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Diario Emozioni Ottobre 2007


di HeleneHoullier
17.03.2024    |    198    |    2 8.0
"In verità, a Chiara aveva raccontato qualcosa di ben diverso, dal momento che le aveva rivelato di aver avuto una lunga storia d’amore ai tempi del liceo, a..."
Diciassettesimo episodio

Gli stivaloni neri senza le calze lunghe erano un’autentica stranezza: ma le davano quel tono da ragazza adulta e consapevole che lei tanto adorava sentirsi addosso.
Una camicetta bianca da collegiale e la gonna nera di lana completavano il tutto, facendo di lei una presenza garbata e silenziosa, nel grande giorno dei suoi diciotto anni.
Per l’occasione l’appartamento di Rue Courtois fu aperto nuovamente ai parenti e agli amici, ma la vera festa si sarebbe svolta altrove, in una discoteca del centro.
Aveva ricevuto un biglietto di auguri da parte del signor Eric, al quale ella aveva replicato per interposta persona, tramite la sorellina Bianca; quest’ultima incontrava regolarmente il vecchio patrigno di Hélène ogni quindici giorni, e riferì il sentito ringraziamento della figliastra.
Benoît invece aveva deciso di non andare alla festa, per non creare alcun tipo di difficoltà: le vacanze erano andate bene, ma non erano mancate alcune circostanze in cui Hélène era apparsa imbambolata e succube nei suoi confronti; le consegnò il suo apprezzatissimo regalo, un cospicuo assegno in denaro, e la vide incamminarsi insieme alle amiche verso il locale della festa, scortate dai vari fidanzati.
Sarebbe passato a riprenderla intorno alle undici di sera.
Il Club 84 era stato un bar di grande successo nel decennio passato, ma adesso veniva sempre più spesso utilizzato per pranzi e feste private; ad Hélène era stata riservata una piccola sala in un luogo defilato e silenzioso lontano dall’ingresso: oltre alle ragazze del liceo, erano state invitate anche le compagne dell’istituto delle suore, insieme ad un paio di vecchie amiche della scuola di canto. Jeanne s’era portata appresso il suo Patrick, mentre anche Claudia nella circostanza si era presentata assieme ad un nuovo accompagnatore, un ragazzo molto carino di cui Hélène non conobbe mai il nome.
L’Università era appena cominciata, ed Hélène passava adesso molto più tempo fuori di casa: doveva compiere molta più strada in tram rispetto ai tempi del liceo, per raggiungere la zona universitaria, e le lezioni spesso le occupavano l’intera giornata. Non nascondeva a sé stessa, il proprio totale disinteresse verso l’argomento della legge, ma nutriva sempre moltissimo entusiasmo rispetto alla prospettiva di andare a vivere in Italia.
Proprio per tale ragione, Hélène aveva persino smesso del tutto di pensare ai ragazzi; avrebbe sognato di innamorarsi proprio a Roma, durante quella che ai suoi occhi si prefigurava più come una vacanza che non come un prolungato soggiorno di studio; non guardava nessuno dei suoi nuovi compagni di università, consapevole che ben presto si sarebbe accasata in un luogo diverso, dove avrebbe trovato la sua dolce metà e sarebbe stata felice.
Il Club 84 si era nel frattempo riempito di estranei, ed alcune persone non invitate a tratti entravano ed uscivano dalla saletta riservata ad Hélène, incuriositi dal grande baccano e dall’aria di festa che si respirava lì dentro; tutte quante le ragazze quel pomeriggio si erano truccate ed acchittate al meglio e la cosa non passava di certo inosservata.
Jeanne era cresciuta ed era diventata una bionda bellissima, con i capelli lisci lunghi e la pelle dorata; il suo Patrick la baciava in continuazione suscitando l’invidia di molti. Anche Claudia nel suo piccolo era divenuta una bella ninfetta, e quella sera esibiva un vestitino corto ed attillato con tantissime paillettes: a prima vista chiunque avrebbe detto che fosse lei, la vera festeggiata, per via di quel vestito.
Hélène invece se ne stava quasi sempre seduta al tavolo, circondata dalle sue amiche più intime come Edina e Melinda, con le quali ella parlava dell’università e del nuovo ambiente in cui s’era inserita: tutte le vecchie compagne di Hélène s’erano iscritte a facoltà differenti dalla sua, per cui non v’erano mai troppe occasioni per incontrarsi. Nessuna di loro sembrava particolarmente attratta dalle nuove materie di studio, e questo fu motivo di consolazione per la ragazzotta, che ogni tanto rimpiangeva di avere abbandonato la sua grande passione per l’arte.
Provava a non pensare a quella specie di gioco perfido cui era stata sottoposta Nicole durante la propria festa di compleanno, ma ogni tanto osservava André di soppiatto, cercando di intuire che cosa quegli avesse nella testa: appariva decisamente distratto ed anche leggermente annoiato quella sera; era probabile che avesse precedentemente discusso a lungo con Sonia, dal momento che anche quest’ultima sembrava perennemente accigliata.
Fu piuttosto la stessa Nicole a crearle una pessima situazione d’imbarazzo, quando senza chiederle nemmeno il permesso, la fece invitare da uno sconosciuto a ballare.
Costui era in realtà un uomo di trent’anni che si era affacciato nella sala, chiedendo chi fosse la festeggiata; si chiamava Vincent ed era un tipo garbato dai lineamenti del viso eleganti ed un tantino anonimi. Nicole aveva evidentemente esagerato con lo champagne, e pensò bene non solamente di presentarlo ad Hélène, ma anche di costringerla a ballare con lui.
La ragazzotta si lasciò trascinare in mezzo alla sala, e tutte quante le amiche si disposero in cerchio intorno a lei; l’uomo che cingeva Hélène prese così a sospingerla tenendola per un fianco, facendola letteralmente arrossire, mentre tutte quante le ragazze ridevano ed ammiccavano tra di loro.
La cosa si concluse con una specie di baciamano e con la ragazzotta che ringraziava, rassettandosi leggermente la gonna che le si era scomposta; colui con cui aveva ballato fu avvicinato da André, il quale nell’assistere alla scena, aveva meditato su come impartire ad Hélène il suo tradizionale rituale previsto per tutte le diciottenni.
La festeggiata intravide i due che parlavano, e all’improvviso sentì il sangue raggelarsi dentro le vene, mentre l’uomo di nome Vincent faceva cenno di no con il viso; non voleva prestarsi a quello stupido gioco.
André sembrava insistere, e nel frattempo il suo interlocutore era stato raggiunto da un secondo uomo meno giovane di lui, un collega con il quale si trovava assieme: a costui vennero subito riferite le intenzioni bizzarre di André per animare il seguito della festa; anche Sonia si mosse incontro a loro, e ridendo di gusto si sbracciava rigirandosi diverse volte verso il centro della sala.
Fu proprio Sonia a farsi strada in mezzo a tutto il drappello degli invitati, mentre la musica andava avanti e qualcuno ancora non aveva smesso di ballare; Hélène ristette immediatamente, un istante prima di sentirsi dire nell’orecchio, che era arrivato il suo turno, di sottostare al rituale delle diciottenni. Doveva per forza stare al gioco.
Implorò Sonia, dicendole di no in modo accorato, e pregandola di non insistere; l’amica invece di comprenderla, la derise prendendola simpaticamente per l’orecchio, e le rispose amorevolmente: “Ma è solo un gioco! …non devi pensare che faccia sul serio, è solo un gioco”.
Poco importava, che lei le botte le avesse prese per davvero, e che Sonia fosse stata tra le prime a rendersene conto durante la sua festa per i quattordici anni; adesso era proprio la sua amica a trascinarla in quel baratro di vergogna e di imbarazzo, qualcosa che per nessuna ragione al mondo lei avrebbe voluto provare di nuovo.
Sperò per un istante, che tutto quanto potesse finire lì senza alcuna conseguenza; in fondo diverse amiche stavano ancora ballando, ed il volume della musica era piuttosto alto. Sonia era tornata verso l’ingresso della sala, ed Hélène fingeva adesso di non guardarla. Poi apparentemente quella sparì, così come Vincent con il suo amico, lasciando André da solo con il suo bicchiere di champagne in mano.
Di punto in bianco all’improvviso, nel bel mezzo di una canzone piuttosto scatenata che era assai di moda in quel periodo, il volume della musica si abbassò: Hélène trasalì.
Una sontuosa torta a due piani, di panna montata e delicatissimo cioccolato finemente decorato, fece il suo ingresso nella sala. Il Saint Honoré con le diciotto candeline di Rue Courtois era stato nient’altro che un semplice dessert per brindare coi parenti più anziani; la signora Dominique aveva raggiunto il locale della festa insieme alla sorellina Bianca, facendo così un’inaspettata e graditissima sorpresa ad Hélène: lo stupido gioco voluto da Sonia e da André non si sarebbe mai potuto svolgere in loro presenza.
Trascorse un’altra ora in cui tutti quanti bevevano e parlavano ad alta voce, scattando fotografie con la festeggiata e continuando a dimenarsi; la signora Dominique parlottava con alcune tra le più assidue amiche della figlia, e sembrava vivamente soddisfatta del modo in cui la festa andava svolgendosi; la sorellina Bianca se ne stava defilata.
Ma ad un certo punto la madre fece cenno di doversene andare, Bianca si stava annoiando da morire e doveva ancora finire di fare i compiti; Hélène provò in tutte le maniere a fermarla, causando non poco stupore nella donna, la quale tutto si sarebbe aspettata, tranne che sua figlia insistesse affinché ella si trattenesse. Ma quella le diede un tenero bacio e l’abbracciò stringendola a sé, per qualche istante, prima di mollarle un bonario scapaccione, salutandola.
Dopo pochi minuti, le luci della sala vennero accese a giorno, e la ragazzotta vide nuovamente Vincent che insieme ad André, sospingeva trascinandola un’elegante poltrona rossa, prelevata da qualche altra sala accanto; che cosa mai pretendeva quello sconosciuto da lei, dopo che ella gli aveva concesso controvoglia un ballo assieme? L’amico più anziano li seguiva: i due si erano praticamente uniti alla festa, grazie alla scellerata iniziativa di André e di Sonia.
Avrebbe voluto mandarli via e litigare con la sua coppia di amici, ma certamente la cosa non sarebbe passata affatto inosservata; fece allora finta una volta ancora di ignorarli, sperando che qualcosa di nuovo potesse intervenire, a distogliere l’attenzione di tutti quanti; la solidale Edina andò a domandare se si potesse accendere nuovamente la musica, e fu subito accontentata, ma nessuno aveva più voglia di ballare, la stanchezza aveva iniziato a prevalere.
Sonia allora si avvicinò alla ragazzotta con passo lieve e felpato, ed in modo cortese le porse ambedue le mani, pregandola gentilmente di seguirla: Hélène si sentì il mondo crollare addosso, ma non trovò nulla di meglio da fare, che non sorridere verso il centro della sala, facendo finta di essere complice e di trovare quel gioco tutt’altro che increscioso ed imbarazzante.
Avanzava verso la poltrona disposta sulla parete in fondo, muovendo i fianchi molli in maniera piuttosto goffa ed incerta; era incredula per quanto era sul punto di fare: a breve si sarebbe disposta per ricevere nuovamente qualcosa di molto simile al castigo d’una piccola bambina; anche se si trattava di una punizione che tutti quanti avrebbero definito null’altro che uno stupido scherzo.
“Dai Sonia, dai per favore” provò a dire all’amica ridendo, mentre quella con aria divertita ed espressione leggiadra, guardando tutto il gruppo dei presenti, li chiamava a raccolta; le ginocchia nude di Hélène con tutti i suoi stivaloni neri, vennero accomodate sul tessuto rosso in stile vittoriano dell’enorme poltrona, mentre coloro che non erano stati invitati alla festa di Nicole, domandavano stupiti, in che cosa consistesse quell’incomprensibile rituale.
André chiese a Vincent di togliersi la propria cintura: era stato lui a ballare con Hélène per ultimo, per cui toccava a lui iniziare il gioco; Sonia chiese alla festeggiata di mettere le mani sopra lo schienale.
In quel momento tutto quanto sprofondò. La ragazzotta rivide inevitabilmente nei propri ricordi, d’essere stata già disposta in quel modo: era accaduto più di tre anni addietro, con le ginocchia su una poltrona simile, rivolta verso lo schienale; e per ben due volte: aveva ripreso Pascal e Jeanne con la telecamera, e si era sentita umiliata e abusata provando sensazioni inopinate di assoluta vergogna e d’inconfessabile piacere.
Jeanne era lì assieme a Patrick, e la sbirciava ammiccando in modo irrispettoso: sicuramente ricordava molto bene i momenti in cui la ragazzotta s’era prostrata a compiere tutto ciò, che lei e Pascal le ordinavano di fare; rideva di gusto, e parlando nell’orecchio di Patrick, gli rivelava tutto quanto; senza risparmiare a quest’ultimo, neppure la vicenda del signor Eric e di quella festa finita in tragedia.
Le gambe nude le presero a tremare, e sotto la lunga gonna di lana nera, un senso di caldo e di lieve oppressione, iniziava ad impadronirsi di lei; avrebbe voluto nascondersi.
Ma era tempo che il gioco iniziasse; Sonia prese un bicchiere di champagne e disse ad alta voce: “Brindiamo alla nostra diciottenne, bon anniversaire mademoiselle”; tutti risposero ed Hélène volse il capo verso di loro, spostandosi leggermente i lunghi capelli neri che le erano scivolati sul viso.
Il primo ad avvicinarsi fu proprio Vincent. Rivolgendosi alla festeggiata, dovette rendersi conto di quanto ella provasse in quegli istanti, un grandissimo disagio; sussurrò senza farsi sentire: “Le chiedo scusa signorina”, mentre teneva stretta la propria stessa cintura nella mano destra, con la fibbia nascosta in mezzo al palmo. Si dispose leggermente di lato, e mentre tutti quanti lo guardavano in modo curioso e velatamente sadico, mosse il braccio e rovesciò la cintura in modo blando, sul retro della gonna di lei. Hélène chiuse gli occhi e sentì un colpetto delicato sul didietro; li riaprì e pensò che veramente, non era null’altro che un gioco.
L’amico di Vincent afferrò la cintura rimanendo sempre sul lato sinistro della festeggiata, mentre quella se ne stava tutta reclinata in avanti nella poltrona; prese dapprima confidenza con lo strumento: sferrò due colpi fermi, nel vuoto in mezzo alla sala, poi prese la rincorsa, ed un sibilo penoso annunciò che questa volta non si sarebbe trattato di uno scherzo. Lo schiocco sul didietro di Hélène fu netto e tutti quanti lo udirono, seguito da un piccolo urletto della malcapitata; molti risero di gusto, le aveva fatto un bel po’ di male.
Dietro di loro, era adesso arrivato il turno di Sonia; si fece passare la cintura, e sorridendo apertamente a tutte quante le amiche disse ad alta voce: “…E con questa sono tre”. Hélène fu colpita nel mezzo, proprio laddove provava ancora un po’ di dolore. L’amica sorrise e le diede un bacio in quella posizione, allontanandosi poi con un certo orgoglio.
André lasciò che a prendere la cintura fosse adesso Nicole; quest’ultima conosceva Hélène fin da bambina, e prima ancora di colpirla pensò di abbracciarla e di carezzarla; la ragazzotta non trovò nulla di meglio che domandarle: “Quando finisce?”; sentiva molto caldo, e la schiena aveva preso delicatamente a tremarle.
Nicole fece un passetto di lato e poi sferrò un colpo morbido ma ben assestato: tutte le amiche risero nuovamente.
André era colui che aveva introdotto quel gioco, e adesso doveva mostrare di essere più abile degli altri, con la cintura; fece cenno di volerla dapprima sciogliere muovendola avanti e indietro nel palmo della sua mano, poi mollò anche egli un paio di colpi a vuoto. Infine, si dispose nel punto migliore lasciando il grosso didietro di Hélène, bene esposto allo sguardo di coloro che erano in mezzo alla sala; illuminata da alcuni faretti, s’intravedeva la forma rotonda e sproporzionata dei glutei di lei, rivolta verso il pubblico.
Allargò il braccio e si udì nuovamente un sibilo: Hélène alzò la testa urlando, il colpo era stato assestato molto bene, e le aveva fatto molto più male di quanto ella potesse attendersi.
Il prossimo era Patrick, sarebbe stato il sesto.
Hélène nemmeno osava più guardarsi di lato, per capire chi fosse il prossimo che l’avrebbe colpita. Iniziava ad avvertire un calore assurdo sotto alla gonna, e non era certamente dovuto alle poche cinghiate che ella aveva subito: era un bollore che le veniva interamente da dentro, e se ne vergognava al punto che avrebbe quasi preferito provare vero dolore, piuttosto che quell’assurdo senso di caldo.
Il compagno di Jeanne conosceva poco la festeggiata, ed allora non volle infierire; si limitò a rovesciarle la cintura sul didietro, ridendo e scusandosi in modo blando; la bionda ragazza di lui a quel punto venne avanti sistemandosi più volte i capelli, in un vestito bianco stretto ed elegante.
Poi afferrò la cintura, e carezzò Hélène lungo la schiena, poco sopra la gonna. Quest’ultima si rammentò di tutte quante le volte in cui l’avevano trattata come una povera stupida, e provò un senso indicibile di reticenza e di vergogna: a distanza di oltre tre anni, ella si sentiva nuovamente umiliata e derisa come allora.
Non contenta, Jeanne le regalò un qualcosa d’inopinato e di totalmente irrispettoso: afferrandole per un istante il tessuto della gonna nera su ambedue i lati, la biondina fece finta di volerla sollevare; Hélène ululò e tutti quanti risero: si trattava ovviamente dell’ennesimo scherzo.
Ma tanto era bastato, per farla sentire nuovamente esposta e completamente umiliata; tacque e fu colpita, in modo fermo e deciso, mentre tutto intorno era sceso uno strano silenzio.
Un nuovo brindisi interruppe per un breve attimo il supplizio della festeggiata, prima che tutto quanto riprendesse regolarmente secondo l’ordine prestabilito.
Bernardine della scuola di canto era una delle amiche più timide, e sembrava poco propensa a prestarsi a quel tipo di gioco; ma dal momento che la coda degli ospiti si andava lentamente dipanando di fronte a lei, ella si fece avanti ed afferrò la cintura, augurando alla festeggiata sommessamente ogni gioia e felicità; poi con fare per nulla disinvolto, le mollò un colpetto quasi del tutto impercettibile.
Dietro di lei, Charlène con suo marito David si mossero assieme; costui lasciò che fosse lei a battere Hélène per prima. Quella non nascose a sé stessa un certo sentimento di disagio, mentre impugnava lo stesso arnese con il quale il padre cattivo l’aveva disciplinata diverse volte da bambina. Chiuse gli occhi e senza pensarci oltre, fece la sua parte sferrando una cinghiata dura e precisa. Il marito fece altrettanto senza molto impegno, ed Hélène sollevò per un istante le spalle sistemandosi i capelli; erano arrivati a dieci.
Valérie era la più grassa di tutte le amiche di Hélène, e quella sera s’era vestita in una maniera esagerata ed anche un tantino buffa; non amava le feste e si vergognava profondamente di sé stessa: si mosse goffamente e ricevette la cintura senza apparentemente sapere come utilizzarla; nessuno si rese conto se colpì realmente Hélène o se si limitò a fingerlo. Proprio mentre Sonia, ritornata vicino alla scena, riprese il comando delle operazioni e disse ad alta voce con soddisfazione: “Siamo ad undici, ne mancano ancora sette per la nostra nuova diciottenne!”.
Il ragazzo di Claudia era davvero bello, e la festeggiata lo vide avanzare verso di lei, con la coda dell’occhio. Abbassò il capo una volta ancora, ed udì un lungo sibilo nel silenzio della sala; arrivò una scudisciata forte, del tutto inattesa. Hélène volse per un istante il capo vedendo che quegli rideva, e sentì in quel preciso istante il ventre tremarle.
“Sono dodici” esclamò Sonia, mentre la festeggiata piegata in avanti verso lo schienale della sedia, iniziava a sentire del sudore scenderle in mezzo alle cosce, sotto le strette mutandine bianche: la situazione si stava facendo davvero pesante per lei, anche se nessuno dei presenti poteva nemmeno lontanamente immaginarlo.
Claudia non era stata presente alla sua festa di quattro anni addietro, e quindi non poteva sapere quasi nulla di quanto le era accaduto. Così afferrò la cintura e s’avvicinò ad Hélène sorridendo; dopodiché aprì il braccio e le mollò una sferzata assai forte e precisa in mezzo ai glutei: il riso degli invitati riempiva la sala mentre la ragazzotta sprofondava.
Venne avanti Melinda spinta alle spalle dal fidanzato della sua compagna Annette. Si trattava di una ragazza sempre molto attenta e scrupolosa, per cui ella decise di rispettare precisamente le regole del gioco: afferrò la cintura e si dispose di lato; poi si mise le mani sugli occhi per non guardare, ed infine colpì la sua vecchia vicina di banco, senza causarle apparentemente alcun dolore.
Sonia era tornata nei pressi di André, mentre Annette e il suo fidanzato si erano fatti avanti; Hélène udì nuovamente un sibilo ed uno schiocco deciso sul retro della gonna, seguiti da un intenso senso di caldo e da un discreto livore su entrambi i glutei nascosti di sotto.
Annette aveva tenuto il conto, e voltandosi mentre brandiva in mano la cintura, vide la sola Edina che era rimasta in piedi alle sue spalle; disse allora ridendo: “Se ho contato bene, siamo solamente in diciassette!”; nessuno le dedicò particolare attenzione, ed allora ella completò l’opera rovesciando la cintura senza particolare convinzione.
Non restava che Edina, l’amica più intima tra tutte, la quale aveva compreso quale fosse il sentimento di disagio di colei che se ne stava in quel momento piegata in avanti sulla poltrona; avrebbe voluto concludere quello stupido gioco senza farsi notare, ma venne nuovamente raggiunta da Sonia e da André, che con aria concitata intendevano parlare a tutti i presenti. Allora ristette, ed attese che il marito della sua amica rivolgendosi verso il centro della sala, esclamasse: “Manca una persona, chi vuole darle l’ultima?”.
Nessuno si rese conto del fatto che Edina aveva a quel punto saltato il turno, e tutti si misero a ridere guardandosi intorno; Hélène volse allora il capo e vide nuovamente André fermo con la cintura nella sua mano destra. In quell’istante sentì la vagina schiudersi in modo inesorabile; aprì la bocca provando disperatamente a trattenersi.
Il marito di Sonia brandiva saldamente la cintura ed osservava la ragazzotta disposta sulla poltrona, come se intendesse prendere la mira per bene; Hélène era umida lì nel mezzo, ma provava inutilmente, a non dar da intuire nulla ai presenti. Era giunta sull’orlo del precipizio.
Fu colpita con l’ultima scudisciata, sentendo i fianchi che le vibravano e la pelle scuotersi una volta ancora; chiuse la bocca e spalancò gli occhi provando a fare finta di niente con una fatica indicibile, mentre tremava come una foglia: “Ooooh…”.
Venne raggiunta ed abbracciata da tutti quanti, in un’atmosfera di grande festa e di sfrenato divertimento; discese dalla poltrona senza dare conto di niente: aveva provato ancora una volta un inopinato piacere, sfiorando dolcemente il baratro della perversione, e della vergogna.


Diciottesimo episodio

Piazza San Cosimato in Trastevere, con le primissime foglie secche dell’autunno lungo tutto il lastricato, ricordava molto la Place du Grand Sablon nel centro di Bruxelles.
Hélène lo pensava, e intanto guardava il bicchiere di vino rosso mezzo vuoto poggiato sul tavolo avanti a sé.
Quella sera si festeggiavano i suoi diciannove anni, ed una nuova vita sembrava improvvisamente schiudersi davanti ai suoi occhi: Roma, La Ville Èternelle, e tantissime opportunità di incontri e di nuove emozionanti scoperte.
E già i due giovani camerieri che servivano nel ristorante, e che s’erano rivolti a lei chiamandola gentilmente mademoiselle, parevano osservarla in maniera oltremodo intrigante ed incuriosita; probabilmente andavano domandandosi se l’uomo seduto di fronte a lei, robusto e sportivo, fosse in realtà suo padre, o piuttosto un suo improbabile amico o compagno - del doppio della sua età.
In realtà Benoît non era nessuna delle due cose: s’era trasferito stabilmente in Rue Courtois da quasi un anno, per vivere con la madre di lei e con la sorellina Bianca.
Hélène si trovava bene con Benno – da qualche tempo lo chiamava così, in maniera completamente disinvolta e famigliare; ed era alla fin dei conti, la persona con cui si sentiva maggiormente a proprio agio, in mezzo all’ipocrisia di tutto il resto del suo piccolo ambiente.
Si era spinta perfino a parlare di sesso insieme con lui, durante le ultime due settimane trascorse da soli in Italia: ma certamente si capiva benissimo come lui la considerasse ancora poco più che una bambina. Lei ci rimaneva male, ma in fondo finiva per suscitare nel compagno di sua madre, solamente un bel po’ di ilarità e di compassione.
Eppure, Benoît non lo poteva neppure immaginare, che il suo primo, inatteso orgasmo, la mademoiselle Hélène lo avesse sperimentato proprio in sua compagnia.
Ma non si era trattato affatto di un orgasmo normale, come molti altri; Hélène se ne vergognava assai e non glielo avrebbe rivelato per nessunissima ragione al mondo, ma era venuta in modo inopinato e sgraziato, un bel giorno di circa due anni addietro, mentre era con tutta quanta la famiglia in campeggio a trascorrere le vacanze estive.
Aveva combinato tutto quanto il pasticcio di testa propria: dapprima provando a farsi notare dall’uomo di sua madre, atteggiandosi in maniera goffa e ridicola come sempre; poi non contenta, ella s’era data anche parecchio da fare, pur di causare un qualsiasi tipo di reazione in lui: fino al punto di arrivare a rompere intenzionalmente la lenza della sua canna da pesca, per destare la sua attenzione.
Si era ritrovata così da sola chiusa in bagno; lì aveva immaginato di venire punita da lui, con gli sculaccioni: aveva destato la sua attenzione, ma non abbastanza.
Hélène afferrò il bicchiere e fece cenno di voler brindare di nuovo: i suoi piccoli occhietti neri dovevano brillare un bel po’ a causa dell’ottimo rosso aglianico, e Benoît prese così ad evitarne accuratamente lo sguardo; forse temeva che a furia di bere, Hélène potesse lentamente lasciarsi abbandonare a nuovi ed inappropriati atteggiamenti un po’ troppo lascivi.
A quel punto la ragazzotta iniziò a sentire la testa che le girava a causa del vino; l’uomo di sua madre allora le strinse la mano e la condusse via con sé: presero un taxi fino all’albergo Fiorenza, dove infine le fece indossare la sua elegante camicia da notte, prima di rimboccarle le lenzuola come un’innocente bambina addormentata.


Diciannovesimo episodio

Sorrise mostrando una dentatura perfetta di colore giallo opaco. Aveva gli occhi neri con la cornea rigonfia di vene rosso sangue.
Volle per forza conoscere il suo nome, e Hélène fu costretta suo malgrado a presentarsi; ma per sua fortuna, il proprietario del piccolo negozio di frutta e verdura richiamò subito all’ordine il ragazzo, di nome Samir, tirandolo via per un orecchio. Lo mise a tacere.
Hélène si allontanò trafelata, con due pesanti buste della spesa da trasportare via con sé; dopo soli pochi metri si voltò indietro, mentre era già lungo la strada; e vide nuovamente il ragazzetto africano che la sbirciava: capì in quell’istante, che egli le stava fissando insistentemente il sedere, e provò in quella circostanza un bel po’ di vergogna.
Fece ritorno al Convitto delle donne, nella vicina via di San Giovanni in Laterano, trascinandosi dietro le sue buste. Benno era partito, e la sua nuova residenza era adesso una specie di convento di suore, un luogo austero e silenzioso; lì divideva la sua dimora con Chiara, una ragazza bionda, piuttosto elegante e minuta proveniente da una cittadina di provincia nello sperduto nord d’Italia, di nome Vercelli.
Era tutto estremamente strano, quasi inverosimile: la residenza le era stata pagata quindici anni addietro dal suo vero genitore, che mai Hélène aveva conosciuto di persona in vita sua; con chiaroveggenza e mente illuminata, le aveva lasciato in eredità un prestigioso Corso di Laurea in Diritto presso la celebre Università Lateranense in Roma, con la retta e la residenza già pagate. Se poi si fosse anche laureata entro cinque anni, avrebbe ricevuto come suo ultimo lascito, nientedimeno che un ricco assegno da un milione di franchi.
Era tutto strano e meravigliosamente bello: ma adesso c’era anche la terribile complicazione dello studio, e le difficoltà di Hélène con la lingua italiana si assommavano anche al suo oramai completo ed acclarato disinteresse, verso qualsiasi tematica legata al diritto e alla legge.
Hélène era cresciuta studiando materie artistiche, e adesso si ritrovava invece a disquisire di quibus e di cavilli vari, e semplicemente la cosa non le andava affatto a genio. Se n’era fatta una ragione, solamente in virtù del fatto di poter vivere in Italia, ma certamente le nuove materie di studio non le piacevano per nulla.
La sua compagna di stanza si sforzava parecchio di aiutarla; erano state messe in appartamento assieme, dal momento che la ragazza di Vercelli parlava abbastanza bene il francese.
Chiara era una studentessa modello, una ragazza attenta e scrupolosa, e durante le lezioni prendeva sempre moltissimi appunti; Hélène finì ben presto per affidarsi completamente a lei, al punto che in aula era spesso svagata e con la testa persa tra le nuvole.
Come compagna di stanza poi, Chiara era piuttosto riservata e discreta; tuttavia, non era sfuggito a Hélène il fatto che tutte le sere, lei si chiudesse nella sua cameretta per parlare al telefono assieme al suo ragazzo. Parlottavano a lungo, e quest’ultima finiva spesso per sospirare e mugolare in modo sommesso e delicato dentro al microfono; dopo un po’ di volte, apparve lampante a Hélène, come la sua compagna d’appartamento si toccasse e si lasciasse andare al piacere durante quei lunghi momenti di abbandono.
Un giorno poi, mentre Chiara era uscita in giro a fare delle spese, Hélène decise di frugare un poco dentro al suo armadio e dentro ad alcuni suoi cassetti, senza alcuna vergogna: vi ritrovò un bel po’ di indumenti eleganti, di biancheria intima piuttosto succinta e provocante, con mutandine sottilissime e trasparenti; fino anche ad una guêpière in pizzo delicato e ad un paio di vaporosi reggicalze in cotone e di raso scuro.
Apparve completamente evidente a Hélène, come la sua compagna d’appartamento coltivasse una specie di duplice identità: estremamente precisa e puntigliosa nello studio, ma poi libera e sensuale ai limiti della provocazione, nella propria vita privata; ed in quell’istante Hélène provò anche un senso di profonda tristezza e di squallore: non aveva mai avuto un fidanzato in vita sua, ed era ancora, tristemente vergine.
In verità, a Chiara aveva raccontato qualcosa di ben diverso, dal momento che le aveva rivelato di aver avuto una lunga storia d’amore ai tempi del liceo, a Liegi, con un ragazzo di poco più grande di lei. Ma non era vero nulla. Le sue uniche esperienze di sesso, infatti, Hélène le aveva avute in camera sua, sotto le lenzuola; aveva scoperto infatti di amare molto sfiorarsi mentre era dentro il letto, ma nulla di più.
Aveva veduto le sue amiche d’infanzia crescere, fidanzarsi una alla volta, ed infine perdere tutte quante la loro verginità; una di loro, Sonia, aveva anche avuto una meravigliosa bambina, nata da appena due settimane.
Ma se n’era dovuta fare una ragione per il momento.
Sorrise nuovamente, mostrando la sua dentatura perfetta di colore giallo opaco. Questa volta il ragazzetto africano di nome Samir la fissò in volto, e subito si propose per aiutarla a trasportare le sue pesanti buste con la spesa; Hélène era sudata ed accaldata, ed alla fine accettò un po’ controvoglia.
Durante il non breve tragitto, che a Hélène dovette apparire comunque lunghissimo, prese a parlarle nella sua stessa lingua, chiedendole da dove venisse, e che cosa facesse lì da sola in Italia. Era davvero invadente, come solo gli uomini africani sanno esserlo, e dopo solamente pochi metri di strada Hélène si pentì amaramente di avere accettato il suo aiuto. Giunta poi dinanzi all’entrata del Convitto, dovette ribadire per almeno tre volte in maniera quasi scortese, che non era assolutamente consentito a nessun uomo, di varcarne la soglia d’ingresso.
Allora Samir fece finalmente cenno di volersene tornare al negozio, ma poi un attimo prima di allontanarsi, le sussurrò pian piano sottovoce: “Posso chiederti una cosa madame? … posso tirarmi una sega pensando a te madame? …”.
Hélène provò un misto di ribrezzo e di pena per lui; gli diede una moneta e gli disse di andare. Quando infine si voltò lui da lontano, le stava fissando ancora ed insistentemente il sedere.


Ventesimo episodio

Il Professor Ducré era con ottima probabilità, l’autentico spauracchio dell’intera Università. Tutti gli studenti del primo anno provavano un vivo timore nei suoi confronti, e dei suoi esami si narravano aneddoti drammatici, di plateali bocciature e di giudizi disastrosi.
Hélène riusciva a comprenderlo meglio rispetto agli altri professori, dal momento che egli parlava in italiano con tono fermo e deciso; ma al solo pensiero di dover affrontare l’esame di Diritto Privato dinanzi a lui, provava paura e brutti presentimenti.
Sperava solamente che il tempo le venisse in aiuto, e che riuscisse nel periodo che la separava di lì agli esami, a divenire sufficientemente brava e preparata da poterlo affrontare al meglio. Tuttavia, non le sfuggiva l’atteggiamento assertivo e autoritario delle sue espressioni. Lo immaginava come un antico insegnante del secolo scorso, con la bacchetta in pugno, atto a dispensare bocciature e dolorose stilettate a tutti i suoi studenti.
Teneva tutte le lezioni con una mano infilata dentro alla tasca, mentre con l’altra gesticolava, recitando a braccio articoli e sentenze in maniera pomposa e solenne: “… atti attraverso i quali un soggetto dichiara di essere a conoscenza di un fatto giuridico …”. Hélène lo guardava ammirata e spaventata, seduta in terza fila accanto a Chiara.
Aveva iniziato a rinfrescare l’aria, e alla loro sinistra stava seduta una ragazza mora e longilinea con una sciarpa di lana avvolta attorno al collo; si fece avanti spontaneamente, era argentina di Buenos Aires ed il suo nome di battesimo era Paula; senza tanti giri di parole, domandò a Hélène in un italiano misto di spagnolo, se fosse lei la ragazza belga che abitava al Convitto.
Hélène ristette un istante, meravigliata dal fatto che ella era al corrente della sua nazionalità e della sua dimora; dovette guardare Paula con un certo sospetto, al punto che quest’ultima si volle quasi giustificare dicendo: “… lo sento … cioè, mi dispiace … volevo solo sapere come è, questo posto qui …”. Appariva un po’ imbarazzata, ma determinata nel suo intento, di avere qualche informazione sul luogo dove Hélène abitava.
Quest’ultima cercò faticosamente di esprimersi in italiano, e con una certa fretta replicò: “… è molto piccolo, ed è molto silenzioso, ma dentro è tutto pulito e …”; fu interrotta nuovamente: “Quanto costa la retta?”, chiese esplicitamente Paula.
Allora Hélène fece cenno di non capire: non conosceva ancora il significato della parola retta; Paula si fece leggermente impaziente in viso, aveva la forte sensazione di perdere il suo tempo con quella conversazione così lunga e complicata, e infine chiarì meglio: “… i soldi, l’affitto, come si chiama ?…”; Hélène allora diventò tutta rossa in volto, non aveva davvero alcuna idea di quanto costasse la retta mensile del suo appartamento; del resto le era stata pagata con l’eredità del suo genitore.
Si volse allora verso Chiara, alla sua destra, la quale nel frattempo stava trascrivendo alcuni appunti.
Chiara si liberò il viso dai lunghi capelli biondi, e sorrise amabilmente alla ragazza argentina che era seduta due posti più in là; poi senza attendere oltre rispose: “Sono circa quattrocento euro al mese per l’appartamento in due …”; “Compartito? …” chiese Paula, e subito si corresse: “… per due persone intende?”; “quattrocento euro al mese per ciascuna persona” concluse Chiara, senza aggiungere molto.
Hélène comprese che le due ragazze non si erano capite, ma non fece nulla per spiegare meglio; Paula disse qualcosa in spagnolo, ma sembrava abbastanza scocciata.
La lezione riprese, e stavolta il professore aveva assunto un tono davvero incalzante, al punto che parve persino infervorarsi in un certo momento, mentre descriveva la sacralità del diritto e l’universalità del suo significato.
Il successivo lunedì, durante l’intervallo, mentre tornava dal bagno, Hélène rivide Paula seduta vicina a Chiara, nella stessa fila della volta precedente; avevano iniziato a parlare e sembravano esprimersi in modo aperto ed amichevole; ebbe una sensazione strana, come se andassero tramando qualcosa alle sue spalle, ma certamente non era così.
Si avvicinò e questa volta si dovette accomodare sul lato destro, accanto a Paula; le due andavano parlando di un appartamento che si stava liberando e di altre ragazze spagnole che se ne stavano andando. L’inizio della lezione le costrinse però a tacitarsi fin da subito.
La sera stessa, mentre Hélène stava ripulendo il tavolo per la cena, ed un odore abbastanza pesante di verdura bollita riempiva tutto il piccolo locale, Chiara entrò in cucina ed esordì dicendo: “Ce ne andiamo! Che te ne pare a te?!? … andiamo a vivere in un appartamento fuori da questo mortorio …”, e si mise a ridere.
Hélène si voltò verso di lei, mentre la pentola già bolliva schizzando leggermente fuori in tutte le direzioni.
Chiara riprese: “L’appartamento di Paula si libera, le due coinquiline se ne tornano in Spagna, sono meno di mille euro al mese in tutto !!!”.
Parlava con un tono deciso ed entusiasta, e con un’espressione che mai fino a quel giorno Hélène le aveva veduto in volto; sembrava vivamente eccitata e carica di aspettative. Hélène spense il fuoco e si pulì le mani sul grembiule, che infine sfilò rimanendo in tuta; poi la guardò con i suoi occhi piccoli ed inespressivi, e prese subito a pensare alla retta già pagata, e al fatto di non poter lasciare quel posto.
Chiara dovette intuirlo, e si fece immediatamente più scura in viso; poi riprese ancora: “Stai pensando che non puoi venire vero? Che hai la retta pagata per tutto il tempo? Ma fino a quando te l’hanno pagata?”.
Hélène ristette, ed abbassò lo sguardo; poi riprese con voce sommessa: “Mio padre io non l’ho mai conosciuto … è morto quindici anni fa … ma l’anno scorso quando ho compiuto i diciotto anni, mi è arrivata una lettera con la sua eredità …”; non resistette oltre e si mise a piangere.
Chiara si avvicinò per consolarla, ma Hélène subito si ricompose asciugandosi le lacrime dal viso: “… era stato anche lui qui in questa Università … e aveva voluto offrirmi la possibilità di studiare come lui …”; ed infine alzando la testa e mettendosi una mano nei capelli, concluse: “ma a me questi studi non interessano davvero per nulla”.
Chiara fu come sorpresa, dalla durezza e dalla determinazione della sua compagna d’appartamento; si allontanò nuovamente verso il tavolo, e alla fine le domandò: “Ma allora … perché sei venuta quaggiù a studiare ?!?”; Hélène prese un piatto dal mobiletto sopra il lavandino, e chiosò: “Avrei fatto di tutto, pur di lasciare Liegi e soprattutto per non vivere più con mia madre …”.
Finita la cena, Chiara si rinchiuse come sempre dentro alla sua stanzetta, e Hélène rimase da sola a lavare i piatti nella cucina; quest’ultima alla fine chiuse il rubinetto e fece per entrare nella sua camera da letto; fu lì che avvertì in modo nitido, dei sospiri provenienti dalla stanza di Chiara. E allora si avvicinò alla porta senza fare rumore, e si piegò in avanti per guardare attraverso la serratura.
Intravide con molta difficoltà la sua coinquilina di spalle, seduta sul letto; aveva la gonna con le pieghette tenuta su che le ricadeva sul lenzuolo, e le braccia riverse sul davanti. Tratteneva il telefono stretto sotto alla guancia, nascosto in mezzo ai suoi lunghi capelli biondi. Ad un certo punto si lasciò cadere all’indietro, con tutta la schiena distesa sul letto, e finalmente Hélène vide la mano di Chiara infilata in mezzo alle cosce, muoversi dolcemente tra una sottile peluria delicata.
Hélène arretrò, era quasi spaventata. Non aveva mai visto una ragazza toccarsi, e provò un vivo imbarazzo misto a un filo di vergogna: si sentiva sola e insoddisfatta, ed iniziò a nutrire un profondo senso di gelosia nei confronti della sua compagna d’appartamento.
L’argomento del cambio di residenza fu solo apparentemente abbandonato: Paula riprese a parlarne con le due ragazze già all’indomani, come se la decisione fosse stata già intrapresa. Mancavano solamente dieci giorni alla scadenza del contratto d’affitto, e la cosa andava sbrigata con assoluta urgenza.
Propose a Chiara e Hélène di visitare quel luogo, la sera stessa di quel mercoledì.
Era in programma un aperitivo organizzato dalle due ragazze spagnole di Girona, la cui partenza era oramai imminente, assieme ad altri tre loro amici; così Paula pensò bene di cogliere l’occasione, l’appartamento sarebbe stato certamente molto ben pulito e ordinato, per mostrare l’abitazione anche alle sue nuove compagne di Università.
Chiara accolse subito l’invito, e fu Hélène a doverle ricordare a malincuore, lo stringente orario da coprifuoco del Convitto in cui si ritrovavano: non avrebbero potuto rincasare oltre la mezzanotte.
Erano uscite assieme in pochissime circostanze all’infuori dell’Università. Non avevano infatti ancora trovato dei buoni amici con cui andarsene in giro, e Hélène era una ragazza abbastanza attenta e prudente: le era stato detto di prestare sempre molta attenzione agli uomini italiani.
Ma per l’occasione le due studentesse decisero di farsi belle: Hélène imitò la propria compagna, e scelse una gonna nera lunga e stretta proprio come quella di Chiara; sembravano veramente due collegiali in divisa, mentre vestite quasi allo stesso modo, si preparavano per uscire. Hélène vi aggiunse una giacchetta di sottile raso scuro, sopra una camicetta bianca di seta. Chiara invece indossò una canottierina azzurra, ed una specie di spolverino bianco.
Uscirono tenendosi per mano, e si incamminarono verso la fermata dell’autobus, ridendo e scherzando tutto il tempo.
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