bdsm
La casa del killer - parte quarta
di Giobro
24.11.2022 |
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"Volevo veramente questo? Essere un oggetto una volta all’interno di quella casa? A volte essere umiliato mi eccitava a volte mi annientava..."
Entrato in macchina, chiusa la portiera, rimasi immobile fissando il cruscotto. Ripensavo agli ultimi momenti che quei due mi avevano propinato. Il ricordo mi procurava di nuovo nausea e leggeri conati. Ero passato dal piacere dei pompini e del sapore dello sperma allo schifo del pissing. Volevo veramente questo? Essere un oggetto una volta all’interno di quella casa? A volte essere umiliato mi eccitava a volte mi annientava. Se tornavo sempre in quel luogo dovevo incolpare solamente me stesso, nessuno mi chiamava o mi costringeva. Era più di un anno che lo frequentavo, oggi ero fuori di me.
In quel momento detti per scontato che non sarei più ritornato.
Riuscii a stare lontano quasi tre mesi da quelle mura. Solamente il pensiero di ciò che avvenne nel bagno mi procurava ancora ribrezzo. Avevo raggiunto una certa sicurezza sulla mia decisione.
Poi, un giorno mentre ero sulla piazza del paese, lo intravidi di lontano camminare e sparire oltre la siepe che separava il parcheggio dalla via di scorrimento.
A degli amici raccontai che durante il lockdown trovandomi a camminare nei boschi, oltre le rovine del convento, incontrai un tipo alto massiccio, con dei grandi baffi con cui scambiai a malapena due parole. Non potevo dire la verità. Mi rimase in mente per la sua scontrosità.
Mi risposero che senz’altro era la persona che gestiva le proprietà di certi signori di Roma, un agriturismo e dei boschi con degli appostamenti per la caccia. Tutto tornava, la telefonata che avevo sentito, la prenotazione, i casali. Proseguirono dicendo che era un tipo strano, molto solitario dedito solamente al lavoro, aveva pochi rapporti con il paese se non collegati proprio alla sua attività. Molto severo con i dipendenti ma tutti ne parlavano bene per la sua fermezza e correttezza.
Sospirai, la descrizione calzava a pennello con il mio taglialegna.
Sentii salire una strana eccitazione provenire dall’interno dei pantaloni. Sapevo cosa maledettamente volesse dire.
Quello stesso pomeriggio mi ritrovai al solito cancello.
Come sempre lo superai spedito per giungere a riveder quella casa. I pochi raggi del sole che riuscivano a raggiungerla creavano strani effetti luminosi sui suoi sassi. Raggiunsi la porta e la sfiorai, non avevo alcuna intensione di bussare. Rimasi un po’ sotto il portico guardando il bosco, i rami degli alberi leggermente si muovevano, mi immersi nel silenzio inquietante che era intorno. Poi camminai qualche decina di metri oltre arrestandomi, altrimenti sarei sicuramente giunto all’agriturismo, non mi era permesso, il mio posto era là in quella casa. Mi voltai vedendola da un’altra prospettiva, anche se confusa tra gli alberi la torretta emergeva con arroganza. Ahimè sentivo che tutti i miei propositi di non tornare mai più là dentro si stavano sgretolando. Di nuovo cominciai a camminare, costeggiandola alzavo gli occhi verso la torretta, accelerai il passo, avevo il terrore che alle mie spalle giungesse la sua voce che mi chiamava con il solito epiteto
“Coglione…”
Fortunatamente solo il fruscio del vento e qualche cinguettio raggiunsero le mie orecchie.
Trascorsero a malapena una decina di giorni che lo vidi.
Stavo raggiungendo la casa, lui veniva dalla parte opposta, ci stavamo fronteggiando come in un duello western. Mi fermai guardandolo con il cuore che palpitava, la gola mi faceva male, mi sentivo come quando a scuola ti chiamavano per una interrogazione e sapevi di non essere pronto. Seguitò a camminare dritto senza fermarsi. Mi raggiunse, ero immobile accanto alla casa. Mi guardava fisso con la sua solita freddezza, incorniciato dai folti baffi. Non sapevo cosa aspettarmi.
Si fermò a pochi centimetri da me, sentivo benissimo l’alito che sapeva di sigaro. I nostri sguardi erano incatenati. Non parlava mi osservava e basta. Non sapevo se sarebbe arrivato un sonoro schiaffo o mi avrebbe ordinato di entrare.
Stavo in attesa.
Non parlava.
Di colpo, senza cambiare assolutamente espressione e senza muovere un muscolo, parlò
“Aspettami qui!”
Andò nella casa.
Entrò chiudendo la porta.
Passarono una decina di minuti prima che la porta si aprisse di nuovo. Ero sempre là. Si era messo i soliti scarponi ed un paio di pantaloni di pelle nera molto consumati. Portava uno zaino sulle spalle.
“Andiamo!”
Si avviò per il declivio, più o meno nella direzione da cui ero venuto la prima volta che avevo scoperto quel luogo.
Non si voltò mai, sapeva che lo stavo seguendo non solo per il rumore dei miei passi sopra le foglie ma perché era certo che il nostro legame era troppo forte per rompersi. Nuovamente osservavo quel bel culo rotondo ondeggiare davanti a me, anche se coperto dai pantaloni non perdeva il suo fascino.
Giungemmo in fondo dove il bosco intricato e quasi inaccessibile cominciava. Dopo essersi fermato un attimo camminò speditamente costeggiandolo verso sinistra. Dove mi portava, c’era un’altra casa, un appostamento per la caccia? Non lo sapevo lo seguivo e basta. Rallentò poi si fermò. Il bosco era sempre un muro inaccessibile. Con le sue forti braccia prese due giovani tronchi e li separò.
“Entra!”
Non parlavo avevo imparato.
“Entra, cosa aspetti, Un po’ di tempo fa mi dicesti che eri uscito da questo bosco, quindi mi vuoi dire che non sei capace di rientrarci?”
“ENTRA!”
Deglutendo mi avvicinai, attraversai con fatica i due tronchi, dopo un metro dovetti fermarmi, non sapevo dove andare. Anche lui entrò con sforzo maggiore del mio. Ci ritrovammo corpo a corpo, lui alle mie spalle.
Mi superò mostrandomi che oltre due o tre metri di rovi intricati c’era un sentiero, quasi invisibile ma c’era.
“Seguimi!”
Cos’altro potevo fare, anche se avessi voluto tornare sui miei passi la vegetazione avrebbe talmente rallentato la mia fuga che sarebbe stato del tutto inutile, ma volevo veramente scappare? Dove mi avrebbe portato? Dopo un centinaio di metri percorrendo quel viottolo ritagliato a malapena nella vegetazione, arrivammo in una piccola radura. Il suolo cominciava a salire formando una collinetta. Di fronte c’era una grande roccia immersa tra gli alberi e rovi ma nessun sentiero continuava oltre. Due alberi si ergevano in quello spazio. Posò lo zaino soddisfatto accanto ad uno di essi.
“Spogliati!”
“Ma… “
Non era possibile all’aperto, non era possibile mi ripetei.
Fece un passo e mi rifilò un ceffone talmente forte che caddi per terra.
“Coglione, spogliati!”
Gridò nuovamente.
A terra sentii il forte odore del muschio e delle foglie secche, l’aroma dolciastro della terra, che in altre occasioni era paradisiaco in quel momento mi sembrava anonimo e insignificante.
Mi rialzai sotto il suo sguardo vigile ed attento.
Lentamente mi tolsi i vari indumenti, piegandoli alla meglio li poggiai in terra poggiandoci sopra gli occhiali, per ultimo tolsi gli slip. L’aria salubre del bosco mi circondò completamente, la sentivo scorrere sulla pelle, sul corpo, tra i coglioni, sensazione di libertà fuori luogo. Un piccolo scampolo di paradiso nel paradosso costruito da quella situazione. Quindi rivolsi lo sguardo verso di lui. Cercando di mettere i piedi ove mi facevano meno male visto le asperità del sottobosco.
Prendendomi per un braccio mi avvicinò al tronco di uno dei due alberi.
“Abbraccia il tronco, mettiti il più possibile attaccato alla corteccia.”
Ruggì.
Obbedii. Con le braccia circondai il tronco sino a che le dita non si toccarono dall’altra parte.
Mi spinse violentemente verso di esso.
“Appiccicato devi stare, non fare il furbo con me.”
Il corpo si stampò sulla corteccia, la sentivo penetrare sulla mia pelle, il cazzo ed i coglioni, schiacciati, come potevano si adattarono a quella superficie rugosa. Sentivo un odore molto forte di legno, di muschio ed il solito aroma dolciastro dei luoghi umidi e muschiosi.
L’odore del corpo del taglialegna pensai, mi aveva portato in quella che doveva essere la sua essenza.
Il capo inevitabilmente era poggiato da un lato, con una guancia perfettamente attaccata a quelle screpolature.
Sentii il rumore di una lampo, stava aprendo lo zaino. Pensai che stesse prendendo una frusta. Invece con calma ignorandomi, andò dalla parte nascosta dell’albero. Prese prima una poi l’altra mano infilandole nelle manette. Il mio abbraccio non si poteva sciogliere. Cominciai ad avere timore di chissà che cosa volesse fare. Tornò dietro di me, sentivo il suo respiro sul collo. Poi fatto un passo indietro, mi infilò violentemente un dito nel culo. Gridai mi aveva fatto molto male, era entrato con forza improvviso. Lo sfilò con altrettanta sicurezza facendomi provare ancora sofferenza. Subito mi assestò una sculacciata violenta sulle natiche. Feci un piccolo grido, cercavo di non esagerare non lo volevo spazientire. Si calmò, si muoveva. Non so cosa facesse, poi ancora un forte rumore di rami smossi sempre più fievole. Quindi il silenzio. Rimasi fermo in attesa, l’aria era statica, non si sentiva anima viva, Il panico si stava impossessando di me. Cercai di voltarmi ma ovunque guardassi lui non c’era. Respirai fortemente. Se ne era andato, lasciandomi in questa situazione? No non era possibile. Sapevo che se avessi parlato sarebbe esploso come sempre, mi trattenevo ma i minuti trascorrevano senza che lui desse qualche segno della sua presenza. Infine non ce la feci più fregandomi delle conseguenze ad alta voce esclamai
“Ci sei?”
Nessuna risposta, niente.
il tempo trascorreva ma lui non c’era.
Cercai di liberarmi, mi divincolavo ma non facevo altro che graffiare il mio corpo su quella corteccia rugosa, sentivo il cazzo intriso da quel muschio, scaglie di legno si staccavano ad ogni mio movimento.
Volevo gridare ma la vergogna me lo impedì. Gridando avrebbe potuto sentirmi qualcuno che non fosse il taglialegna! Che spiegazione avrei dato per essere stato trovato così legato ad un tronco nel mezzo di un bosco selvaggio. La vergogna sarebbe stata troppo forte, preferivo la disperazione alla gogna che poteva portare la mia scoperta.
Il tempo passava di lui nessuna traccia.
In questi casi non si sa il tempo come trascorre, un minuto sembra un’ora e così via, solamente non passava mai. La mia disperazione saliva sempre più. Se non tornasse sino a domani mattina? Sentii una sensazione di caldo lungo le gambe, mi stavo pisciando addosso. Ero umiliato da me stesso. Se rimango legato sino a domani mattina pensai nuovamente? Impazzirei. Muovevo la testa, non riuscivo a stare fermo. Le gambe erano appiccicose e sporche. Quando cominciai a sentire dei rumori in lontananza sempre più forti. Un tronco che si spezzava. Finalmente una presenza umana dietro di me. Qualcosa di umido toccò un calcagno, guardai, una volpe. Quel mio movimento la fece scappare tra gli sterpi veloce come un lampo. Per un attimo avevo sperato. Poi altri rumori questa volta più forti, finché non ritornò. Entrò nella radura, si fermò attese qualche minuto. Mi tranquillizzai era proprio lui altrimenti non si sarebbe fermato in silenzio. Avvicinandosi mi guardò, i nostri occhi si incontrarono. Non disse una parola.
Da quello sguardo gelido scaturiva tanta soddisfazione.
Mi osservò il corpo, completamente sporco e trasandato dai miei movimenti inutili a ridosso della corteccia. Andò dalla parte opposta, mi liberò. Rimasi comunque nella posizione di abbraccio anche se libero. Tornò allo zaino ripose le sue cose, sentii di nuovo la lampo chiudersi. Rimase a guardarmi qualche istante poi nel silenzio tornò sui suoi passi e sparì.
Rimasi così appoggiato al tronco ancora qualche tempo, l’aria pulita e più fresca era carica degli aromi del bosco. Mi staccai dal tronco con un po’ di rammarico. Mi voltai. La piccola radura era deserta, se ne era veramente andato attraverso quel viottolo quasi invisibile. Rimasi immobile per sciogliere gli arti ancora indolenziti. La parte del corpo che era stata poggiata al tronco era un indicibile strato di muschi scaglie di legno e qualche foglia, da lontano dovevo apparire come se fossi uscito da una fanghiglia. Una gamba la sentivo a tratti più sporca, già mi ero pisciato addosso. Sospirando andai verso gli abiti.
“Cazzo!!!”
Esclamai.
Gli abiti non c’erano, aveva lasciato solamente le scarpe calzini ed occhiali.
“Bastardo ed ora cosa faccio, completamente nudo!”
Non avevo nulla di che coprirmi.
Mi misi seduto disperato, istintivamente sarei rimasto lì. Incontrando qualcuno come mi sarei giustificato? In pratica sarei dovuto tornare alla casa per assecondare il suo gioco.
Perplesso mi infilai i calzini, le scarpe e gli occhiali. Lo avrei anche dovuto ringraziare per avermi lasciato le scarpe? Camminare per il bosco scalzo sarebbe stata una cosa improponibile se non impossibile.
Attraversai la piccola radura arrivando al sentiero che si infilava tra gli alberi.
Entrato capii subito che non era affatto facile, i rami mi strusciavano sul corpo, le spine mi graffiavano, dovevo coprimi il cazzo e i coglioni per non ferirmi e provare ancora più dolore. Malgrado la situazione però qualche fronda ricadendo fresca sulle chiappe mi provocava un certo piacere. Sebbene proteggessi le parti intime, qualche rametto riusciva ad infilarsi tra i peli del pube. Giunsi all’ultimo ostacolo, quei pochi metri ove il sentiero non c’era più. Mi guardai ero pieno di graffi ed echimosi. Gli ultimi tre o quattro metri erano stati fastidiosi con i vestiti indossati figuriamoci senza. Dovevo comunque avanzare. Ci misi penso una decina di minuti, a parte i graffi e piccoli rami che elasticamente mi colpivano. La cosa peggiore erano le spine. Sempre dovevo usare una mano, a mo’ di conchiglia, come difesa sui genitali, impossibile toglierla. Persi l’equilibrio cadendo su un cespuglio con pochissime spine fortunatamente. Finalmente uscii a riveder le stelle come diceva il sommo poeta. Il bosco era più rado e navigabile. Mi accovacciai per nascondermi ed esser certo che non vi fosse anima viva. Quindi spedito cominciai a salire il declivio, per ritrovare la casa, nascondendomi a tratti dietro le piante più grandi. Finalmente la intravidi tra i rami dal basso.
Raggiunto il portico la porta era aperta, meno male, qualche dubbio mi era rimasto. Pensavo di non incontrarlo di nuovo invece stava seduto su una sedia, accanto al tavolo, completamente nudo. O mio Dio cosa voleva ancora fare!
“Chiudi la porta!!”
Mi affrettai ad obbedire.
“Ma guarda come ti sei ridotto, come ti permetti di entrare così in casa mia!”
Non so cosa gli avrei fatto, rimasi in silenzio chinando la testa.
Si alzò, lo guardai, era tronfio di soddisfazione, aveva ottenuto ciò che voleva. Forse mi aveva punito per quei mesi di assenza. I suoi coglioni ondeggiavano ad ogni passo con il pendaglio al centro, più il tempo trascorreva e più ammiravo il suo sesso a riposo, il suo cazzo e i suoi glutei affievolivano in parte la mia sofferenza. Si avvicinò sino a sfiorarmi, mi voltò toccando delicatamente la mia pelle coperta di graffi e lividi.
“Hai fatto un bel lavoro, si! Guarda come ti sei ridotto il culo.”
Mi staccò alcune foglie secche rimaste appiccicate sulla schiena.
“Attento a non sporcarmi casa però.”
Mi prese per un braccio dirigendosi verso il bagno.
Quella stanza mi riportava alla sofferenza consumata al suo interno. Aprì l’acqua della doccia entrammo entrambi sotto il getto. Quell’acqua procurava al mio corpo un piacere immenso, purificatore. Chiusi gli occhi assaporando ogni secondo di quel paradiso, l’acqua scioglieva lo sporco attaccato sulla pelle, irritando però le piccole ferite, era un dolore più che sopportabile. Aprii gli occhi, mi guardava, bagnato anche lui con l’acqua che gocciolando dai baffi scendeva giù per il corpo. Prese il bagno schiuma e con mio stupore, cominciò ad insaponarmi con delicatezza. Mi lasciò di stucco questo suo fare. Mi massaggiava delicatamente ovunque, strofinando con forza ove era più sporco. Con più delicatezza tra i coglioni e l’inguine. Provavo un immenso piacere. Voltandomi cominciò con la schiena raggiungendo i glutei per entrare tra di loro titillando leggermente il buco del culo con un dito questa volta delicatamente. Quindi lasciò che fossi io a sciacquarmi per togliermi di dosso lo sporco ed il sapone. Il piatto doccia diventava di color marrone man mano che l’acqua scendeva, e lo scarico si ostruì quando pezzi grossolani si impigliarono nella sua grata. Finita questa operazione si scambiarono le parti. Mi dette il sapone ed io cominciai ad insaponarlo, imitando più o meno quello che aveva fatto lui con me ma con meno fatica essendo solamente il sudore da togliere. Prima volle che gli pulissi le spalle quindi con calma scesi sui glutei, e mentre stavo scendendo verso le cosce mi bloccò.
“Che fai non ti sembra di dimenticare qualcosa?”
Seguitai ad imitar quello che mi aveva fatto, massaggiando l’interno delle chiappe timidamente sfiorai il suo buco. Non insistei. Si voltò. Cominciando con i pettorali e per non essere ripreso feci esattamente quello che aveva fatto lui. Massaggiai i coglioni con molta delicatezza, sfiorando l’inguine con calma per poi giungere al cazzo, massaggiandolo lo guardavo fisso negli occhi. Il membro si stava irrigidendo. Per la prima volta mi permetteva di toccare tutto il suo corpo. Sì sciacquò sotto il getto, lo chiuse. Mettendomi le mani sulle spalle mi spinse per farmi inginocchiare. Il suo cazzo era eretto e duro, cominciai a lavorarlo con la lingua, ero talmente rilassato che mi avviai con forza nel succhiarglielo. Ogni tanto gemeva mentre lo sentivo pulsare dentro la bocca. Senti il classico sapore della sua secrezione. Poi improvvisamente me lo tirò fuori per venirmi con copiosi schizzi sul viso. Assaporai ogni momento di quell’esplosione, gustando il suo sperma che ormai conoscevo, leccai avidamente ogni goccia. Terminata la magia, mi dette un buffetto sulla guancia delicatamente.
“Baciami i piedi.”
Mi prostrai. Avvicinai le labbra ai piedi umidi, cominciando a baciarglieli, entrando anche tra le dita. Soddisfatto mi disse
“Ora basta così, grazie.”
Detto questo uscì dal bagno e dopo essersi vestito come tutte le altre volte sentii la porta richiudersi dietro le sue spalle.
Rimasi interdetto.
Stava cambiando qualcosa. Quel grazie mi aveva fatto sciogliere le budella, sentivo le classiche farfalle nello stomaco. Cosa stava succedendo, non capivo o mi stava prendendo per il culo o stava veramente cambiando qualcosa.
Fuori stava scurendo le ombre della sera stavano calando. Mi vestii ed uscii sbattendo la porta alle mie spalle.
La giornata con lui era cominciata in modo così crudele e dura che questo finale inaspettato non faceva che farmi sorridere.
Speravo solo che non fosse preludio a nuove nefandezze nei miei confronti ma al momento assaporavo il più possibile quella gioia, perché di questo si trattava puro piacere.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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