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Il proprietario - I
di Menteannebbiata
09.05.2024 |
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"-"come ti trovi nell'appartamento?" mi chiese appena seduto sul divano..."
Sono nato e cresciuto in Francia da genitori italiani. L'italiano, e più in generale la madre patria hanno sempre avuto un posto speciale nel mio cuore così come in quello dei miei genitori. Non è quindi una sorpresa che finito il liceo io abbia preso in considerazione l'idea di incominciare l'università in Italia. Certo, questo voleva dire abbandonare il nucleo famigliare nel quale ero nato e cresciuto per trasferirmi in fin dei conti in un Paese nel quale ero stato solo saltuariamente - per lo più in vacanza dai miei nonni -, ma ai miei genitori l'idea di farmi studiare nel loro Paese natio piaceva particolarmente, di modo che la decisione fu infine presa.
Avrei cominciato i miei studi a Milano.
Ci mettemmo quindi alla ricerca di un alloggio confacente e dopo una lunga selezione, riuscimmo a trovare un appartamentino che potesse fare al caso mio. Si trattava di un grazioso monolocale al quinto piano di una palazzina poco fuori dal centro di Milano. Il proprietario, un uomo sui 70-75 anni, alto e con una pancia prominente, con una voce ferma, due occhi neri e i capelli corti brizzolati, aveva trovato un accordo con mio papà. L'affitto, il cui importo era tutt'altro che indifferente, era stato concordato con lui e la durata del contratto avrebbe potuto essere estesa secondo necessità ed in particolare in funzione della durata dei miei studi.
Mi trasferìi quindi a Milano nel corso dell'estate pronto per cominciare i miei studi in ingegnieria.
Legai subito con molti amici ed intrecciai anche una relazione con una ragazza molto carina di Roma, che studiava anch'essa a Milano.
Non nascondo di essere un bel ragazzo. I miei 70kg, ripartiti su quasi 1.77m di altezza, mi davano un'aria slanciata, sicura, tonica e mi facilitavano senza dubbio la scelta dell'abbigliamento. D'altronde passavo buona parte delle mie serate in palestra o al campetto con gli amici di corso e la forma fisica non era quindi mai stato un problema.
Il primo semestre passò così senza intoppi. Mi godevo la vita universitaria prestando sempre attenzione agli studi. Non intendevo infatti farli durare più del necessario visto anche l'onere finanziario che pesava sui miei genitori in Francia.
Ed ero sicuramente sulla buona strada, sennonché nel corso del secondo semestre del secondo anno cominciai ad avere più difficoltà nell'eccellere a scuola. I risultati rasentavano la sufficienza e non potevo permettermi passi falsi motivo per cui le difficoltà riscontrate in un particolare corso rischiavano di rivelarsi determinanti sul buon esito del secondo anno.
Era un corso dato da un giovane professore, sui 35-40 anni, con il quale non c'era molto feeling e, anzi, a dirla tutta pareva proprio che gli stessi sulle scatole.
Ogni mio progetto veniva fortemente criticato e bocciato e con il passare delle settimane cresceva la preoccupazione di non riuscire a passare l'anno.
Mi ritrovai quindi bloccato a Milano anche durante l'estate, cercavo di recuperare freneticamente le insufficienze appioppatemi da questo professore tanto giovane quanto rigido.
Una sera, rincasando, incrociai sulle scale del palazzo il proprietario del mio monolocale (che abitava al terzo piano in un ben più ampio appartamento e con il quale avrò sin lì avuto a che fare non più di tre volte) mentre parlava con chi? Con il professore che tanto mi stava dando noie. Vi giuro che malgrado avessi bene in mente che il cognome fosse lo stesso, mai mi sarei sognato di pensare che i due fossero imparentati, tantomeno padre e figlio. Eppure era così. Al mio sguardo sorpreso, il professore mi guardò con curiosità riconoscendomi, e si affrettò a dire
-"Non si preoccupi non sono qui per darle un'altra insufficienza...sono venuto a trovare il papà".
Era un inaspettato colpo di fortuna. Non sapendo più che pesci pigliare, avrei potuto avvicinare il padre per cercare di rabbuonare il figlio professore e chissà...ottenere la tanto desiderata promozione.
Decisi quindi di aspettare qualche giorno e infine, un pomeriggio verso le 16.00, quando l'asfalto rovente di Milano impedisce a chiunque di uscire di casa, andai a bussare alla porta del proprietario con una scatola di cioccolattini.
Il 75enne aprìi la porta e mi squadrò da capo a piedi, la sua massa imponente copriva quasi interamente la porta e i suoi occhi neri si piantarono sui miei.
- "si?" fece lui.
Abbozzai un sorriso e spiegai succintamente il mio problema in una frase. Gli spiegai che avevo appreso che suo figlio era il mio professore e che questi pareva essersi impuntato su di me e che forse lui avrebbe potuto aiutarmi.
L'omone mi risquadrò da capo a piedi questa volta inarcando un sopracciglio e dopo una pausa di alcuni secondi (che a me parevano essere minuti) disse:
-"entra, lo bevi un caffè?".
Annuìi e lo seguìi chiudendo la porta d'entrata dietro di me.
-"dai che è fatta!" pensai mentre mi accomodavo in salotto.
L'appartamento del proprietario era arredato con molto gusto, con mobili moderni e di valore. Nel salotto c'era un grande divano in pelle bianca con due poltrone della stessa collezione, rivolte tutte verso una grande televisione a schermo piatto attaccata al muro. L'occhio mi cadde su un tavolino di cristallo posizionato da parte al divano, sul quale giaceva un grande posacenere anch'esso di cristallo nel quale era adagiato un sigaro cubano con due centimentri di cenere all'estremità, indizio inequivocabile che al vecchio piacesse rilassarsi con un sigaro davanti alla televisione.
Il pezzo forte della sala erano le finestre che davano sul cortile interno del palazzo. Erano due grandi arcate sormontate da due enormi tende che rasentavano il pavimento e che lasciavano passare pochi raggi solari del caldissimo sole estivo italiano.
Mi accomodai sul divano e venni raggiunto poco dopo dal proprietario che mi tese un piccolo vassoio dorato con una tazzina di caffé, latte e zucchero.
-"come ti trovi nell'appartamento?" mi chiese appena seduto sul divano.
Gli risposi che in questi due anni mi ero trovato molto bene e che in estate non era troppo caldo. Parlammo poi del più e del meno per una trentina di minuti e mi stupìi nello scoprire che l'anziano era una persona molto colta, con un tono di voce piacevole e con un senso dell'humor che a casa avrei definito molto "agréable" (gradevole).
Dopo aver scambiato le nostre opinioni su un buon numero di temi, lo interruppi e gli esposi nuovamente il mio problema. Avevo bisogno del suo aiuto! Poteva forse mettere una buona parola con suo figlio?
Lui tolse gli occhiali, mi piantò addosso i suoi occhi neri e disse:
-"ti confesso che mi stai chiedendo un grandissimo favore. Non so se hai notato dai nostri toni l'altro giorno, ma io e mio figlio non andiamo molto d'accordo da quando io e sua madre divorziammo".
Si alzò e si risiese subito dopo, un poco più vicino a me.
Mi guardò nuovamente e mi disse:
-"sembri proprio un bravo ragazzo ma mi dispiace, non penso di poterti aiutare. Ma devo dirti che quando sei passato via l'altro giorno, mio figlio mi ha confessato che contava di bocciarti anche al prossimo esame scritto. Mi dispiace".
Rimasi a bocca aperta. Ero disperato. Mi presi la testa fra le mani preso da rabbia, rassegnazione e grande tristezza. Non avevo nessuna intenzione di deludere i miei genitori.
Il proprietario nel frattempo aveva accavallato le gambe, aveva allungato la mano e aveva preso il sigaro che giaceva spento nel grande posacenere di cristallo per portarselo alla bocca. Lo sentìi accendere un fiammifero e tirare due o tre boccate prima che il profumo di tabacco giungesse al mio naso.
Rialzai la testa, lo guardai e gli dissi:
-"per favore, almeno mi dia un consiglio su come fare ad entrare nelle grazie di suo figlio".
Il vecchio fece una smorfia e alzò le spalle.
-"Gli deve parlare e chiedere di farmi passare" ribadìi guardandolo con uno sguardo serio.
- "È un grande favore che mi chiedi. Ogni volta che chiedo qualcosa a mio figlio lui me la fa pesare e mi tiene al telefono per un'ora rimproverandomi il divorzio da sua madre".
-"La prego" insistetti, "contraccambierò il favore!".
- "Come?" mi disse lui con un sorriso che tradiva la convinzione di non necessitare nulla da me.
- "Mi dica lei...qualunque cosa".
- "Qualunque cosa?" ripetè lui con un'espressione divertita e sfiorandomi la mia mano con la sua.
Rimasi un attimo in silenzio ritraendo leggermente la mano pensando ad un contatto fortuito.
Poi lo guardai e ripetei a mia volta con convinzione.
- "Qualunque cosa".
Seguì un lungo momento di silenzio al quale il proprietario mise fine dicendo:
-"sai...mia moglie ha chiesto il divorzio perché avevo altre relazioni. Tante altre relazioni. Con ragazze e con ragazzi più giovani".
Lo guardai con fare interrogativo.
-"Hai già fatto una sega ad un uomo?" mi chiese così di punto in bianco.
Rimasi a bocca aperta non sapendo cosa rispondere.
-"Rispondimi, hai già fatto una sega ad un uomo?"
-"N-no. Mai. Sono fidanzato con una ragazza. Mi piacciono le ragazze" Belbettai.
-"Lo faresti?" continuò lui noncurante.
Non risposi, lo guardai incredulo.
Il vecchio, senza togliermi lo sguardo di dosso sospirò come un maestro sospira quando uno scolaro risponde in modo sbagliato al terzo tentativo. Scavallò le gambe, aprì il bottone dei pantaloni, poi la cerniera e tirò giù i pantaloni rimanendo seduto sul divano di pelle bianca.
-"Guardalo...guardalo!" mi disse con tono fermo.
Io guardai il suo uccello.
-"Vuoi il mio aiuto? Ve bene...ma tu fai qualcosa per me".
Esitai. Provavo repulsione e non ero certamente attirato da quella visione.
Feci una smorfia alla quale il vecchio rispose con un:
-"vabbè se non vuoi il mio aiuto..."
E fece per prendere i pantaloni e rialzarseli.
Lo fermai con un flebile
-"Ok...ok".
La frase mi si era strazzata in gola.
Il proprietario mi guardò con un ghigno, si riaccomodò e mi disse:
-"prendilo in mano".
Io allungari la mano e afferrai quel membro caldo che, seppur molle lasciava presagire dimensioni notevolissime.
-"Muovi su e giù che mi diventa duro...dai".
Io repressi ogni disgusto e strinsi le mie dita attorno al suo pene incominciando una lenta sega.
Lo sentivo che si induriva piano piano nella mia mano fino a quando mi sono ritrovato con il suo cazzo completamente eretto nel palmo della mia mano. Cercavo di non guardarlo ma sentivo che le dimensioni erano importanti. L'anziano aveva un'erezione di tutto vigore ed era dotato di un uccello grosso, venoso, condito alla base da peli pubici grigi accorciati con cura.
Mentre segavo lentamente lui cominciò a sospirare, e lascio cadere la testa all'indietro sullo schienale del divano in pelle bianca. I gemiti si sussegguivano e diventavano sempre più forti fino a quando, dopo 15 minuti che mi sono sembrati un'eternità lui mi disse gemendo:
-"Ughhh...Guardalo!".
Io guardai e nel medesimo istante il suo cazzo eruttò un denso getto di sborra calda che ricadde come una lunga corda bianca sulla mia mano, ancora avvinghiata all'uccello.
Inutile sottolineare la mia confusione. Non capivo nemmeno dov'ero mentre il vecchio mi ringraziava e mi puliva la mano con un panno.
Prima di congedarmi mi disse:
-"Domani passa da me alle 18, così chiamiamo al telefono mio figlio e vediamo di trovare una soluzione".
-"Ok...mugugnai" e feci ritorno a casa.
Dormìi malissimo. Mi chiedevo che cazzo stessi facendo e riversai il mio risentimento rispondendo male a mia madre durante l'abituale telefonata serale.
Il giorno dopo continuai a riflettere e mi autoconvinsi che in fondo non era mica nulla di grave. Avevo fatto una sega al vecchio e quindi? Lui mi avrebbe aiutato a passare l'anno e solo questo contava. Alle 17 bevvi due o tre bicchieri di vino, mi feci coraggio e andai a bussare alla porta del proprietario.
Mi aprì subito. Indossava una vestaglia di raso rosso con pantofole e sigaro in mano. Aveva stampato un grande sorriso sulle sue labbra e mi accolse in casa come se fossimo amici da sempre.
-"Chiamiamo suo figlio per favore" dissi io appena entrato.
-"Beh certamente, ma sta terminando una conferenza quindi dovremo aspettare non più di una mezzoretta".
-"Torno dopo allora?" chiesi seccato.
- "No no, vieni con me" mi disse il proprietario.
Lo seguìi e mi condusse in salotto dove, sul divano in pelle era posata una grande scatola bianca con la scritta "intimissimi".
Lui la prese e me la porse. Io aprì la scatola e vidi un completino nero di raso composto da un tanga, un reggiseno, e delle autoreggenti.
-"Che significa?" chiesi seccato e con una punta di preoccupazione.
-"Indossali" rispose lui.
La preccupazione si trasformò in paura.
-"C-come? Perché?" balbettai.
-"Io aiuto te e tu aiuti me, ricordi? Pensavi che una semplice sega di 10 minuti fosse sufficiente?".
-"No!" dissi io. "È troppo, non ci penso nemmeno".
Il telefono squillò in quell'istante. Il proprietario allungò la mano, prese il telefono e rispose. Era il il professore.
-"ciao ti ho chiamato prima si, volevo chiederti un grande favore ma ho un piccolo problema, posso richiamarti fra 10 minuti? Grazie!". Appese e mi guardò...
-"Era mio figlio...che faccio, gli chiedo quel favore o no?"
Una lacrima di rabbia mi solco una guancia. Tolsi la maglietta con rabbia e la gettai contro il vecchio, che soddisfatto della mia decisione si sedette sul divano fumando il sigaro mentre mi guardava.
Rimasi prima completamente nudo. Il mio corpo muscoloso e longilineo, depilato per i numerosi impegni sportivi era appena illuminato dalla luce che filtrava dalle grandi finestre.
Indossai il perizoma, le autoreggenti e il reggiseno. Il vecchio indicò poi un sacchetto adagiato ai piedi del divano.
-"Anche quelle" disse.
Mi chinai, cercando di nascondere il culo coperto solamente da uno strato di tessuto, aprìi il sacchetto e ne estrassi due scarpe con il tacco a spillo. Di colore nero laccato. Erano della mia taglia.
-"Pezzo di merda" mormorai, e le indossai.
Ero ora in piedi davanti a lui. Vestito da troia a malapena in equilibrio sui quei tacchi da 12 centimetri quando il telefono squillò nuovamente.
Il vecchio aprì la vestaglia ed espose un uccello durissimo, poi prese il telefono e risposte.
Fine parte 1.
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