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Lui & Lei

L'amica speciale -2-


di QualcheTrasgressione
18.11.2024    |    3.869    |    5 9.9
"Mi resi conto che quello non era più fare sesso e nemmeno scopare..."
Ero una ragazza come tante, attratta dai ragazzi, mi sentivo "pazza" nei desideri verso questo o quello e, fino a quel giorno, la cosa più pazza fatta era stata prendere un treno e andare a Roma per due giorni per incontrare il mio ragazzo del tempo. Avevo mentito ai miei dicendo che avrei dormito dalla mia compagna di banco.
Fare sesso con lui in quei due giorni fu magico, proprio perché condito da quel segreto. Ma dopo aver scoperto il segreto della mia migliore amica e mio padre mi sembrò di essere anonima.
Il loro sì che era un segreto. Una gran porcata segreta. Ed eccitante.
Mi masturbavo molto pensando a quella scena e, ogni sera, attendendo mio padre che "rincasava dal lavoro", mi chiedevo se stesse scopando con lei o se fosse realmente in giro per lavoro.
Avrei voluto sapere quando era cominciata, come... Ma non era qualcosa che potevo chiedere.
Smaniavo dalla voglia di rivederli insieme. Questa voglia mi preoccupava.
Perché avevo quel desiderio? Era una cosa malata? No? Avevo scoperto che mio padre tradiva mia madre: non sarei dovuta essere arrabbiata o delusa? In parte lo ero, ma ero più eccitata. Per lungo tempo non analizzai cosa mi eccitasse di quella cosa, mi convinsi che ero attratta dal segreto e la situazione in generale: lui mio padre, lei mia amica. Un uomo maturo e una ragazzina.
Mi eccitava tantissimo la spregiudicatezza di entrambi. Il rischio che erano disposti a correre per quei momenti di piacere.

Ogni volta che avevo il sospetto fossero insieme andavo in quel posto, con il cuore in gola timorosa di essere scoperta.
Molte volte andai per nulla, ma capitò di trovare il furgone. Lo vedevo e mi eccitavo. Mi nascondevo veloce dietro i cespugli vicino a quegli alberi, sperando di poter vedere qualcosa.
Una volta li vidi con lei sopra di lui, che lo cavalcava nuda. La bocca di mio padre incollata ai piccoli seni di lei.
Aveva una prima, i capezzoli scuri e piccoli. La lingua di mio padre si muoveva velocemente e lei arcuava la schiena e reclinava la testa all'indietro, segno che stava godendo appieno.
Quella volta mi fissai sul viso di mio padre: erano espressioni mai viste su quel volto.
Lui, in casa, era distaccato, serio o annoiato, le uniche volte che lo avevo visto divertito era quando ricevevamo gente in casa e alzavano il gomito. Ma quelle espressioni mi erano del tutto nuove. Era godimento, era depravazione, era voglia di porcate.
Mi masturbai, guardandoli, godendo delle espressioni dei due. Invidiosa anche, ma non di lui, non mi solleticava il pensiero di essere scopata da mio padre, ma mi mandava in pappa il cervello l'ardore di entrambi. E quel piacere che trasmettevano che io non ero certa di aver mai nemmeno sfiorato.
D'un tratto la portiera del passeggero si aprì e li vidi chiaramente incavicchiati, lei nuda sopra di lui che indossava ancora i jeans e le scarpe.
«Scendi troia, ti sbatto per bene»
«Fa freddo! Sei matto?»
La sollevò come pesasse nulla. E, in effetti, per lui doveva essere così. Mio padre era un metro e ottanta, lei poco più di un metro e mezzo, ben più bassa di me, ed era esile, probabilmente pesava la metà di lui. Se la levò di dosso e vidi bene chiaro il suo cazzo svettare duro e teso. Lo vidi meglio della volta scorsa e mi venne l'acquolina in bocca. Era grosso, ben più largo di quello dei due ragazzi con cui ero stata. La cappella era grossa, sporgeva oltre il tronco.
«Por*o D*io, scendi!» la spintonò scivolando anche lui sul sedile. Lei atterrò a piedi nudi sul terreno freddo e ispido, le braccia attorno al corpo per scaldarsi più che coprirsi. Notai che lei gettò solo uno sguardo alla strada sterrata che portava lì, senza guardarsi attorno. Io mi acquattai di più e cercai di stringermi in me, fantasticando di poter diventare invisibile. Guardavo a tratti tra le foglie del cespuglio.
La sentii lamentarsi poi una bestemmia di mio padre e un tonfo. Tornai a guardare e vedi lei con le mani contro la fiancata del furgone, mio padre accanto a lei coi jeans arrotolati intorno alle caviglie a coprire le scarpe. Le prese i capelli in mano e la strattonò verso il basso.
«Succhialo, D*o Cane!»
E lei lo fece. Accucciata con le ginocchia piegate stringeva il cazzo di mio padre in una mano e lo mise in bocca. Era una posizione oscena, le gambe aperte, piegate, la vagina esposta, nuda, che sfiorava l'erba sulla strada. La testa andava avanti e indietro, il cazzo che sprofondava nella sua bocca. Mi stupì riuscisse a farlo entrare con tanta facilità. Dietro l'albero, nascosta, aprii la bocca e la toccai con le dita, come a constatare che diametro avesse la mia apertura.
Avrei voluto toccarmi ancora ma avevo paura a muovermi, che mi vedessero, che notassero un movimento.
Un tonfo e osai spiare, lei aveva le mani sul furgone, piegata a novanta, a gambe aperte, mi piacque vedere la riga del sedere e la fica completamente nuda.
Lui le si sistemò dietro, le afferrò i fianchi e la tirò su e lei si alzò sulle punte lamentandosi.
«Se ci vede qualcuno?»
«Zitta troia! Fammi sborrare e vedi che non ci vede nessuno» rispose lui senza logica.
Poi si acquattò come lei prima e... Oddio! Sprofondo il viso tra le sue chiappe. Lei gemette e la sua testa ciondolò tra le braccia.
«Oh, Cr*sto! Che bello».
La stava leccando, era chiaro.
Lui era di spalle, dietro di lei. Vedevo le chiappe chiare con il segno del costume a mutanda. Più sotto riuscivo a scorgere le palle che dondolavano. Aveva una mano poggiata sul sedere di lei e con l'altra si stava segando. D'un tratto si tirò su, mollò uno schiaffo sul culo e si spinse in avanti.
Un urlo e un tentativo di fuga da parte di lei mi irrigidirono.
«So che ti piace, troia! Sta ferma!»
«Mi fai male cazzo! Toglilo bastardo!»
Le arrivò uno scappellotto sulla nuca, come quello che ero solita prendere io quando facevo qualcosa che differiva dal volere di mio padre.
Un altro lamento, provò a voltarsi ma lui le afferrò i capelli e li tirò indietro facendola urlare e lui la sbatté contro il furgone.
«Po*co D*o! Urla ancora e ti distruggo! Devi stare zitta!» l'afferrò per i fianchi e spinse il culo in avanti. Lei sì lamentò di nuovo ma stavolta soffocò la voce tenendo la bocca chiusa. Mi resi conto che quello non era più fare sesso e nemmeno scopare. Era qualcosa di meno piacevole, almeno per lei.
Pensai che non era giusto, che avrei dovuto... Ma subito quel pensiero svanì.
La mia amica era lì con un uomo, un padre di famiglia, mio padre. Era andata lì con lui per farsi scopare. In un certo senso mi stava tradendo, mi aveva raccontato di quell'uomo più grande, mi aveva dato dettagli dei rapporti con lui e delle sue prestanze. Aveva goduto a parlarmi di mio padre? A farmi eccitare raccontando di quanto fosse porco l'uomo che mi aveva generato? Se lo meritava quel dolore. Mi godetti ogni attimo di quella scopata violenta, con lui che le si spingeva dentro con forza, lei che aveva il viso rigato dalle lacrime schiacciato contro il metallo del furgone. Era nuda e a piedi nudi sulla terra, in una posizione scomoda, e stava subendo le voglie di un uomo che in quel momento era più un mostro.
Sentivo il rumore ritmico dei loro corpi che sbattevano e pregai lei soffrisse ancora e ancora.
«Ti piace, eh?» chiese mio padre e mi sembrò una domanda ironica, ma poi la fece alzare, cercò la sua bocca e vidi le loro lingue intrecciarsi mentre continuava a scoparla.
La mano di mio padre scivolò sul davanti e la mia amica gemette nella sua bocca.
«Vieni, troia, vieni!»
Quelle parole mi stupirono: non stava soffrendo, come poteva godere?
«Ti riempio l'intestino, vieni con me»
Poi lui si fermò, contro di lei e venne facendo un verso simile ad un grugnito.
E dopo di lui sentii anche lei godere. Lui la baciò, divenne tenero all'improvviso, continuando a muovere la mano sul pube di lei.
«Sei fantastica. Mai scopato così.»
«Mi hai fatto malissimo.»
«Cazzo, il buco ti resta stretto. Ogni volta mi sembra la prima.»
«Sei un porco!»
«Non cominciare che mi torna duro!»
Si strinsero in un abbraccio e parlavano bocca contro bocca. Poi mio padre la spinse sul sedile, su cui lei si issò a gambe aperte dando anche a me un buono scorcio della sua intimità.
Una gamba sul sedile, l'altra che cadeva molle oltre la seduta. Si toccò e si aprì le labbra con le dita.
«Papi la mia fica vuole la tua lingua» cinguettò.
«Sei proprio una troia ninfomane, non ti basta mai» si lamentò lui prima di chinarsi. Lei gemette subito e si lasciò cadere sui sedili. Avrei voluto rimanere ma era il momento buono per andarmene e lo feci.

Quel modo di fare sesso mi era sconosciuto. Quello che avevo visto, se lo avessi visto in televisione, lo avrei etichettato come stupro. Lei ne aveva goduto anche se avevo ben sentito le sue grida di dolore. E visto le sue lacrime.
Tornai a casa ma c'era mia mamma e con lei in giro non mi sarei potuta chiudere in camera per poter soddisfare quel bisogno che avevo trattenuto così a lungo.
Andai in garage e mi chiusi la basculante alle spalle. Mi venne il dubbio di non essere più capace ad aprirla ma avevo così tanta voglia di toccarmi che non me ne preoccupai.
Misi la mano tra le gambe ma non riuscivo a darmi davvero piacere. Mi spostai dietro la macchina parcheggiata e mi abbassai i pantaloni: ero un lago e misi due dita dentro, le infilai con forza e cercai di mimare un amplesso come il loro, furente e veloce ma dirai poco. Il piacere era misero. Volevo uno di quegli orgasmi che avevo provato nel letto, ripensando a loro.
Ero delusa e agitata, non sapevo come fare. Poi mi venne l'idea di strusciarmi contro qualcosa di duro e optai per la sella della bicicletta. Ci montai sopra a fica nuda e cominciai a muovermi e pareva funzionare. La punta della sella mi apriva le labbra e colpiva il clitoride. Sentii montare l'orgasmo ma divenne più intenso quando sentii il rombo del motore del furgone di mio padre. Prima di avere la consapevolezza di avere poco tempo, sentii una saetta di piacere e cominciai a muoversi con più energia. Sentire quel rumore mi diede la spinta e in poco tempo fui sulla soglia dell'orgasmo. Ma tu quando sentii la voce di lui che chiedeva a mia madre dove fossi che mi scatenò un uragano e venni in quel modo completo, che mi annebbiava la mente. Dopo due minuti ero già rivestita, anche se zuppa e chiamai mio padre di dietro la basculante.
Lui ci mise un po' a venire ad aprire e io dissi, con finta tontaggine, che probabilmente non l' avevo aperta tutta e che si era richiusa non appena entrata e non avevo capito come poterla riaprire. Mi fece una paternale, sul pericolo che avevo corso di farmi cadere in testa la porta del garage. Io lo guardavo e, anche se era serio e la sua voce era quella di sempre, avevo ben stampato in testa quelle sue espressioni di godimento e quella voce prima dura poi tenera con cui si era rivolto alla mia amica. E lo odiai.
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