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Gay & Bisex

Ale senza Sirio


di Superperv
28.02.2024    |    4.581    |    4 9.6
"Anche la mia sezione, quella di cucina, era piena di sfaccendati che venivano solo per far casino, e non per imparare, e, fra i pochi che cercavano di..."
Avevo da poco fatto i 16 anni e realizzato che la scuola professionale che frequentavo mi stava solo facendo perdere tempo, era un parcheggio per sfigati che facevano finta di essere studenti, in attesa di diventare disoccupati.
Anche la mia sezione, quella di cucina, era piena di sfaccendati che venivano solo per far casino, e non per imparare, e, fra i pochi che cercavano di apprendere, io ero il solo a non avere alle spalle una famiglia di ristoratori.
Anzi, una famiglia vera e propria, di quelle tradizionali, io non l’avevo proprio.
Mia madre un bel mattino mi aveva caricato assieme ai bagagli e due o tre dei miei pupazzi sulla macchina della sua migliore amica, c’era anche Sirio, il mio amichetto preferito, figlio di Luna, ed erano partite le due pazze, assieme allo zio di Sirio.
Per due mesi facemmo vita da nomadi, in assoluta libertà, io e Sirio mica potevamo capire che quel bizzarro viaggio era figlio del fatto che le nostre amate mamme avevano iniziato da mesi a farsi le pere di eroina e condividevano lo stesso uomo.
Il padre di Sirio era sempre stato assente, troppo occupato per curarsi di lui, e poi era più piccolo di un anno, e quindi il papà non gli mancava, a me il babbo mancava tantissimo, e ci piangevo prima di dormire.
Poi lo zio di Sirio un bel mattino sparì, così come le nostre mamme avevano abbandonato casa e rispettivi mariti.
Il ritorno fu traumatico, mamma di tornare col babbo manco ci pensava, per lei il matrimonio era stato l’ennesima gabbia in cui cercavano di rinchiuderla.
Lei era nata in una famiglia che aveva fatto la scalata sociale nella Brianza del dopoguerra e che voleva tramite la figlia fare il vero salto sociale, magari con un bel matrimonio. E così l’avevano mandata a studiare dalle Orsoline in Svizzera, a Bellinzona, posto quantomeno inadatto a una ribelle cronica, ma da cui uscì con una perfetta educazione formale, un ottimo francese, nonché sapendo suonare il pianoforte, oltre che col diploma di maturità..
Di lì in poi combinò quanti più pasticci possibile, cosa che, nonostante le amicizie altolocate del collegio, la escluse dal novero delle possibili ragazze da marito per i rampolli della Milano Bene.
Alla fine, contro la volontà paterna sposò mio babbo, il quale l'aveva messa incinta di me e che era un semplice rappresentante di commercio, figlio di un artigiano di Cantù.
Entrambi erano belli, ed anche giovani, ma lui era un alacre lavoratore con obiettivi borghesi, lei una divertente pazza scatenata. Ovvio che dopo 5 anni lei non ne potesse più, e aveva scoperto le droghe, meglio se pesanti, col risultato della successiva fuga a trois.
Quando tornammo fu il disastro, riconciliazione impossibile, il babbo aveva avuto un’offerta importante, che implicava il rientro in Brianza, mamma che di rinunciare a me, manco a parlarne, finì che il babbo lo vedevo, se andava bene, a Natale.
La vita con mamma era come una giostra, un misto di buone maniere, e assurdità Lei stava con uno che campava la vita vendendo cocaina, la usavano pure, sia chiaro, e coi proventi della bianca comprava la nera, cioè l’ero, per mamma e pure per sé stesso, oltre che mantenere me, non nel lusso, anzi, però col necessario sì.
A casa si mischiavano i mobili della nostra vecchia casa, regalati dal nonno materno, cioè qualche bel pezzo di antiquariato, con cose comprate da rigattieri, spesso molto belle (la mamma aveva un gran gusto), ma anche assai scassate.
Nella zuccheriera del servizio buono non ci stava lo zucchero, ad esempio, c’era ben altro, così le palline di sostanza già pronte per la vendita riposavano dentro a una vezzosa porcellana Limoges, e i pochi cucchiai d’argento non venduti erano tutti anneriti e con un forte odore di ammoniaca, perché si sa l’argento è un gran conduttore termico e poi noblesse oblige.
Ovviamente, in questo quadro, cose come ricordarsi di cucinare per il figlio, o preoccuparsi del riscaldamento e delle bollette era inserito fra le “ varie ed eventuali”.
La mamma era brava nel suo “lavoro” con Giuliano, anzi, senza di lei, lui mica sarebbe riuscito a stare galla.
La chiamavano Baba Yaga, abbreviato in Baba, come la vecchietta delle fiabe russe, quella che poi che poi si rivela essere una perfida strega potentissima.
Vecchia, poi, non era, ma di certo ben più vecchia della media dei tossici in attività lo era, ed andava a “consegnare” e ovviamente riscuotere, col visone addosso e il volpino di Pomerania al guinzaglio, come una vera signora.
In mezzo a questo circo, la mia sola certezza era Sirio. Lui era il solo che potesse capirmi, visto che avevano vite costruite a fotocopia.
Per canto mio che dirvi? Sapevo di essere bello, me lo ripetevano fin da piccolo, e quindi, o erano tuti ciechi, oppure era vero, e poi lo specchio lo confermava. Ero alto come adesso, cioè 185 c, fisico naturalmente disposto a far muscoli, e passione per la palestra e l’attività fisica, quindi ero muscoloso alquanto, ero glabro, decisamente molto ben dotato, e con un viso da fotomodello, ma troppo socialmente periferico per essere notato.
Avevo sempre avuto ragazze, la prima la scopai che non avevo ancora 14 anni, eppure le seghe con Sirio mi avevano sempre molto turbato, talmente turbato che avevo smesso di farmele assieme a lui.
Non che avessi paura per la mia sessualità, avevo paura di perdere Sirio, se non avesse funzionato, perché in ogni tempesta eravamo stati le reciproche ancore, fin da che eravamo bimbi di 3 e 4 anni, fin da allora ci siamo supportati, consolati, abbracciati e sostenuti.
Figuratevi la mia reazione quando seppi che dalle canne e le cale di ecstasy che usavo pure io, lui era passato ad altro, frequentando brutta gente, nelle ore in cui io perdevo tempo all’alberghiero!
Lo caricai di botte, ci litigai e poi feci pace, perché non lo abbandonavo pur se aveva preso la strada delle nostre madri.
In mezzo a tutto questo io avevo conosciuto Renato. E per uno a cui mancava da sempre un padre lui era la figura perfetta.
Lui aveva 45 anni, era un bellissimo uomo, viso nobile, occhi verdi, naturalmente elegante, gran bel fisico, due lauree, ma nel contempo non conformista.
Il solo fatto che mi avesse notato, e che si fosse ricordato di me riconoscendomi dopo un anno dal giorno in cui era stato invitato a scuola per un dibattito sulla storia alimentare, mi aveva fatto sentire bene, quando mi invitò a casa sua, beh, per me era il massimo.
Ci andai con molte speranze e la voglia di fare colpo, ero sempre stato aggressivo nel sesso, e di carattere dominante, per sopravvivere, ma avevo bisogno io di essere dominato, di avere un referente autoritario, delle regole, regole che mi mancavano da che non c’era babbo, cioè da sempre, o quasi.
Mi misi un paio di jeans molto aderenti, e una camicia bianca a maniche corte, di quelle nate per essere portate fuori, quelle col taglio squadrato che arrivano in vita, scarpe da ginnastica, non che avessi molte scelte, insomma, esposto, ma non troppo.
Casa sua era accogliente, non ordinatissima, anzi, e poi era piena di libri, di quadri, di ricordi vari, e di oggetti portati da viaggi, e fotografie e su di un muro di passaggio erano appesi quattro studi di una qualche accademia di disegno del secolo prima, due nudi femminili e due nudi maschili.
Mi offrì un the e dopo dieci minuti, senza ritegno, e col fare di chi sa già l’effetto delle proprie parole, mi disse: "I ragazzi belli come te dovrebbero andare in giro nudi, per legge”.
Nel tempo in cui lui andava a riempire la teiera in cucina io ero già nudo sul divano.
Evidentemente si aspettava che io lo proponessi o che arrossissi, non che ubbidissi alla sua personale idea di legge.
Avevo risposto colpo su colpo alla sua provocazione, ora stava a lui la mossa, e la mossa si sostanziò nel suo pene eretto e fuori dai pantaloni, che sfiorava le mie labbra.
Ed io le labbra le aprii, e iniziai a fare la mia prima pompa e mentre io succhiavo lui si spogliò nudo.
La sua cappella era scura, grande, turgida, ed il suo pene era di una buona dimensione, tipo il mio, sui 20 cm.
Mi piacque succhiare quel glande, mi piacque leccarlo, giocarci con la lingua e poi essere forzato a ingoiare anche la verga, mi eccitò essere guidato, con fermezza, ma anche con una certa dolcezza, e poi abbracciato e baciato, restammo sul divano, ci masturbammo reciprocamente, e prima di venire , mi spinse di nuovo giù, a tornare a succhiare.
Ed io fui ben felice di tornare a prendere in bocca quel magnifico cazzo, a succhiarlo, ingoiarlo, leccarlo e poi leccare lo scroto, succhiare entrambe le palle e poi di nuovo il cazzo fino a farlo venire.
Ci limitammo a quello, la prima volta, poi ci lavammo, ed io rimasi nudo a chiacchierare con lui che stava su una poltrona antica avvolto nel suo accappatoio.
La volta dopo decisi di ubbidire ai suoi desideri e misi addosso il meno possibile, quindi pantaloncini corti, niente mutande ed una canotta a rete
Apprezzò, ed apprezzò ancor più che quel poco lo tolsi nell’entrare.
Ovviamente finimmo direttamente a letto; per lui far sesso non impediva, almeno nei preliminari di parlare, e a me piaceva questa sua modalità rilassata.
Quella seconda volta, dopo avermelo fatto succhiare, iniziò a giocare col mio culo, sentivo il suo dito, poi la sua lingua e poi il dito ancora, poi il lubrificante, e due dita. Io sempre col suo cazzone in bocca, anzi in gola, a succhiare e sbavare, a ingoiare la sua carne di maschio e godermi il suo grande glande scuro e largo.
Poi mi mise in posizione e sempre sorridendomi, mi disse “ora mi prendo il tuo culo, ti svergino e ti chiavo, come una piccola baldracca in cerca di cazzi maturi”, lo disse con un tono spietato, e di colpo lo spinse dentro.
Non fu romantico, neanche delicato, si mise a stantuffare, dentro e fuori, mi apriva il culo, letteralmente mi spaccava in due, mi guardava negli occhi mentre mi trombava senza nessuna pietà per i miei sussulti di male.
Era un vero toro da monta, andava su è giù , dentro e fuori, senza accennare a venire, si capiva che lo eccitava il mio sguardo di sedicenne etero che stava dando il culo e scoprendo che gli piaceva anche.
In effetti proprio il fatto che stesse chiavandomi come se io fossi una esperta baldracca e non un verginello confuso, mi eccitò.
Era come se stesse insegandomi a vivere, ed io mi sciolsi, mi rilassai, mi fece meno male, sempre meno male, e divenne sempre più piacevole, molto di più.
E dal piacevole passai al godurioso e a gemere, e a baciarlo con furia, eccitarmi ai suoi morsi.
Eravamo due animali, un adulto ed il suo cucciolone a cui insegnare.
Ero contento di avergli dato il culo, che fosse stato lui a prenderselo e a farlo in quel modo, ero contento e sempre più eccitato, infatti venni senza toccarmi, fra sfregamento dei corpi e delirio prostatico, e a quel punto anche lui venne e mi inondò il culo.
Ci misi un poco a farmi la doccia, e quando uscii con un asciugamano ai fianchi in salotto c’era lui con un mio ex compagno delle medie, anche lui molto carino, ed anche lui con una vita a dir poco problematica, e anche lui intento a spogliarsi.
Ci guardammo, lo salutai, come se fosse normale trovarsi nudi in casa di un uomo, Luchino era come lo ricordavo: piccolo di statura, ma ben fatto, biondo, occhioni blu e faccia da bambino.
Renato ci chiese di fare un sessantanove, per eccitarlo, poi volle che io inculassi Luchino, cosa che feci, anche perché lo avevo duro e mi dava fastidio che Luchino fosse lì, quindi lo chiavai di brutto, come se fosse stata una fica da violentare.
Con la scusa dell’orgasmo gli venni dentro mentre gli rifilavo un paio di sberle.
Poi andai a lavarmi e quando uscii Renato stava chiavandosi Luchino. Mi rivestii, e andai via, ero confuso e un poco amareggiato, domandandomi che tipo fosse Renato.
Insomma, era il paterno e dominante signore affettuoso, oppure era un collezionista seriale e perverso di ragazzi con problemi più grossi di loro e senza famiglie alle spalle?
Poi mi domandai come avrei parlato di questa cosa con Sirio, come avrei presentato il tutto, insomma, cercare un sostituto di padre era quasi avere un piano che lo avrebbe tagliato fuori, o almeno poteva smembrarlo, e Sirio, lo capivo da come mi stava evitando, doveva essersi messo in qualcosa di troppo difficile, anche per la sua mente acuta ed analitica, ma sempre troppo emotiva.
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