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Da studente a schiavetta


di Sissy_Daisy
05.10.2024    |    10    |    1 8.7
"M'impose di levargli le scarpe e i calzini e di baciargli i piedi..."

Prima di raccontarvi la mia storia, reale sebbene romanzata, è bene che mi presenti: il mio vero nome è Damiano. Sono sempre stato omosessuale, un fatto evidente fin dal fisico. Ho infatti un corpo glabro e flessuoso, decisamente androgino, assai più simile a quello di una ragazza che di un ragazzo, come credo si possa intuire dalle foto del profilo.

Al tempo dei fatti che mi appresto a raccontare, avevo vent'anni e frequentavo svogliatamente l'università. La mia vita sessuale era piuttosto in stallo. Avevo comprato, di nascosto, diversi falli di gomma, con cui saggiavo l'elasticità del mio culo, ma perlopiù mi limitavo a spompinare un mio coetaneo, un bulletto dedito allo spaccio di erba scadente (di lui racconterò ancora, dato gli devi il mio soprannome).

Nessuno, dico nessuno, salvo alcuni maschi perversi e qualche lenone, avrebbe mai sospettato che sotto le mie grazie, apparentemente ingenue, si celasse in realtà una schiavetta desiderosa di essere presa con forza da soggetti loschi e virili. Sono, lo confesso, fortemente attratta dal peggio offerto dalla nostra società: spacciatori, tamarri palestrati, barboni, negri, vecchi porci e papponi, che nelle mie fantasie mi fanno battere, mi schiavizzano, mi sodomizzano, mi sputano addosso e mi sbattono in luoghi equivoci (case abbandonate, bagni pubblici, stazioni ferroviarie, sottopassaggi, parcheggi e autogrill).

Mi piacciono i cattivi ragazzi, i "bad boys", coi loro tatuaggi, i loro modi di fare bruschi, la loro aggressività fisica. Sono dei veri maschi, al contrario mio, che mi sento donna. Le mie fantasie sono spesso popolate da ragazzacci e criminali. Mi figuro spesso di finire in una cella con tre o quattro stalloni nerboruti e diventare il loro giocattolo sessuale. Qualcuno potrebbe trovarle riprovevoli, ma probabilmente non conosce i piaceri della sottomissione.

Mio padre ha una grossa impresa edile. Il capomastro della ditta, Mauro, nel corso degli anni era diventato suo amico, con dispiacere di mia madre, che lo reputò sempre un "bruto volgare" e non senza ragione. Mauro, infatti, quando veniva a casa nostra, amava intrattenerci con storielle piccanti e battute sul sesso, senza curarasi troppo della presenza di una donna nelle vicinanze.

Inoltre, era noto per i modi spicci e autoritari con cui trattava i sottoposti in cantiere, maniere che ormai adottava con chiunque e ovunque. Tutto il suo aspetto emanava rozzezza: alto, massiccio, tatuato e abbronzato per via delle ore trascorse al sole. Quando accompagnavo mio padre a supervisionare qualche lavoro, lo vedevo spesso in piedi su una qualche impalcatura, a petto nudo, sudato, mentre lanciava ordini accompagnati da improperi. Si mormorava fosse coinvolto in risse e gioco d'azzardo... certo era il suo passato di galeotto, ma a mio padre non importava, dopotutto sul lavoro era sempre stato puntuale ed efficiente.

Proprio per queste ragioni lo trovavo estremamente eccitante. Trascorrevo intere notti a scuotermi il cazzetto immaginandomi al posto delle donne che vantava di scoparsi, sconquassato e penetrato dal suo cazzone, che sempre emergeva prepotente e aggressivo dai jeans logori. Il mio desiderio per lui era diventato irrefrenabile.

Un giorno sentii Mauro parlare di un sito d'incontri attraverso cui, a suo dire, era facile "procurarsi buone scopate". Decisi d'iscrivermi anche io, sotto falso nome, nel tentativo di adescarlo. Fu lui, alla fine, a trovare me, dopo che pubblicai alcune mie foto e brevi video sexy dove, naturalmente, non mi si vedeva in viso. Il mio cervello andò in "crash" quando mi inviò una foto della sua grossa nerchia sopra a due palle gonfie e pelose. Il suo cazzo mi ipnotizzò. Sapevo che mi avrebbe trasformato in una bambola gonfiabile pronta all'uso, anche il più sporco e imbarazzante, ma non resistetti ed accettai un incontro.

La sera del giorno concordato ero pronta. Per l'occasione optai per un trucco e un abbigliamento da vera porca: abbondante fondotinta, ombretto rosa sulle palpebre, ciglia e unghie finte, blush rosa sulle guance e rossetto glitterato. Col make up avevo cancellato le residue fattezze maschili dal mio volto, già di per sé dolce e tondeggiante. Indossai uno striminzito vestitino rosa, che mi copriva appena appena il culo, lasciando in bella vista le balze delle autoreggenti cubane nere; ai piedi avevo dei tacchi plateau anch'essi rosa. Mi misi al collo un collarino brillantato con la scritta "cum dump", ossia "cassonetto di sperma", proprio quello che volevo essere per lui.

Ci incontrammo in un parcheggio sotterraneo, che raggiunsi con la mia automobile, vagamente intimorita da quel luogo buio e ricoperto di graffiti. Quando lo vidi arrivare, scesi dall'auto e salii sul suo SUV. Mi accolse con un fischio. Non mi riconobbe. Il travestimento e il buio mi celarono per tutto il viaggio verso casa sua. Durante il tragitto fissai a lungo le sue braccia possenti e, soprattutto, la patta gonfia dei suoi pantaloni. Avevo una voglia matta di diventare il suo sborratoio; di essere scopata e gettata via come un preservativo usato.

Arrivammo presso la sua abitazione, un villino indipendente in una zona abbastanza isolata e di nuova costruzione (mio padre lo pagava assai bene). Solo alla luce del lampadario del salotto mi riconobbe. Mauro mi scrutò per qualche minuto, con attenzione, poi si mise a sogghignare sornione e malizioso:

"Cazzo! Sei proprio tu, non ci posso credere. Era evidente che fossi un frocetto, ma non avrei mai detto a questi livelli".

Si mise a ridere sonoramente.

"Sei in tutto e per tutto una donna", disse tastandomi il culo.

"E sei una troia – proseguì – proprio come tua madre". Quella frase mi fece assumere un'espressione ebete, infatti il maschione aggiunse:

"è inutile che fai quella faccia, sei della sua stessa pasta, una troia. Sì, me la sono scopata sul letto coniugale, senza che tuo padre sospettasse nulla, e adesso mi scopo anche te".

Iniziai a capire la vera ragione del turbamento di mia madre in presenza di Mauro, ma non ebbi modo di rifletterci a lungo, perché cominciò a schiaffeggiarmi sul viso e sul culo, chiamandomi "puttana" e "baldracca".

Poi, si sedette sul divano e mi ordinò d'inginocchiarmi davanti a lui. M'impose di levargli le scarpe e i calzini e di baciargli i piedi. Cosa che feci con studiata malizia. "Brava! – diceva – bacia i piedi del tuo padrone, stupida zoccola". Più mi umiliava e più cresceva la mia adorazione nei suoi confronti.

Il bruto si tolse i pantaloni e le mutande e aprì bene le gambe; mi avvicinai a carponi al suo cazzo, enorme e odoroso, simile a quello di un animale da monta, e cominciai a leccarlo per tutta la sua lunghezza, dalle palle dure e pelose fino alla cappella spaventosamente gonfia, infine tentai di succhiarlo. Dico "tentai" perché era difficile infilarselo in bocca tanto era grosso; lo prendevo a poco a poco.

Mauro, improvvisamente, con tutta la forza che aveva nella braccia, premette la mia testa sul suo cazzo bestiale, costringendomi a prenderlo tutto, fino in fondo alla gola. Strabuzzai gli occhi ed ebbi conati di vomito e spasmi. "Prendilo tutto – disse – come quella bagascia di tua madre".

Lacrimavo copiosamente a causa di quel cazzone conficcato nella laringe; avevo bisogno di aria, dunque gli diedi dei colpi sulle enormi cosce e lui mi libero dalla sua presa erculea. Tirai un luogo respiro. Lui si alzò bruscamente e mi colpì al volto con uno schiaffo, facendomi cadere all'indietro. Avevo il cazzetto duro come non mai. Ero fuori di me per l'eccitazione. Mauro si spogliò del tutto, io mi rimisi in ginocchio e ripresi a fargli un pompino.

Rimase fermo per pochi minuti, poi cominciò a muovere il bacino avanti e indietro, usando la mia bocca come un buco. Densi rivoli di saliva mi colavano ai lati della bocca fin sul pavimento. Tenevo i miei occhioni super truccati fissi su di lui, cercando di assumere un'espressione da docile cerbiattina.

Tirò fuori la minchia dalla mia bocca e, dopo avermela sbattuta, ridacchiando, in faccia, mi mise in piedi tenendomi dal collo e dicendo:

"succhi meglio di quella puttana di tua madre. Adesso però fammi vedere il culo, stupida zoccola".

Eseguii il suo ordine piegandomi davanti al divano e spingendo il mio culo in fuori. Per tutta risposta ricevetti una sculacciata talmente ben assestata che, oltre a farmi lanciare un gridolino, mi fece cadere a bocconi sul divano. Mauro sollevò il vestitino rosa, mi afferrò le mutandine e le tirò, strappandomele via con un colpo deciso e rabbioso.

Mi voltai di scatto, mi tolse le scarpe rosa e le lanciò lontano nella stanza poi, con voce perentoria: "adesso ti rovino il culo". Si succhiò le dita e mi massaggiò l'ano. Non resistetti e gli urlai: "scopami porco bastardo, spaccami il culo!". La sua risposta non si fece attendere: "così ti voglio, lurida cagna!".

La sua cappella umida della mia saliva entrò attraverso una spinta talmente forte da farmi sbarrare gli occhi e gridare di piacere. Lo fece ripetutamente e con sempre maggiore decisione. Mi afferrò le gambe nell'incavo delle ginocchia e le spinse verso le mie spalle, schiacciandomi contro la spalliera del divano. Mi tenne ferma così mentre mi dilatava il culo col suo cazzo animale. Sentivo l'asta, spessa e fibrosa, marmorea e barbara, premere contro le pareti interne del mio retto. Le cosce del maschione battevano le mie natiche; il cazzetto sbatacchiava di qua e di là. Nessuno mi aveva mai scopato con una tale foga, quasi svenni tanto era furente lui e intenso il piacere.

Persi il conto degli orgasmi, ma non ero ancora sazio, lui sprigionava una selvaticità irresistibile. Si arrestò, all'improvviso, sentii quanto fosse conficcata in profondità la sua nerchia, allungò la mano e prese il cellulare che aveva abbandonato lì accanto. Riprese a sodomizzarmi con un'intensità media, mi puntò il telefonino davanti e disse: "dimmi quanto sei troia".

Quasi mi vergogno a riportare le frasi che mi uscirono dalla bocca, ma ero completamente fuori di me per il desiderio, una bambola gonfiabile senza cervello: "sono uno sborratoio – dissi – scopami alla faccia del cornuto. Riempimi di sborra papino. Sono un maschio fallito, esisto solo per i cazzi". Mauro mi sputò in faccia e io continuai: "bravo! Trattami come una troia, non sono un ragazzo, sono una bagascia, una porca senza dignità".

I colpi di reni si erano fatti sempre più intensi. Sentivo il culo cedere ai colpi di quel cazzo abnorme. Mi tremavano le gambe. Il porco non resistetta a lungo alle mie frasi e mi riversò dentro tutto il suo sperma vischioso e denso come colla calda: "sei piena".

Rimasi in estasi per diversi minuti, infine tornai in me. Avevo il culo in fiamme, mi aveva davvero rotta e anche per bene. Lui, seduto su una poltrona poco distante dal divano, fece partire il video che mi aveva fatto. Mi riascoltai e provai un profondo imbarazzo, ma anche un grande compiacimento: avevo una voce estremamente femminile, strozzata dal desiderio, ansimante. Lo guardai preoccupato e con voce supplichevoli chiesi: "cosa farai con quel video?".

Mauro: "non farti strane idee, non dirò nulla, per ora, anche se mi piacerebbe vedere la faccia di quel becco di tuo padre nel sapere che suo figlio è una baldracca senza speranza. Ma se non vuoi che questo video finisca nelle mani di tuo padre, beh, qualcosa dovrai fare...".

"Cosa vuoi che faccia per te?"

"Per esempio, prossima volta potresti indossare la lingerie intima di tua madre".

Raccolsi le mia cose dal pavimento. Mauro mi riaccompagnò alla macchina, svogliatamente, il culetto mi doleva troppo. Mi trovavo in una situazione di merda, eccitante, ma di merda. Mi arrivò un messaggio di mio padre sul cellulare:

"Tutto bene?"

"Sì, tutto a posto".
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