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Gay & Bisex

Mauro e Franco Cap. 3


di Discobolo
15.02.2023    |    1.412    |    2 9.7
"Non volevo disgustare Mauro, per cui tentai di allontanare la sua testa dal mio organo, ma lui capì e resistette alla mia pressione..."
Cap. 3
Il bacio si protrasse per parecchi minuti. Poi Mauro si staccò decisamente; slacciò la mia cintola, tirò giù lo zip della mia patta e mi fece scivolare fino a terra i pantaloni. Per fortuna avevo ai piedi dei mocassini molto semplici che mi permisero di liberarmene senza difficoltà, allontanandoli da me con un calcio. Ero rimasto in mutande e Mauro stava squadrando con occhio indagatore le forme del mio corpo: accarezzò i pettorali, poi fece scorrere le sue mani sui bicipiti, e giù fino ai polsi ed alle mani; me le afferrò e le portò verso il suo petto, inserendole dentro i risvolti della sua vestaglia, facendomi chiaramente intendere che desiderava che gli accarezzassi i seni. Lo feci: erano bellissimi, sembravano quelli di una ragazza adolescente ma riuscivano a riempire le mie mani piegate a coppa; aveva dei capezzoli grandi, molto più grandi di quelli che di solito si trovano sui seni di un uomo. In breve, trasmettevano una meravigliosa sensazione che acuiva ancor di più lo stato di eccitazione che da qualche ora si faceva sempre più intenso e pressante.
Poi anch’io feci scivolare le mie mani dietro la sua schiena e restammo così abbracciati per diversi minuti, stretti l’uno contro l’altro come se volessimo fondere i nostri corpi per farne uno solo, continuavamo a baciarci in modo focoso e sempre più lascivo.
Ad un certo punto, ritrassi la lingua dalla sua bocca e cominciai con essa ad esplorare la sua pelle: prima il viso, il mento sul quale si sentiva un fondo ispido di barba, poi le guance; passai al collo, e la cosa divenne più piacevole, perché il collo era liscio, profumato, invitante. Sempre umettandolo di saliva, scesi sul petto e mi divertii, eccitandomi da morire, a leccargli i capezzoli, prima uno, poi l’altro, e glieli leccavo e glieli succhiavo; lui cominciò ad emettere mugolii di piacere, ed io mi eccitavo sempre di più. Mentre lo leccavo sul petto, le mani danzavano la sarabanda sulla schiena: gli massaggiai le scapole, andai su e giù per la spina dorsale alternando le mie mani; cominciai a scivolare verso il basso: la lingua passeggiava lungo le praterie intorno al suo ombelico. Che strano: mentre sul petto aveva pochissimi peli, sottili e delicati, sul ventre, intorno all’ombelico e verso il pube era invece più ispido e ricco di peluria. Il viso scendeva verso il basso nella parte anteriore, le mani massaggiavano la schiena, sempre più in basso. Finché arrivarono alle natiche. Come erano belle, rotonde, morbide e sode nello stesso tempo. Le strizzai, le pastrugnai con grande energia, poi le accarezzavo quasi a volere stirare le rughe che avevo provocato strizzandole. Mauro mugolava sempre più forte, emettendo suoni senza senso, di una meravigliosa melodiosità: anche godendo non tradiva il suo talento artistico: i suoi mugolii erano una musica celestiale.
Mentre gironzolavo con la lingua sul suo ventre, il mio petto si scontrò con un corpo … contundente, eretto e proteso verso di me: era veramente un bel cazzo (scusatemi il vocabolo). Il glande aveva assunto una tinta incerta tra il roseo ed il violetto; la pelle, estremamente stirata, era lucida, forse anche perché lui pure aveva previgentemente usato una crema emolliente. Senza neppure accorgermene mi ritrovai tra le labbra quella meravigliosa ogiva, rigida e morbida, che a malapena riuscivo a contenere tra la lingua ed il labbro superiore. Avevo paura di fargli male con i miei denti, e non osavo costringerlo all’interno della mia bocca. Ma fu lui a vincere le mie paure: diede una piccola ma decisa spinta in avanti col bacino e mi costrinse ad ingoiare quell’enorme obelisco che si protendeva verso l’alto, imponentemente sorretto da due turgide sfere puntellate di piccoli nei che facevano da base ad una rada peluria. Mi riempiva la bocca, quella parte meravigliosa del corpo di Mauro, e mi procurava sensazioni inimmaginabili, una miriade di scintille multicolori che attraversavano il cervello, scendevano lungo la schiena per arrivare alle parti basse del mio corpo; quindi il fuoco caleidoscopico risaliva lungo le cosce, le natiche, attraversava testicoli e ventre, risaliva allo sterno e attraverso il collo tornava sulle papille gustative, sulle sensibili mucose della bocca, mentre il più gradevole dei profumi inondava le mie coane nasali. Mi sentivo completamente riempito da quel membro che avevo avviluppato nella mia cavità orale. La mia lingua si accaniva in particolare contro il frenulo, mentre muovendo avanti e indietro la testa, riuscivo a massaggiare con il labbro superiore l’intero glande, bello, dolce, grosso, liscio, pulsante. Mi accorsi che la mia azione stava producendo l’effetto eiaculatorio, ma non volevo che ciò accadesse così presto, e comunque non in quel modo. Non sapevo come avrei reagito se avesse eiaculato dentro la mia bocca e non volevo avere reazioni di ripulsa o peggio, rischiando di offenderlo o di mortificarlo.
Seppure a malincuore, staccai la mia bocca da quella fonte di delizie. Mi rimisi in piedi e tornai a baciarlo appassionatamente, con maggior foga di prima.
La vestaglia di Mauro era da tempo scivolata per terra. Egli vi si pose sopra in ginocchio e, infilate le dita nell’elastico della mie mutandine, me le sfilò delicatamente ma con decisione. Poi prese tra le sue mani il mio pene, lo strinse in un pugno senza fare movimenti alternativi, lo osservava con attenzione, ma mi accorgevo che l’esame lo lasciava assai soddisfatto.
Vi confiderò un segreto. Mi è capitato spesse volte, ovviamente senza problemi erotici di tipo omosessuale, di vedere il pene di altri. La maggior parte degli uomini ha un pene pressoché cilindrico, avente cioè il diametro del glande delle dimensioni, all’incirca, di quello del resto dell’organo, o magari anche di più. Io, invece, mi sono accorto da tempo di avere una caratteristica peculiare: il mio glande ha un diametro inferiore a quello del resto dell’organo. In pratica io posseggo una punta penetrante, mentre il resto del pene si fa via via sempre più grosso, raggiungendo il massimo poco al di sotto del punto mediano, dove, però ha una dimensione ragguardevole; in lunghezza, poi, sono assai bene dotato (da adolescente riuscivo a vincere le … scommesse che facevamo tra ragazzi, e spesso gli altri si arrendevano appena lo avvistavano, senza neppure verificarne le misure con il righello che avevamo predisposto allo scopo): in sostanza, oltre ad avere un bell’arnese, esso ha la caratteristica di potere penetrare agevolmente con la sua punta non esagerata, salvo poi a slargare ben bene l’involucro occupato quando vi giunge con la sua parte centrale. E so che questo manda le donne in visibilio.
Mauro, dunque, scivolò in ginocchio davanti a me ed appoggiò ambedue le palme delle mani ai lati del mio pene; si soffermò ad osservarlo per un tempo che a me sembrò interminabile. Poi strinse leggermente le mani e le mosse delicatamente avanti e indietro, scoprendo e ricoprendo alternativamente il glande.
Oddio! Mi stava facendo impazzire di desiderio.
Poi accostò le sue labbra alla punta del mio pene e ve le appoggiò contro, mentre con le mani continuava la dolce altalena. Le sue labbra lentamente si schiudevano ed accoglie-vano, millimetro dopo millimetro, la turgida ogiva la cui pellicola esterna, ormai tesa come la pelle di un tamburo, era diventata violacea e pulsante. Lentamente ma inesorabilmente Mauro schiudeva le labbra ed il mio pene sprofondava in quella celestiale voragine. Raggiunse la punta della sua lingua e fu come se la mia estremità fosse venuta a contatto con un ferro rovente: un calore enorme, che poteva sembrare un bruciore se non fosse stato di una delizia inimmaginabile, partendo dalla punta del glande si diramò istantaneamente in tutte le direzioni: verso le natiche e poi la schiena, verso il ventre e poi il torace, intorno alle scapole, alle braccia, e tutti quei rivoli di calore giunsero a fascio intorno al collo ed affluirono con violenza dentro il cervello, dove si verificò una enorme esplosione che provocò un sobbalzo di tutto il mio organismo.
Era una sensazione infinitamente più dolce di quella mai prima provata nel penetrare la vagina di una donna, anche la più giovane e bella che avessi incontrato. Sentivo fiumi di miele scorrermi nelle arterie e nelle vene in luogo del sangue. La sensazione rischiava di raggiungere quel culmine che si prova quando si mette in bocca una cucchiaiata di miele naturale, da giungere persino ad essere sgradevole perché troppo eccessiva nella sua dolcezza.
Mauro dovette intuire qualcosa, perché interruppe ogni movimento delle mani e della testa e se ne stette lì immobile, tenendosi in bocca, dove ormai era interamente penetrata, l’intera mia asta di carne turgida.
Sono certo che anche lui, in quell’istante, stava provando sensazioni bellissime ed irripetibili. Era quello un momento in cui non il sesso comandava i nostri gesti, ma l’amore, un amore puro e generoso che godeva del piacere dell’amato e non cercava, e non chiedeva, e non pretendeva nulla per sé, per il proprio godimento, che pur tuttavia giungeva copioso.
Erano forse quelle le sensazioni che ti fanno immaginare cosa e come dovrebbe essere il paradiso, ma ti viene in mente un paradiso delle Uri, in cui le Uri possono essere i tuoi amici più cari, il “tuo” amico più caro.
Il mio cervello sembrava, in quel momento, completa-mente svuotato da ogni pensiero, da ogni facoltà raziocinante, da ogni ricordo: viveva solo di quello che stava provando e riusciva solo a sentire che quella era la felicità.
Trascorsi così alcuni minuti che mi fecero ritrovare un poco di serenità ed equilibrio, Mauro appoggiò la punta della sua lingua in un punto preciso, tra il frenulo e l’uretere, e su quel punto iniziò un vellutato massaggio della sua lingua, muovendo avanti e indietro la testa. Con la mano destra aveva avvolto l’intero cilindro del mio pene intorno al quale contraeva ed allentava le sue dita. Con la mano sinistra mi stava accarezzando le cosce, le natiche, la parte bassa della schiena; poi fece scorrere l’indice dentro il solco tra i miei glutei, solleticando lo sfintere anale e spremendo dalle mie viscere un prolungato lamento di piacere. Così incoraggiato, si soffermò ad appoggiare il polpastrello del dito medio proprio dentro il piccolo cratere, spingendo con delicatezza ma con decisione. Sentii che i muscoletti dello sfintere si contraevano, ma io volevo che il suo dito andasse più avanti nel suo viaggio esplorativo. Con un piccolo sforzo, allentai la contrazione. Lui se ne rese conto e spinse con più decisione il suo dito che, essendo stato ammorbidito e reso liscio dalla crema, non ebbe alcuna difficoltà a penetrare per alcuni centimetri dentro di me.
Il contraccolpo, all’interno delle mie viscere, fu devastante. Non riuscivo più a dominarmi: il piacere che da tempo premeva intorno ai testicoli, all’interno della prostata, diventava sempre più impellente, avrei voluto ritardare il più possibile l’eiaculazione, ma mi accorsi che stava arrivando violenta ed inarrestabile. Non volevo disgustare Mauro, per cui tentai di allontanare la sua testa dal mio organo, ma lui capì e resistette alla mia pressione.
Il mio getto di sperma irruppe con tutta l’energia accumulata da parecchi minuti di inibizione forzata e si riversò a fiotti successivi dentro la bocca di Mauro. Egli l’accolse con gioia, bevendo quello che doveva essere per lui un nettare meraviglioso, suggendo con avidità ogni goccia che gli perveniva nella bocca, leccando infine quanto era rimasto appiccicato intorno al mio glande, fino a ripulirlo del tutto, e nel far questo mi provocava scariche elettriche che facevano contrarre tutti i muscoli del mio bacino, delle mie cosce, del mio ventre, dell’intero mio corpo: godevo e vibravo, e tremavo e cominciavo a reggermi in piedi con qualche difficoltà.
Di colpo mi sentii svuotato, dal cervelletto fino ai talloni sembrava che non ci fosse più niente né di liquido né di solido a sorreggermi. Barcollai un poco e Mauro, sollecito e premuroso, mi abbracciò e mi guidò, senza una parola, verso la camera da letto, verso il suo grande lettone sul quale mi costrinse a stendermi supino.
Ma mi ripresi subito: lo afferrai per le mani e lo trascinai addosso a me.
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