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LE PUNIZIONI DA PADRONE DI MIO PADRE
di sottodite
25.08.2010 |
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"– E detto questo continuò a menarlo per farlo diventare sempre più lungo e duro, lo torturò per molto tempo, dandomi un piacere sempre più grande, intanto..."
Mio padre è sempre stato un prepotente, ed io l’ho sempre amato per questo; con capelli ricci nerissimi, occhi neri e penetranti che quando ti guardano lo senti Padrone e prepotente, molto alto e possente, con due grosse mani e due enormi piedoni: 48 di numero!! E proprio i suoi grandi piedi, proprio per questo, li trovavo dappertutto e sempre. Di lavoro fa il muratore, mia madre lo lasciò subito appena sposati, proprio perché era un po’ prepotente e maschilista, diceva lei, la mise incinta a 15 anni, lui ne aveva solo 16, io nacqui quando lui aveva 17 anni e volle che gli fossi affidato proprio perché un maschietto deve essere allevato da un vero maschio; la nonna, sua madre, finì di allattarmi e mi curava quando lui era al lavoro, ma al suo ritorno era solo lui che mi cresceva, secondo le sue abitudini da vero macho spartano: quando piangevo, mi sgridava con violenza, non dovevo piangere da femminuccia, e scoprì, che invece del ciuccio, mi zittivo se mi faceva ciucciare il suo grosso e calloso alluce in bocca; ho ancora il suo sapore in bocca, amaro e sudato che ciucciavo per ore, mentre mangiava o sdraiato in poltrona, guardava la televisione fumando tantissime sigarette, o bevendo birra e altri alcolici la sera. Proprio la sera, guardando la televisione, diventava più duro e Padrone prepotente e si divertiva a punirmi continuamente. Se non volevo mangiare la pappa, mi costringeva a mangiarla sotto il tavolo, col suo piede enorme immerso dentro la pappa, che dovevo leccare e pulire della pappa fino alla fine. La notte dormivo nel suo letto, ai suoi piedi e mi infilava il suo grosso e virile alluce sporco e sudato in bocca da ciucciare, così stavo tranquillo tutta la notte, prima con uno poi con l’altro alluce infilato in gola: ricordo il forte odore di sudore asprigno, dolciastro e amaro nel naso e che si spargeva in tutta la stanza, per me era una vera goduria; non si lavava quasi mai i piedi, come i veri maschi, diceva lui, lui aveva 17 anni ed io 1 e mezzo. A due anni e lui 18, volle che imparassi a fare la pipì nel vasino, ed all’inizio, spesso, non riuscivo, mi teneva nudo senza il pannolino in giro per casa, col pisellino al vento che ciondolava davanti a lui, e quando non riuscivo ancora a trattenere e pisciavo in aria o per terra aveva inventato questa prima dura punizione: dovevo stare in ginocchio davanti a lui, col pisellino in sua bella mostra, lui lo teneva stretto tra l’alluce e l’altro dito del piede, come una sigaretta, cosicché a me diventava duro per lo sfregamento ed il contatto, anche se ero molto piccolo, lui lo strizzava tra i diti dei piedi, dicendomi:- Guai se fai la pipì o ne esce solo una goccia, ti punisco ancora di più!! - Quando sentivo che mi stava per scappare la pipì, dovevo dirglielo, e lui mi ordinava di trattenere per un altro po’, strizzandomi coi diti dei piedi la punta del pisellino, ma sollecitandomi il pisello e la pipì, e facendomelo diventare durissimo; a me piaceva, sentivo un dolce e sottile dolorino misto a piacere, ma lui non lo sapeva. Poi, quando non ce la facevo più ed una goccia di pipì usciva dall’uccello duro, che stava chiuso e obbligato dai suoi ditoni del piede, mi portava in bagno, e coll’altro piede sulla testa, spingendomela dentro il water mi diceva: - E’ lì dentro che devi fare la pipì, non di fuori o in giro per casa, ricordalo bene! –
Poi, sempre tenendomi il pisellino tra i diti dei piedi, mi faceva fare la pipì nel water o nel vasino, ed io urinavo, lasciando scendere il liquido giallo, sentendo un immenso piacere, perché i diti dei piedi continuavano a toccare il pisellino. Infine, me lo scrollava e me lo faceva sgocciolare torturandomelo col piede. Per ultimo mi minacciava di ripetere la punizione di nuovo, facendomi trattenere la pipì per più tempo, qualora l’avessi fatta ancora in giro per casa, e lasciava libero dal suo piede il mio pisello, che, senza contatto, tutto rosso e martoriato, si rimpiccioliva subito e tornava piccolissimo, nella posizione di riposo, mentre lui rideva e sghignazzava nel vederlo così ridursi e diceva: - Che pisellino piccolo che hai! Ma deve diventare grande e grosso almeno come l’alluce del papà per essere un vero uomo!! – Così mi umiliava e scherniva, ma a me questo piaceva ed eccitava già.
Al suo ritorno la sera, dovevo correre a prendergli le grandi ciabatte n.48, togliergli i grossi anfibi, che portava sempre al lavoro e quando usciva; mentre glieli sfilavo, sentivo già il forte odore di sudore che usciva da questi e dalle sue pesanti calze di lana militare, tutta la stanza si impregnava di quest’odore di piedi sporchi e sudati. Lui rideva divertito e mi diceva: - Senti, bel fanciullino, che buon odore di piedi ha tuo padre, da vero maschio, che non si lava mai i piedi! Non ti farà schifo, vero? I veri maschi non badano a queste cose, solo le stupide femminucce vomitano se sentono questo odore!! Se vuoi diventare un vero maschio non ti deve fare schifo sentire questo odore !! – E rideva. Poi dovevo sfilargli le grosse calze madide di sudore e tutte appiccicaticcie e odorose di piedi, e andarle a riporre dentro gli anfibi nella sua camera, visto che l’indomani le avrebbe rimesse per uscire. Sfilate con fatica le calze di lana appiccicate, vedevo e ammiravo quei due piedi così enormi n. 48, sporchi e neri di sudore del lavoro, tra i diti era depositato sudore raffermo di giorni non lavato, e mio padre li muoveva per stirarli e apriva i diti, da cui usciva ancor più fortissimo l’odore di puzza di piedi acre e amaro. Lui non sapeva che mi piaceva così tanto da svenire. Ricordo che, anche se così piccolo di 3 e 4 anni, lui ne aveva 19 e 20, da bel ragazzone com’era, il mio pisellino si rizzava eccitato, ed io non capivo cosa mi prendesse ogni sera, mi sentivo rosso e avvampare, non capivo più niente e mi sentivo imbarazzato e inebetito davanti ai suoi piedoni nudi, e mi prendeva un languore strano, che non sapevo ancora essere l’eccitazione; lui non sapeva o non immaginava, credo, allora, e con la massima naturalezza, poggiava i piedoni nudi sul tavolo, mentre mangiava, davanti al mio viso e al mio piatto, ed io mangiavo in silenzio annusando il suo odore di piedi, così vicino al mio naso, e non mi dispiaceva per niente. Poi andava sul divano, distendendo i piedi sul piccolo tavolino, davanti alla televisione, si metteva a fumare, guardando la tv, mentre io in ginocchio davanti a lui, giocavo vicino ai suoi piedi, o meglio cercavo in tutti i modi di annusare e stare vicino ai suoi piedoni, ma lui non capiva, tanto che spesso, annoiato del mio stargli appiccicato, mi gridava: - Sempre in mezzo ai piedi, e togliti di mezzo! Non mi rompere i coglioni e vai a giocare più distante!-Spesso accompagnava queste parole, dandomi calci sul viso col piede, o spostandomi col piede sulla testa, pestandomela, senza sapere che io lo provocavo ed era questo che volevo che facesse, che mi toccasse coi grossi piedi nudi. Altre volte, quando era stanco ed insonnolito, lo provocavo stando nudo, col pisellino ritto di fuori, in mezzo alle sue gambe, sperando mi punisse, toccandomi e strizzandomi il pisello col piede, ma non succedeva mai, solo a volte mi dava qualche calcio coi piedi sul sedere o sul viso o sulla testa, mai altro. Ma una bella cosa accadde all’età di 5 anni, lui 21, quando un giorno feci i capricci colla nonna, non volli mangiare perché, dicevo, che il cibo che aveva preparato puzzava di piedi. La nonna, al ritorno di papà, glielo disse e gli suggerì di darmi una bella lezione. Papà le disse che ci avrebbe pensato lui la sera, e la nonna se ne andò. Rimasti da soli, mio padre, silenzioso, si fece fare da me il solito rito del togliere gli anfibi e le calze: quella sera i piedi erano più sporchi e puzzolenti del solito. A tavola mio padre mi ripropinò quello stesso cibo che dicevo puzzasse di piedi. Io non volli mangiare, lui zitto mangiò tutto. Alla fine si mise nel solito modo davanti alla tv, fumando, e mi ordinò di portare il mio piatto dove stava lui e di poggiarlo per terra ai suoi piedi. Di scatto infilò i piedi dentro il piatto e disse: - Adesso questa roba puzza davvero di piedi, ma tu adesso e subito lo ingoierai tutto e quello che resta attaccato ai miei piedi lo leccherai e ingoierai direttamente dai miei piedi, figlio disubbidiente!!! –
Era molto violento, mi fece però, mentre piangevo, spogliare completamente nudo davanti a lui, per umiliarmi, poi col piede sulla testa mi obbligò ad immergere il viso nel cibo e ingoiare e mangiare tutto, poi mi ordinò di leccare il cibo appiccicato ai suoi piedi molto sporchi, e di pulire colla lingua i suoi enormi piedi dal cibo, dicendomi e deridendomi: - Ehi, piccoletto di papà, lappa tutto bene ed ingoia, e guai se i piedi di papà rimangono anche solo sporchi di un po’ di cibo. Guarda che pisellino ancora piccolo che hai, quando ti diventa grosso almeno come il mio alluce? Il papà ha una nerchia sempre dura e grossa come non ti puoi immaginare, magari un giorno te la farò vedere ed adorare, ma adesso lecca e ingoia!!! –
Era violentissimo e prepotente, mi obbligava col piede premuto sulla testa, ed intanto si divertiva sempre di più, alla fine avevo leccato ed ingoiato tutto il cibo dai suoi piedi, e alcuni pezzi li aveva afferrati coi diti dei piedi e facendomi aprire la bocca, me li infilava direttamente in gola col piede con una foga che non gli avevo mai visto, mi faceva quasi paura, sembrava che volesse farmi affogare, ed era eccitatissimo e si divertiva a vedermi affannare, tossire e non aveva pietà. Quando ebbi finito il cibo, la sua eccitazione non era finita, e mi ordinò di fare quello che oramai sognavo da tanti anni.
– E adesso come seconda punizione laverai e leccherai i piedi di tuo padre fino a completa pulizia!! Brutto figlio disubbidiente!! –
Non me lo feci ripetere due volte, ero eccitatissimo ed ubbidii subito: leccai tutti i suoi grandi piedi, ne sentii finalmente il sapore vero di sudore di giorni, leccai tra i diti e gli spazi interdigitali, dove l’odore è più aspro e risiede il sudore raffermo nero, misto alla calza di lana, ed inghiottivo tutto con ingordigia; a vedere questo la furia sadica e prepotente di mio padre si calmò, assisteva beatamente in silenzio alla pulizia doviziosa e puntuale dei suoi piedi con calma eccitazione mista a piacere, e capii che era molto eccitato: guardai in mezzo alle sue gambe e vidi un enorme rigonfio che cresceva, e lui lì si toccava lentamente e pacatamente. I suoi piedi callosi e morbidi allo stesso tempo erano immensamente belli e buoni, il sapore acre e forte, l’odore aspro e dolciastro in cui ero immerso, mi inebriava, e così davanti a lui il mio pisello nudo si indurì, divenne rosso e puntuto, lungo come non mai, e mi sembrava mi scappasse la pipì, ma sentivo dolore e piacere insieme. Dissi a mio padre, mentre leccavo ed ingurgitavo, che mi scappava la pipì, ed allora mio padre si accorse che il mio pisellino era indurito a dismisura. Questo lo divertì ed eccitò ancora di più, mi disse di trattenere la pipì e di continuare il leccaggio. Mentre continuavo a leccare un piedone, l’altro, finalmente,come mi aspettavo da tempo, lo avvicinò al pisellino eretto, e colla punta dell’alluce si divertì a toccarlo, eccitarlo, menarlo, torturarlo, farlo andare su e giù come un campanello, poi lo prese tra i due diti ed iniziò a divertirsi a masturbarlo su e giù: il pisello era sempre più rosso e martoriato, ma io provavo un piacere immenso, anche nel cervello. Vidi che lui si toccava sempre più velocemente, e sentii che mugolava e si torceva sul divano. Poi, d’un tratto, si aprì la patta dei pantaloni e tirò fuori la sua enorme nerchia dura e dritta come un fuso. Disse: - Guarda che bel pisellino duro e dritto che ti sta diventando, fammelo misurare col mio ditone, ecco… - E pose il suo alluce sul pisello duro, come per misurarne la lunghezza, rispetto al suo lungo ed enorme alluce. - …Vedi, ancora ce ne vuole per farlo diventare lungo e grosso come l’alluce di papà. – E detto questo continuò a menarlo per farlo diventare sempre più lungo e duro, lo torturò per molto tempo, dandomi un piacere sempre più grande, intanto mostrandomi il suo uccellone, disse: - Vedi come è grosso l’uccello mio, così deve diventare il tuo modesto pisellino; guarda come il mio è possente, duro, grosso e lungo, da vero maschio e Padrone come sono io, che lo infilo nella figa e la squarcio!!Ahh!! –
Detto questo dal suo enorme uccello vidi schizzare tantissimo liquido biancastro in aria e in più volte, che cadde anche sul mio corpo nudo e sul mio viso, che continuava a leccare l’altro suo piede. Pareva non finire mai di sborrare. Lentamente uscì ancora senza schizzo un po’ di liquido, l’ultimo, che scivolò lungo la sua canna e la finì di bagnare. Fatto questo, il pene lentamente, ma restando duro, si ridusse un poco, e mio padre, Adriano è il suo nome, io mi chiamo Giulietto, mi scansò, dandomi una pedata sul viso, e andò in bagno a pulirsi. Dal bagno mi ordinò di filare nel mio letto, che la punizione era finita. Corsi nel mio letto, eccitatissimo, e continuai, pensando all’uccello di mio padre, e ai suoi piedi puzzolenti e sporchi, a toccarmi e menarmi, come aveva fatto e mi aveva insegnato il piede di mio papà; alla fine sentii un piacere che mi prendeva fortissimo alla testa, e mi scappava la pipì sempre più forte, così uscii dalla mia camera, vidi che mio padre dormiva sul suo letto dalla porta aperta della sua camera, e andai ad urinare copiosamente in bagno. Poi tornai felice nel mio letto e mi addormentai. L’indomani, al mio risveglio, mi sentii in colpa e vergognoso per quello che era successo con mio padre la sera prima, e non avevo il coraggio di guardarlo la sera, durante il rito del togliere gli anfibi e i calzini, ma mio padre era come sempre, sembrava non ricordare nulla, era tranquillo come se niente fosse. Passarono molti giorni e non accadde niente di tutto questo; io in realtà alla sera davanti al televisore speravo che mio padre ripetesse l’esperienza fatta, ma niente successe più. Allora decisi di fare qualcosa per farmi punire di nuovo. Feci dispetti alla nonna, e così alla sera la nonna raccontò il mio comportamento a mio padre, che al solito disse che ci avrebbe pensato lui la sera a punirmi. Infatti, dopo mangiato, mi fece al solito spogliare nudo davanti a lui, e mi ordinò di farsi leccare e pulire i piedi sudati e sporchi da me. Non me lo feci ripetere, e fingendo terrore e disgusto, iniziai l’operazione di leccaggio. Stavolta mio padre Adriano, volle misurarmi tranquillamente la lunghezza del pisello, mi maneggiò l’uccellino duro al solito col piede e lo fece diventare durissimo e rosso, poi mi disse: - Non sei ancora degno di essere definito un maschietto, il tuo pisello è ancora troppo piccolo rispetto al mio alluce, vedi? E’ solo ancora un terzo del mio ditone, devi crescere ancora di tanto, altrimenti rimani una mezza cartuccia! E poi, sembra quasi che ti piaccia leccare i miei piedi sudati!! – Quando disse questo mi sentii morire, forse stava capendo tutto, mi sentii sprofondare e mi vergognai. Quella sera non mi mostrò il suo uccellone, si limitò a punirmi e a farmi la misurazione del pisello.
Continuò altre volte a punirmi, facendomi leccare i piedi sudati, e spesso mi faceva la misurazione del pisello, non più come una punizione, ma solo per misurare la mia virilità, ma ne uscivo sempre sconfitto, umiliato e molto eccitato, ma poco soddisfatto, sembrava che non piacesse più farselo fare a mio papà, e questo mi eccitava poco.
Passarono 4 anni, avevo 9 anni, e lui 25. Una notte non resistetti più, non mi puniva da qualche settimana, mi misurava una volta al mese, e il mio desiderio era diventato fortissimo. Mio padre aveva, quella sera, un po’ di febbre, straparlava da solo, ed era a letto che dormiva, sempre colla porta della camera aperta. Mi alzai e andai, in silenzio, a vedere sulla porta della sua camera: dormiva e russava leggermente, era scoperto, e aveva fuori i piedoni nudi e molto sporchi dalle coperte. Mi avvicinai in ginocchio e silenzioso ai piedi del letto, pensai che almeno potevo annusare i piedi sudati, senza che lui se ne accorgesse, dormiva alla grossa! Avvicinai il viso ai suoi enormi piedi virili, e finalmente, inspirando, sentii nelle narici quel forte e gustoso aroma aspro e virile del sudore di maschio. Ero inebriato dalla situazione pericolosa! Se si fosse svegliato per me sarebbe finita: avrebbe scoperto che, mi piaceva e mi eccitava tanto annusare i suoi piedi sporchi, che non era per me una vera punizione, e non me l’avrebbe più fatto fare! Non resistevo più, comunque e mi dissi, che se leccavo leggermente, avrei assaporato quel sapore gustoso amaro e colloso dei piedi sporchi, senza che mio padre si svegliasse: colla linguetta lumai leggermente il calcagno e poi i diti; mio padre mugolò leggermente, ma continuò a russare, mi spinsi oltre, e aprii colle mie dita i ditoni enormi dei suoi piedi volgari e maschi e leccai il sudore raffermo tra i suoi diti, e ingoiai quel sudore raffermo e gustoso depositatovi; il mio pisellino si inarcava e stava diventando sempre più lungo e duro, e premeva sotto i pantaloni del mio pigiamino, ero eccitatissimo; mio padre continuava a dormire, anche se aveva smesso di russare. Presi sempre più coraggio, spinto al parossismo dall’eccitazione, e leccai con passione ed ingordigia quegli splendidi piedoni prepotenti a mia completa disposizione, li bagnavo e lavavo colla mia lingua fino a farli essere tutti bagnati di saliva, ne assaporavo il sapore forte e aspro, colloso del sudore di tanti giorni non lavati, mi inebriavo dell’odore dolciastro, forte ed aspro della puzza dei piedi sudati, inspiravo senza tregua tra le narici ed impazzivo di piacere tanto da non accorgermi che mio padre, infebbrato, aveva aperto gli occhi e mi stava osservando, con uno sguardo beffardo e sadico da Vincitore Padrone, e che, colla mano, si stava toccando la patta dell’uccellone, che appariva, sotto le mutande, lunga e durissima, irta ed eretta come una torre che non crolla. A quel punto, alzai lo sguardo adorante verso di lui, e mi bloccai terrorizzato alla vista di mio padre che mi guardava in quel modo. Mio padre, allora, con uno strano filo di voce, che non avevo mai sentito, roco e preso dall’eccitazione e dalla febbre, seduto sul letto, ormai, e ben sveglio, vedendomi sottomesso del tutto a lui e schiavo leccapiedi, mi disse: - Mi ero accorto e sono rassegnato di avere un figlio schiavetto leccapiedi, per cui un vero maschio Padrone come sono io, anche se sei mio figlio, deve umiliare e sottomettere del tutto ai suoi voleri un leccapiedi schiavetto nato come sei tu, per cui da adesso sarai un mio schiavo e dovrai ubbidire a tutti i miei ordini: lecca bene e lava colla linguetta schifosa da verme, come sei, tutti i miei grandi e possenti e prepotenti piedi, che ti calpestano; ingoia tutto il sudore che trovi e non osare smettere, fino a quando te lo ordinerò solo io! Sporco lurido verme di merda! Non hai nessun diritto, se non quello di servirmi, di ubbidire, di leccarmi i piedi e pulirli per bene colla linguetta schifosa, visto che mi piace e che piace anche a te, e da oggi, non mi laverò mai più i piedoni: mi laverai tutte le notti tu colla tua lingua, e guai se non me li laverai per bene!!! Ti punirò a dovere fino e come piace a me!! - .
Coll’altro piedone enorme mi stava obbligando, premendomelo sulla testa, a leccare e lumare tutto lo sporco dei suoi piedi ed ad inghiottire tutto a dovere; era Prepotente, Padrone e violentissimo! Io ero eccitato e timoroso come non mi era mai successo, e stavo realizzando quello che desideravo da tanto tempo, e che sognavo tutte le notti nel mio letto; non me lo feci dire due volte, ubbidii in silenzio alle sue violenze prepotenti, inoltre le sue offese mi eccitavano sempre di più. Infatti gridava che gli facevo schifo, che ero uno schiavetto lecchino e dovevo subire e che mi avrebbe sempre punito a dovere per questo. Poi fece una cosa che non mi aspettavo: mi ordinò di togliermi il pigiama e di restare nudo come un verme davanti a lui, obbedii subito: vide il mio cazzetto turgido e in tiro, come poteva, mi derise, dicendo che era piccolo e rancido e schifoso, coll’alluce intanto mi strizzò un capezzolino, al che gemetti per il dolore-piacere che mi dava. – Guarda come è duro e turgido questo capezzolino da femminuccia che hai! – Disse – Te lo premo e te lo spezzo in due, schiavetto di merda!! – Poi col piedone mi stuzzicò il pisello: lo premeva, lo spingeva in sotto, lo tastava, si divertiva a farlo dondolare come un campanello, cercava di spezzarlo, lo masturbava tra i diti, in su e giù a suo piacimento, cosicché presi coraggio, e gli misi il pisellino turgido tra i due piedoni enormi, tanto che tra questi appariva piccolissimo, sebbene eccitato ed in tiro, e glielo offrii in dono da torturare con tutti e due i piedi: lo massacrò: era diventato rosso e livido per le torture inflittogli, ma mi faceva godere dal dolore e dal piacere insieme. Intanto si era tirato fuori il suo enorme cazzone e se lo menava, davanti a me, con una foga mai vista; mi terrorizzava per quanto era grosso, lungo e duro davanti al mio piccolino e striminzito, e la sua foga mi faceva davvero paura e mi eccitava insieme: ero del tutto succube ai suoi violenti e prepotenti voleri. Ad un tratto, ansimando e sudando come un cavallo in corsa, gridandomi offese irripetibili da Padrone violento, sborrò con foga tanto che lo spruzzo mi bagnò ampiamente sul corpo e sul viso, tra i vari sussulti del suo cazzone, che pur restando duro e dritto come un fuso, lentamente si ridusse di dimensione. Anche se meno violento, calmatosi dalla foga dell’infoiamento, restò duro e Padrone con me: mi ordinò di tornare subito nel mio letto e di andare a dormire. Ubbidii, sottomesso e triste, in quanto la mia eccitazione era arrivata al culmine: mi scappava infatti tanto la pipì, tornai a letto ed, immaginando ancora la scena appena vissuta, mi menai per molto tempo, poi, dopo essere andato in bagno a far pipì, mi addormentai appagato ma terrorizzato per l’indomani: come sarebbero stati i rapporti con mio padre in futuro? Come mi avrebbe trattato? Forse si sarebbe scordato tutto, una volta uscito dai fumi della febbrel?
La risposta la ebbi subito l’indomani sera, al ritorno di mio padre dal lavoro: era duro e serissimo; mi ordinò di andare a prendergli le ciabatte e di fare il rito di togliergli gli anfibi e le calze sudatissime e appiccicaticce. Poi, con aria dura e spietata mi disse, in modo calmo e lucido: - Ricordo tutto di stanotte: sei uno schiavetto leccapiedi molto bravo, e per questo devi essere il mio schiavo per sempre. Adesso mi laverai colla linguetta da verme i piedi sporchi, poi ingoierai tutto il sudore raffermo tra i diti, e pulirai tutto per bene. Stasera mangerai sotto al tavolo, come il cagnaccio che sei, vicino ai miei piedi, che immergerò nel tuo cibo, e tu lo leccherai direttamente dai miei piedi, e alla fine dovranno essere perfettamente puliti; mentre resterò a fumare davanti alla tv, mi massaggerai i piedi colla lingua tutta la sera e stanotte e tutte le altre notti a venire, dormirai ai miei piedi, coi piedi infilati in bocca, annusando tutto il loro puzzo di sudore maschio: questa è la tua punizione da schiavo leccapiedi come tu sei. - Ero felicissimo, ma non lo mostrai; il mio maggiore desiderio veniva esaudito. Per molti anni dovetti sempre fare questo, e mio padre trovava sempre occasione per punirmi così ogni volta che a lui piaceva, e quando non ce n’era motivo, il motivo che adduceva era sempre che uno schiavetto lecchino deve essere punito così da un vero maschio come lui.
Passarono gli anni, io avevo 13 anni e lui 29 anni, era sempre più bello e più maschio e violento e Dominatore con me. Si era trovato una donna da scoparsi, ma non la portava mai in casa nostra, andava lui da lei; questa aveva un figlio di 16 anni, un bel ragazzo un po’ mascalzone e macho come mio padre, e mio padre lo adorava molto più di me, che per lui ero una mezza calzetta. Successero due cose molto particolari, che cambiarono la routine delle mie punizioni, perché mio padre, quando non era la notte dalla sua donna, continuava con me colle punizioni, e si masturbava e veniva sempre copiosamente, quindi la cosa continuava a piacere anche a lui moltissimo.
Una sera, eccezionalmente, Alessio, il ragazzone figlio della donna di mio padre, era con noi in casa, per guardare la partita in televisione insieme a mio padre, che era molto tifoso di calcio; se la sua squadra perdeva, diventava sempre più violento e prepotente con me, ed inventava punizioni per me sempre più bizzarre. Dopo il rito del togliere gli anfibi e le calze sporche, mio padre stava seduto davanti alla tv coi piedi nudi sporchi, sudati e puzzolenti appoggiati sul piccolo tavolo, davanti al divano, come sempre, fumando e pronto per guardare la partita; arrivò allora Alessio. Mio padre lo invitò a togliersi gli scarponi, che da ragazzo alla moda, portava. Il ragazzo obbedì e dalle sue calze uscì un forte e potente odore adolescenziale di piedi non lavati e molto sudati, che mi eccitò subito, il mio cazzetto, che si stava sviluppando alla mia età, si rizzò subito, avevo già un po’ di peletti intorno al pube, ma ancora non avevo mai eiaculato sperma. Mio padre, indifferente all’odore dei piedi di Alessio, gli disse che poteva togliersi anche le calze, se voleva, e gli disse che io ero l’addetto a fare questo servizio, come punizione, perché, inventò, ero stato disubbidiente tutto quel giorno. Alessio, divertito dalla cosa nuova, ed incoraggiato da mio padre, mi protese i suoi piedi, numero 45. Gli sfilai le calze di lana spessa, che portava, che erano ancora bagnate del suo sudore dei piedi, e sentii, da vicino, quel forte nuovo odore assai pungente di giovane ragazzo, che iniziò ad inebriarmi assai. Poi mio padre, divertito dalla cosa, e molto indispettito dal fatto che la sua squadra non si decideva a fare goal, gli disse che per me aveva, da molto tempo, ideato una punizione “ molto particolare “, poi, rivolto a me, mi ordinò: - Lavami i piedi!!! – con la solita arroganza. Non vi dico la faccia stupita e molto divertita di Alessio, quando mi vide leccare colla lingua i piedoni sudati e maleodoranti di mio padre! Esclamò: - Nooo!!! Fortissimo!! E’ una cosa fighissimaaaa!! – Lavati lungamente i piedi colla lingua di mio padre, iniziai la pulizia tra i diti del sudore raffermo e ingoiavo tutto; al che Alessio, ridendo come un pazzo, disse: - NOOO! Non ci posso credere!! E tuo figlio fa una schifezza del genere!! E’ proprio un verme schifoso! Che schifo!! – Mio padre disse, spietatamente: - Guai se non mi ubbidisse, lo punirei molto più duramente! Sai, ho un figlio lecchino, ed io che sono un vero maschio lo devo umiliare per questo! Anche tu sei un vero maschio, vero? Vuoi fartelo fare anche tu? Tanto a lui piace, anche! – E, come riprova, mi ordinò di spogliarmi completamente nudo, davanti a loro due. Ubbidii, umiliato e vergognoso. Mio padre, vedendo i peletti , che stavano crescendo sul pube, ridendo, me li tirò coi diti dei piedi, dicendo: - Guarda, gli stanno crescendo anche i peli, non so a cosa gli serviranno a questo, ma misuriamo il cazzetto rancido! Vedi, Alessio, è già un po’ duro, perché, a questo schiavetto leccapiedi, piace assai leccare i piedi sudati di noi maschi! – E iniziò a titillare coi piedoni il mio cazzetto che al contatto si inturgidiva, per come poteva. Questo, spiegò ad Alessio, serviva per farlo diventare il più duro possibile e poi misurare se era diventato lungo e duro come il suo grosso alluce. Invitò anche Alessio ad aiutarlo a fare indurire il mio cazzetto, e Alessio, prima schifato e titubante, poi incoraggiato da mio padre, imitandolo, divertito e sghignazzante, mi titillò maldestramente la punta del cazzetto, che al contatto col nuovo piede, non ancora conosciuto, si indurì molto. – Vedi, il tuo piede gli piace, non l’ho ancora visto mai indurirsi così tanto e così in fretta, al leccapiedi! – Esclamò mio padre, divertito ed incuriosito dalla novità che i piedi grandi di Alessio suscitavano nel mio cazzetto durissimo. Poi misurò la lunghezza del suo alluce e quella dell’alluce abbastanza lungo dei piedi di Alessio in confronto al mio cazzetto indurito, ma ridendo e sghignazzando insieme, valutarono che il mio pisellino, sebbene duro e allungato, doveva ancora crescere molto, prima di diventare grosso e lungo abbastanza per equiparare i due allucioni, e mi sentii umiliato perdente ancora una volta, sia nei confronti del mio padre Padrone, come del mio fratellastro Alessio. Per punirmi di questa mia piccola misura del pisello, mio padre incoraggiò Alessio a farsi leccare e pulire ed annusare i piedi sporchi e sudati dal mio naso e dalla mia lingua da lurido lecchino. Alessio si divertì come un matto, ordinandomi cosa e come dovevo eseguire la pulizia dei suoi piedi dicendomi: - Ehi, lecchino, lecca bene tutto, e pulisci le caccole fetide tra i miei diti, senti, annusa e inala bene il mio odore di maschio vero, ingoiale tutte le caccole, sì, così, bene! Manda giù tutto, bene, così. Ti piacciono, vero? Hanno proprio un bel saporino di rancido: non me li lavo quasi mai i piedi, puzzano di marcio, e non credevo mi divertissi così tanto a farmeli leccare da un maiale lecchino come te. Guarda come gli piace allo schiavo leccapiedi, ha il pisello duro! – Poi, inventò, assieme a mio padre, un nuovo gioco: dovevo stare disteso supino, colla faccia rivolta ai loro piedi, e loro due, insieme, tentavano di infilare il più possibile in gola i due piedi, uno di papà e l’altro di Alessio, insieme, fin dentro alla mia gola, per quanto potessi contenerne, con la bocca spalancata, quasi da affogare, e loro spietati, li immergevano dentro, forzando quanto più potevano dentro la bocca e la gola, mentre gli altri due piedi me li mettevano sul naso, in modo che potessi respirare solo la loro puzza di sudore forte e virile. Mio padre, vedendo il mio pisello ritto e duro ergersi davanti a lui, iniziò a torturarlo col piede, titillarlo, premerlo e piegarlo come per spezzarlo, ridendo ed offendendomi, mentre si stava tirando fuori il suo grosso pisello lunghissimo e durissimo, e se lo menava da forsennato. Alessio, vedendo questo, anche lui si tirò fuori la propria nerchia, devo dire, niente male, lunga, grossa e larga e durissima da giovane adolescente voglioso, e se la menava ansimando e gemendo. Ad un certo punto, sollecitato dai due piedi che mi torturavano il pisello ritto, con immersi in gola gli altri due piedi, non potendo né gridare, né fare segni, incominciai a sentire come uscire un liquido colloso, una gocciolina trasparente dal buchino del mio pisello. I due non si erano accorti di nulla e si masturbavano forsennatamente assieme, colla propria mano. Poi, mentre mio padre sborrava prima copiosamente, con schizzi in aria che cadevano sul mio viso e sul mio corpo nudo, sentii che anche Alessio era sul punto di venire. Allora mio padre continuò a sollecitare col piede il mio pisello ritto, tolse l’altro dalla mia bocca, e lo fece togliere anche ad Alessio, mi spinse col piede la testa verso il pisello in tiro di Alessio, mi ordinò di spalancare bene la bocca, mentre ero in posizione giusta per ricevere in bocca la sborra di Alessio, che stava per schizzare fuori, sollecitò più violentemente il prepuzio del mio pisello col piede, e mentre la sborra di Alessio schizzava dentro la mia gola, facendo centro, mi ordinò di inghiottire tutto fino alla fine, e poi di pulire colla lingua le gocce di sborra rimaste sopra il pisello di Alessio. Obbedii, mentre, per la prima volta in vita mia, usciva, lento e calmo, dal mio pisellino, un liquido colloso, morbido ed acquoso, che mi sembrava pipì, per cui ero spaventato di pisciare sul piede di mio padre, e di Alessio, che si divertiva anche lui a torturare il mio pisello. Cercai di trattenere, spaventato, ma provai un piacere mai provato, come uno svenimento, un lasciarsi andare al piacere immenso che provavo, e ingoiando e pulendo lo sperma residuo sul pisello di Alessio, gemetti piano, venendo anch’io. Allora i due gridarono: - Ha sborrato, il leccapiedi!! Il maiale è venuto per la prima volta sui nostri piedi!! Stronzo di merda, ti è piaciuto così tanto che non hai resistito!! Lecchino verme schifoso! –
Ma i due, insensibili ai miei gemiti silenziosi di piacere, sadici ridevano, divertendosi e chiudendosi la patta dei pantaloni, mentre mio padre si puliva lo sporco di sborra sul suo uccello sul mio viso e sul mio corpo. Restai disteso ed inerte, come svenuto per un po’, poi mi vidi bagnato del liquido, mi alzai e fuggii, in camera mia, mentre i due, tranquilli ed acquietati continuavano a guardare la partita.
La cosa si ripetè sempre, quando Alessio veniva a casa nostra, anzi, mi accorsi, che, da allora, ci veniva più spesso, e mio padre, anche se continuava da solo a punirmi ogni sera, e oramai mi faceva sempre venire coi suoi piedi, quando c’era Alessio, si divertiva di più, mi sborrava in bocca, come anche Alessio, e spesso si fecero spompinare direttamente da me coll’ingoio, sempre.
Mio padre si divertiva oramai talmente tanto a farmelo fare con Alessio, che una volta, all’età mia di 16 anni, e lui 32, era in casa con tre suoi colleghi operai muratori, di cui uno era slavo: questo aveva due mani spropositate, e due piedi numero 50, che non avevo mai visto e non credevo esistessero nella realtà: era un bellissimo gigante biondo, con due occhi cattivi, azzurri e scintillanti. Gli altri due muratori avevano pressappoco la stessa età di mio padre, erano tutti e tre sposati, molto volgari e maschi, portavano degli scarponi da lavoro molto sporchi e usati, e seduti in soggiorno, fumavano come turchi, giocavano a carte e raccontavano le loro volgari avventure erotiche segrete con le donne. Mio padre, pensavo, quella sera, non mi avrebbe dato la mia buona dose di punizioni, ed ero triste e sconsolato: oramai fare il leccaggio piedi era una cosa che mi mancava se non la facevo, mi procurava un immenso piacere, desideravo sempre farla e mi appagava sessualmente con continuità, poi anche per mio padre, quando non scopava colla sua amante, era un grosso appagamento dei suoi istinti sadici e violenti. Ero rassegnato, sperando che i tre uomini se ne andassero a casa loro presto, così che mio padre non fosse così stanco da evitarmi la punizione giornaliera, anche se di domenica, o quando stava tutto il giorno in casa, le mie punizioni duravano anche tre o quattro volte, ed io eiaculavo sempre tutte le volte, sollecitato dai piedi di papà, e anche lui sborrava sempre, anche due volte di seguito, per tutte le tre o quattro volte: era una vera orgia goduriosa! Quando, tra le risate volgari dei quattro, ad un tratto mi sentii chiamare da mio padre, con voce possente e prepotente. Corsi subito ai suoi piedi, davanti ai tre muratori, che mi guardavano con aria di scherno, silenziosi, dall’alto in basso. Allora mio padre, davanti a loro, mi disse: - Come vedete, mi è capitata la sventura di avere un figlio lurido, porco e leccapiedi schiavo, io, che, come ben sapete, sono un vero maschio virile, come voi; ne abbiamo fatte di cose piccanti colle donne, insieme e da soli, ricordate? Proprio per questo, ho deciso di punirlo sempre, anche perché a lui piace essere punito, ma soprattutto perché i veri maschi umiliano sempre i leccapiedi e li puniscono a dovere: vi ricordate quanti, insieme ne abbiamo preso a calci, picchiati e umiliati a dovere, vero? Oggi tocca a mio figlio, che avrà l’onore di essere sottomesso da noi insieme, quattro bei veri maschi prepotenti e dominatori, così imparerà una buona volta la lezione; vediamo se gli piacerà ancora dopo le dure punizioni che avrà da noi oggi! – A queste parole mi vennero i sudori freddi, ero terrorizzato; pensavo chissà cosa escogiteranno stasera per punirmi e chissà se mi piacerà come è sempre stato fino ad ora. Mio padre mi ordinò di spogliarmi completamente nudo, davanti a loro, e di restare in ginocchio e a testa bassa, guardando solo i loro piedi, colle calze pesanti di lana, quelli di mio padre, che puzzavano come non mai, e quelli degli altri calzati dagli scarponi sporchi da lavoro. Ubbidii tremante. Alla loro vista del mio cazzetto molle e rimpicciolito dallo spavento, sghignazzarono come dei pazzi, dicendo: - E cosa sarebbe quella cannuccia striminzita che hai davanti, forse un vero cazzo? Quando ti mostreremo i nostri cazzoni lunghi e sempre in tiro da veri maschi virili, o ti leccherai la lingua, visto che sei uno stronzo schiavetto leccapiedi, o tremerai di terrore umiliato dalla vista di tanta possanza e forza virile! – Poi mio padre mi ordinò, per la prima volta, di leccare e pulire colla mia linguetta da verme lurido gli scarponi polverosi e sporchi da lavoro dei tre amici muratori. Tranquillizzato, iniziai l’opera di leccaggio, e iniziai ad eccitarmi; alla vista del mio misero pisellino che si rizzava, tentando la scalata, ma tornando molle per la paura, che ancora avevo, risero e sghignazzarono fortissimo, dicendo: - Guardate, il misero pisello rancido da schiavo come tenta di diventare duro, ma non ce la fa, poverino, è troppo debole, non li serve a chiavare le donne, per questo è sempre piccolo e molle! Che schifo ci fai, verme di merda! – Pulii per bene e lustrai colla lingua quelli enormi scarponi sporchi da lavoro, e mi sembrarono soddisfatti. Poi mi venne ordinato di sfilarglieli, e da quegli scarponi e dai loro calzini pesanti di lana uscirono tutti i più vari e possibili odori di sudori di piedi maschili: aspri, forti, dolciastri, nauseanti, virili, volgari che si mischiarono insieme nella stanza, creando una vera camera a gas. Ma quell’odore così forte e marcio di piedi non lavati da tanti giorni mi eccitava e inebriava sempre più, cosicché mi passò la paura, ed il cazzetto divenne ben duro e ritto, davanti a loro. Mi venne poi ordinato di sniffare dentro i loro scarponi, e venivo obbligato a farlo dai loro piedoni e da quelli di mio padre premuti sulla testa con violenza. Sniffai tanto e mi inebriai a dovere. Poi ci fu il rito dell’annusamento di tutte le loro calze matide di sudore rancido, sia calzate ai piedi, sia sfilandole pianino colla mia bocca; lo Slavo, che si chiamava Ivan inventò la punizione di farmele infilare dentro la bocca e ciucciarle, così che a gara mi infilavano in gola anche due calze di due diversi piedi, che dovevo infilare totalmente in bocca e riempirmene quasi da affogare, perché insieme dovevo annusare le altre, che loro mi premevano sul naso, sghignazzando e divertendosi a vedermi faticare, nel contenere le due calze in bocca e annusare le calze premute sulle narici. La cosa mi eccitò comunque molto, anche se facevo molta fatica. Poi, con violenza inaudita, dovetti sniffare i loro piedi nudi e leccarli e pulire gli spazi interdigitali, pieni di pezzi scuri di sudore raffermo di giorni, ed inghiottire tutto velocemente: facevano a gara a farseli pulire e nettare, uno dopo l’altro, insieme ai piedi adorati di mio padre. Fu una bella impresa leccare e pulire tra i diti dei piedi di Ivan: erano enormi, lunghissimi e sporchissimi di mesi non lavati, sui piedi luridi c’era attaccato tutto lo sporco che dovevo lumare e poi ingoiare, e cosa c’era dentro tra i diti non riesco a spiegare: enormi pezzi di caccole di tutti i colori ben attaccate, che facevo fatica a pulire e staccare colla lingua e poi ingoiare: la cosa li divertì da matti, ridevano, inveivano, mi prendevano in giro perché non riuscivo velocemente, e mi davano calci sulla testa coi piedi e mi premevano la testa e il naso coi piedi nudi spingendomi sui piedi e tra i diti dei piedi luridi di Ivan, che se la godeva da vero Padrone. Intanto ero eccitatissimo, ed una gocciolina mi bagnava la punta del cazzetto ritto e duro. Poi mio padre volle sperimentare il gioco, già fatto con Alessio, di farmi ingoiare il più possibile due piedi, di due uomini diversi, in gola e fu uno sforzo inammissibile ingoiare il numero 50 di Ivan e il 48 di mio padre, che prepotenti e spietati infilavano il più possibile i due piedoni in gola tanto da farmi affogare e mi vennero spesso forti conati di vomito, che invece di farli desistere, li stimolò ad insistere: più mi veniva da vomitare, più insistevano ed in più aggiungevano gli altri piedi sul naso da annusare, tanto che non riuscivo quasi più a respirare; dicevano: - Toh, muori dalla puzza e affoga ma ingoia, su, forza, femminuccia, tanto si vede che ti piace, brutto schiavo lecchino di merda, mettiti in bocca tutto il nostro piedone da maschi, e ingoia, dannato leccapiedi, invece di vomitare, dai, ragazzi, infiliamoglieli di più, deve morire, dannato vermicello, e intanto annusa un po’ di nettare del sudore dei nostri piedi, così ti riprendi!!! – Mentre facevano questo, sempre più infoiati, si eccitavano a vicenda, diventavano sempre più pretenziosi e prepotenti, e si tirarono fuori le grosse nerchie davvero enormi, potenti e dritte come fusi, tutte già bagnate e gocciolanti di sperma, e se le menavano come forsennati. A qualcuno, forse Ivan, che era il più perverso, a quanto pare, venne l’idea di farmi tenere fermo, legandomi anche al tavolinetto, e coi piedoni, prima i suoi, poi insieme a quelli di tutti gli altri, iniziarono a torturarmi, mentre si masturbavano, titillarmi, piegarmi, masturbarmi il povero mio pisellino ritto ed eccitato. Poi inventò un’ultima punizione: tenendomi uno il cazzetto colla mano pronto, mi infilò per primo Ivan l’alluce enorme nel buchino del mio prepuzio, tenuto aperto dalla mano di quello che lo teneva in mano, cercando di entrare dentro il più possibile, come fosse una vagina aperta, tanto che il buchino si sgranò e si aprì sempre di più, cercando di contenere quell’alluce enorme che spingeva e voleva entrare; sentii un dolore lancinante e gridai; i quattro, sempre masturbandosi ed eccitatissimi dal mio dolore, che, però, si stava anche trasformando in piacere, incoraggiati glielo fecero, incitandolo, forzare sempre più, cosicché il buco si sgranò ancora, si aprì all’inverosimile e contenne quell’alluce dentro che forzava più che poteva; urlai ancora ma il piacere mi prese alla testa, così venni, sborrando, senza poter esplodere in fuori, ma coll’allucione di Ivan che mi otturava l’uscita del seme; allora anche alcuni di loro vennero, e mentre venivano, mi afferravano la testa e mi scaricavano in bocca la sborra, ordinandomi di ingoiarla tutta senza disperderne una sola goccia, anche, per la prima volta mio padre! Non era finita, ancora. Risvegliatisi dal piacere dell’eiaculazione, sia la loro, che la mia, vollero, come ultima punizione provare tutti l’estasi di immergere i loro alluci nel mio buchino aperto e sgranato, così vennero di nuovo tante volte, quante mi fecero venire, otturandomi il buchino con i loro grandi alluci. Poi, non ancora sazi delle punizioni, dopo avermi fatto venire in quel modo quattro volte, per il numero che erano loro e il loro alluce, vollero spomparmi, continuando a farmi venire ininterrottamente per tutta la notte, masturbandomi tutti insieme coi piedi, avevo otto piedi che mi torturavano insieme e mi masturbavano, ogni volta che venivo, loro continuavano come se non fossi venuto, cercando subito di farmi rizzare il povero pisello coi piedoni, e provocandolo ad eiaculare ancora, anche se poi, dopo le prime cinque volte, ci voleva tanto, sollecitandolo coi piedi, a farlo rizzare ed eccitare di nuovo e sborrare ancora. Alla fine avevo sborrato quindici volte, non avevo più seme e l’ultima volta uscì una misera goccia durante l’eiaculazione: ero del tutto spompato, loro erano soddisfatti come stanche belve appagate, erano le 5,30 del mattino, e il mio cazzetto era ridotto ad uno straccetto molle, rosso ed infiammato, col buchino aperto, inservibile, e mi fece male per molti giorni. Il giorno dopo, mio padre, insensibile, da solo, ripetè l’esperienza, aggiungendo le novità di quella notte, incurante dello stato del mio pisellino e del dolore che provavo, ma continuava a piacermi ancora.
I tre muratori vennero spesso a sollazzarmi con me per intere notti, ripetendo tutte le punizioni, senza ometterne alcuna, e si eccitavano e soddisfacevano immensamente, insieme a mio padre, sempre di più.
Intanto crescevo, avevo 18-19 anni, mio padre 34-35 anni, mi ero innamorato di una ragazza, la scopavo e mi piaceva, ma non potevo fare a meno dei giochi punizioni di mio padre. Anche se mio padre mi sapeva fidanzato, per lui ero sempre uno schiavetto leccapiedi da punire, sapeva che mi piaceva fare i giochi con lui, continuava a misurarmi il pisello, era sempre più piccolo e molle del suo grosso alluce e mi puniva sempre col leccaggio dei suoi piedi sempre più sporchi, oramai callosi e straordinariamente virili ed eccitanti per me, mi masturbava e mi faceva venire coi suoi piedoni e si faceva spompinare dalla mia bocca coll’ingoio.
Adesso ho 30 anni, mio padre 46, è un bellissimo uomo brizzolato, e continuo, anche se vivo da solo e lavoro, quando spesso vado a casa sua a mangiare da lui e a trovarlo, a chiedergli di farmi leccare i suoi bellissimi piedi da maschio maturo: lui non me lo fa nemmeno chiedere, me li fa trovare sempre sporchi al punto giusto, sempre pronti all’uso del leccaggio, mi masturba sempre varie volte e poi si fa spompinare varie volte da me: una vera goduria! Spero di non smettere mai!!
P.S. Se qualcuno volesse fare un’esperienza simile con me, da solo o in gruppo, uomo maturo o no, che voglia o provare o dilettarsi dell’esperienza di farsi leccare i piedi sporchi da me, e tutti i giochi sopradescritti, mi può scrivere a [email protected] oppure Telegram@Sottodite, ed io sono a sua disposizione.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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