, ella prese a cercare Adrian con lo sguardo come mai avrebbe nemmeno lontanamente immaginato. Ripensò alle parole di Cathy, quando la bionda cameriera qualche settimana addietro, le aveva confidato delle avances di quel cuoco passionale, in un suo recentissimo passato.
Era evidente come ci avesse provato con tutte, e forse Hélène non era che la meno desiderabile, tra le cameriere che si aggiravano per il locale; fu presa da un senso di amarezza e di squallore.
Servì un tavolo di giovani rumorosi e vivaci, e nemmeno si diede cura di osservarli; entrava in cucina sperando di venire nuovamente provocata, e solamente di rado quegli le volgeva gli occhi, senza apparentemente mostrarle alcun interesse. Al termine della serata Hélène entrò in bagno per cambiarsi, e si rese conto di desiderare in modo inaudito, che lui fosse lì di nuovo, nascosto dietro alla porta per lei. Alla fine, si ritirò in casa triste e delusa.
L’indomani era il giovedì di Carnevale; il signor Mariano pretese che tutte le cameriere indossassero un piccolo orpello, o un semplice gioco in maschera; portò dunque con sé alcuni accessori, ed una alla volta li impose alle ragazze che lavoravano nel locale. Fu così che Elle dovette diventare una nuotatrice con la cuffia e gli occhialini sopra alla testa, Veronica fu costretta ad acchittarsi come una donna vecchia ed impiumata degli anni Venti; Rosaleen invece si dovette truccare come una tenera bambina con le trecce. A Hélène toccò in sorte il travestimento da poliziotta, un berretto blu con la visiera, occhiali da sole, ed un paio di finte manette in plastica che le pendevano attaccate alla vita.
E come se andassero seguendo un preciso intento, quella sera vennero a trovarla senza alcun preavviso, Marco e Lele.
E questa volta fecero davvero in modo di essere serviti da lei.
All’inizio Lele le impose la mano dentro ad una delle sue manette, trattenendola vicina mentre ella passava nei pressi del loro tavolo; fu un gesto vistoso e decisamente sopra le righe. Hélène tornò nuovamente dalle loro parti, e con fare rapido ed apparentemente distaccato chiese loro, se intendessero ordinare qualcosa. Era davvero imbarazzata.
Marco allora le rispose senza alcun pudore: “Ti ordiniamo, di venire a casa con noi questa sera … le manette però le usiamo noi …”. Allora Hélène si allontanò profondamente infastidita, mentre già Elle le si era fatta vicina, intuendo come vi fosse qualcosa di inusuale e strano, con quel tavolo. La ragazzotta si impose di andare avanti come se niente fosse, ma non era per nulla facile trattenersi, sentendosi addosso quei loro sguardi così insistiti o volgari.
Ritornò presso di loro, intenta a prendere il loro ordine con pochissima cortesia; in quel momento Marco, senza alcun rispetto per lei, le suggerì di osservare direttamente sul proprio telefono: l’ordine le era stato inviato tramite un messaggio.
Hélène allora si allontanò un istante nel corridoio, e prelevando il telefono dalla propria borsetta, lesse inorridita: “Prepara quelle belle chiappotte … non scappi stasera …”
Non resistette oltre, e ritornando dentro alla sala, disse a Marco tremando tutta quanta: “Devi piantarla con i tuoi messaggi … non sono la tua serva …”.
Fu udita da diverse persone, ed in particolare da Nadia, che se ne stava ferma alla cassa a preparare il conto per tutti i tavoli che avevano finito la cena.
Quella si fece improvvisamente scurissima in viso, e levandosi i sottili occhiali dalla fronte, chiuse la cassa con la chiave e si mosse verso il centro del locale; afferrò Hélène fortissima per un braccio, e se la trascinò via con sé, nel corridoio antistante la cucina. Lì si tirò indietro la frangetta di capelli finti biondi, e trattenendo a stento le parole, la apostrofò dicendole: “Che cosa cazzo dici !?!... ma chi sono quelli lì nella sala?!? … ti hanno sentita tutti quanti !!!”.
Hélène allora capì di averla combinata veramente grossa, e tenendosi una mano su una guancia, le rispose con voce davvero sommessa e spenta: “Mi perdoni signora Nadia … quei due mi stanno insultando tutta la sera”.
La moglie del proprietario del locale non le credette, e con un gesto istintivo ed assai greve, le mollò un forte ceffone, ritirando poi subito la mano. Hélène arretrò in lacrime, si sentiva davvero abusata ed umiliata. Aveva il berretto da poliziotta e gli occhiali da sole ridicolmente scomposti per via dell’inattesa percossa.
La serata riprese, e per fortuna Marco e Lele – che s’erano dovuti rendere perfettamente conto di quanto era accaduto – avevano smesso di provocarla e di metterla in difficoltà.
Quando poi Hélène entrò in cucina per prelevare due piatti di bistecca, vide nuovamente gli occhi di Adrian che la fissavano in modo aggressivo ed insistito; le disse con voce ferma: “Dimmi solamente quale dei due è Lele … vado lì io e gli spacco la faccia”.
Hélène avvertì in quelle parole un senso di protezione e di inattesa delicatezza. Appoggiò allora entrambi i piatti che ella teneva in mano, sulla lunga barra bianca della cucina; ed avvicinandosi nuovamente al cuoco, in modo del tutto inopinato, gli sfiorò una mano con un gesto di tenerezza e di sottile complicità; poi gli sussurrò amorevolmente dentro l’orecchio, mentendogli in maniera spudorata: “… è il più bello dei due”.
Quegli allora le diede un buffetto su una guancia, facendola arrossire; ed infine, senza attendere nemmeno che lei uscisse dalla cucina, si diresse rapido e deciso verso la sala in cui si trovavano gli ospiti; in un solo istante fu vicino al tavolo di Marco e Lele, e puntando con lo sguardo il primo dei due, gli disse dritto in faccia: “Tu sei solo un perdente, lascia stare la mia ragazza, sennò io ti ammazzo …”.
Marco e Lele lasciarono immediatamente il locale, e riferirono tutto quanto alla signora Nadia che si trovava alla cassa; dissero che si erano lamentati con Hélène dal momento che quella non li aveva serviti in tempi rapidi, e che si trattava di una cameriera anche piuttosto maleducata. Ed infine le diedero conto dell’inaudita sfuriata del cuoco, che a quanto pare, di quella cameriera era il fidanzato o qualcosa del genere, e che li aveva addirittura minacciati.
Era decisamente troppo, ed allora la signora Nadia risolse di riferire tutto quanto a suo marito, che si trovava chiuso nel piccolo studio nascosto sul retro del locale.
Alla fine della serata, mentre tutte le cameriere si andavano cambiando ed i cuochi ripulivano la cucina, il signor Mariano si fece avanti col suo sigaro acceso in bocca, noncurante del fastidio causato dal fumo a tutti quanti i lavoranti, e schioccando le dita si affacciò nel corridoio gridando: “Adrian e Hélène! …adesso con me, nello studio”.
Il primo a seguirlo fu proprio il cuoco romeno, con aria spavalda e camminata alquanto sicura di sé; Hélène invece tremava tutta quanta, e mentre rimetteva ai piedi le sue scarpette, che s’era sfilata via pensando di potersi cambiare, sentiva tra sé e sé, che questa volta avrebbe rischiato di perdere sul serio, il suo primo ed unico lavoro.
Il signor Mariano si sedette dietro alla sua piccola scrivania, con il sigaro sempre acceso in bocca e le braccia conserte, mentre il cuoco e la cameriera si trovavano in piedi dinanzi a lui, non troppo distanti l’uno dall’altra. Quello esordì dicendo: “Mi aveva avvisato mia moglie … che stavate combinando dei bei casini voi due …”; Hélène accennò timidamente ad una risposta, ma quegli, noncurante, riprese: “… qui mi parlano di pomiciate tra di voi dentro alla cucina, di occhiatacce in bagno …”; poi aggiunse: “Ma stasera avete davvero superato ogni limite! … meritereste veramente di venire licenziati subito per quello che avete combinato …”.
Adrian allora, senza pensarci un solo istante, prese la parola con fare rapido e indispettito, rispondendo: “Hélène è la mia ragazza, lei mi può anche licenziare … ma se un uomo provoca la mia ragazza … io posso anche fargli del male!”.
Hélène avvertì in quel frangente un moto dentro, un senso di assurda perdizione e di timore mai provati fino ad allora; si trovava in quel momento, all’una di notte stanca e accaldata, e sul punto di perdere il suo primo impiego, ma finalmente fidanzata con un uomo.
Il signor Mariano la guardò dalla testa ai piedi, e senza nascondere un ghigno sadico, le disse: “E tu tesoro cosa dici? …intanto togliti quelle manette dalla gonna, che sei ridicola…”.
Hélène se le sfilò via dalla vita, e le poggiò sulla scrivania di legno del signor Mariano; poi guardando di lato, verso il cuoco romeno, disse: “Quei ragazzi mi hanno provocata, ed io ho reagito, dopodiché ho riferito tutto quanto al mio fidanzato”. Adrian le strinse la mano, rimanendo a debita distanza, sempre in piedi dinanzi alla scrivania.
Più che una paternale, sembrava una cerimonia di matrimonio; il signor Mariano si alzò in piedi, ed avvicinandosi a loro disse: “Io non posso impedirvi di essere fidanzati l’uno dell’altra, anche se come proprietario di questo locale io preferirei che ciò non fosse …”, ed infine concluse: “…ma sappiate che stasera avete davvero oltrepassato ogni limite; ed al prossimo sgarro, verrete entrambi licenziati subito all’istante, e liquidati senza alcuna cortesia!”.
Allora se ne uscirono di lì, mano nella mano, come due teneri innamorati; quando poi furono nuovamente soli nel corridoio, Adrian prese Hélène per un braccio, e la trascinò a sé per baciarla. Quella si lasciò trasportare, ed in un solo istante la lingua del cuoco romeno fu dentro alla sua bocca, per alcuni attimi interminabili. Le affondò la mano nel sedere, senza alcuna difesa e senza alcuna protezione. Le ordinò infine di attenderlo, l’avrebbe accompagnata a casa con l’autobus notturno non appena la cucina fosse stata ripulita e riordinata.
Hélène obbedì sapendo di andare incontro a nuovi ed ulteriori problemi. Si sedette in attesa nel corridoio buio, lontano dallo sguardo della signora Nadia, che continuava a sistemare le fatture e le ricevute di alcuni fornitori con la sua consueta e maniacale attenzione.
Era seduta in silenzio, e sentiva le gambe tremarle, ed il ventre rigonfio schiudersi in modo assurdo. Era tutta stretta dentro un paio di calze contenitive color carne; ed in quel momento ella sapeva bene, che cosa l’attendeva solamente di lì a pochi istanti, in quella stranissima serata di Carnevale.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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