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La casa del killer - parte terza


di Giobro
21.11.2022    |    3.112    |    2 8.9
"Feci un giro attorno alle mura..."
Dopo l’ultimo incontro ero ossessionato dal pensiero che il taglialegna sapesse il mio numero di cellulare. Temevo ne abusasse, che mi tormentasse telefonandomi nei momenti più impensati. Invece non lo utilizzò mai, così quasi me ne dimenticai.

Sono passati più o meno tre mesi da quell’episodio e ci siamo incontrati altre due volte. Quando raggiungevo la casa restavo un po’ di tempo fuori in attesa … quindi bussavo. Se lui era in casa e voleva aprirmi si sarebbe fatto vedere. Mi portava sempre sulla torretta, ogni volta c’era qualche sorpresa. La sua dominazione cominciava veramente a piacermi, il mistero di non saper fin dove si sarebbe spinto o cosa mi avrebbe fatto mi attirava in modo perverso. Poteva superare i limiti, poteva farmi veramente male, queste ipotesi ormai non erano sufficienti per farmi desistere, si era creata una certa dipendenza da parte mia.
Mi ero documentato su internet per vedere alcuni accessori poggiati sul tavolo cosa fossero e, come si suol dire, capendone l’uso, mi si drizzarono i capelli in testa. Alcuni avrebbero provocato dolori veramente atroci. Sinora li aveva ignorati completamente, chissà forse nella sua strategia psicologica li aveva messi là per turbarmi e non usarli… così speravo.
Malgrado ciò continuavo a tornare.
L’ultima volta legandomi con delle corde aveva fatto il porco comodo con il mio corpo mentre quei legami si stringevano sempre più ad ogni movimento.


Proseguivo spedito verso la casa, il cancello ormai si trovava alle mie spalle, quando vidi parcheggiata accanto al portico una moto. Mi fermai non sapendo cosa fare. Le altre volte non avevo notato testimonianze sulla presenza di qualcuno. Da una delle finestre sulla torretta mi sembrò di vedere qualcosa, ma forse era stato un riflesso di un ramo mosso dal vento. Raggiunsi il portico, la porta era chiusa e come sempre la casa era immersa nell’oscurità. Feci un giro attorno alle mura. Tornato al portico raggiunsi la porta d’ingresso, alzai il pugno come per bussare ma lo poggiai alla porta senza far rumore, trascorso qualche secondo lo ritirai e tornai sul tappeto di foglie accanto alla moto. Poteva non essere solo, meglio andarsene. La decisione mi rasserenò un fattore esterno mi aveva fatto decidere quello che invece avrei dovuto fare io per non trovarmi in quella situazione. Tornai sui miei passi molto lentamente quando improvvisamente sentii una finestra aprirsi e dall’alto una voce giungere alle mie orecchie.

“Coglione dove vai? Torna qua!”

Mi voltai. Vidi solamente che una delle finestre della torretta si stava chiudendo.
Tornai indietro ed aspettai dinanzi alla porta.
Trascorsero per lo meno cinque minuti prima che mi aprisse. Il mio umore man mano cambiò, l’attesa mi innervosiva, si stava preparando o godeva a lasciarmi là fuori?
Finalmente la porta si aprì, lui rimase nascosto dall’anta.
Entrai e lo vidi.
I soliti scarponi ai piedi, indossava solamente, non saprei come definire quell’indumento, un tanga composto da un triangolo di pelle nera che copriva a malapena il cazzo e le palle, ai bordi i suoi folti peli trasbordavano abbondantemente. Non indossava altro. In mano teneva una frusta con le frange

“Seguimi!”

Si avviò per le scale, lo seguii.
Le natiche erano completamente scoperte, quello slip copriva per quel poco che poteva la parte anteriore. Ad ogni gradino i glutei si muovevano gradevolmente nella penombra delle scale. Aveva un culo ipnotico, mi incantavo a guardarlo.
Giunti in cima, fatti gli ultimi gradini, si materializzò ai miei occhi un’altra persona. Lo stupore fu talmente forte che esclamai

“Non sei solo?”

Mi arrivò un ceffone sonoro, come la prima volta che lo incontrai.

“Chi ti ha detto di parlare? Se non ti si chiede muto!”

Era molto alterato, sicuramente la presenza dell’altro lo eccitava, e questa sua alterazione si ripercuoteva su di me.
L’altro era completamente nudo, indossava l’imbracatura di pelle che di solito aveva il taglialegna durante i nostri incontri, alto, meno massiccio di lui ma ben messo come muscoli, aveva un pizzetto ben curato. Pensai che avesse una cinquantina di anni. Stava in piedi accanto ad una delle finestre mi guardava, per ora non parlava, in mano anche lui teneva una frusta. Mi sentivo tra due fuochi. Ero Imbarazzato, per me era un estraneo, bene o male il taglialegna faceva parte della mia vita quest’altro no!

“cazzo non ti ho fatto spogliare:”

Si guardò intorno avvicinandosi al tavolino, sposto alcuni oggetti.

“Vieni qua!” sentenziò “Spogliati e metti i vestiti qua!”


rimasi interdetto.


“Sbrigati!” Tuonò.

Era tornato con uno sguardo cattivo e tagliente.

Mi spostai verso il tavolo con un imbarazzo tremendo che causò in me una erezione. Come stavano cambiando in me i parametri emozionali. Non potendo fare altro mi spogliai completamente come mi aveva chiesto, poggiando gli abiti sul tavolo, tolsi gli occhiali mettendoli in cima ai vestiti accatastati. Nel frattempo l’eccitazione era quasi scemata.
Mi voltai, entrambi mi guardavano in silenzio.
Mi vergognavo e cercavo di non incrociare i loro sguardi. Istintivamente portai le mani a coprire il cazzo… ma le tolsi subito, ero impacciato.

“Cosa ci vogliamo fare?”

Chiese all’amico.

“Non so… E’ tua proprietà decidi tu.”

rispose con una voce profonda baritonale.
Il mio sguardo, di nuovo, si fermo sul perizoma del taglialegna, accorgendosene mi intimò di avvicinarmi a loro. Ero il loro giocattolo.

“Inginocchiati!”

Appena in ginocchio mi sbattè quel perizoma pieno del suo sesso sulla faccia, l’odore della pelle entrava nelle narici, e spostandomi su e giù sentivo i suoi peli solleticarmi sul viso.
Quindi spingendomi verso l’amico mi ordinò.

“Fai gli onori di casa, usa la bocca”

Per non cadere mi aggrappai alle sue cosce, il cazzo pendeva davanti ai miei occhi, rimanevo fermo. Immobile. Ci pensò sempre il taglialegna spingendomi verso il pube, Affondai tra i suoi peli, aveva un odore delicato non forte, meno selvaggio di quello a cui ero abituato. A quel punto l’amico mi prese la testa e con calma si mise a strusciare il cazzo sul mio viso, mi aprì la bocca e infilandolo dentro cominciai a succhiarlo. Mi piaceva. Cominciavo ad essere meno spaventato. Man mano si gonfiava dentro la mia bocca, lo sentivo crescere e diventate rigido.

“Bravo così me lo fai diventare duro”

Seguitò a spingermi mentre cominciava un movimento ondulatorio, respirava un po’, gemeva. Il taglialegna ridacchiava. Di fianco vidi che anche lui aveva il cazzo grosso eretto e gonfio, mi staccai ed i due cazzi sbatterono sulle mie guance. Cominciai a prenderli alternativamente ne succhiavo uno l’altro lo masturbavo, quel gioco mi piaceva. Assaporavo quegli attimi di piacere inaspettato ed il loro sapore sempre più intenso. Dopo cinque minuti l’amico mentre lo facevo uscire dalla bocca venne copiosamente con schizzi violenti e caldi. In parte lo ingoai mentre il resto scivolò sulle labbra e sul corpo. Cercavo di leccargli la cappella rossa e umida.
il taglialegna gridò

“Troia prendi anche questo!”

Venne indirizzando lo schizzo sul volto riempiendo una guancia del suo sperma che lentamente scivolava sul mio corpo. Cercai di leccare le due cappelle contemporaneamente. Rosse turgide ed umide, cercavo di assaporare le ultime gocce di quel nettare. La situazione da imbarazzante era diventata eccitante, mi sentivo veramente schiavo di entrambi e mi piaceva. Le loro mani poi carezzando le guance mi facevano leccare lo sperma così raccolto, leccavo avidamente non avrei mai smesso. Il mio cazzo nel frattempo era duro tra le mie gambe. Con una mano cercai di prenderlo ma il taglialegna mi ricordò dove mi trovavo.
Dandomi un calcio sui coglioni sbraitò

“Che fai non ti permettere, noi dobbiamo godere tu no!”

Il dolore improvviso mi fece rannicchiare su me stesso, mi ritrovai a terra.

“stupida troia lecca il pavimento.”

Dolorante dovetti leccare spinto con un piede le gocce di sperma cadute sui mattoni, così ingoiai sperma misto a polvere, uno schifo.

“Ti rendi conto che animale che sei? Cercavi di fregarci stupido, ora te ne pentirai!”

L’altro non parlava mai anche lui seguiva il suo gioco anche se dall’altra parte della barricata.
Ancora dolorante nel basso ventre, mi alzarono mi infilarono i bracciali di cuoio e mi legarono con delle corde che avevano fatto scendere da uno degli anelli infissi nei travi.
Ero in piedi con le braccia legate in alto, una posizione molto scomoda.

“Vedi cosa succede a voler far di testa propria?”

Mi prese con le mani la mandibola e guardandomi negli occhi mi sputò contro.
Non l’aveva mai fatto.
Ad una umiliazione così determinata non era mai arrivato, forse veramente la presenza dell’amico lo catalizzava. Non parlavo ma penso che la mia espressione fosse eloquente.

“Dai usiamo le fruste”

Entrambi cominciarono a frustarmi sulle natiche, con il corpo cercavo d’istinto di evitarle. Infierivano. Mi lamentavo. Ogni tanto lui guidando il gioco mi frustava, fortunatamente con meno potenza su coglioni. Ansimavo per me non era un divertimento. Ogni tanto qualche gemito, che mi usciva dalla bocca, non faceva altro che far rincarare la dose dei colpi.
Dal piano sottostante giunse il suono di un telefonino.

“Cazzo l’ho dimenticato di sotto!”

Mollò la frusta

“Devo rispondere forse è per le prenotazioni, aspettavo una chiamata!”

Contrariato seguitò ad imprecare, “dove sono i pantaloni devo uscire qua dentro non prende bene.”

Si precipitò dabbasso.

“Pronto, si… la richiamo tra un minuto dove sono c’è poco segnale.”

Spostò una sedia dopo aver imprecato ancora si sentì sbattere la porta e la sua voce giungere dall’esterno.
Rimanemmo soli io ed il suo amico.
Si portò avanti a me, mi stava osservando con naturalezza, non come durante il gioco. Poi guardando verso le scale, come per assicurarsi di essere veramente soli, volse lo sguardo verso di me cominciando a parlare

“Ma chi te lo fa fare di venire qua, da quel poco che mi ha accennato, poco più di due parole, vi siete incontrati casualmente.”

Lo guardavo, non risposi.

“Non ti preoccupare, puoi rispondere ora siamo alla pari”

La frase suonava ridicola dato che ero appeso come un salame alla sua mercé.

“Non so cosa dire, ho come un richiamo verso questa perversione, più il tempo passa più è forte. Ogni volta mi propongo di non tornare e poi eccomi qua.”

Fece una smorfia e di rimando continuò.

“Conosco bene la situazione, tempo fa anche io ero dalla tua parte. Del resto l’ho conosciuto così. Io al contrario tuo avevo deciso di incontrarlo. Era bravissimo nell’educare i suoi schiavi. Poi col tempo non so siamo cresciuti, il lavoro e per entrambi è finita. Erano anni che non lo vedevo. passando di qua l’ho chiamato.”

Sembrava sincero

“Mi stava mostrando i luoghi dove lavora, e quando siamo giunti qua sei arrivato tu.”
“Così ho scoperto che tu, per un incontro casuale gli hai risvegliato i vecchi istinti.”

Lo guardavo incredulo.
Quelle parole mi eccitavano, avevo avuto questo potere inconsapevolmente su di lui.

Seguitò per poi smettere quando lui rientrò in casa.

“Però stai attento lui è molto corretto, ma questa situazione con te lo eccita, non vorrei che andasse oltre e superasse i limiti che si è posto, questo gioco funziona così. Se puoi smetti! Durante quei pochi minuti in cui stavi in attesa fuori la porta, ci siamo velocemente spogliati, e mi ha confidato che questa casa è il tempio dei suoi giochi segreti con te. Oggi l‘ho visto molto aggressivo e determinato. Anche io sino a poco fa godevo ad infliggerti frustate ed ora che torna godrò di nuovo… Eccolo torniamo quelli di prima.”

La porta al piano di sotto sbatté e dopo poco stava salendo le scale. Era completamente nudo. Il mio masochismo mi fece pensare che mi era mancato.

“Come si è comportato?”

“Bene gli ho dato altre due frustate poi l’ho fatto riposare”

Disse omettendo il veloce scambio di idee.

“Bene! Purtroppo dobbiamo terminare, tra una mezz’ora devo essere ai casali. Mi riporti giù in moto?”

“Certamente!”

Si volsero entrambi verso di me. Li guardavo silenzioso ed interrogativo appeso in quel modo, le braccia cominciavano a formicolare ed i polsi mi facevano male. Lui si avvicinò e guardandomi fisso cominciò a slacciare i bracciali legati alle corde. Le braccia caddero inermi lungo il corpo, il sangue ricominciava a circolare.

“Però mi spiace finire così presto. In questi ultimi minuti cosa possiamo fare?”

Gli occhi gli si illuminarono.
Prendendomi per un braccio mi spinse verso le scale intimandomi di andare, cominciai a scendere loro dietro mi seguivano. Aveva detto all’altro qualcosa ma non avevo capito. Sghignazzarono contenti. Arrivati al piano terra mi fermai, Lui mi passò avanti ed aprì la porta del bagno capii all’istante.

“No ti prego, no!”

Non fece altro che lanciare un’occhiata al suo amico che velocemente si mise avanti a me rifilandomi un ceffone sonoro e poi un altro.
Bastardo pensai poco facevi l’amico comprensivo.
Mi ritrovai in ginocchio con due cazzi puntati verso il viso, causa minacce dovetti ingoiare finchè ne ebbero voglia. Tossivo sputavo, mi veniva da vomitare, poi mi bagnarono completamente terminando sui miei genitali. Il flusso bollente sembrava non finisse mai. Finito se ne uscirono senza dire una parola, si rivestirono e li sentii allontanarsi con la moto.
Il solito copione che si ripeteva.
Feci una doccia. Vomitai anche l’anima nel water, non riuscivo a smettere, quel sapore schifoso non se ne andava anche bevendo acqua.
Salii di nuovo alla torretta per rivestirmi.
Vederla vuota e da solo era spettrale, la corda pendeva dal soffitto i braccialetti erano in terra dove erano stati fatti cadere, tutto sembrava congelato e triste.
Andai verso il tavolo e fui distratto dagli oggetti accanto ai vestiti. Delle mollette di metallo, su internet avevo scoperto il loro utilizzo, venivano agganciate sui capezzoli, sulle palle ed ovunque avessero procurato dolore. Mi facevano ribrezzo speravo di non provarle mai. Poi c’era una gabbietta un po’ piegata non ne capivo l’uso, alcuni dildo enormi, catene e degli aggeggi tipo racchette da ping pong, surrogato delle fruste. Quella piccola gabbia mi incuriosiva.
Non volevo sapere altro mi vestii ed andai via.
Tornato alla macchina mi accorsi che stavo piangendo, fortunatamente nel tragitto non incontrai anima viva.
Però quel bastardo aveva ragione dovrei avere il coraggio di smettere ma nutro seri dubbi di riuscirci, questo legame malato stava diventando sempre più indissolubile.
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