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Lui & Lei

La moglie del capitano


di Asteroide1962
04.01.2021    |    15.569    |    8 9.4
"“Quindi ti serve che regoli le ante dei pensili?” Chiedo con una punta di delusione nella voce..."
A metà degli anni 80, dopo vari rinvii a causa di studi universitari, partii per la naja che, per i giovani del sito, si trattava di un anno (o nel caso della Marina Militare di 18 mesi) di leva obbligatoria militare. Ricordo ancora la partenza, era l’inizio del mese di ottobre e la sera venni accompagnato dai miei amici alla stazione da dove partii con biglietto di sola andata.
Dopo un mese di “addestramento” venni letteralmente spedito in quella che fu la mia residenza fino alla fine della leva: una piccola base militare nel profondo nord-est dell’Italia.
Arrivai di Giovedì sera e il venerdì mattina il maresciallo addetto chiedendo che studi avessi fatto e cosa fossi capace di fare mi assegnò agli ordini del maresciallo addetto al circolo ufficiali e sottoufficiali e quindi avrei fatto il barista per il resto della naja.
Al circolo stavo bene, la mattina presto servivo caffè, cappuccini e brioche, poi alla chiusura pulizie e siccome avevo ed ho una buona manualità facevo qualche piccola riparazione al circolo che necessitava di una bella ristrutturazione generale.
Un giorno di fine novembre, mentre stavo riparando per l’ennesima volta il rubinetto del lavandino, entrò un Capitano che, dopo essersi interessato a quello che stavo facendo, mi chiese se fossi stato disponibile ad andare da lui per una riparazione simile; ci accordammo per la domenica successiva durante l’orario della libera uscita ma, disse lui, non farlo sapere a nessuno perché era vietato ai graduati far fare lavori privati ai soldati di leva. Rispondendo di non preoccuparsi dissi pure che lo avrei aspettato alla stazione delle corriere, dove nessuno dei miei commilitoni andava perché usavano tutti il treno.
Alle due di quella domenica salii in macchina sua e mi portò verso il suo appartamento dove viveva con la moglie.
Durante il breve tragitto mi spiegò che si era trasferito da poco in quella città, che il trasloco era stato appena completato, che era insoddisfatto perché la ditta non aveva fatto un buon lavoro e che avevano lasciato parecchie cose incompiute asserendo che non era compito loro.
Devo dire che più passivo il tempo con lui e più mi rendevo conto che l’appellativo affibbiatogli in caserma era azzeccato: il Conte. Il capitano, infatti era una persona di quelle sempre in ordine, non un capello fuori posto, la divisa perfettamente stirata e le scarpe sempre lucide nella vita militare; da civile pantaloni, camicia, giacca e cappotto scarpe perfettamente abbinati, macchina lucida, appartamento spazioso, arredato con gusto e moglie, beh mi sia concesso, un gran pezzo di figa.
Veronica, la moglie del capitano, una massa di ricci neri in testa, un viso angelico con labbra, non molto carnose, messe in risalto da un rossetto perfettamente steso, ciglia lunghe e contorno occhi definito da un eye-liner che esaltava il nocciola della pupilla; vestita alla moda dell’epoca era la moglie perfetta per il “conte” e una brava padrona di casa.
Mentre il capitano mi mostrava l’appartamento, Lei preparò il caffè che ci servì in salotto dove, seduto sul divano con Lei vicino a me, la sua gonna leggermente sopra le ginocchia che lasciava intravvedere si e no dieci centimetri di coscia, un tarlo si insinuò tra i miei pensieri inducendomi a immaginare come fossero le sue mutandine e quanto morbide fossero le sue grandi labbra.
Finito il caffè mi misi al lavoro e mentre ero steso sognavo Lei che, come nei migliori film porno si posizionava sopra di me lasciandomi intravvedere la sua figa che immaginavo grondante di piacere.
Ero chiuso in un loop mentale, eccitato lavoravo come fossi in trance, sperando nella meritata ricompensa. Ovviamente nulla accadde tranne la richiesta da parte di Veronica della mia disponibilità ad altri piccoli lavoretti nel caso avessero avuto la necessità, la mia risposta fu affermativa nella speranza di poterla rivedere. Quella notte nella mia branda mi masturbai sognando Lei.

Venne organizzato un veglione per la fine dell’anno al quale parteciparono la maggior parte degli ufficiali e sottoufficiali della caserma, noi e i cucinieri rimanemmo confinati in caserma per preparare e servire durante il cenone. Mentre a noi imposero l’uniforme cremisi e i guanti bianchi per servire ai tavoli, agli ospiti fu imposto abito scuro per gli uomini e vestito lungo alle signore come dress code e molte di loro mostravano ampie scollature oppure gran parte della schiena scoperta, alimentando i nostri discorsi da caserma nel retrobottega o mentre ci incrociavamo nei corridoi.
Mezzanotte era passata da un pezzo, con un vassoio pieno di bicchieri sporchi stavo percorrendo il lungo corridoio che dal salone portava verso la cucina passando attraverso l’ingresso e i bagni che sento qualcuno che mi chiama: “Alberto! Alberto!” Mi giro e vedo Veronica, fasciata in un abito lungo che si mise a ridere probabilmente per la faccia che avevo fatto (un mix di eccitato, imbarazzato e sorpreso). “Mi dica Signora, le porto qualcosa al tavolo?” “Mi dai del Lei?Ahahhahha, pensavo che potevamo darci del tu! Ahahhahhhhahha non sono mica così vecchia! Ah, giusto, sono la moglie di un ufficiale! Va bene, dai. Ti ho visto passare più volte ma non sono riuscita ancora a farti gli auguri di buon anno e ringraziarti per il lavoro che hai fatto......senti....io....noi avremmo bisogno ancora di qualche lavoretto e....non è che...”
“Più che volentieri! Quando vuoi.” Dico io tutto di un fiato vedendo dalla sala uscire il maresciallo che ci aveva catechizzato vietandoci di parlare con gli ospiti “Se mi ricorda qual’è il suo tavolo, al rientro le porto tutto.” Lei, accorgendosi dell’arrivo inaspettato, mi tiene corda e di rimando mi dice: “Non scomodarti, finisci pure il tuo lavoro. Ah, a proposito, assieme alle altre mogli abbiamo pensato ad un piccolo presente per voi, questo è il tuo!” E mi porge una busta dalle piccole dimensioni, si gira ed entra nel bagno delle Signore. Faccio scomparire la busta nella tasca dei pantaloni dove me la dimentico fino alle 5 del mattino quando a festa ormai finita, ripulito il salone e sistemato tutto vado in camerata, mi spoglio e me la ritrovo tra le dita.
Sorpresa: oltre ad una banconota all’interno c’è un piccolo biglietto con un numero immagino sia quello della loro casa. Dormo con molti dubbi: la chiamo quando il capitano è a casa oppure quando è qui? È per fare dei lavoretti o vuole un altro servizietto? Avrò equivocato? Sarà stato per me o per altri?
Quell’anno la Befana cadde di domenica e dal lunedì si riprese la normale attività della caserma, io, deciso a dipanare la matassa dei dubbi nati dal biglietto, dopo essermi accertato della presenza del capitano, nella pausa mattutina mi avvicino al telefono fisso e con un gettone compongo il numero che conservavo gelosamente.
“Pronto” fa dalla cornetta una voce di donna “chi parla?”
“Buongiorno sono Alberto” dico con voce tremate e dubbiosa “Sono...” “Ciao Alberto, speravo mi chiamassi, come stai? Ti sei ripreso dalla faticaccia del Veglione?” “Si, si. Grazie tutto bene, si mi sono ripreso, anche se non è che qui si possa dormire a lungo! Tu? Hai...avete bisogno di qualche riparazione?” “Ahahha si,si..avrei bisogno di una lunga riparazione! Ahahhahahahhaha” e parte una squillante risata “No, dai, sono seria. Puoi passare da me domenica pomeriggio? Così ti faccio vedere il lavoro?” “Per me va bene. Passa a prendermi il capitano?” “ Ehm...no. Renzo è alla partita, se la cosa non ti imbarazza, sono sola a casa. Ecco...pensaci ma mi farebbe piacere....”. “Va bene, dai vengo” “ahahhahhha spero che tu venga e anche bene ahahahhahhha. Ciao a domenica!” “A domenica!” Quando rientro incrocio il maresciallo che guardando la mia espressione mi dice, delicato come al solito: “Hai una faccia da idiota, è successo qualcosa?”, sono talmente perso che non rispondo neppure e tiro dritto.
Lento scorre il tempo per chi aspetta e il resto della mia settimana fu un supplizio.
Domenica uscii con la prima corriera della libera uscita disponibile, arrivai in stazione dei treni e mi avviai lentamente verso il centro e sviai i commilitoni che facevano il mio stesso percorso girando su stradine secondarie fino ad arrivare sotto l’appartamento del capitano.
Sono molto titubante e pensieroso quando suono il campanello e la voce femminile che dice “sali!” senza chiedere chi abbia suonato non mi tranquillizza.
Faccio le scale salendo i gradini due a due fino ad arrivare al piano dove trovo la porta aperta e Veronica sorridente che mi fa il cenno di entrare.

I capelli ondeggiano mentre mi fa strada in appartamento, io, visibilmente voglioso, la seguo come un cagnolino non sapendo se posare lo sguardo sui capelli o su quel corpo che si muoveva con grazia davanti a me. Mi fa accomodare nel salotto e mi serve una bibita mentre parla di qualcosa che non riesco a comprendere, inebetito, imbranato; mi rinsavisco quando sento le parole “....ante dei pensili della cucina.”.
“Quindi ti serve che regoli le ante dei pensili?” Chiedo con una punta di delusione nella voce.
“Certo, vieni che ti faccio vedere.” E prendendomi una mano mi aiuta ad alzarmi dal divano. Lo strattone che mi ha dato è stato un po’ troppo forte e per poco non le cado addosso, riesco a malapena a fermarmi a pochi centimetri da lei ma percepisco lo stesso il calore del corpo e, poggiando la mano libera sul fianco, le sue curve nonché il brivido leggero che attraversa il suo corpo. Non so se tutto questo è stato il LA che ha dato inizio al nostro canto ma una frazione di secondo dopo le nostre labbra erano in contatto.

Timide le nostre lingue si sfiorano, si assaggiano, mi mordicchia il labbro superiore, poi quello inferiore ed entra nella mia bocca esplorandomi. Le mani, nel frattempo abbracciano, sfiorano, alzo la sua gonna ed accarezzo la parte esterna delle cosce sentendo il tessuto dei collant; lei mi sfila il maglioncino e, ancora prima che la mia testa sia fuori dal tessuto mi da un piccolo morso sul collo.
La mia mano, compressa dai collant, va alla ricerca della sua figa che sento già umida anche da oltre il tessuto delle mutandine, l’accarezzo e cerco di spostare le mutandine stesse ma la pressione dei collant rende tutto difficile, quindi sfilo la mano e aiutandomi con l’altra abbasso le calze; così facendo le mie mani corrono sulle sue natiche che sento sode ed allora le stringo una nella mano destra, l’altra nella sinistra.
Inarca la schiena buttando la testa all’indietro emettendo un lamento di piacere e capendo che gradisce le massaggio i glutei e con una mano entro nelle mutandine andando verso il buchetto dell’ano.
Le nel frattempo mi ha slacciato i pantaloni e con la mano destra mi accarezza il cazzo: lo sento teso al massimo, quasi dolorante ma che implora di essere accarezzato voglioso di esplodere.
Siamo in piedi, mezzi nudi, in una posizione che normalmente sarebbe scomoda ma nessuno dei due arretra vogliosi di sentire il corpo dell’altro.
Lei, scostandosi leggermente da me, si toglie la parte superiore dei vestiti e portando le mani dietro la schiena si slaccia il reggiseno. Io, porto la mano sinistra appena sotto le scapole, l’altra mano che continua a scendere verso la sua figa e la mia bocca che, trovato un capezzolo, bacia, morde e succhia facendolo indurire; le sue mani ora sono sui miei capelli e preme la mia testa verso le sue tette quasi a volermi soffocare.
Con voce rotta dalla voglia mi dice di seguirla ed io, controvoglia, tolgo la mano e lasciando sfilare i pantaloni dai piedi, in boxer, la seguo come un fedele cagnolino.
Non ha nemmeno il tempo di spostare le lenzuola dal letto che, abbracciandola da dietro, la faccio cadere sopra mentre bacio collo, lecco le orecchie e poi con la lingua seguo la colonna vertebrale verso le reni e poi più in giù arrivando sui glutei. Da dietro le sfilo le mutandine mentre con dei piccoli morsi le tormento le chiappe poi insinuo la mia lingua nel mezzo e, prima titillo lentamente il suo culetto, allargandole leggermente le gambe, tirandole un po’ in su il sedere, arrivo alla sua figa.
Negli anni 80 poche donne si depilavano e lei non faceva eccezione però devo dire che non erano troppo lunghi, anzi, mi parevano curati e già inzaccherati dai suoi umori.
Sentire i suoi umori in bocca era un potente afrodisiaco e più affondavo la mia lingua più aumentava la mia voglia non solo di godere ma anche di leccare.
Lei si girò a pancia in giù e con la mani sulla mia testa mi costrinse quasi a penetrarla con la lingua con suo immenso piacere.
Rilasso la sua presa quando venne ed baciandola dal pube comincia una lenta risalita verso la pancia, le tette e poi la bocca dove le nostre lingue si allacciarono in un lungo bacio.
In quella posizione la penetrai e avvolto dal calore del suo corpo sentivo il mio piacere crescere.
Mi sentivo un gigante, avevo tutto il suo corpo tra le mie mani: qualunque parte di lei toccassi sembrava quasi scomparire tra le mie mani.
Sentivamo i nostri cuori accelerare il ritmo, le mie mani sui suoi fianchi che sollevava per aumentare la penetrazione, le sue sulla mia testa per evitare che le nostre bocche si staccassero.
Respiravo l’aria che respirava lei e la scarsità di ossigeno era una droga per noi, ci faceva aumentare il piacere che provavamo.
Non so come e non so chi dei due fu che si girò ma mi trovai con lei sopra di me, i miei fianchi stretti tra le sue gambe: una cavallerizza impazzita, si alzava e scendeva lungo l’asta del mio cazzo, le sue tette ballonzolavano. Le misi le mani sui fianchi e la fermai con tutto il cazzo dentro perché volevo gustarmi a lungo quel piacere. Ansimavamo, sbuffavamo, dicevamo parole sconnesse. Le passai le mani dietro alle reni, la tirai verso di me e cominciammo a limonare. Entrambi in estasi venimmo quasi in contemporanea e poi ci stendemmo lei con la faccia sul mio petto ad ascoltare i nostri cuori.
Ci sono molte persone che ricordano quell’anno per la grande nevicata, altre che lo ricordano per il servizio militare ed io che ricordo per Veronica.

P.s. Che il ricordo di una donna sia vivido in me non è un segreto, tutto il resto è pura fantasia. Anche se nel racconto non ho mai menzionato il preservativo ricordo a tutti che è bene usarlo se abbiamo a cuore non solo la nostra ma l’altrui salute.
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