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Le vacanze di René - 13


di July64
31.05.2017    |    18.481    |    4 9.6
""Io ricordo che venne da me in stato confusionale, mezzo intontito per quello che gli avevi fatto, e come ubriaco dopo aver scoperto una nuova realtà, ..."
Le vacanze di René - parte tredicesima


Rimanemmo seduti, nudi, sul plaid che avevamo disteso sull'erba. Edith e Virginie erano ancora intontite: l'orgasmo le aveva letteralmente sconvolte. Vir si girò di fianco, venne ad accucciarsi tra le mie braccia e mi sussurrò, con voce languida: "Che comitiva di porcelloni! Sono certa che su quest'isola ci divertiremo da pazzi.
E tu mi piaci tantissimo, fratellino, hai un modo di far l'amore che farebbe impazzire una santa!"

"Ma non ti infastidisce dovermi condividere con Annette e con Edith?" le chiesi ancora frastornato, guardandomi dal confessarle quanto era accaduto con mamma.

"Assolutamente no", mi rispose Virginie con sconcertante franchezza. "Probabilmente Jacqueline, quella suora, avrebbe qualcosa da ridire, ma sarei proprio curiosa di sapere come farà, in quest'isola dove ci sono solo dei familiari, a farsi passare qualche voglia…"
"E a proposito di familiari…ho visto tutti i tuoi movimenti con la mamma. Credi che abbia gli occhi foderati? Sono disposta a dividerti anche con lei!"

Le parole di Virginie mi raggelarono. "Tu... sai…?" le chiesi timidamente. "Certo che so!" Mi rispose imperiosamente Vir. Non è facile in una barca tenere nascoste certe acrobazie. Ti ho visto uscire l'altra mattina dalla sua cabina ed ho immaginato che cosa era successo… Ma comunque non devi preoccuparti di nulla. Non devi dare conto a me di ciò che fai. E poi, se alla mamma piace…"

Un brivido mi attraversò la schiena: Vir sapeva! Io facevo l'amore con lei, e, contemporaneamente, con mamma, con Annette, con Edith, una cosa del tutto normale!

"Ascoltami, René. Nonostante l'evidenza possa rivelare il contrario, la nostra è sempre stata una famiglia dai sani principi. Potrà apparirti assurdo, questo discorso, visto che proprio ora siamo nudi, abbiamo appena fatto l'amore, ho goduto come una pazza ed ho persino ingoiato il tuo sperma. Dicevo, quindi, che facciamo parte di una bella famiglia. Siamo dei grandi lavoratori, siamo stimati da tutti, aiutiamo i poveri e chi è in difficoltà. Non ci tiriamo indietro se c'è da compiere un sacrificio, di qualsiasi natura. Insomma, detto dagli altri, siamo splendidi. Però, all'interno del gruppo, abbiamo una caratteristica unica: ci amiamo tanto tra di noi. In un modo che alla maggior parte della gente potrà apparire segno di perversione, ma ti assicuro che è amore sincero, di quelli che provano i padri per i figli, i mariti per le mogli e viceversa. Quindi, oltre all'amore, per così dire "naturale", c'è un ingrediente in più, che lo rende unico, intenso, forse immorale, ma straordinario!"

Il discorso si faceva sempre più complesso e, nello stesso tempo, intrigante. Mi richiamava alla mente alcune frasi che avevo udito prima di partire. Sulla barca, infatti, zia Juliette mi aveva rivelato che lo zio Marcel aveva grandi capacità amatorie, poi si era avvicinata a mamma e zia Jen e, con una strizzatina di occhi, aveva toccato loro le tette. Avevo accantonato in un recesso della mente quella scena molto emblematica ed ora le parole di Virginie la riportavano molto prepotentemente in superficie.

Lo zio aveva, con le proprie sorelle, una sorta di confidenza molto particolare e a tale proposito rammentai la gag che zio Marcel aveva inscenato con zia Juliette, quando lei lo aveva sgridato per essersi esposto al pericolo di avvelenamento, e lui le aveva tirato l'elastico del costume da bagno dicendole: : “L’unica cosa che avrei rimpianto è questo bel cespuglio biondo…”

Gli ingranaggi del mio cervello giravano tanto vorticosamente che immaginavo di udirne il rumore provocato dall'attrito: allora, nella mia famiglia coesistevano tranquillamente due realtà contemporanee: la normalità più assoluta, e splendida, di una comunità molto unita e quella, sconvolgente, di una sorta di intreccio di affetti "speciali" che – ne ero testimone – si sviluppava tra familiari. Evidentemente i recenti avvenimenti ne avevano provocato una progressiva ed evidente emersione, tanto che se ne parlava apertamente, come un evento del tutto naturale.

Non c'era cosa migliore, quindi, pensai, che manifestare, da allora in poi, quei sentimenti "speciali" sinora tenuti nascosti. Mi ripromisi di chiederne conferma alla zia Juliette, evidentemente la più propensa, a mio avviso, ad affrontare tali argomenti, con la spregiudicatezza che era caratteristica della sua personalità. Il pensiero di approfondire la conoscenza del problema mi sconcertava ed allo stesso tempo acuiva il mio interesse quasi morboso per l'argomento.

Stava sorgendo il sole e le prime luci sfioravano i corpi nudi di Virginie, di Annette e di Edith: me le stavo mangiando letteralmente con gli occhi, non ero affatto stanco per la mia impresa e non vedevo l'ora che ricominciasse un'altra giornata. Molto languidamente le ragazze si rivestirono e ritornammo, appena in tempo, alla grotta. Dopo qualche minuto, infatti, mio padre attraversò la cortina della cascata e si affacciò alla radura dove ci trovò seduti a chiacchierare amabilmente e a scherzare come si conviene a dei familiari normali…

Come per il crepuscolo, anche l'alba non durò a lungo: ben presto il sole si levò alto a riscaldare l'isola ed i nostri cuori. Annette ed Edith si diedero immediatamente da fare per approntare una colazione con parte dei cibi che avevamo salvato dal naufragio. Nemmeno mezz'ora dopo eravamo tutti riuniti, seduti in cerchio sull'erba a commentare le nostre avventure ed a predisporre i piani per il futuro.

Mio padre e zio Marcel si incaricarono di continuare l'esplorazione dell'isola, mentre io assunsi il compito di trasportare dalla barca a terra tutto quello che fosse ancora salvabile. Quando fosse stata completamente svuotata, avremmo provato a smontare qualche struttura per cercare di creare un rifugio, una capanna: comunque lo scopo era di riutilizzare tutto quanto potesse esserci utile.

Lasciai perdere per un attimo i miei pensieri frizzanti e mi dedicai seriamente alle attività che mi erano state affidate. Lasciammo i nonni vicino alla grotta e ci dividemmo in due gruppi: mio padre e zio Marcel, che temevano ancora di poter fare brutti incontri, rifiutarono di portare con loro la mamma e le zie che avevano proposto di accompagnarli, quindi io e tutte le donne, eccetto la nonna, ci incamminammo verso la barca. Percorso il tratto di boscaglia che separava la grotta dalla laguna, la raggiungemmo, immergendoci fino alla vita nelle tiepide acque polinesiane. Mi arrampicai per primo, seguito da mia sorella Vir, la più agile, poi da zia Juliette e da Annette. Mia madre, zia Jen, Jacqueline e Edith rimasero vicino alla barca, per raccogliere tutto quanto noi passavamo loro.

Questa volta la nostra ricerca fu più minuziosa: cabina dopo cabina,la barca venne svuotata quasi completamente. Anche le provviste residue, tranne quelle che il mare aveva rovinato, furono poste in salvo. Da ultimo feci una visita alla mia cabina e recuperai altri pochi vestiti, bagnati, che cacciai a forza in uno zaino, altrettanto zuppo. Da ultimi, prima di scendere, recuperai i sacchi contenenti i frutti ed i semi del "riali". Avevo maturato l'idea di piantarne alcuni sull'isola: non avevo assolutamente idea di quanto sarebbe durata la nostra "vacanza"…

La nostra operazione di recupero era durata quasi tutta la mattina, ero stato costretto ad immergermi più volte per cercare di salvare abiti e suppellettili, perché la barca era piena di acqua; era impensabile, squarciata com'era, poterla rimettere in armi. L'unica imbarcazione che avremmo potuto ormai utilizzare era il tender, il piccolo gommone legato a poppa, che sembrava non aver subito danni a causa della tempesta. Ma per farne che? Date le sue minuscole dimensioni non era in grado di affrontare l'oceano, nemmeno per raggiungere un'isola vicina. In realtà, l'orizzonte, in qualunque direzione di volgesse lo sguardo, era piatto, quindi non vi erano isole vicine.

Riformammo la processione sulla via del ritorno alla grotta, carichi come portatori di un safari. La nostra vacanza, ora, non poteva più definirsi di relax…

Io cercavo di camminare al fianco di mia madre; le chiesi come avesse riposato e, sottovoce, se avesse sentito la mia mancanza. Mamma mi rifilò una gomitata nel fianco. Se avesse saputo che a Vir non era sconosciuto il nostro amore e, piuttosto, se avesse saputo che cosa era accaduto tra me e Vir…
Mi chiesi, molto perplesso, come avrebbe reagito.

Depositammo nuovamente sull'erba della radura, come avevamo fatto il giorno prima, i carichi recuperati dalla barca, mettemmo quelli asciutti e le provviste (soprattutto i sacchi con il mio prezioso tesoro) nella grotta ed esponemmo al sole tutto quello che era inzuppato.
Poi ci sedemmo sull'erba ad aspettare il ritorno di papà e di zio Marcel. Nessuno di noi aveva voglia di mangiare senza di loro.

Non sapevo come affrontare il discorso che mi stava a cuore con zia Juliette. Probabilmente lei non avrebbe avuto alcuna difficoltà a rispondermi, ma per me non era semplice. Decisi che era il caso di dedicarmi all'esplorazione della zona vicina alla grotta e chiesi se qualcuno fosse stato disposto a venire con me. Dovevo ammettere con me stesso che anche l'inattività contribuiva al mio nervosismo, quindi preferivo muovermi.

Mamma, zia Juliette e mia sorella Jacqueline accolsero il mio invito. La presenza di mamma mi riempiva il cuore di gioia e poi pensare di essere il cavaliere di quelle tre stupende creature mi inorgogliva; i sentimenti che riconoscevo in me riuscivano a sorprendermi in continuazione. Ci incamminammo nel folto del bosco di palme e raggiungemmo subito la piccola radura che era stata il mio campo di battaglia della scorsa notte. Non si notava alcuna traccia evidente: solo fili d'erba calpestati. Iniziammo la nostra esplorazione girando in cerchi sempre più ampi intorno alla grotta ed al laghetto di acqua dolce, che avevo individuato come punto di riferimento. La vegetazione non era diversa da quella che arricchiva l'intera isola: alte palme, per fortuna piene di frutti di cocco, che avrebbero costituito una risorsa essenziale al termine delle nostre provviste, offrivano uno schermo molto efficace contro i raggi del sole tropicale.

Chiesi a mamma, a zia e a Jac quali fossero state le loro emozioni per ciò che ci era accaduto.
"Sai, René, era da tempo che speravo di passare una vacanza indimenticabile, ed evidentemente i miei desideri si sono avverati a tal punto che sarà davvero difficile poterla dimenticare" mi rispose sorridendo zia July. "Avverto solo un grande nervosismo pensando ai miei pazienti, che contano su di me e che subiranno un notevole disagio per la mia prolungata assenza. Non immaginavo davvero di potermi permettere un periodo di vacanza così lungo, perché non sappiamo davvero quanto durerà. In realtà mi stavo dicendo da tempo che avrei dovuto staccare per un po' la spina, ma in questo modo ho buttato via tutto l'abat–jour…"

Jacqueline aveva ancora un'aria smarrita, conseguenza del frenetico susseguirsi degli eventi che ci avevano trascinati in quell'isola: "Io non riesco ad essere tranquilla come zia Jul e non riesco a cancellare l'immagine di quella tempesta che prima ti ha portato via e poi ci ha fatto naufragare qui. Non sono una bambina e quindi non mi sentirai mai frignare che voglio tornare a casa, però non riesco nemmeno ad accettare serenamente questa avventura. Meno male che almeno sono qui con tutti voi."

Mamma, invece, con espressione ammiccante, in contrasto con quella ingenua e solare che i suoi lineamenti ed i suoi occhi verdi le disegnavano sul viso, rispose: "Questa vacanza è stata sconvolgente, in tutti i sensi: ha stravolto completamente le nostre vite: pensate, per esempio, che non abbiamo più lavoro. July ha perso i suoi pazienti; il mio ateliér, per quanto sia nelle ottime mani di Charlotte, la nostra straordinaria direttrice, che fine farà? Anche se sinceramente penso che la notizia della nostra scomparsa, che certamente sarà stata pubblicata su tutti i giornali di Francia, probabilmente ci farà più pubblicità del servizio che ci ha portato fin qui in Polinesia. Però devo ammettere che questa vacanza ha trasformato le nostre vite più di quanto noi stessi siamo disposti ad ammettere e questa trasformazione è destinata ad essere irreversibile, vero René?"

Le parole di mamma mi produssero un brivido caldo che serpeggiò lungo tutta la schiena. Mi avvicinai a mia madre e l'abbracciai, molto castamente, per la presenza di zia July e di mia sorella. Mia madre ricambiò l'abbraccio, in verità con molta più convinzione della mia, come se lei non avesse tutte le mie remore per la presenza della zia e di Jac.

"Signore," mi rivolsi a tutte loro, con un mezzo inchino, in segno di rispetto; "sono qui per rendere la vostra vacanza un evento davvero indimenticabile. In realtà ci hanno già pensato prima i luoghi e poi le forze della natura ad imprimerla nella mente di tutti noi, ma se c'è qualcosa che possa renderla ancora più incantevole, ritenetemi sempre a vostra disposizione."

"Vedi, July?" disse mia madre, rivolta alla sorella "il mio René è un figlio meraviglioso, affettuoso, obbediente, molto maturo per la sua età, ti rammenta qualcuno?"

"Un momento, un momento" interruppi il discorso, mettendo improvvisamente, e con un gesto di coraggio, fine a tutte le mie titubanze "proprio a questo proposito, avrei un interrogativo da porre ad entrambe: non nascondo il mio imbarazzo, quindi se non avete voglia o non potete rispondermi, è sufficiente che me lo diciate."

"Avanti" rispose zia Jul "sei maturo, non solo perché lo dice tua madre, me ne sono accorta benissimo anch'io. Quindi facciamo un discorso fra adulti, senza ostacoli conformisti: ti risponderò qualunque sia la tua domanda."

Inghiottii un mare di saliva, poi cercai di schiarirmi la voce e di eliminare il groppo che mi se era formato nella laringe: "Beh…" cominciai a balbettare.

"Diamine!" rimbrottò zia Juliette "devo essere costretta a curarti la balbuzie, ora?"

"N–no, spero di no" replicai "ma non credere che sia facile. Ora prendo fiato e ci provo: mi sono accorto che al di là dell'affetto smisurato che ciascuno di noi prova per gli altri familiari, c'è qualcosa di più grande, di profondo, comunque di molto bello. Mi sono accorto che tra voi non c'è solo la confidenza e la complicità che solo delle persone meravigliose come voi possono avere, ma c'è qualcosa di più: un segreto, un sentimento inespresso, qualcosa di intenso che travalica i confini dell'affetto parentale."

"Fermati qui!" la voce stentorea di zia Jul mi bloccò. Ahi! pensai immediatamente, ora l'ho fatta grossa. Mi sono giocato tutta la confidenza che avevo guadagnato nei loro confronti. Guardai con aria smarrita mia madre, certo di vedere proiettata sul suo viso una espressione di rimprovero, ma fui colto di sorpresa, invece, da una risata argentina. Mamma si avvicinò alla sorella e le dette una pacca sulla spalla, mentre rivolgeva a me il suo sorriso radioso. Zia Jul, da canto suo, unì la punta del pollice e dell'indice, lasciando distese le altre dita, in un gesto di approvazione, come se avesse voluto dire a sua sorella: "Hai visto come è perspicace? Te l'avevo detto che prima o poi avrebbe capito!"

Io ero completamente basito. Voltavo lo sguardo da mia madre a zia Jul, come se stessi seguendo una partita di tennis. Ero frastornato, credevo di aver compreso, ma non ne ero sicuro, mille emozioni stimolavano contemporaneamente i miei processi cerebrali, i dati immersi nel subconscio riemergevano per combinarsi, come in una catena di aminoacidi, con quelli di recente elaborati, fino a formare una esplosione di realtà: avevo capito, finalmente!

Mia sorella, invece, era ancora in uno stato di sbalordimento assoluto: lei aveva perso la parte preliminare del discorso e, comunque, aveva una carica di ingenuità che non le consentiva ancora di rendersi conto di tutto quanto accadeva intorno a lei

"Non arrovellarti più, piccolo mio" mi disse dolcemente mia madre. "E' proprio come tu avevi immaginato. Tra noi sorelle e nostro fratello c'è sempre stata una tenerezza particolare. Devo precisare che non è accaduto come in tante altre situazioni, nelle quali le sorelle, o altre persone di famiglia, sono state costrette a rapporti innaturali. Qui, tutto sommato, è accaduto esattamente il contrario. Marcel, al quale tu rassomigli molto, è stato sempre il nostro prediletto, non solo perché unico fratello, ma perché è davvero una persona fantastica. Generoso, altruista, insomma un fratello davvero speciale. Noi lo abbiamo sempre coccolato, forse anche viziato, ma non importava nulla a nessuno. Lo amavano e lo amiamo ancora. Poi era molto timido, molto più di te…" e mi rivolse un sorriso molto esplicito, riferendosi alla mia trovata di sostituirmi a papà nella sua cabina.

"Così a questa signorina" continuò, rivolta a zia Jul, "un giorno passò per quel suo cervellino sempre in iperattività che dovevamo, per così dire, svezzarlo, altrimenti, sempre secondo lei, non sarebbe mai stato capace di trovare una ragazza. Secondo me Julette non aspettava che l'occasione per portarselo a letto. Così – parlo di circa quindici anni fa – Marcel era ancora adolescente, mentre questa qui" fece segno a zia Juliette, con la mano destra che roteava lentamente in aria, "aveva già un'esperienza in materia. Così – rammento ancora quando accadde – decise di attendere l'occasione propizia per farlo. Il destino, come spesso avviene, le dette una mano quando il povero Marcel, durante una partita di calcetto, fu sbattuto in terra da un avversario e si lussò gli omeri. Così fu costretto a portare un'ingessatura che gli immobilizzava entrambe le braccia."

"Ti ricordi la mortificazione di Marcel quando realizzò che per tutto il periodo dell'ingessatura avrebbe dovuto essere sempre accompagnato dappertutto?" disse tre le risate zia July.

"In effetti" proseguì mia madre "il problema si poneva per tutte le attività. Per il mangiare non c'erano problemi, facevamo a gara per imboccarlo, ma era così timido che non concepiva l'idea che qualcuno gli facesse fare la pipì. I primi giorni la tratteneva per giornate intere, ma poi comprese che avrebbe dovuto rassegnarsi e indovina un po' chi si offrì di accompagnarlo al bagno?"

Zia Jul non riusciva a trattenere le risate. "Ti ricordi che dovevamo spingerlo per farlo entrare in bagno? Il problema era che non poteva toccare il suo pistolino perché aveva le braccia ingessate. Marcel avrebbe preferito che lo avesse fatto nostro padre, ma lui era sempre in azienda con la mamma, tua nonna, e quindi toccava a noi questo compito. Il primo giorno che lo accompagnai, gli sbottonai i pantaloni e presi in mano il suo pisello per evitare che dirigesse la sua fontanella al di fuori del water. Poi lo asciugai con la carta igienica e notai che il trattamento non gli dispiaceva. Era rosso come un peperone, ma non diceva nulla. Io, in realtà, insistevo nel maneggiarlo, e confesso che mi piaceva, quindi indugiavo a lungo. Un giorno fui forse un tantino maldestra nell'asciugarlo e gli feci un po' male. Lui sobbalzò ed io, mortificata, mi abbassai per vedere cosa avevo combinato. Lui rimase di pietra, mentre io mi inginocchiavo davanti a "lui" e non mi riferisco a Marcel. Poi, come per scusarmi per avergli fatto male, baciai la punta. L'effetto fu esagerato, proprio come se gli avessi messo il pisello nella presa elettrica. Marcel ebbe una reazione forse eccessiva, ma ora lo comprendo: oltre alla naturale sensibilità del glande, che non aveva mai avuto contatti con altra pelle che non fosse la propria, era la prima volta che qualcuno glielo baciava. Lo ricordo come se fosse accaduto ieri: Non feci nemmeno in tempo a prendere la punta in bocca che mi riversò dentro un mare di sperma. Alzai gli occhi verso di lui, era come inebetito. Non si rendeva nemmeno conto di quale fosse stata la sua reazione. Ma io sì. avevo la bocca piena di lui e mi affrettai ad ingoiare tutto. Non sapevo quale reazione avrei potuto scatenare in quel verginello, ma sinceramente non avrei voluto sconvolgerlo ancora di più. Ricordo ancora che scoppiai a ridere quando lui, con aria sconsolata di chi aveva perso qualcosa e non sapeva dove, mi domandava: "ma dove è finito? dove è andato?", riferendosi al suo sperma che avevo fatto scomparire nella mia gola."

"Fosti davvero cattiva, allora" la riprese mia madre. "Io ricordo che venne da me in stato confusionale, mezzo intontito per quello che gli avevi fatto, e come ubriaco dopo aver scoperto una nuova realtà, che peraltro lui gradiva molto."

Io stavo rivivendo, nel racconto, esattamente quello che mi era capitato nell'ultimo periodo della mia vita.

Mia sorella, invece, aveva gli occhi sgranati ed era completamente muta: immaginai che non riuscisse a concepire che sua zia avesse sedotto il proprio fratello e che a questa opera avessero per di più partecipato anche le altre sorelle, una delle quali – nostra madre – già felicemente sposata e madre di figli (noi) in tenera età!
"Ma… ma come è possibile?" continuava a domandarsi sgomenta.

"Ti assicuro che è stata la cosa più normale del mondo" le rispose zia Jul, con atteggiamento affettuoso e comprensivo, inteso soprattutto a non scandalizzarla più di quanto non lo fosse già.
"E' stato come trasformare leggermente l'affetto immenso che avevamo già per lui, un po' come se tu, che vuoi così bene a René, ti fossi offerta di aiutarlo a vincere certe sue timidezze, per un verso per rendergli un favore e per l'altro perché ti piace."

"Ma è immorale" reagì Jacqueline, "è incesto e l'incesto viene condannato da tutte le società civili e da tutte le religioni!"

"L'incesto è un abito morale che ci è stato imposto di indossare. Nell'antico Egitto, per salvaguardare la purezza della stirpe reale, i faraoni potevano sposarsi soltanto con appartenenti alla propria famiglia. E' vero che si narra che i frutti della loro unione fossero dei figli deformi o gravemente ammalati, però non per questo essi rinunziavano alle unioni familiari;" replicò zia Jul e, continuando, "non immagini quale senso di enorme libertà mi ha sempre donato potermi unire con Marcel, la persona che ho amato come fratello e compagno di giochi, come amante ed amico". Non ho mai provato a farlo con mio padre, ma ti assicuro che se me lo avesse proposto non avrei affatto rifiutato."

Poi, continuando, si rivolse a Jacqueline: "Mi dispiace, tesoro, di averti scandalizzata, ma preferisco avertelo detto direttamente, piuttosto che lasciare che te ne accorgessi da sola, specialmente dovendo condividere, in quest'isola, una promiscuità che prima o poi sarebbe stata rivelatrice di questo segreto."

Jacqueline sembrava sempre più imbarazzata: "E tu, mamma, anche tu hai partecipato a questi baccanali da tardo impero romano?"

"Non essere così integralista, tesoro mio" replicò mia madre con calma e con un tono molto affettuoso. "Non intendo sottrarmi al tuo giudizio, anche se mi rendo conto che sarà molto duro, ma siccome comprendo che il buon senso avrebbe imposto un atteggiamento esattamente contrario al nostro, faccio appello alla tua riflessione, e soprattutto al tuo affetto per chiederti di giustificare i nostri comportamenti."

Jacqueline era combattuta da sentimenti contrastanti: la sorpresa, della scoperta, giunta come il tuono in una giornata serena, il rifiuto imposto dai suoi principi morali, l'affetto per i suoi cari. Un mix di emozioni che stavano per annientarla.

Mi avvicinai per cercare di consolarla e lei ebbe una reazione molto strana, che mi ferì, perché era la prima volta che mi trattava in quel modo: "Non toccarmi, gridò, allontanandosi da me, come se avesse preso la scossa, anche tu vuoi fare l'amore con me? Io non sono zia Jul, io ti voglio bene come fratello e basta, nulla di più, non dimenticarlo mai, mai!" Portò le mani al volto per nascondere il pianto e fuggì via nel folto del palmeto. Mi affrettai ad inseguirla per evitare che potesse perdersi. Correva veloce, ma fui lesto a riagguantarla.
"Lasciami, lasciami, ti dico" continuava a piangere e a divincolarsi da me, che tentavo invano di blandirla.

"Jac, sorellina, non ho alcuna intenzione di farti del male" cercai di dirle dolcemente. "Anch'io ti voglio bene, come mia sorella e non in altro modo e per me questo è già tantissimo, non ho bisogno di altro e so che anche tu me ne vuoi, perciò ne sono così felice!"

"Ma cosa sta accadendo alla nostra famiglia?" chiedeva ancora singhiozzando. "Una stirpe di pervertiti? Come le definiresti tu delle persone che confondono l'amore fraterno con il desiderio sessuale, eh? Io sono sconvolta. Mi rendo conto che sarà difficile, da ora in poi, dissimulare il mio rifiuto, hai sentito zia Jul che la promiscuità che ci attende non ci lascerà molte alternative, ma io preferisco continuare ad essere me stessa e a definire i miei sentimenti nei loro precisi ambiti, nulla di più." Poi, rivolgendosi a me come in una invocazione, "E tu devi darmi una mano a non trasgredire ai nostri principi morali!".

"Accidenti", dissi fra me "mia sorella sta chiedendo questa cosa proprio a me, che ho fatto della trasgressione ai principi da lei affermati la mia ragione di vita attuale."

Non sapevo proprio come risponderle. Provai ad accarezzarle ancora i capelli e questa volta lei mi lasciò fare. "Dai, sorellina, io ti voglio bene davvero, non preoccuparti, nessuno potrà mai costringerti a fare ciò che non vuoi. Ascoltami, io ti prometto una cosa. Non ti chiederò mai nulla che non sia l'affetto di una sorella che amo moltissimo, va bene per te? Te lo prometto solennemente."

Le mie parole parvero tranquillizzarla, così, le poggiai delicatamente il braccio sulla spalla destra e lentamente la ricondussi nel luogo dove avevamo lasciato mamma e zia Jul, che erano ancora in nostra attesa, un po' preoccupate.

"Penso che la tensione delle ultime ore giochi dei brutti tiri a ciascuno di noi" dissi, cercando di ricostituire l'atmosfera di tranquillità nella quale, prima della confessione di zia Jul, eravamo immersi. "Vorrei, però che sia Jacqueline che voi" dissi rivolgendomi a mamma e a zia, ma guardando intensamente mia madre "ricordiate che l'affetto che nutre ognuno di noi per gli altri componenti della famiglia, ovviamente con intensità e manifestazioni diverse per ciascuno, comunque speciale, intenso, straordinario e unico, va rispettato."

Compresi, dai sorrisi che ricevetti, che la mia uscita fu apprezzata, ovviamente per il significato che rivestiva per ciascuna di loro, in particolar modo per mia madre, nei confronti della quale rappresentava una vera e propria dichiarazione d'amore.

Mi resi conto che la progressiva comprensione di tutti i segreti che erano stati sinora celati da mia madre e dalle mie zie determinavano una corrispondente distensione dei contrasti che si agitavano nel mio animo, nel quale si dibattevano due sentimenti in apparenza contrastanti: da un lato la mia crescente erotomania, determinata dalla consapevolezza di poter intrattenere rapporti sessuali con la metà del gruppo dei miei familiari di sesso femminile, dall'altro il sentimento profondo che mi legava a mia madre.

Riflettendoci su, mi resi conto che le esigenze di "monogamia" imposte dall'amore per mia madre quasi come un impegno nei suoi confronti, erano poi temperate dalla sua apertura mentale, dalla sua accettazione, come normale, di un fenomeno sentimentale quale il rapporto tra zio Marcel e zia Juliette o (mi chiedevo, ma rifiutavo a priori la risposta) tra zio Marcel e la stessa mia madre.

E così, nonostante mi trovassi da solo, in compagnia di tre meravigliose donne che amavo tanto, sia pur in misura diversa e con le quali avrei voluto stare insieme in maniera per così dire più "profonda", decisi che l'azione più conveniente, in quel momento, non poteva che essere quella di star quieto e ritornare al nostro accampamento.

Avevamo, infatti, quasi terminato il giro di esplorazione, perché in mezzo alle chiome degli alberi compariva, a tratti, il cocuzzolo della collina alla base del quale avevamo trovato il nostro rifugio. Non avevamo incontrato nessuno e non avevamo rilevato nulla di strano che potesse costituire fonte di pericoli per noi. Mi convincevo sempre di più che quello era il paradiso e che noi ci eravamo immeritatamente finiti dentro…

Ci volle ancora una buona mezz'ora, prima di rivedere il nostro campo, dove gli altri erano in ansiosa attesa, più per la curiosità di sapere cosa avessimo potuto trovare che per la paura che fossimo incappati in qualche pericolo. Raccontammo di aver trovato palme, vegetazione bassa e poi ancora palme da cocco in grande quantità. Di conseguenza non saremmo certamente morti di fame. Inoltre, le canne da pesca che avevamo recuperato a bordo ci avrebbero offerto una ulteriore fonte di approvvigionamento, a condizione che i fondali dell'atollo fossero stati pescosi come quelli dell'isola di Loanai.

Quella era un'attività che avremmo dovuto programmare con mio padre e zio Marcel, come del resto tutte le altre attività della nostra vita nell'isola: dalle più importanti, destinate alla sopravvivenza del gruppo, alle più piacevoli, evidentemente riservate alla esplorazione ed anche, pensai, a godere di quel mare stupendo, che in fondo era lì perché potessimo tuffarci dentro e potessimo rimanere distesi sulla sabbia a goderci le calde carezze del sole tropicale. Realizzai che anche la nostra pelle avrebbe presto assunto il caldo colore ambrato di quella dei polinesiani.


Fine capitolo 13
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