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Lui & Lei

A casa di Clara, parte seconda


di Rodeo75
10.07.2022    |    3.951    |    0 9.6
"Devo essere io a creare delle situazioni e ottenere qualcosa da lui..."
Avevamo ricominciato a frequentarci, io e Clara.
Era ritornata a farsi viva dopo diversi mesi di assenza. Erano finite nel cassetto dei ricordi le passeggiate al tramonto, andare in giro a cercare libri o dischi. Erano finiti i concerti e le gite in moto lungo le strade di montagna.
Esisteva solo il sesso. Un sesso sfrenato, cinico, quasi tossico, malato.
Era finita la dolcezza nel cercare il suo corpo e i suoi baci, come pure la voglia di voler prima di tutto il suo piacere, le coccole e le attenzioni a cercare per primo il suo orgasmo.
Facevo la mia vita selvaggia e indipendente, poi la desideravo, la chiamavo e andavo a prenderla. Allora la portavo nella mia tana, oppure in macchina dove si poteva e la scopavo come un animale.
Capitava che trovasse un capello biondo sul sedile del mio fuoristrada, o un profumo di donna sul mio collo. La vedevo la tristezza nei suoi occhi, senza dire nulla. Il suo era quasi un volersi far maltrattare. Non sorrideva, non brillava più. Ma quanto mi piaceva. Era quasi un'ossessione. Ovunque fossi, con chiunque fossi, il mio unico pensiero era andare da lei e averla, possederla. Continuamente e sempre di più.

Così era arrivato quel fine settimana. I suoi erano ancora una volta fuori e lei mi aveva invitato a trascorrere un paio di giorni a casa sua, da soli.
Mi sembrava strano tornare dopo quasi un anno in quella casa dove l’avevo posseduta per la prima volta.
Non avevo accettato subito, per non ammettere che la desideravo più che mai. Poi nel pomeriggio avevo fatto doccia e barba, una bella rasata pure alle parti basse ed ero corso in moto verso quella villa isolata, immersa negli agrumeti della Conca D'oro.

L’avevo trovata intenta a leggere un romanzo, distesa a bordo piscina.
Avevamo fatto sesso come non accadeva da tempo, con un trasporto diverso. Io l'avevo leccata e baciata come non avevo più fatto.
Dalla finestra al piano di sopra aveva assistito allo spettacolo Cinzia, la sorella minore. Una presenza non prevista la sua, a quanto pare infatti, all'ultimo momento era rimasta a casa, dopo l’ennesima lite col fidanzato.
Cinzia era immobile dietro la finestra, senza perdersi un solo istante del nostro incontro amoroso. L'avevo vista, facendo finta di nulla. Ci eravamo guardati, io esibendo la mia eccitazione, lei cominciando a sfiorarsi con una mano.

Dopo l'amplesso eravamo rimasti per un po’, quasi assopiti, io e Clara, uno accanto all'altra.
Mi aveva destato la sua voce, di una dolcezza che non ricordavo più: “Se ti fermi qui stasera, vado a fare un po’ di spesa per prepararti una cenetta come piace a te,”- e dicendolo carezzava con un dito il contorno delle mie labbra- “tu resta qui a rilassarti, il fine settimana sarà impegnativo”.

Clara andò in casa a prepararsi, io misi il costume asciutto e mi sdraiai a leggere “Verdi colline d’Africa” all’ombra di un grande gelso. Prima di uscire la sentì parlare con la sorella, il tono era allegro, ridevano, ma non riuscivo a distinguere cosa dicessero.
Anche se non si poteva definire un libro erotico, quanto piuttosto un romanzo autobiografico ambientato in un safari in Africa, la parte in cui racconta relazione con la giovane di una tribù locale in qualche modo mi aveva stimolato alcune sensazioni, forse perché già in preda ad una sorta di overdose di testosterone, così il tessuto del mio costume nascondeva ben poco del mio stato di eccitazione.
Ed ecco in quel momento arrivare Cinzia. Sorridente, come sempre, con quel suo fare allegro e un po’ spensierato. Camminava, con quella sua andatura un po’ sculettante, a piedi scalzi sul prato, muoveva i suoi fianchi generosi e le ballavano le tette a dir poco esuberanti. Aveva un vestitino leggerissimo di cotone bianco, quasi trasparente in lontananza, che si muoveva svolazzando come i suoi capelli mossi.
Veniva verso di me con due birre fredde. Di certo le sorelline parlavano tanto, una delle due era la mia preferita, una rossa doppio malto belga.
Mi porse la bottiglia e mi salutò con un bacio sulla guancia, casto ma pieno, rumoroso: “Bentornato, sono contenta che tu e mia sorella siete di nuovo insieme”.
Potevo evitarlo, ma non so perché ci tenni a precisare “tecnicamente non stiamo insieme, come sai lei non vuole legami, scopiamo, tanto, ma solo quello”.
“Si, si, non c’è bisogno che mi spieghi nulla, la conosco bene la vostra storia, due stronzi che si cercano. Mia sorella è una stronza viziata, che ama complicarsi la vita e non sa cosa vuole veramente, o meglio, non lo ammette a se stessa. Tu sei uno stronzo orgoglioso che non sa rinunciare né a lei né al proprio orgoglio ferito.”
Mi piaceva sentirla parlare Cinzia, aveva un modo dolce di pronunciare le parole, quasi coccolandole tra lingua e labbra. Non aveva le pretese intellettuali e la complessità della sorella, ma una semplicità concreta. “Ma in fondo- continuò- insieme ci state bene. E soprattutto avete una bella chimica, soprattutto a letto”. Lo disse con un’espressione maliziosa, allusiva, accavallò le gambe e si soffermò notando il rigonfiamento del costume, “Allora è vero che hai sempre fame…”
Quest’ultima allusione era una porta aperta che non potevo trascurare “In realtà non credo sia una cosa né rara né speciale, se non hai fame nel pieno dei vent’anni…”
Cinzia non era affatto né stupida né ingenua. Colse perfettamente l’esca che le avevo lanciato, distese entrambe le gambe sulla sdraio e bevve una boccata piena di birra, quasi a prendere del tempo, quello necessario a tirar fuori le parole. Un goccio di birra le scivolò lungo il collo, fin giù tra i seni. Più eloquente di mille parole fu l’ulteriore impennata del mio costume. Mi guardò e sorrise, mi piaceva come sorrideva, con due deliziose fossette agli angoli della bocca.
“In realtà non è affatto scontato. Prendi me ad esempio, sto con PierGiorgio dai tempi delle medie e l’unica fame che conosco è la mia”.
Mi aspettavo che con il damerino non andasse tutto proprio bene, li avevo visti insieme qualche volta, sembravano più che altro due buoni amici, poi Clara, che non amava certo il fidanzato della sorella, in diverse occasioni aveva lasciato intendere che quella relazione fosse un paravento…
“Ci conosciamo da piccoli, compagni di scuola da sempre, i nostri genitori sono amici e soci in affari. Gli voglio sinceramente bene e credo che anche lui me ne voglia. Solo che non mi cerca, tutto qui. Devo essere io a creare delle situazioni e ottenere qualcosa da lui. Ma sinceramente è come scoparsi un frigorifero, una cosa frettolosa e senza piacere Eppure non credo di essere poi così male”. Non vi era tristezza nelle parole di Cinzia, quanto piuttosto una vaga rassegnazione. La guardai, dai piedi fino ai capelli, no, non era affatto male. “Non sei per nulla male, anzi, direi una gran bella gnocca, faresti venire la fame a chiunque.” E guardando con un sorriso il mio ragazzaccio lì sotto “Monello, tu che ne pensi? Hey, anche lui è d’accordo!”
Ridemmo insieme di gusto. Però di tanto in tanto Cinzia continuava a guardare il mio pacco, “Guarda che così mi fai imbarazzare” le dissi posando il libro sull’inguine come in preda ad un improvviso pudore.
“No, dai scemo, come se non ti avessi visto prima in piscina…”
Decisi di giocare come il gatto col topo. “Vorrei fare una doccia - dissi posandole una mano su una gamba-, non sopporto l’odore del cloro.”
Presi i miei vestiti e mi avviai verso il bagno del piano di sopra. Conoscevo bene la casa e quel bagno che stava di fronte tra la camera di Clara e quella di Cinzia. La cabina doccia era ampia, chiusa da due battenti in vetro trasparente. Avevo cominciato ad insaponarmi, tra i discorsi di Cinzia ed il massaggio col bagnoschiuma, il ragazzo era nuovamente impennato come se fosse l’alzabandiera del primo mattino.
In quel momento bussò Cinzia “Guarda che non hai preso né asciugamani né accappatoio, non vorrai andare in giro per casa nudo e bagnato”.
Aprì la porta e poggiò sul mobile un set di tovaglie ed accappatoio. La sentì uscire, finii di sciacquarmi e uscii dalla doccia. Avvolto in un morbido accappatoio mi avviai verso la camera di Clara, dove avevo lasciato i miei vestiti. Passai davanti alla camera di Cinzia, la porta era aperta a metà. Si stava spogliando. Mi appoggiai alla porta e rimasi in silenzio a guardarla. Era molto diversa da Clara. Se la sorella maggiore aveva un corpo magro e tornito da tante ore di sport, Cinzia invece era una bellezza più morbida. Si slacciò il vestito legato in vita che si aprì scoprendo un seno abbondante e pieno. Aveva la stessa carnagione scura della sorella, lo stesso culo alto e sferico, ma più generoso.
Mi aveva visto nel riflesso della finestra, aveva fatto finta di nulla per un po’, carezzandosi il seno e le gambe. Mi avvicinai piano e l'abbracciai dalle spalle, baciandole la nuca e il collo.
Fece un lungo sospiro, tirando la testa indietro. Il seno era peno e duro, così grosso che una mano a mala pena ne poteva contenere metà. Si girò a guardarmi e le nostre labbra si incontrarono.
Trovai le sue labbra già dischiuse e la sua lingua calda pronta ad incontrare la mia.
Aveva una bella bocca, mi piaceva, era calda e morbida, piena. La sua mano intanto frugava nel mio accappatoio e strinse quel tubo di carne che tanto desiderava, grosso, duro, pulsante...
Con una mano cercai il suo sesso. Era calda e bagnata, viscosa come fosse miele. Portai due dita in bocca e assaggiai voluttuosamente quel sapore meraviglioso, mi ricordava il sapore di sua sorella, con un non so che di ferroso...
Continuai ad accarezzarla, con il dito medio tra le grandi labbra, prima fuori, poi sempre più dentro. Non so se fosse particolarmente sensibile o piuttosto affamata, ma cominciò presto a godere. Intanto la sua presa sul membro era sempre più forte e i movimenti della mano sempre più frenetici, quasi rabbiosi.

Si girò e mi baciò voracemente, la dolcezza aveva lasciato il posto alla libidine di una giovane donna trascurata da troppo tempo. Baciava e mordeva il mio collo e il petto, scendendo con le labbra come un pennello sul mio corpo.
Le accarezzai i capelli e avvicinai il suo viso alla cappella ormai completamente rossa e lucida.
Non aspettava di meglio quella dolce e formosa mora poco più che ventenne. Mi guardava con quegli occhioni enormi e luminosi, mentre avvicinava le labbra a quel membro che chissà quante volte aveva desiderato. Quante volte lo aveva di certo immaginato toccandosi, quando annusava l’odore che lasciavamo sul suo letto io e Clara!

Cinzia non lo prese subito in bocca. Lo strofinava sul suo viso, lo annusava, baciandolo. Poi prese a baciare e leccare tutto il fusto, scendendo fin giù a leccare e succhiare i testicoli.
Di tanto in tanto lo allontanava dal viso, lo guardava e lo agitava con ambedue le mani , che scorrevano freneticamente su e giù. Poi cominciò ad affondare con la bocca, sempre di più, senza riuscire tuttavia ad ingoiarlo tutto. Non aveva l’esperienza e la sicurezza della sorella maggiore, ma aveva voglia, passione e lo succhiava con la bocca piena di saliva. Stavo per esplodere, tirai indietro la testa con un urlo di piacere, all’ultimo istante lei lo tirò fuori dalla bocca e diresse l’abbondante fiotto sul seno. Lo sbatteva sul seno a spalmarlo come fosse crema.

“Però sei egoista- disse raccogliendo lo sperma con un fazzoletto- hai pensato solo a te stesso, lasciandomi a metà”.
Sorrisi. “Chi ha detto che ho finito,- e indicando il comodino- prendi un cappuccetto che ora viene il bello”. Cinzia aprì il cassetto, cercò invano e poi, con voce isterica “Cazzo, ho dimenticato a prenderli, tanto li usa più Clara che io…” Poi, con l’espressione di chi spera in una risposta positiva “ Se per te non è un problema mi è finito il ciclo da uno o due giorni, ho ancora di tanto in tanto qualche piccola traccia, ma in compenso non corriamo rischi”.
Non risposi. La buttai sul letto, le aprii le gambe e cominciai a leccarla. Adesso avevo più chiaro del perché di quel lieve sapore ferroso, era inebriante. Mentre le succhiavo quella fica bagnata, la tenevo per le chiappe, tenendole ben divaricate. Mi stringeva le mani tra i capelli “Basta dai, scopami, ti prego scopami”.
Ma volevo farla andar fuori di testa e in più dovevo prendermi un po’ di tempo per ricaricare. Mi misi con le ginocchia sul letto, all’altezza del suo viso. Lei ricominciò a baciare e succhiare quel membro che cominciava pian piano a gonfiarsi nuovamente, io con una mano stringevo il seno, con l’altra stuzzicavo la sua fica ormai rossa e gonfia, il pollice sul clitoride, medio e anulare dentro. Più le sbattevo le dita dentro, più grondava, con quel caratteristico “sciaff, sciaff, sciaff”…

Sentii che l’erezione era ormai bella tosta, scesi dal letto, presi un cuscino e lo ficcai sotto il suo bel culo, presi i suoi piedi, li alzai e li baciai. Cazzo se erano sensuali i suoi piedini!
Portai le sue gambe sulle mie spalle, presi il mio caro amico con un solo occhio e lo strofinai su e giù su quella passera bagnata, scivolando fino a carezzare l’insenatura tra i glutei.
Non resisteva più, mi incitava a entrare e sbatterla. Entrai, piano. Era poco abituata o fuori allenamento, all’inizio non ero certo se fosse più una smorfia di dolore o di piacere estremo la sua. Pian piano si sciolse e cominciai a scivolarle dentro in maniera fluida. Le stringevo i glutei, in modo brutale e altrettanto brutalmente cominciai a sbatterla. Le feci portare le gambe fin su quasi con le ginocchia al petto. Mi offriva così la sua bella passera, completamente.
Cominciai ad arrivare fino in fondo, ad ogni affondo sentivo un gemito e i miei testicoli che schiaffeggiavano la sua carne eccitata.

Forse perchè ero stanco o forse perché lo avevo fatto cantare già due volte, ma fatto sta che dopo un bel pezzo ero ancora in tiro ma non riuscivo a venire.
Il quel periodo, quando accadeva una situazione del genere, avevo imparato che per venire ci voleva qualcosa che mi eccitasse veramente. E da quando stavo con Clara mi eccitava farla urlare.
Così presi la sorellina e la girai. Lei, ignara, mi offrì una meravigliosa pecorina.
Mi avvicinai a quel capolavoro di fondo schiena e leccai a fondo. Poi presi il mio arnese lo piantai nella sua passerina arrossata. La sbattevo pesantemente, con entrambe le mani sui glutei a tenerli ben aperti. Con un pollice cominciai a giocare col buchetto del suo culo, rispondeva bene, misi una bella dose di saliva e il pollice entrò fino in fondo. Godeva Cinzia e mi incitava a finire.

Lo tirai fuori per infilarlo nel suo culetto, urlò e con una mano cercò di attenuare la mia spinta. Ma più la sbattevo più le piaceva e io sentivo la mia eccitazione crescere a dismisura.
Le afferrai il seno con forza mordendole la nuca e le esplosi dentro, in quel magnifico buchetto di un culo finora violato solo da giocattoli.
Rimanemmo così per un pezzo, finchè i fremiti che facevano sussultare i nostri corpi non scemarono del tutto.
“Sei un vero bastardo- sussurrò baciandomi- e ora capisco perché mia sorella non riesce a staccarsi anche se la tratti come una puttana. A modo suo è fortunata”.
“Non credo sia questione di fortuna- risposi- ma solo di riconoscere ciò che ci fa star bene.”
Mi baciò profondamente. ”Mi sa - concluse mordendomi il lobo dell’orecchio- che cosa mi fa star bene l'ho trovato anch’io”.
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