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Gay & Bisex

Mauro e Franco Cap. 5


di Discobolo
15.02.2023    |    3.654    |    8 9.1
"E se gli avvenimenti della serata della settimana precedente erano stati per lui una autentica sorpresa, l’intuizione di questa sera travolse ogni suo..."
Seconda parte: Riflessione

Cap. 5

Una settimana era trascorsa senza che Mauro e Franco si fossero visti o sentiti. In quei sette giorni Franco aveva mille volte pensato e ripensato a quanto era accaduto, e voleva darsene una spiegazione razionale.
Egli aveva sempre considerato le sue tendenze erotiche esclusivamente eterosessuali, per cui non riusciva a darsi conto di quell’impulso che, al ristorante, lo aveva spinto addosso a Mauro.
Per quanto ne sapeva lui, anche Mauro aveva sempre manifestato spiccate tendenze eterosessuali, anzi, una volta che la loro associazione aveva organizzato una gita con visita ad un importante sito archeologico, Franco aveva notato che Mauro era stato parecchio appiccicato ad una collega di Franco, Margherita, insegnante di latino e greco al liceo classico del paese. Anche se Margherita era sposata, tra i due sembrava che ci fosse una certa intesa che andasse al di là della semplice amicizia, ma questa era stata una impressione di Franco.
Lui stesso aveva lunghi trascorsi che deponevano nel senso di una sua spiccata attitudine eterosessuale.
Che cosa, allora, era accaduto?
Cercò di analizzare più in profondità quello che in quel momento sentiva di provare nei confronti di Mauro. Francamente, il pensiero di lui, anche se gli procurava una grande sensazione di calore e di gioia, non stimolava automaticamente le sue zone erotiche. Spesso si ritrovava a pensare a Mauro con grande serenità e senza implicazioni sessuali: immaginava di stare con lui, nel salotto di casa sua o al tavolo di un bar, a chiacchierare serenamente di argomenti di comune interesse, di pittura, di musica, di storia, finanche di politica, sulla quale le loro idee non coincidevano quasi per nulla.
Ma le conversazioni che Franco immaginava di intrattenere con Mauro erano assai serene, gradevoli per entrambi, scevre da qualsiasi interferenza istintuale.
Certo, Franco si accorse che stava soffrendo per la lontananza di Mauro. Non averlo visto né sentito per sette giorni gli pesava enormemente, ed avrebbe voluto precipitarsi ad ogni momento a casa di lui per rivederlo, per potergli parlare, per sentirne la voce, per potergli dire….. che cosa?
Ebbe come un lampo che gli attraversò il cervello. Gli vennero in mente parole che avrebbe voluto dire a Mauro, parole che giammai avrebbe pensato che avrebbe potuto desiderare di rivolgere ad un uomo: “ti voglio bene, ti…amo!”.
Ne fu sconvolto. E se gli avvenimenti della serata della settimana precedente erano stati per lui una autentica sorpresa, l’intuizione di questa sera travolse ogni suo parametro convenzionale dei rapporti sociali.
Come poteva pensare di dire ad un uomo, ad un uomo come lui, “ti amo!” con il significato che a questa espressione aveva sempre dato rivolta a donne!
Non riusciva a darsene una ragione. Decise, comunque, che doveva andare fino in fondo a questa faccenda, doveva chiarirsi quello che gli accadeva dentro, doveva, soprattutto, chiarire i suoi rapporti con Mauro, verso il quale, fino ad allora, aveva sempre avuto (e saputo di avere) una grande amicizia, una grandissima stima sia per le sue qualità umane che per quelle morali, per la sua arte e per i suoi pensieri. Aveva sempre pensato a Mauro come ad una bellissima persona, ad un fratello minore in favore del quale si sentiva pronto a sacrificare tante sue esigenze e tanti suoi egoismi, pur di conseguire il meglio per lui.
Decise, dunque, di affrontare l’argomento con Mauro. Del resto spettava a lui prendere questa iniziativa, essendo più grande, più ricco di esperienza e, forse, più capace di esprimersi in maniera da essere compreso senza possibilità di equivoci.
“Ciao, Mauro, come va? È un sacco di tempo che non ci sentiamo.” – la sua voce, al telefono, suonò eccessivamente allegra, non molto sincera.
“Bene, grazie.” Fu la risposta distaccata di Mauro. “E tu?”
“Sto bene anch’io, se vogliamo riferirci alla salute. Ma c’è qualcosa che mi disturba e della quale vorrei parlarne con te, se ti va.” – Questa volta era stato molto più sincero, e si sentiva.
“Come vuoi.” – Rispose Mauro. – “Sia oggi che domani io sarò a casa perché devo finire un quadro. Vieni quando vuoi.” – La sua freddezza non era scemata per nulla.
Franco sapeva che stava andando in … missione diplomatica. Aveva pensato di portare un regalino a Mauro, magari una stupidata qualunque, solo per fargli capire che aveva pensato a lui, ma poi pensò che qualunque regalo avesse portato, dai fiori ai cioccolatini, poteva essere interpretato in maniera sbagliata. Concluse che era meglio non portare nulla.
Erano le cinque del pomeriggio quando suonò al citofono di Mauro.
“Chi è?”
“Franco:”
Si sentì lo scatto della serratura elettrica e Franco entrò nell’androne. L’ascensore era all’ultimo piano, e mentre aspettava che scendesse mille pensieri lo assalivano. Non sapeva come attaccare l’argomento. Non sapeva esattamente cosa voleva dire. Non immaginava quali avrebbero potuto essere le reazioni di Mauro, qualunque cosa avesse potuto dire. Ebbe paura. Si pentì, quasi, di aver preso l’iniziativa di andare a trovare Mauro, ma poi si rimproverò aspramente, si diede del pusillanime, si ricordò che in passato, per non aver avuto il coraggio di parlare al momento opportuno, era riuscito a rovinarsi la vita. Non voleva cascarci ancora.
Entrò risoluto nell’ascensore ed arrivò al terzo piano. Mauro aveva già aperto la porta, ma non gli venne incontro: lo stava aspettando all’interno dell’ingresso.
Gli tese la mano e, più per una consolidata abitudine che per un moto spontaneo, si baciarono sulle guance.
“Prego, accomodati in salotto che io vengo subito.”
Franco andò in salotto, si sedette su una poltrona ed attese. Dopo qualche minuto Mauro apparve. Non sembrava per nulla allegro, ma francamente non era neppure serioso, accigliato, né, comunque, mostrava di non aver gradito la visita dell’amico.
Franco non volle perdersi in preamboli che rischiavano di portarlo lontano dall’argomento che si era prefisso e che rivestiva, per entrambi, una grandissima importanza. Esordì subito:
“Mauro, voglio dirti per prima cosa che quello che è successo la scorsa settimana non lo avevo per nulla previsto e tanto meno preordinato. Devo però anche dirti che, per quanto mi riguarda, è stata una cosa bellissima della quale non ho affatto alcun ripensamento o rimorso.
Durante questa settimana ho molto riflettuto sul fatto, cercando di capire che cosa mi era successo. Non so se sono riuscito a trovare una risposta valida e convincente, ma ci ho provato con tutte le mie forze ed in assoluta sincerità.
Io credo che la causa prima del mio comportamento va ricercata nella mancanza assoluta di amore che la vita precedente mi ha riservato.
La cosa forse ti sorprenderà, sapendo che sono sposato da oltre trent’anni ed ho due figli. Ma anche a questo c’è una spiegazione.
Ti risparmio i particolari della mia infanzia e della mia adolescenza che, a fronte di una tranquillità materiale, non mi hanno fornito argomenti di maturazione proporzionati all’età che via via avanzava. Sta di fatto, comunque, che a venticinque anni le mie esperienze di vita, sotto tutti i punti di vista, erano forse quelle di un ragazzo di diciotto anni.
Invece, l’aspetto culturale, sia scolastico che generale, andava adeguatamente avanti, per cui “in teoria” io sapevo tutto quello che c’era da sapere della vita, ma “in pratica” non sapevo da dove si cominciava. Pensa che quando ero all’università, ed avevo come “ragazza” una mia ex compagna di liceo di qualche anno più grande di me, pur uscendoci insieme tutte le sere ed appartandoci in luoghi che sarebbero stati idonei, non sono mai andato al di là di lunghi baci (peraltro senza lingua, perché non ci sapevo fare) e carezze su parti del corpo non compromettenti. Alla fine lei si scocciò e, non solo mi disse che tra noi non poteva andare avanti, ma mi suggerì pure di “farmi dare lezioni” da una collega nota in tutto l’ateneo quale nave scuola per tutte le matricole.
Fui anche tanto stupido da accettare. Ci provai, ma ne rimasi disgustato, anche se non andammo al di là di un cinema assieme.
Fu, comunque, dopo la laurea che andai in vacanza presso parenti in Umbria, e lì conobbi una “ragazza” (veramente, per me, non lo era più) che aveva una disastrosa esperienza matrimoniale alle spalle: era fuggita dalla casa del marito che la famiglia le aveva dato, la prima notte di nozze, in camicia, violentemente shoccata dalla completa assenza, in lui, dell’organo di copulazione. Ebbe, sì, l’annullamento del matrimonio per “impotentia coeundi”, ma il trauma se lo portò dietro per tutto il resto della sua vita. La conseguenza fu che divenne una specie di ninfomane che cercava di portarsi a letto tutti gli uomini sui quali poteva mettere le mani.
Fra questi ci fui anch’io. Mi fece vivere una esperienza sessuale quale io non solo non avevo mai provata, ma non avrei neppure saputo immaginare. Mi fece, però, anche ridimensio-nare di parecchio il concetto “dolcestilnovista” che io avevo sempre avuto per le donne.
Qualche tempo dopo, con i crismi ed il benestare di ambedue le famiglie (ché, anzi, la maggiore pronuba era stata la mia sorella più grande che da tempo la conosceva e ne aveva immensa stima), mi fidanzai con l’attuale mia moglie. Nel frattempo cominciai a fare qualche supplenza nelle scuole medie superiori.
In considerazione dei rapporti familiari, ed anche della educazione rigida che mia suocera aveva dato alla figlia (il papà era morto tantissimi anni prima), nonché delle restrizioni morali che avevano infarcito anche la mia educazione familiare, i nostri rapporti, durante il fidanzamento, furono improntati alla massima discrezione ed al più grande rispetto reciproco.
Ciò, però, non mi impediva qualche evasione con qualche collega un po’ “zoccola”, come facilmente si poteva trovarne nelle scuole dove andavo a tenere lezioni.
Durante il fidanzamento, che durò circa un anno e mezzo, ebbi dei momenti di grave crisi, rendendomi conto che, al di là dell’affetto amichevole e della immensa stima, non provavo per la mia fidanzata quell’attrazione violenta e fisica che avrei dovuto provare per la mia compagna di vita.
Un giorno chiamai a consulto le mie sorelle e manifestai loro le mie perplessità, concludendo che avrei preferito rompere il fidanzamento. La minore delle mie sorelle, constata la mia assenza di passione, si rese conto che avevo ragione ed appoggiava la mia decisione; l’altra, invece, fece una serie di considerazioni di carattere sociale: che non potevamo fare un torto alla famiglia di lei, che non potevo metterla in condizioni di non trovare più marito, che avremmo certamente avuto delle ritorsioni da parte del suo parentado, eminente e potente nel nostro ambiente, per cui finì col persuadere sia me (che non avevo poi una personalità tanto forte) che l’altra sorella (che poteva essere la mia unica difesa) sulla opportunità, anzi sulla necessità della positiva conclu-sione di quel fidanzamento con il matrimonio.
Come quando si ha un dente che ci fa male, non si vede l’ora di andare dal dentista per farcelo strappare, decisi che, se proprio dovevo farlo, era meglio farlo subito. Quando quel giorno andai a trovare fidanzata e suocera, dissi loro che avevo deciso che ci saremmo sposati entro tre mesi.
Ci fu il panico generale, ma per evitare ripensamenti (ché un po’ tutti avevano intuito i miei problemi) accettarono la mia decisione.
Ci sposammo, ed io cercai con tutte le mie forze di tener fede agli impegni che il matrimonio comportava.
Feci regolarmente l’amore con mia moglie fin dall’inizio, tant’è che la prima figlia nacque dopo nove mesi e tre giorni dalla data del matrimonio.
Ma mi resi conto presto di una enorme discrepanza che c’era tra me e mia moglie quando facevamo l’amore. Io facevo l’amore nella maniera più normale e regolare, senza fantasia è vero, ma (a quell’età) con sufficiente foga e soddisfacente risultato. Ma pian piano mi accorsi che lei non manifestava uguali reazioni, che spesso non solo non provava piacere ma addirittura si infastidiva per l’atto sessuale.
Per molto tempo accusai la mia imperizia ed inesperienza di non essere all’altezza della situazione e di non riuscire a soddisfarla sessualmente.
Poi, una sera, casualmente, non avendo grande voglia di fare sesso, volendo comunque essere gentile nei suoi confronti, allungai una mano ad accarezzare il suo ventre. Lei accolse il gesto positivamente, ed io continuai ad accarezzarla, scendendo ancora verso il basso, fino a stuzzicarla nelle sue parti più sensibili.
Mi accorsi che mi incoraggiava, spingendo il bacino verso la mia mano, finché non introdussi un dito tra le grandi labbra e, prima delicatamente poi sempre con più foga, accarezzai il suo clitoride per qualche minuto finché, stringendo le gambe ed imprigionando violentemente la mia mano, non scoppiò in un travolgente orgasmo.
Finalmente avevo scoperto la sua sensibilità. Ma essa si poneva in conflitto con la mia che aveva necessità di una completa penetrazione in vagina. Quando cercavo di favorirla, usando il mio membro per masturbarla, le sue contrazioni e la mancanza di secrezioni sottoponevano il mio organo ad uno stress fisico sgradevole, con escoriazioni e bruciori, che bloccavano qualunque mio impulso verso la ricerca dell’orgasmo.
Per anni siamo andati avanti con una specie di compromesso: prima facevo raggiungere a lei l’orgasmo, con le dita o … soffrendo. Poi lei mi consentiva di penetrarla completamente alla ricerca del mio orgasmo. Talvolta, però, anche questo non era possibile, perché le sue parti intime, dopo aver raggiunto l’orgasmo, restavano a tal punto sensibili da soffrire per la presenza di qualunque corpo estraneo, fosse pure il liscio e vellutato contatto con il mio membro.
Finii con l’evitare di avere rapporti con lei. Per dimostrarle che non avevo nulla contro di lei la masturbavo quasi regolarmente, ma poi rinunciavo a cercare il mio piacere con il coito e mi adattavo a raggiungerlo masturbandomi anch’io.
Contemporaneamente cercavo, però, compensazioni all’esterno della famiglia, anche se mai ho corso il rischio di innamorarmi di un’altra e di desiderare una separazione che mi restituisse la mia libertà. Soprattutto perché pensavo che avrei danneggiato i figli, e questo non lo volevo, a nessun costo.
Negli ultimi dieci anni, complici anche alcuni miei problemi di salute, i nostri rapporti si sono completamente estinti e, contemporaneamente, cessai pure di cercarne all’esterno, anche perché le conseguenze dolorose di eventuali liti (il suo orgoglio non consentiva che io avessi altre donne, anche se non sapeva più che farsene di me) non venivano compensate dall’effimero piacere di fare sesso come fine a se stesso.
Adesso, da anni non ho più avuto rapporti sessuali di alcun genere.”
Mauro mi aveva ascoltato in assoluto silenzio, senza tradire nessuna emozione, senza alcun cenno di consenso o di critica su quello che gli andavo esponendo.
Feci una breve pausa, senza che lui provasse a replicare alcunché. Allora ripresi.
“ Adesso è capitato quello che è capitato la settimana scorsa, e mi sono chiesto: che cosa significa? Quale è stata la molla che mi ha spinto?
Analizzando i miei sentimenti, o comunque ogni mio moto interiore verso di te, ho scoperto che per prima cosa sento di volerti bene, nel senso autentico ed etimologico di volere il tuo bene, cioè tutto quello che può essere bene per te, anche se dovesse costare a me dei sacrifici o delle rinunce.
A questo “affetto” che potrebbe essere di amicizia, o fraterno, che è assolutamente profondo e privo di ogni motivazione apparente, si accompagna la più profonda considerazione per la tua persona e per la tua personalità: la stima più grande ed assoluta sia sulle tue qualità morali, sia sulle tue capacità intellettuali ed artistiche. Quando guardo un tuo quadro credo di poterti leggere nell’anima, credo di capire cosa ti ispirava mentre lo dipingevi, di sapere a cosa pensavi e che cosa volevi dire agli altri.
Ormai ti conosco bene, perché da quando ti frequento ho studiato tutte le tue azioni, tutti i tuoi comportamenti, tutti i sentimenti che hai espresso con le parole, con gli sguardi, con gli atteggiamenti. E più ti conosco, più ti stimo, più voglio esserti amico, amico intimo, viverti accanto, condividere con te la buona e la cattiva sorte. In una parola, mi sono accorto che ti amo.
Non è detto che anche tu ti sia innamorato di me come io di te. Può darsi che il tuo sia solo stato un moto di debolezza, un momento di desiderio incontrollato, la spinta di una incontenibile curiosità sul cosa volesse e fin dove intendesse arrivare questo vecchio imbecille.
Non te ne vorrò, se da parte tua non ci dovesse essere alcuna partecipazione emotiva seria e permanente che possa andare al di là dell’affettuosa amicizia che mi hai sempre dimostrato.
Non ho nulla da pretendere, non ho nulla da chiedere. Volevo solo che sapessi che il mio non è stato solo un momento di desiderio carnale di un tipo particolare, che oltretutto non faceva parte del mio bagaglio abituale, ma un vero sentimento di totale dedizione, di abbandono, di annullamento di tutto me stesso tra le tue mani, tra le tue braccia, dentro i tuoi sentimenti.”
Tacqui definitivamente.
Lui era serio, rifletteva, ma forse non sapeva che dire.
Alla fine si decise a parlare.
“Io credo di doverti essere grato per le belle espressioni di affetto che hai avuto nei miei confronti.
Per quanto riguarda il resto, non ho nulla da rimproverarti, perché quello che è accaduto è accaduto anche per mia volontà. Ed anche se sono più giovane di te, non sono certo un ragazzino che non si rendeva conto, che non sapeva quello che stava facendo.
Quello che invece mi preoccupa è un’altra cosa.
Anch’io mi sono accorto di volerti bene, e non vorrei fare nulla al mondo che potesse danneggiarti o potesse farti soffrire.
La differenza di età, che anche tu hai sottolineato, può essere valutata da due diversi punti di vista, l’uno opposto all’altro.
Essa non è certamente di ostacolo alla instaurazione, oggi, di un rapporto stabile tra di noi. Avrai capito, ormai, che le mie tendenze naturali sono rivolte verso le persone di sesso maschile, tra le quali ho talvolta incontrato qualcuno che pensavo potesse essere la mia definitiva metà.
Ho preso diversi abbagli, finora. E quindi dubito delle mie stesse capacità di valutare con certezza la effettiva validità di un rapporto.
Anch’io, adesso, sento di volerti bene, sento che vorrei continuare con te ad essere quello che siamo stati la scorsa settimana.
Ma se poi mi sbagliassi? Se più avanti nel tempo incontrassi qualche altro, magari della mia stessa età, e mi sentissi maggiormente attratto verso costui e dovessi chiederti di interrompere il nostro rapporto, quale ne sarebbe la conseguenza per te?
In considerazione della tua età, e quindi della tua capacità di valutazione e di ponderazione, forse il tuo è un sentimento duraturo, indistruttibile. Se io dovessi un giorno demolirlo, quanta sofferenza ti procurerei? Quanto offenderei la tua sensibilità? Cosa crollerebbe dentro di te, che già hai avuto sufficienti motivi di sofferenza nella tua vita?”
“Oh, caro,” replicai intenerito, “quanto sei dolce! Quanto ti sei ancora ingigantito nella mia considerazione e nel mio affetto!!!
Tu ti poni domande, e ti fai preoccupazioni, sugli eventuali dispiaceri che potresti darmi nel caso in cui scoprissi che il vivere la tua vita implichi che tu rivolga le tue attenzioni amorose ad altra persona che non sia io.
Ma allora, il mio “volerti bene” dove andrebbe a finire?
Se io ti voglio veramente bene, tutto quello che sarà, oggi, domani o dopodomani, per il tuo bene, sarà da me non solo bene accetto, ma intensamente e coscientemente voluto, per il solo fatto di essere il tuo bene.
Potresti, è vero, preoccuparti che io non capisca subito dove sta il tuo bene e che, nel mio egoismo, potessi continuare a pensare che il tuo bene non può che essere, deve essere nel mantenimento del rapporto con me.
Ma questo ci sarà sempre e comunque. Noi ci vorremo sempre bene, io a te e tu a me, anche se domani tu fossi sessualmente attratto da altra persona. Teoricamente potrebbe accadere anche a me, anche se penso che sia assolutamente improbabile. Ma so bene che l’avvenire riserva a me un numero di anni assai inferiore di quelli che sono riservati a te. Come posso vincolarti a me, se anche da un momento all’altro potrei venir meno anche fisicamente?
Tu sei e rimani del tutto libero di vivere la tua vita come meglio crederai.
Finché vorrai condividere con me la realizzazione di momenti di somma felicità, così nel campo dello spirito, dell’intelligenza, dell’estetica, come nel campo del reciproco dono dei nostri corpi per la nostra completa realizzazione di esseri umani, io ne sarò felice e te ne porterò eterna gratitudine.
Se le circostanze dovessero modificare i nostri rapporti esteriori, niente e nessuno potrà distruggere il patrimonio di bei sentimenti, di bei pensieri, di gioie profonde che avrò vissuto con te, nessuno me ne potrà mai privare.
E basterà questo per farmi vivere felice fino alla fine dei miei giorni.”
Fine
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