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Le vacanze di René - 20


di July64
14.07.2017    |    27.265    |    9 9.3
"“Grazie, Annette”, le dissi “è stata una bellissima dichiarazione e ti assicuro che cercherò di essere all’altezza del mio compito e di essere un bravo padre..."
Le vacanze di René – parte ventesima


Che dire della mia vita? Il sogno di ogni adolescente che si realizza oltre ogni aspettativa. Non avrei mai immaginato che la mia esistenza parigina di giovane studente potesse mutarsi in modo così radicale e così piacevolmente sconvolgente. La mamma, le zie, mia sorella Virginie, persino la nonna erano mie amanti e innamorate. Il mio amore più grande, lo sosterrò all’infinito, era comunque mia madre, che ormai viveva il nostro rapporto con una naturalezza disarmante. Spesso, la mattina, se non ero già sveglio, mi si avvicinava e mi riempiva di baci languidi, che spesso si tramutavano in un furioso combattimento delle nostre lingue e costituivano il preludio di una seduta di sesso sfrenato, davanti a chiunque passasse nei dintorni. Non importa che fosse mio padre, il nonno, le sorelle, ormai non avevamo più alcun pudore.

E questo comportamento aveva per modo di dire “contagiato” tutti gli abitanti di quell’isola di paradiso. Certo, nessuno trascurava i compiti che ci eravamo di comune accordo affidati, ma se nel mezzo del mattino zia Jen, terminate le sue faccende, aveva voglia di coccole, si avvicinava a me, si inginocchiava e me lo prendeva in bocca, così senza preliminari. Altrettanto faceva zia Juliette, per non essere da meno della sorella, con mio grande godimento. Così assumemmo l’abitudine di andare in giro completamente nudi. Un po’ per comodità, un po’ per evitare di consumare gli ultimi abiti che eravamo riusciti a recuperare dalla barca, per utilizzarli nel caso la temperatura fosse calata. Anche ai tropici arriva l’inverno, anche se si presenta in giugno e nonostante le temperature fino a quel momento fossero sempre state gradevolissime. Del resto era una consuetudine introdotta da mia sorella Virginie: la ricordo ancora, quando venne a trovarmi in spiaggia, completamente nuda e disse che da quel momento in poi non avrebbe più indossato vestiti e che tutti avremmo dovuto abituarci a questa nuova condizione.

La mia piantagione di “riali” cresceva sempre più rigogliosa. Le mie annaffiature giornaliere avevano conferito agli arbusti un aspetto sano e vigoroso e i frutti spuntavano e maturavano quotidianamente. Ben presto ci trovammo nella necessità di doverli consumare, peraltro con grande piacere, perché la produzione era talmente copiosa che ci sarebbe sembrato un vero peccato lasciarli cadere dalle piante senza mangiarli.

Questa particolare circostanza provocava una vera e propria tempesta ormonale continua in tutti noi. Nel corso della giornata non c’era un attimo nel quale due, tre o più di noi non fossero impegnati in attività sessuale sfrenata. Le più assatanate sembravano la nonna e zia Jeneviéve. Entrambe prediligevano le gioie del sesso anale, la nonna per averle appena scoperte e la zia Jen per averne fatto una ragione di vita. Ad ogni modo non perdevano occasione per farsi inculare da ognuno di noi, che fossi io, il nonno, zio Marcel o mio padre.

L’unica che ancora resisteva era sempre mia sorella Jacqueline, la cui ostinazione a non concedersi era addirittura più forte del potere del “riali”: eppure ne mangiava, ma su di lei non sembrava che avesse lo stesso effetto che produceva sugli altri. E nessuno di noi maschi, sia pure in stato di continua eccitazione provocato dal frutto dell’amore, le aveva mai mancato di rispetto o aveva tentato un approccio.

Una sera (era trascorso oltre un mese dal nostro naufragio, secondo i calcoli di Jacqueline, che annotava meticolosamente su di un calendario il trascorrere dei giorni) mentre eravamo a cena, tutti seduti in cerchio e stavamo chiacchierando di come avessimo trascorso la giornata… scopando come pazzi, zia Juliette, con espressione molto seria, attirò la nostra attenzione.

“Miei cari” esordì la zia, “ho bisogno di dirvi qualcosa di importante, anzi di vitale per la nostra comunità.” Le nostre conversazioni si interruppero istantaneamente. Eravamo tutti muti, con i visi rivolti verso di lei, che mostrava un’espressione assai preoccupata.

Io sono il medico di questa famiglia. Per fortuna stiamo tutti bene. Ho salvato i miei strumenti con i quali periodicamente vi visito e posso rassicurarvi tutti sulle vostre buone condizioni di salute. Stiamo conducendo una vita straordinaria, salutista, mangiamo frutti e pesci che la natura ci offre generosamente, ma non sappiamo quanto dovremo ancora restare qui.

Sappiamo che ogni giorno Marcel, Julien, René e anche noi donne andiamo in spiaggia per scrutare l’orizzonte e controllare che in lontananza non si scorga la sagoma di qualche nave, cui inviare un richiamo di soccorso. Abbiamo predisposto cataste di legna sulla spiaggia in modo da accendere dei falò di segnalazione in caso di avvistamenti. Ma sinora non è accaduto nulla.

Non che mi dispiaccia: qui stiamo così bene, io personalmente resterei qui tutta la vita. Stiamo fra persone che si amano profondamente, facciamo l’amore dalla mattina alla sera, ma proprio questo è il problema: la scorta di anticoncezionali che avevo procurato a Parigi, anche in quantità abbondanti, si è da tempo esaurita. Ne abbiamo fatto uso tutte noi donne, ma da ora in poi saremo completamente prive di protezione. Quindi abbiamo due alternative: o da questo momento in poi impariamo tutti a far l’amore con grande attenzione, oppure questa comunità ben presto si riempirà di marmocchi urlanti. A me i bambini sono sempre piaciuti, ma da medico ho timore che senza farmaci, senza vaccinazioni, senza alcuna protezione, possa accadere loro qualcosa di grave”.

Intervenne zio Marcel: “Scusa Jul, ma non credi di esagerare un po’? Del resto non è detto che ogni unione tra noi debba provocare la nascita di un figlio”.
“Tu dici Marcel? Nessuno di noi, sinora, ha avuto remore o incertezze ad eiaculare nella vagina della propria partner e pensa che l’abitudine di farlo senza pensieri è difficilissima da modificare, quindi devi mettere in conto che anche se fossi bravo a tirarti indietro all’ultimo momento non è detto che questo sia sufficiente ad impedire una gravidanza. E ti parlo per esperienza professionale: quanti figli di Ogino-Knaus abbiamo visto!”

Un pesante silenzio calò fra di noi. Nessuno, pensai, sarebbe stato disposto a tirarsi indietro e ad evitare di eiaculare nella vagina della propria partner. Io con la mamma non l’avevo mai fatto e lei aveva sempre gradito il dono del mio sperma dentro di lei. Rammentai in quel momento che avevo eiaculato anche nella vagina di mia sorella Virginie, quel giorno che era venuta in spiaggia e che, rientrando all’accampamento, avevamo scoperto in una radura mio padre, zio Marcel, Edith e Annette che facevano l’amore, evidentemente con le stesse modalità e lo stesso epilogo...

“Qui si impone una scelta” intervenne mio padre. “A questo punto l’alternativa prospettataci da Juliette ci conduce necessariamente verso un’unica soluzione. Parlo con cognizione di causa e non solo con i sentimenti. Dopo la festa che abbiamo fatto – in ogni senso – a nonna Sophie io vi dissi che le nostre vite erano radicalmente mutate e che da quel momento tutti avremmo avuto piena libertà di amarci tra noi come meglio il cuore ci avesse suggerito. E così, senza alcuna forma di gelosia, ma con grande amore e partecipazione, ci siamo amati: René forse è stato il primo ad adottare questo stile di vita, lo comprendo ed approvo incondizionatamente le sue e le nostre scelte. Quindi personalmente non avrei alcuna remora a veder nascere nuove creature nella nostra famiglia. L’unico mio timore è che la scienza sconsiglia decisamente le unioni tra familiari, per la possibilità che possano nascere figli deformi o affetti da gravi patologie. Ma su questo punto può illuminarci Juliette molto meglio di quanto possa farlo io.”

Riprese la parola zia Jul, che aveva conservato la sua aria seria e professionale: “Hai perfettamente ragione, Julien. Ma ho condotto studi specifici in questo campo diversi anni fa. Saprete tutti che gli antichi egizi avevano l’abitudine di sposarsi tra fratelli, e persino tra padre e figlia e madre e figlio: questo, secondo loro, per mantenere intatta la purezza della razza, in quanto i faraoni ritenevano di essere degli dei e non concepivano di poter contaminare il loro sangue reale con quello di altre persone non appartenenti alla loro casta di regnanti. Successivamente tale criterio è stato osservato in molte famiglie reali europee, ma per motivi diversi: venuta meno la convinzione di essere di natura divina, gli appartenenti a famiglie di reali continuavano comunque a celebrare matrimoni tra parenti, allo scopo di mantenere intatte le dinastie, sia allo scopo di conservare i possedimenti, sia allo scopo di accorpare più regni, in modo da rafforzare il proprio potere.
E’ capitato, talvolta, che alcuni appartenenti a famiglie reali fossero nati non proprio deformi, ma con patologie e caratteristiche esteriori dei propri corpi non del tutto normali. Ma posso dirvi che questo è dipeso dalle ripetute e continuate unioni tra parenti, non più tra fratelli o genitori e figli, ma tra cugini. Però, nel nostro caso sono certa che gli inconvenienti che la scienza descrive non possano verificarsi, perché si tratterebbe della prima generazione di figli nati da consanguinei. Se i nostri discendenti continuassero ad accoppiarsi tra loro e a generare figli, allora sì che potrebbero sorgere dei problemi. Del resto qui ci sono anche due persone, Annette e Edith, che non appartengono alla nostra famiglia in senso stretto, anche se vi fanno parte a tutti gli effetti, e quindi il loro sangue diverso dal nostro costituirà il mezzo più idoneo ad impedire il verificarsi di inconvenienti. Sempre che loro siano disposte ad accettare gravidanze!”

Questa parole servirono innanzitutto a rasserenare gli animi e rappresentarono per tutti una specie di autorizzazione a procedere senza più preoccupazioni per il futuro. Edith e Annette si guardarono e ci guardarono con una espressione perplessa, come se stessero riflettendo sulla loro sorte, poi Annette esclamò con entusiasmo: “Ascoltatemi, è da tempo che stavo pensando fosse arrivato il momento di pensare ad un figlio. Le mie intenzioni sono sempre state quelle di averlo, a prescindere da un matrimonio: ora sono giovane e posso badare a lui (o a lei) e seguirlo come una sorella più grande o un’amica. Quando sarò più vecchia probabilmente mi mancherebbero le forze per farlo e mi costerebbe tanta fatica. Quindi io sono perfettamente d’accordo, anzi voglio confessare a tutti voi il mio più grande desiderio da quando sono qui e da quando faccio l’amore: ho sempre desiderato di avere un figlio da René, che fosse bello e solare come lui. Poi ho fatto l’amore con Marcel, con l’ingegnere Julien e persino con nonno André. E sapete che vi dico? Voglio un figlio da ciascuno di voi, almeno quattro. E la mia cara Edith, che è molto più timida di me e probabilmente non esprimerà mai apertamente questo suo pensiero, desidera la stessa cosa.”

Ci guardammo attoniti: nessuno di noi avrebbe mai creduto che Annette avesse il coraggio di esprimere un pensiero talmente diretto e profondo. Eravamo tutti senza parole, la lucidità e determinatezza del suo pensiero, sicuro e preciso, non lasciava spazio ad alcun commento.

“Wow!” fu invece il mio unico commento. Ero consapevole di aver bruciato le tappe della mia sessualità e di avere addirittura sei donne (eccettuata Jacqueline) disponibili a far l’amore con me in qualsiasi momento, ma la consapevolezza di diventare già padre da adolescente era un evento che travalicava qualsiasi fantasia io potessi mai avere. Del resto avrei dovuto aspettarmelo che prima o poi i miei possenti schizzi provocati dal “riali” avrebbero potuto ingravidare qualcuno.
Comunque dovetti ammettere, tra me e me, che quella di Annette (e indirettamente anche di Edith, anche se non aveva spiccicato una parola) era stata una bella dichiarazione d’amore e ne andavo fiero. Quindi mi sentii in dovere di alzarmi e di andare ad abbracciarla.

“Grazie, Annette”, le dissi “è stata una bellissima dichiarazione e ti assicuro che cercherò di essere all’altezza del mio compito e di essere un bravo padre per i tuoi figli”.
La mia dichiarazione provocò un moto di affetto in tutti i miei parenti, che si alzarono e tutti insieme ci vennero incontro per scambiare un abbraccio corale che coinvolse tutti: un altro capitolo importante della nostra vita era stato scritto.

Nessuno quella notte aveva voglia di dormire. Ma probabilmente tutti avevano anche timore di far l’amore. La copertura anticoncezionale era ormai terminata e ad onta delle dichiarazioni rasserenanti e determinate di Annette, probabilmente tutti temevano quello che ormai avrebbe rappresentato l’epilogo inevitabile della vicenda: ben preso l’isola si sarebbe riempita di bambini. Solo nonna Sophie sarebbe stata protetta dalla natura, per la sua età avanzata. Tutte le altre donne erano a rischio.

Forse la mia giovane età, connotata da incoscienza ed imperfetta percezione del futuro, non mi consentiva di comprendere appieno i problemi che saremmo andati ad affrontare. Mi avvicinai a mamma e appoggiai il capo sul suo grembo. Lei con un gesto dolce cominciò ad accarezzarmi i capelli: “Che hai René, qualcosa ti turba?” mi chiese sottovoce. Mio padre si era allontanato con zio Marcel, forse per discutere dei problemi futuri. Ne approfittai per guardare fisso negli occhi mia madre e le dissi senza preamboli: “Sì, una cosa mi turba molto e devo dirtela prima che sia troppo tardi. Io ti amo più di ogni cosa o persona al mondo, tu mi ami tanto e quando due persone si amano come noi non desiderano altro che avere un figlio. Ed io voglio da te un figlio nostro, un bimbo o una bimba che siano belli come te. Ti prego, mamma, facciamolo prima che tu faccia l’amore con papà e che lui ti metta incinta. Ne morirei, non di gelosia, ma perché il figlio che nascerà non sarebbe il nostro.”

Mamma rimase muta a lungo, poi mi disse: “Mi stai sconvolgendo, René. Non tanto per le tue parole, ma perché il tuo desiderio coincide perfettamente con il mio. Da quando Juliette ha lanciato l’allarme non ho fatto altro che pensare a te e a noi. Anch’io ti amo tanto e sarò pazza da legare, ma non desidero altro che di avere un figlio da te”. Pronunciate queste parole, si alzò in piedi, mi tese la mano, raccolse il telo sul quale era seduta e mi condusse fuori dall’accampamento. Percorremmo insieme un centinaio di passi nel bosco e raggiungemmo una radura debolmente illuminata dalla luce della luna. Mamma distese per terra il telo, si slacciò il pareo che la copriva e si mostrò in tutto il suo splendore, completamente nuda. La luce della luna faceva brillare il suo corpo; i capezzoli erano eretti e turgidi come non li avevo mai visti: il “riali” continuava i suoi effetti stupefacenti. Mamma si distese per terra e mi invitò a distendermi sopra di lei. Non aspettai neanche un secondo, mi denudai e mi sdraiai sul suo corpo morbido e caldissimo. Cominciammo a baciarci, prima dolcemente, poi sempre più affannosamente. I nostri respiri si univano e gli ansiti si mescolavano ai leggeri gemiti della mamma.

Le nostre lingue intrecciavano danze polinesiane, la nostra saliva si mescolava in un unico umore dolcissimo. Ad un certo punto mamma allargò le gambe e mi disse: “ora entra in me e rendimi ancora una volta madre.” Appoggiai la punta del mio pisello all’entrata della sua vagina, ma non dovetti fare alcuno sforzo per penetrarla, perché la sua fica era già allagata. Entrai in lei fino in fondo con un brivido e cominciai ad andare lentamente avanti e indietro in quel canale caldo e scivoloso. I gemiti di mamma si intensificarono: “Sì, René, bambino mio, prendimi, sono tua, sono tua per tutta la vita, ti amo, ti amo tantissimo!”

“Anch’io ti amo tantissimo, mamma, voglio essere tuo per sempre, sarò per sempre tuo figlio ed il padre dei tuoi figli, non ci lasceremo mai.” Continuai ad andare e venire nel suo canale dell’amore per tanto tempo. Mamma gemeva sempre più forte e ad un tratto, stringendomi al petto disse: “oddio, che bello, sto venendo, sento i brividi che mi attraversano tutto il corpo… oh, René, è bellissimo, vengo, sto godendo, ahhhh!” Intensificai le mie spinte già notevoli, contribuendo a portare mamma al parossismo. Il suo corpo era scosso da fremiti irrefrenabili, la sua fica mi stringeva in un abbraccio intimo e caldo, strizzandomi il pisello e rilasciandosi subito dopo.
“Ora vengo anch’io, maman, vengo dentro di te, sono tuo, ti amoooo!” E la inondai di “sbora” ringraziando il “riali” che me ne faceva produrre così tanta. “Ti sento, bambino mio, mi sento allagata, ohhh, quanto ne viene fuori…sono piena!!!”

Le contrazioni del mio pisello e della fica di mamma erano appena terminate, ma il mio cazzo era ancora turgido e rigido come il legno. Non ebbi nemmeno bisogno di uscire da lei e ricominciai la mia danza nella sua fica, come se la prima volta non fosse ancora iniziata. “Ma…ma….René”, disse mamma, “sei un portento! Non hai neanche bisogno di pause per ricominciare, ma come fai? Non credo sia solo merito del tuo frutto miracoloso: è soprattutto la tua giovanissima età a compiere questi prodigi. Dai, René, fammi godere ancora, ti prego!”

Mamma non aveva bisogno affatto di pregarmi: ricominciai ad andare e venire nella sua fica come un ossesso, mentre lei riprendeva a gemere più forte. Questa volta il carosello durò molto di più: riuscii a far godere mia madre altre tre volte, mentre il mio orgasmo non accennava ad avvicinarsi. Ad un certo punto mamma riprese a parlare, ma con voce strozzata da singhiozzi di eccitazione: “Dai, bambino mio, su, vieni e riempimi ancora di sperma, io terrò le gambe in alto così non ne verrà fuori nemmeno una goccia… finirà tutto nel mio utero, voglio un bambino da te, lo voglio!”

Questa parole mi sollevarono in paradiso e produssero un rimescolamento nei miei lombi, che divennero bollenti, preannunciando la solita, tremenda eruzione di “sbora”. “Ora vengo, mamma, è tutta per te, tutta per il nostro bambino!”
“Anch’io… ohhhh, anch’io vengo, ti sento di nuovo, sono nuovamente piena di te, ti voglio!” Quando finii di eruttare un altro mare di sbora nella sua fica, mamma sollevò le gambe in alto e le appoggiò sulla mia spalla. Io rimasi dentro di lei con il pisello sempre il posizione di combattimento. Tanta era la mia (e la sua) eccitazione che avremmo potuto andare avanti così per tutta la notte.

Mamma rimase ferma, con le gambe in alto, poggiate sui miei omeri, almeno per altri dieci minuti, mentre io mi godevo ancora il calore dolcissimo della sua fica e non avevo alcuna intenzione di uscire fuori da lei. Mi chinai su di lei e ricominciai a baciarla sulle labbra.
“Grazie, bambino mio, mi rendi felice come mai prima nella mia vita. Lasciami ancora con le gambe in alto, voglio essere sicura che il tuo sperma mi abbia fecondata.” E ricambiava i miei baci con dolcezza infinita.

Ci abbandonammo sul telo con un languore estremo, continuando ad accarezzarci dappertutto. Il suo seno era morbido e vellutato. Presi in bocca un capezzolo e cominciai a succhiarlo: “Ricomincia ad abituarti, maman, tra un po’ dovrai allattare un altro bimbo…!”





Fine capitolo 20
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