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E se una sera d'estate una signora


di LoryCrossdresser
31.07.2024    |    5.099    |    27 9.7
"Anche Giuliano ride, ha capito tutto, la mia paura, la difficoltà di pronunciare anche solo poche parole, ride perché sto uccidendo il drago delle mie..."
“Mi vado a incipriare il naso, mi hai… sconquassata!” ho detto mentre, barcollando, mi dirigevo verso il bagno.
Giuliano era ancora sdraiato, sudato e a gambe larghe, non potevo vederlo, ma sapevo che stava sorridendo.
È facile gratificare un uomo, basta dirgli che è stato un martello, un toro, un treno o qualsiasi altra definizione del genere che l’ego maschile si gonfia a dismisura.
Si, è vero, sono un po' ruffiana, ma in fondo che male c’è a rendere felici le persone?
Conosco Giuliano da tanto tempo, è una persona meravigliosa ma, come lo si può definire? Diciamo diversamente giovane, insomma, i suoi anni ce li ha tutti e il suo migliore amico, ogni tanto, perde di consistenza.
Anche io ho i miei anni, non sono certo una ragazzina, potevamo tranquillamente indirizzare la serata davanti ad un piatto di pasta e un bicchiere di vino, anzi, così avrebbe dovuto essere, avevamo tante cose da dirci, come una coppia di ex coniugi o ex amanti, comunque di ex, che ricordano i bei vecchi tempi andati, mentre le bollicine del prosecco risalgono fino al naso.
E invece no.
I sensi ci hanno travolto e ci siamo ritrovati a scambiarci la pelle, nel turbinio delle passioni.
Ma chi lo ha detto che il sesso è solo per i ventenni?
Certo manca un po’ di vigoria atletica, ma la fantasia e l’esperienza compensano alla grande.
E sono state Montagne Russe, salite ripide e discese a capofitto, gallerie buie ed eccessi di luce, insomma ce la siamo spassata alla grande, e che bello ritrovarsi così, far saltare tutti gli schemi e lasciarsi solamente andare.
Allo specchio mi rifaccio il trucco, un po’ di fondotinta, terra e cipria, quei pennelli sono sempre i miei fedeli compagni della mia natura femminile e della mia sessualità.
Sento dei rumori in camera, Giuliano si alza, sento i suoi passi, sta andando in cucina.
“Lo vuoi un gelato?” chiede con voce atona “Certo” rispondo, “Mi va proprio, ho la gola secca, salivazione azzerata, ho la lingua consumata! Indovina perché?” rispondo allegra mentre con una grossa matita rossa seguo il contorno delle labbra.
“Bene, qui vicino, sul lungomare, c’è una gelateria buonissima” mi urla dalla cucina, “Come sul lungomare? Ma stai scherzando!?” replico preoccupata, e lui semplicemente “No!”.
Da qui inizia questo racconto, da quella matita rimasta al centro del labbro superiore e quel no, fermo a galleggiare nell’aria immobile di questa serata rovente.
“Un gelato sul lungomare? No, non ce la posso fare! Non ci riesco”, questo penso mentre la seconda parte del labbro mi viene tutta storta.
No, non sono una ragazzina, e di esperienza ne ho abbastanza, sono stata nei parcheggi la sera a far risuonare i tacchi sull’asfalto, sono salita sulle motrici dei camion, ho partecipato a feste ed incontri trasgressivi, ho assaporato il piacere del carsex, insomma mi sono divertita, ma quel gelato mi terrorizza.
Tutto ciò che ho fatto, per quanto stravagante possa sembrare, rientra nella mia confort zone, quel luogo immaginario dove io mi riconosco e gli altri riconoscono me, sono una trav, lo sanno tutti i partecipanti a quegli incontri trasgressivi, lo sanno i camionisti che si affiancano, lo sanno quelli che nei club ti toccano il sedere, lo sanno e io lo so che lo sanno, non devo dire loro niente, ma in gelateria? In strada? No, non è, non può essere la stessa cosa.
Rimango inchiodata davanti allo specchio mentre, con gesti goffi, tento di sistemare il pasticcio che ho fatto con la matita.
Vedo Giuliano nello specchio, non mi volto, continuo a guardare i miei occhi verdi riflessi.
Lui mi abbraccia, socchiudo le palpebre, lascio che quel desiderio di stare insieme fluisca dalle dita, le braccia mi stringono, sono la sua compagna, donna o solamente femmina, comunque sua, mi sento protetta.
“Lo so che hai paura, vero? Ma quante volte abbiamo detto di uscire? Quante?”
Giuliano mi parla in un sussurro, ho la pelle d’oca.
“Tante”, rispondo mentre ci guardiamo attraverso lo specchio.
“Dove sono finiti i tuoi discorsi di superamento delle barriere di genere? Erano solo chiacchiere? Un gelato non è poi così pericoloso” dice stingendomi da dietro, “Ci portiamo pure Biondo, saremo una coppia che porta a passeggio il cane come ce ne sono milioni al mondo”.
“Non ce ne sono milioni” penso senza pronunciare verbo, “Non ce ne sono milioni, c’è una piccola differenza tra essere donna e sognare di esserlo, non è la stessa cosa”.
Bidibibodibibu e la fatina dei desideri appare magicamente dallo specchio, un turbinio di stelline mi avvolge, mi trasporta in aria, la mia vita si assottiglia, i fianchi si allargano, il seno si gonfia, gli zigomi si ammorbidiscono i capelli rimbalzano leggeri…
No, non succede.
Restiamo immobili, abbracciati, finché lui mi dice, “Ma non ce l’hai una gonna più lunga?” e le sue mani scivolano sulle mie gambe tese coperte dal velo sottile delle calze.
Annuisco solamente.
“Forza!” e giù una pacca sul sedere, “Biondo! Vieni qui, ce ne andiamo un po’ a spasso!”
In un attimo mi ritrovo sola, il battito del cuore è un tonfo.
Tum tum… tum tum… tum tum… quando sono agitata comincio a torturarmi le unghie, solo lo smalto rosso mi impedisce di rosicchiarle, Giuliano è già vestito, per lui è facile, una camicia i pantaloni e Biondo al guinzaglio, il bastardino di sesso incerto scodinzola felice e se ne frega di tutti quelli che pensano che sia femmina.
Lui mi ha accettata senza abbaiare, come fanno tutti, perché per lui sono una persona come ce ne sono tante, con la pelle e i capelli di tutti i colori.
Indosso una gonna più lunga nera, con piccole frange alla base appena sopra il ginocchio, una blusa in seta con temi floreali e delle curiose scarpe da fatina rosa con un grande fiocco sul dorso, sono un po’ da bambina ma le altre avevano il tacco troppo alto ed erano decisamente da mignotta, e poi mi fa allegria calzare queste scarpine assurde perché me le ha fatte trovare Giuliano, e solo lui poteva avere il coraggio di comprarle.
“Andiamo?” chiede Giuliano.
Scuoto la testa, lui mi prende la mano e mi trascina con dolce determinazione.
La porta di casa è il punto di non ritorno, oltrepassata quella c’è una voragine che finisce diritta nel ventre delle mie paure.
In un attimo siamo fuori.
Mi guardo intorno, non c’è nessuno eppure mi sembra di essere osservata.
Giuliano cammina spedito, dice cose, ma io non lo ascolto, Biondo annusa qua e là, i tacchi sottili delle mie scarpette da fatina calpestano il selciato del cortile interno.
Saliamo in macchina e per un attimo mi sento protetta, ma è solo un attimo.
Il lungomare brulica di persone, che vivono la straordinaria normalità di una sera d’estate.
Io no, ho il cuore in gola, Giuliano parla come se non fosse nulla.
Guida spedito tra le stradine retrostanti la grande arteria che si affaccia sul mare, io osservo tutto, nonostante il caldo ho la schiena gelata.
Parcheggia, rimango seduta con la cintura allacciata, non scendo, lui apre lo sportello “Andiamo?”.
Un piede, poi l’altro, sto attentissima a non divaricare le gambe come farebbe d’istinto qualsiasi donna, scendo e mi stupisco di riuscire ancora a camminare.
Ondeggio come fossi ubriaca, Giuliano se ne accorge, mi prende la mano, la stringe forte e io provo quel senso di protezione infantile, “Se lui è qui con me non succederà niente, se qualcuno mi offenderà lui mi protegge, non succederà niente”, con queste parole cerco di trovare il coraggio di mettere un piede avanti all’altro.
Intorno a me famiglie, bambini e tanti ragazzi e ragazze che giocano e si scoprono a vicenda nell’avventura di diventare grandi.
Li guardo da sotto la frangetta lunga, sono bellissimi, i maschi nella loro spavalderia ostentata, le ragazze nella loro divisa di ordinanza, jeans cortissimi e top scuro.
Parlano allegre, risate, tintinnio di monetine lasciate cadere, avrei voluto essere così… avrei voluto.
Sogno, cammino, respiro.
Giuliano parla, cerco di seguire il filo del suo discorso, ma non ci riesco, nella testa un turbinio di sensazioni uniche.
Per la prima volta nella mia vita sono donna, semplicemente, meravigliosamente donna, è la stessa sensazione di quando da piccola ho indossato per la prima volta un paio di calze, emozione da far tremare le caviglie.
Il mio appoggio vacilla sui tacchi sottili ed è reso ancora più precario dall’asfalto sconnesso.
Le scarpe da fatina calpestano per la prima volta un marciapiede, le dita sono schiacciate dalla tomaia stretta, provo quel fastidio, quel dolce dolore che prova ogni donna che indossa i tacchi, ogni particolare di questa sera d’estate accende la scintilla del mio lato femminile troppo volte sopito, ma, nello stesso momento provo paura, sono sempre la persona sbagliata nel posto sbagliato.
Abbasso lo sguardo quando incontro la gente, “Se io non vedo loro, loro non vedono me”, ma nessuno mi vede, sono solo una persona tra le altre persone.
Stringo la mano di Giuliano, lui parla ininterrottamente, però sa bene il subbuglio che ho nella pancia.
L’insegna luminosa della gelateria brilla nella notte.
È la prova più difficile.
Entriamo, Giuliano fa lo scontrino mentre io con gli occhi bassi faccio finta di guardare le vaschette.
“Che gusti?”
“Cioccolato e vaniglia”
“Panna?”
“Si”
Il ragazzo della gelateria mi porge il cono, lo prendo delicatamente, le mie dita dalle unghie rosse sfiorano le sue.
“Grazie”.
Fine della prova.
Quando usciamo dal piccolo locale con il cono in mano mi viene da ridere.
Anche Giuliano ride, ha capito tutto, la mia paura, la difficoltà di pronunciare anche solo poche parole, ride perché sto uccidendo il drago delle mie paure, o forse solo perché sto scoprendo che non è un drago ma un innocuo geco più spaventato della mia stessa paura.
Ci sediamo su di una panchina, davanti a noi il mare, lecco il gelato e parlo, la vaniglia si scioglie con rapidità insieme alle mie ansie.
Accavallo le gambe con le ginocchia rigorosamente serrate, le mie scarpette rosa brillano alla luce dei lampioni.
Parliamo di tutto e soprattutto di niente, si discorre mentre il cioccolato si mescola alla vaniglia.
Biondo saltella, corre, annusa è felice, anche io sono felice.
Quanto tempo è passato? Quante persone sono passate davanti a me? Cosa avranno pensato? Anzi avranno pensato qualcosa di me? E anche se fosse?
In un attimo mi rendo conto che non sono il centro del mondo, le cose non ruotano intorno a me, mangio un gelato su una panchina e non importa a nessuno se li sotto la gonna ho una cosetta a forma di banana mezzo stonata schiacciata dalle cosce serrate.
Mangio un gelato, con il mio uomo accanto e il cane che gironzola intorno, embè cosa cazzo volete? Avrò diritto anch’io di una mezz’ora di normalità?
Questa è la mia mezz’ora, solo mia, che nessuno provi a rovinarmela!
Sento il rumore del mare, lo sciabordio delle onde, è la mia mezz’ora di sogno ad occhi aperti.
Lecco il gelato con gesto semplice ed allo stesso tempo erotico, la lingua passa leggera, il sapore del rossetto che si mescola ai gusti è più dolce della vaniglia, più intenso del cioccolato.
Quando decidiamo di alzarci quasi non ho più paura, quasi!
Ci incamminiamo per riprendere la macchina, stringo forte la sua mano, questa volta non per cercare protezione ma solo perché lo voglio.
“Signora! Signora!” mi sento chiamare, ci voltiamo, una ragazzina adolescente, strizzata nei suoi jeans cortissimi, mi viene incontro “Signora, ha dimenticato gli occhiali sulla panchina”.
Effettivamente li avevo presi dalla borsetta per guardare il telefonino e poi li avevo posati sul sedile.
La guardo negli occhi, lei guarda me “Grazie” le dico sorridendo “Prego” e ricambia il sorriso.
Riprendiamo a camminare lentamente, d’incanto ero diventata signora.
Signora!
“Non ti ha mangiato mica” mi sussurra all’orecchio Giuliano, “scemo!” gli rispondo dandogli un innocuo calcetto.
Quella ragazzina non sa, non saprà mai la grandezza di quel gesto semplice, non sa, non saprà mai che mi ha fatto emozionare.
Prendiamo la macchina e ci incamminiamo verso casa.
Come cenerentola per me è scattata l’ora X, devo tornare alla vita di sempre.
Nell’auto sono silenziosa, “Cosa hai?” chiede Giulio.
Lo guardo senza rispondere, lui mi accarezza le gambe e in quel tocco, erotico e gentile, c’è tutta la magia del desiderio e, perché no, dell’amore anche se impossibile o forse, soprattutto perché impossibile.
“Allora era buono il gelato?” dice.
“Buonissimo” rispondo.

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